SPRING 12 - Una casa di bambola

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Si guardarono negli occhi. Phoenix si era affrettato a cercarle lo sguardo, intimamente convinto di trovarla scioccata, ferita, stravolta dalla scena, dalle parole di Raven e dalla reazione di Eagle. Swan, invece, sembrava solo furente. Si era levata dal suo nascondiglio e le sue iridi azzurre rilucevano di una rabbia che sembrava sul punto di indirizzare proprio contro di lui.

"Adesso non provare a prendertela con me, signorina", le intimò facendo un passo verso di lei.

Swan strinse gli occhi e lo soppesò per un istante, come indecisa se trasformarsi immediatamente in una Furia o se lasciargli ancora l'occasione di parlare.

"Non dovrei?".

Phoenix spalancò gli occhi per la sorpresa e agitò le mani di fronte allo sguardo severo di lei.

"Aspetta, aspetta... ma tu hai capito o no, quello che ha appena fatto quel tipo con cui ti sbaciucchi? O l'amore ti ha completamente fuso il cervello?".

Swan sbuffò, come se il ragazzo avesse scelto, tra tante, proprio le parole sbagliate.

"Sai cosa ho capito, Phoenix? Che da quando sei arrivato tu, sta andando tutto a rotoli".

"A rotoli?", ripeté lui con tono feroce. "E cosa starei mandando a rotoli? La tua casa di bambola, principessa? Quasi quasi comincia a farmi pena perfino quello stronzo di Raven".

"Raven non si era mai comportato così prima d'ora. E Eagle non si era mai ubriacato in vita sua".

"Ah, sì? E immagino che tu sia convinta di essere senza peccato... vero, Swan? Tu non ti fai mai domande, tu ti adatti solo alle circostanze, giusto?".

Swan sentì il fiato che le si mozzava, come se Phoenix le avesse sferrato un pugno allo stomaco, anche se lui era perfettamente immobile e si teneva a distanza, quasi volesse tenerla sotto tiro e non perdersi nulla delle sue reazioni. Sostenne il suo sguardo per alcuni istanti, poi riuscì a cacciare fuori uno sbuffo e girò il capo con un gesto stizzito.

"Vorresti giudicarmi, però non fai altro che evitarmi tutte le volte che puoi, ignorando il fatto che io mi sono sforzata al massimo per accettarti. Perfino con Raven passi del tempo, anche se dici di non sopportarlo".

Di colpo riportò gli occhi su di lui, come a volerlo infine obbligare a un confronto diretto.

"Perché ce l'hai tanto con me, Phoenix?".

Lui la guardò serio, poi si abbandonò a una risata sarcastica.

"Perché ce l'ho tanto con te?", scandì facendole il verso con aria di beffa. "Da dove vuoi che cominci? Da te che hai rovinato la mia vita o da te che stai rovinando quella di Eagle?".

"Non nominare Eagle!", gridò Swan, stringendo i pugni serrati lungo i fianchi, come se una rabbia improvvisa l'avesse accesa di colpo. "Sei qui da cinque minuti e già ti comporti come se fossi il suo migliore amico da una vita?".

"E chi sarebbero i suoi migliori amici, tu e l'Uomo di latta? Tanti auguri...".

Phoenix non riuscì nemmeno a completare la frase. Ancor prima di pronunciare l'ultimo suono, Swan cacciò fuori un verso terrificante. Non era alto, non gli ferì le orecchie. Era un urlo sommesso e potente che lo fece vibrare, più che sussultare, e lo spinse a indietreggiare. Lei, invece, con il volto trasfigurato e un'espressione alterata, gli andò incontro, sollevando entrambe le mani. Tra le sue dita aperte sembravano muoversi sinuosi dei minuscoli serpentelli. Phoenix li fissò inorridito per qualche istante prima di capire che si trattava di acqua. Minuscoli flutti d'acqua che si intrecciavano a velocità sempre crescente, mentre Swan lentamente si avvicinava, costringendolo a una cauta ritirata.

Phoenix non aveva idea di cosa fare. Era calamitato, quasi incantato da quella vista spaventosa. Non voleva colpire Swan, non aveva mai colpito una donna in vita sua, ma cominciò a domandarsi se lei fosse davvero una donna in quel momento. Sembrava una ninfa acquatica sbucata fuori da qualche libro di mitologia, oscura e letale. E iniziò a ferirlo, lanciandogli addosso i suoi strali che, uno dopo l'altro, cominciarono a lasciargli, sulle mani e sulle braccia tese a ripararsi, una miriade di segni rossi, come le bruciature dei tentacoli di una medusa. Phoenix urlò per il dolore inaspettato e a quel punto decise di afferrare Swan e di bloccarla, donna o meno che fosse. Provò a serrarle i polsi, ma lei scivolò via dalla sua stretta, sgusciando come un'anguilla. Sembrava che l'acqua ricoprisse il suo corpo come uno strato invisibile, rendendo faticoso ogni tentativo di agguantarla. Lei proseguì implacabile a scagliargli contro la sua ira ormai fuori controllo e i suoi serpenti acquatici, mentre a Phoenix non restava altro che tentare maldestramente di difendersi, dal momento che non riusciva nemmeno ad avvicinarsi abbastanza per cercare di fermarla. Stava decisamente avendo la peggio in quello scontro impari, quando Raven sbucò fuori di corsa dalle piante del giardino, con Eagle alle spalle.

Il ragazzo si lanciò senza esitazione in direzione di Swan. Il piede gli slittò sul terreno attorno a lei che si era fatto molle e fangoso, ma lui riuscì comunque a puntellarlo per frenare la scivolata a pochi centimetri dalla ragazza. Con un braccio le cinse le ginocchia e la tirò giù con sé, stringendola contro il suo corpo, mentre il terreno bagnato attutiva la loro caduta. Eagle, con lo stesso tempismo, agguantò Phoenix e lo trascinò fuori dalla portata di Swan.

Per qualche minuto, la scena parve fissarsi come su una tela. L'unico rumore percepibile era il respiro affannoso dei ragazzi. Eagle, alle spalle di Phoenix, serrava ancora le braccia dell'irlandese con le proprie, e l'altro era troppo sconcertato per realizzare di essere ormai fuori pericolo e pensare di liberarsi da quella stretta. Era avvenuto tutto in maniera rapida e violenta, e Phoenix era troppo impegnato a tentare di comprendere ciò che era accaduto in quegli istanti convulsi.

Raven e Swan erano ancora distesi per terra. La candida camicia di lui era sporca di fango e la manica stava imbrattando i capelli di lei, ma nessuno dei due sembrava curarsene. Con una mano, Raven le stringeva la vita, con l'altra le teneva la testa serrata contro il suo petto, mentre il corpo di Swan tremava e sussultava, come in preda agli spasmi.

"Ssssst...", le sussurrava all'orecchio con voce pacata, come dovesse calmare una bambina. "Va tutto bene, Swan".

Eagle mollò Phoenix e rimase a osservare i due ragazzi per terra. L'aspetto di Swan era tornato quello di sempre, della ragazza minuta e indifesa che era. Raven e Eagle si scambiarono un'occhiata significativa, come per rassicurarsi l'un l'altro che era tutto a posto. Avevano tutta l'aria di essere avvezzi a quel genere di situazione, al punto da non considerarla affatto eccezionale. E avevano ristabilito la solita aria complice, quella che tanto stupiva Phoenix, di chi sa perfettamente che la responsabilità del proprio ruolo viene prima di qualsiasi sentimento o relazione personale.

Dopo quel lungo momento di sospensione, Raven fece un lieve cenno in direzione di Eagle.

"È tutto a posto", disse piano, calmissimo. "Ci penso io a portarla a casa. Voi andate".

L'altro annuì senza replicare. Lanciò un'ultima occhiata triste a Swan, poi fece segno a Phoenix, che ancora era incapace di parlare, e si allontanò lasciandoli abbracciati per terra.

⸩ↂ⸨

Nemmeno quella notte Phoenix riuscì a chiudere occhio. Stava con le palpebre spalancate e si fissava i pugni serrati e sollevati in aria.

Per un brevissimo istante aveva pensato di chiamare Eagle, ma aveva scacciato immediatamente quell'idea dalla propria testa.

Continuava a guardarsi le mani, mentre la sua mente urlava di voler fuggire via, lontano, il più lontano possibile dal suo corpo. Non ci riusciva. Non riusciva a cancellare quella sensazione sgradevole che lo stava assalendo come una nausea e che non lo faceva respirare.

Non riusciva a cancellare il ricordo del calore vibrante che gli aveva arroventato le dita mentre Swan lo stava attaccando.

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