SPRING 6 - In qualche modo faremo

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La musica balzò loro addosso già a metà della scala, mentre il brusio di voci e risate diventava sempre più compatto man mano che si avvicinavano al salone. Quel caos, dopo il silenzio magico e ovattato della stanza di Diane, colpì Swan come una pallottola. Provò la fastidiosa sensazione di dover saltar fuori da una sfera di cristallo infranta troppo presto, di essere catapultata nuovamente in una realtà di insicurezze e di finzione. Perché solo lei e Raven, in quel momento, erano veri.

Il calore e la pressione della sua mano la ancoravano a quella certezza, così provò un malessere quasi fisico quando quel legame fu tranciato di colpo con violenza.

"Muoviti, Coso. Ho bisogno di te".

Swan rivolse uno sguardo perplesso a Phoenix, che era piombato su di loro appena avevano messo piede tra la gente e aveva afferrato Raven per un braccio, trascinandolo via, via da lei. 

Lui, invece, non aveva fatto alcuna obiezione. Aveva visto subito la tensione sul viso dell'altro ragazzo e aveva capito che non era il momento, e di certo non il posto, per fare domande. Swan, allarmata dalla situazione, si mosse subito per seguirli, ma Phoenix si voltò di scatto e le sbarrò il passo.

"Tu è meglio se resti qui, signorina".

Lei si arrestò, sorpresa dall'atteggiamento irruente dell'irlandese, e sbatté le ciglia confusa: chi diavolo si credeva di essere quel tizio, per parlarle così? Strinse i pugni e li guardò andare via con uno sguardo contrariato. Li avrebbe raggiunti comunque, giusto il tempo di farli allontanare un po'. Obbediva già a un numero sufficiente di ordini e a un numero altrettanto sufficiente di uomini. Phoenix avrebbe dovuto attendere il suo turno.


⸩ↂ⸨


"Porca miseria", si lasciò sfuggire Raven, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.

Phoenix, le braccia serrate sul petto, sembrava in attesa di una sua parola, ma il suo improbabile compagno di sventura non aggiunse altro. Rimase a osservare con espressione perplessa e preoccupata Eagle che era stravaccato ai loro piedi. Era semi-svenuto, scompostamente abbandonato contro i gradini esterni della villa e il suo viso aveva perso colore.

"Dobbiamo metterlo in macchina e tornare a casa", suggerì Phoenix, cercando di spronare Raven a cacciar fuori una risposta.

Quello si piegò sulle ginocchia per scrutare più da vicino l'altro ragazzo. L'odore di tequila che gli aleggiava attorno non lasciava grande spazio all'immaginazione. Provò a schiaffeggiarlo lievemente, ma ne ottenne solo un lamento e un grugnito.

"Non so se sia una buona idea", rispose infine. "Se lo vedono in questo stato, potrebbe finire in un mare di guai. Bere è proibito".

"Proibito farsi un goccetto?", sbottò Phoenix incredulo. "Che razza di regola è questa?".

Raven, dal basso, gli rivolse uno sguardo feroce.

"L'alcol fa perdere il controllo, idiota", ringhiò. "Può essere molto pericoloso quando hai un potere da gestire. Ma tranquillo, tu non corri nessun rischio, a quanto sembra".

Phoenix gli restituì lo stesso sguardo rovente. Sembrava che non riuscissero mai a stare nello stesso posto per più di cinque minuti senza prendere fuoco.

"Non fare troppo lo spiritoso", gli sputò contro. "Mi pare che sei stato tu a cominciare con il Gin Tonic".

Raven si levò in piedi e lo fronteggiò con aria di superiorità.

"Ti devo spiegare la differenza tra la teoria e la pratica, Phoenix?", lo investì con il suo tono pungente. "Con un po' di cervello, ci si può anche divertire senza esagerare. Ah, giusto... sto parlando di cervello con te. Adesso fammi indovinare: quanti dannati shot vi siete fatti fuori? Dieci? Venti? Immagino che tu non ci abbia fatto nemmeno attenzione, irlandese del cazzo!".

"Attenzione, Vostra Grazia? Che ne sapevo che non c'era abituato? E che ne sapevo delle vostre regole di merda?".

"Già. Tu sei quello che non sa niente", mormorò Raven acido.

Una gomitata in pieno petto gli mozzò il fiato. Swan si era fatta largo tra loro come una furia, li aveva spinti di lato e si era inginocchiata di fronte a Eagle.

"La finite di litigare, cazzoni?", urlò. "Eagle sta male e voi perdete tempo a fare i galletti?".

Di fronte all'irruzione inaspettata della ragazza, l'espressione sul viso di Phoenix si fece ancora più dura e ostile.

"Che ci fai qui? Ti avevo detto di sparire".

Swan si girò a guardarlo. Gli occhi azzurri le brillavano per la rabbia e la preoccupazione. Sollevò una mano aperta contro il ragazzo.

"Provaci, se ci riesci. Ti spengo in un attimo".

In quel movimento istintivo, Raven fotografò un dettaglio che sarebbe sfuggito a chiunque, ma non a lui. Sapeva già che Swan non era del tutto padrona di sé in quel momento, ma il sottile bagliore, riflesso per un istante sulla pelle di lei che si era fatta stranamente lucida, gli diede la certezza che pungolare oltre la sua sensibilità non era affatto una buona idea. Un suo sproposito davanti ad altra gente sarebbe stato un bell'impiccio e loro ne avevano già uno da risolvere.

Indirizzò a Phoenix un gesto discreto, invitandolo a lasciar perdere. Il ragazzo indietreggiò di un passo, colpito dal repentino cambiamento nell'atteggiamento dell'altro.

Nel silenzio che era calato sul gruppetto, Swan si tese verso Eagle e cominciò a carezzargli il viso. Lui biascicò qualcosa di incomprensibile quando la ragazza lo chiamò dolcemente per nome. Raven osservò quella scena, si lasciò sfuggire una smorfia e fece per andare.

"Recupero la macchina e torniamo subito a casa", sentenziò.

Phoenix sgranò gli occhi e lo fissò sempre più confuso.

"Ma se hai appena detto che...".

"In qualche modo faremo", lo interruppe l'altro senza alcuna cortesia nella voce. "In qualche modo abbiamo sempre fatto".

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