SPRING 10 - Dove Swan interroga il suo cuore

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La vita era più bella, ora che Raven era accanto a lei, e non solo per esistere e respirare nella stanza vicina alla sua. Ed era più o meno come l'aveva sempre sognata quando fantasticava su di lui. Certo, si era dissolta la frenesia alcolica della festa di Diane e Swan si era trincerata dietro una posizione più cauta. Dopo quella sera di follia, aveva deciso di andarci piano con Raven. Voleva sentirsi sicura, e sicura non lo era affatto. Pregava e sperava, dentro si sé, che quel cambiamento in lui fosse reale e duraturo. Qualcosa che solo il tempo avrebbe potuto dirle. Di certo non una febbrile, per quanto bellissima, rotolata tra le lenzuola.

Swan si ripeteva che quella era, in fondo, la favola di ogni donna: il cattivo ragazzo che si innamora e puff, da quel momento esiste solo lei. Lo aveva sempre ritenuto possibile, perché lei credeva nei miracoli e credeva nella magia e, considerato il suo stato e la sua vita, era piuttosto ovvio e ragionevole che lo facesse. Solo che Swan non aveva mai pensato che sarebbe potuta essere lei la fortunata. La fortuna esisteva solo per le altre ragazze.

C'era, inoltre, un altro punto della sua lista di insicurezze a frenarla. Lei e Raven non erano due persone qualsiasi. E soprattutto, lei e Raven abitavano sotto lo stesso tetto e sarebbero stati costretti a farlo ancora per molti, moltissimi anni. Che sarebbe accaduto al suo cuore se lui l'avesse ferita o delusa o tradita o abbandonata? Come avrebbe fatto a guardarlo negli occhi ogni giorno e ogni sera e a ogni maledettissimo risveglio? Fino a quando l'aveva ammirato da lontano, limitandosi a fantasticare su di lui, Raven restava una specie di creatura mitologica, bella e distante, che apparteneva a un altro pianeta. Così poteva sopportare di vederlo flirtare con questa o con quella ragazza, perché lui non apparteneva né a lei né al suo mondo. Ma se Swan fosse diventata sua, nel modo profondo e concreto con cui lei sentiva di appartenergli, come sarebbe riuscita a staccarsi da lui?

Erano questi, e tanti altri, i dubbi che acceleravano il cuore di Swan tutte le volte che era sola a pensare a occhi aperti nella sua stanza. Peccato che Raven fosse davvero maledettamente bravo a cancellarli sempre con un solo sguardo o con un sorriso. Ed era stato anche dannatamente carino ad accettare con grazia e senza il minimo disappunto il dietrofront di Swan e la sua proposta di procedere con cautela, di costruire giorno dopo giorno quella relazione. A volte Swan si ritrovava a chiedersi quale fosse il vero volto di Raven. Era il ragazzo indifferente che passava sempre sopra ogni situazione come se nulla avesse davvero valore, o era quel tipo attento che aveva iniziato a prendersi cura di lei? E se così era, perché mostrarsi solo a lei? Le sembrava, in certi momenti, di non conoscerlo affatto, a dispetto della sicurezza che le davano tutti quegli anni vissuti assieme. Di cosa aveva tanta paura? Da cosa doveva nascondersi?

Le sue labbra si schiusero, sul punto di proferire ad alta voce quelle domande, ma Raven le tolse il fiato con un bacio. Le sue dita eleganti cominciarono a giocare con i capelli argentati di Swan, mentre con il dorso della mano le sfiorava l'incavo tra la mascella e il collo. Ogni sua carezza aveva il potere di trasmetterle un brivido che le avvolgeva tutto il corpo e le annacquava i pensieri.

Raven, a volte, sembrava quasi geloso dei suoi silenzi. Era, quello, un aspetto di lui che non gli aveva mai conosciuto prima di allora. Sembrava sempre voler pretendere per sé tutta la sua attenzione. Era una specie di velato senso del possesso, come se avesse bisogno di riportarla indietro ogni qualvolta lei si allontanava troppo. Un dolce laccio che lusingava la vanità di Swan e le trasmetteva quel brivido di vittoria che la faceva gongolare e vergognare allo stesso tempo.

Le labbra di Raven scivolarono via dalla guancia di Swan con un gesto distratto e le sfiorarono l'orecchio mentre lui, a occhi chiusi lasciava sprofondare il viso tra i suoi capelli sparsi disordinatamente sul cuscino. Erano distesi a respirare piano sul letto di Raven, l'uno accanto all'altra, lei a guardare il soffitto, lui con il petto affondato tra le coperte.

"Sento il rumore del tuo cervello fino a qui, Swan", sussurrò Raven a un millimetro da lei, senza mutare di posizione.

Swan, invece, sussultò, come se l'avesse colta in fallo.

"A che stai pensando?", proseguì lui, con la medesima calma imperturbata.

La ragazza si agitò lievemente al suo fianco.

"Mi chiedo se non sia il caso di parlarne con Eagle", rispose dopo un breve silenzio.

La mano di Raven, quasi istintivamente, discese fino a cingerle la vita, stringendola ancor più contro il suo corpo.

"Perché, credi che non lo sappia già?", rispose lui con glaciale indifferenza.

"Certo che lo sa, è ovvio", protestò Swan. "Intendo... parlarne insieme, noi tre, come abbiamo sempre fatto".

Raven scosse lievemente la testa.

"Eagle ha già la sua buona dose di casini a fare da balia a Phoenix. Non credo che abbia il tempo e soprattutto la voglia di ascoltare le nostre confessioni".

"E pensavo anche a Phoenix, a essere sincera".

Raven schiuse un occhio, poi un altro, e si rigirò pigramente per poterle osservare il viso.

"Non fa nessun progresso", concluse Swan.

"Hai paura di aver sbagliato?".

"Non lo so. Cioè, so cosa ho sentito. Però adesso non lo avverto più. E Eagle le sta davvero provando tutte, ma... niente".

"Forse ci vuole solo un po' di tempo. Noi eravamo dei bambini, è tutto più semplice a quell'età", commentò Raven distratto.

"O forse non esiste un altro Phoenix", mormorò lei in risposta.

Raven si sollevò puntellandosi su un gomito e la osservò per qualche istante.

"Senti, Swan, stai cominciando a farti troppe paranoie. Abbiamo iniziato questa... cosa e stiamo bene. Perfino i Maestri non hanno fatto obiezioni e Eagle mi sembra abbastanza impegnato a farsi i fatti suoi. Mi dici che motivo c'è di complicarsi la vita a ogni costo?".

Lei non rispose subito. Era indecisa. Aveva percepito la nota di fastidio nella voce di Raven e non sapeva se poteva essere davvero sincera, e fino a che punto.

"Ogni tanto mi manca quello che eravamo", ammise infine, con un filo di voce. "I momenti che condividevamo insieme, prima".

Raven capì immediatamente a cosa lei si stesse riferendo con quel prima e la sua espressione di colpo si addolcì. Swan pensava ancora a Phoenix, non aveva superato la sua assenza. Con un movimento deciso e delicato al contempo, l'attirò contro il suo petto e la obbligò a cedere al suo abbraccio.

"Be'...", mormorò affettuoso, "abbiamo sempre il Tè di matti della piccola Swan, no?".

Era una vecchia abitudine, un bizzarro gioco che Swan aveva inventato anni e anni prima, con la complicità del vecchio Phoenix. Quando lui le aveva letto Alice nel Paese delle Meraviglie, lei aveva deciso che avrebbe organizzato un tè in giardino, che riprendesse quella scena che tanto l'aveva divertita. Eagle fu costretto a vestire i panni della Lepre Marzolina, Raven era un Cappellaio Matto parecchio imbronciato e Phoenix il Ghiro, mentre Swan, con i lunghi capelli argentei e ondulati, danzava tra le tazze da tè di Limoges facendo ruotare il suo vestitino blu da Alice.

Per anni, Raven e Eagle avevano cercato ogni possibile stratagemma per sottrarsi al capriccio di quella bambina testarda e alla fine si erano sottomessi con riluttanza a far parte di quell'assurda messinscena. Crescendo, però, quel gioco era diventato un momento speciale, una sorta di appuntamento segreto, durante il quale i ragazzi confidavano i loro sogni e le loro paure al vecchio Phoenix. Lui li ascoltava e parlavano insieme, ora delle ansie di Swan, ora dei dubbi di Eagle, ora delle perplessità di Raven.

Per tutta la loro adolescenza, Tè di matti era stata la parola in codice perché tutti si ritrovassero nel posto convenuto, fino a che Phoenix non era diventato troppo vecchio e stanco per star fuori con loro per tutto quel tempo, e poi li aveva lasciati per sempre. E Raven aveva avuto l'ardire di tirarla fuori nuovamente. Se non si fosse trattato di lui, Swan l'avrebbe aggredito per aver osato riproporre quell'appuntamento tanto privato e prezioso. Ma, poiché era stato proprio lui a riportarlo in luce, Swan pensò che avrebbe almeno dovuto prendere in considerazione l'idea.

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