SPRING 7 - La sorte non si sceglie

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In qualche modo faremo, aveva detto Raven.

Era evidente che, in qualche modo, ce l'avevano sempre fatta. Perché quella sembrava essere l'unica risorsa a loro disposizione, il loro vero potere: il gioco di squadra. A dispetto dei caratteri diversi e dei divergenti interessi privati.

Fu quella l'impressione - chiara, spiazzante - che colpì la mente e il cuore di Phoenix mentre aiutava Raven a sostenere Eagle su per le scale della villa e a metterlo a letto. Erano sgattaiolati all'interno della casa cercando di non dare nell'occhio e evitando i corridoi di passaggio, seguendo Swan che dava loro il via libera, controllando che non ci fosse nessuno nei paraggi.

Quel pensiero agrodolce e pungente lo aveva lasciato senza fiato fino a quando non aveva rimesso piede nella sua stanza e lo aveva inseguito per il resto della nottata, impedendogli di dormire.

Per la prima volta da quando quell'incubo era piombato nella sua tranquilla esistenza, strappandolo a tutto ciò che aveva sempre conosciuto e amato, Phoenix capì di poter guardare con occhi diversi a quell'esperienza. Non era più "lui contro il resto del mondo", come aveva sempre pensato nei suoi ventiquattro anni di vita. Erano "loro contro la sorte". E la sorte non si sceglie, era ciò che gli era capitato, come gli ricordava sempre Raven. Era semplicemente ciò che era. Loro potevano solo cercare di trasformarla in buona, piuttosto che in cattiva.

Come naufraghi scagliati su un'isola sconosciuta, avrebbero dovuto imparare a collaborare sempre, nel bene e nel male, cercando di trarre il meglio con i mezzi a disposizione. Perché, sebbene non avesse ancora chiaro in testa il motivo per cui era finito lì e cosa davvero si aspettassero che lui facesse, una certezza sulla loro condizione comune l'aveva almeno raggiunta: nessuno si sarebbe preoccupato di dar loro una seconda possibilità, né di giustificarli se avessero sbagliato.

⸩ↂ⸨

Anche Swan, quella notte, non poteva dormire. Non riusciva a staccarsi da Eagle.

Lui era sprofondato in un sonno agitato di tanto in tanto da qualche sogno molesto, e lei era rimasta seduta sul bordo del suo letto, a tenergli la mano. Sapeva che una bevuta di troppo non era questione di vita o di morte. Si sarebbe risvegliato l'indomani con un mal di testa da paura e un sapore schifoso in bocca, avrebbe ciondolato per buona parte della giornata e poi sarebbe tornato in forma come prima. Eppure non riusciva a staccarsi da lui. Non riusciva a staccarsi dalla sofferenza che percepiva, dal dolore che intuiva dietro quel comportamento tanto stupido e pericoloso. Un comportamento, poi, che non era affatto da lui.

Si domandò se la sua infatuazione per Raven non l'avesse resa distratta, soprattutto in quelle ultime settimane. Tanto distratta da non accorgersi di un malessere che cresceva così vicino a lei. Voleva troppo bene a Eagle per accettare che lui potesse stare male. Allo stesso tempo non sopportava il fatto che non le avesse rivelato ciò che lo turbava. Aveva davvero preferito bere con Phoenix fino allo stordimento piuttosto che cercare il suo aiuto? La contrariava il pensiero che avesse smesso di confidarsi con lei, come avevano sempre fatto per anni. La disturbava, e non poco, l'idea di non essere più la sua migliore amica, anche se era stata lei ad allontanarlo ed era troppo vigliacca per ammetterlo.

Tirò via le dita dalla mano semi-aperta di Eagle e gliele appoggiò sul viso. Gli disegnò la mascella con una leggera carezza e sospirò piano. Persa com'era nel groviglio di emozioni che stava idealmente trasferendo in quel gesto, non udì nemmeno il rumore di passi alle sue spalle.

"Swan".

Il tono secco con cui era stato pronunciato il suo nome la fece sussultare, anche se la voce era tanto familiare. La sagoma scura di Raven si era disegnata sulla porta.

"È tardissimo, vai a dormire".

Lei annuì ma non si girò a guardarlo e non si mosse. Lo sentì avvicinarsi al letto, avvertì la mano che prendeva la sua e la invitava ad alzarsi.

"Non è mai morto nessuno per una sbronza", cercò di scherzare lui. "Vedrai che domani starà bene, non occorre che resti qui".

Lei annuì senza protestare. Era stanca e non aveva alcuna voglia di discutere con Raven proprio quella notte.

Lanciò un'ultima occhiata a Eagle, poi si lasciò guidare fuori. Raven l'accompagnò fino alla porta della sua stanza tenendola per mano, lei lo seguì a occhi bassi, senza una parola. La ridda di emozioni discordanti che si erano succedute a quella festa - l'elettrizzante attrazione che l'aveva spinta tra le braccia di Raven, il piacevole dubbio che lui aveva instillato in lei, la paura per Eagle e l'irritazione per l'atteggiamento di Phoenix - le aveva congestionato la mente, convincendola ad abbandonare ogni altro snervante ragionamento. Si limitò a scivolare nella piacevole sensazione tattile di quel contatto, lasciandosi confortare da quella stretta sicura, da quel calore familiare. Quello stato anestetizzato della ragione la catapultò indietro nel tempo e la sorprese.

Swan non aveva ricordi lucidi della sua infanzia. Per l'esattezza, sembrava che la sua memoria capricciosa avesse deciso di cancellare un pezzettino della sua vita. Conservava una vaga idea di ciò che era stata prima di arrivare a Fulham e aveva una visione lucida di sé stessa bambina con Eagle, Raven e il vecchio Phoenix. Cosa ci fosse in mezzo a quei due punti della sua esistenza, come si fosse ritrovata di colpo trasportata da un mondo all'altro, era solo un pozzo di nebbia oscura per lei, riempito in maniera frammentaria da ciò che le avevano raccontato, ma che non rammentava in prima persona.

In quell'istante, però, un ricordo inaspettato le esplose in testa: aveva già sperimentato quel gesto e aveva già vissuto quel momento, di lei e di Raven che le teneva la mano. Era bambina ed era ragazzino lui, quando l'aveva accompagnata fino alla stessa stanza. Era buio e lei aveva paura, perché l'avevano appena portata in quella grande casa che non conosceva e le avevano detto che non avrebbe più rivisto i suoi genitori e il suo fratellino.

Con quella scena a riempirle gli occhi e a scuoterle la mente, sollevò lo sguardo a cercare quello di Raven. Lui si era fermato davanti alla sua porta e la stava osservando. Quelle iridi cinerine avevano l'assurdo potere di portare pace al suo cuore e, allo stesso tempo, di accelerarlo.

"Sogni d'oro, Swan", mormorò il ragazzo, come se stesse pasteggiando il suo nome tra le labbra.

Glielo aveva rivolto già tante volte, quel congedo, ma quella notte le sue parole risuonarono più calde, più morbide del solito. E per la prima volta si combinarono con un'altra, nuova sensazione: quella delle labbra di Raven che si posavano sulle sue per un ultimo bacio prima di andare a dormire.

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SOUNDTRACK:

Say you won't let go di James Arthur ❤️

"I met you in the dark, you lit me up
You made me feel as though I was enough
We danced the night away, we drank too much
I held your hair back when
You were throwing up

Then you smiled over your shoulder
For a minute, I was stone-cold sober
I pulled you closer to my chest
And you asked me to stay over
I said, I already told ya
I think that you should get some rest

I knew I loved you then
But you'd never know
'Cause I played it cool when I was scared of letting go
I know I needed you
But I never showed
But I wanna stay with you until we're grey and old
Just say you won't let go
Just say you won't let go...".

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