SUMMER 10 - Quello che hai voluto, quello che hai scelto

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"Io non me lo ricordo, il mio nome".

La voce di Raven, bassa, scura, fu come un fulmine improvviso scagliato nel buio della notte. Swan se la sentì precipitare addosso quasi con sgomento, quando ormai non pensava più di udirla. La sorprese nel momento in cui era inerme, rilassata, quasi addormentata sul suo petto, quando il piacevole abbandono dell'amore le aveva cancellato ogni pensiero. Nascose il suo turbamento e si impose di non dire una parola. La frase di Raven sembrava così fragile, sospesa in quel silenzio che seguì, che ebbe paura di mandare in frantumi qualcosa di terribilmente prezioso, se solo avesse osato dire qualcosa.

"Forse non ce l'ho mai avuto, un nome", continuò lui, mentre entrambi trattenevano il fiato, aggrappati l'uno all'altra. "Sono sempre stato Raven".

"Non è possibile", mormorò Swan, con le labbra che sfioravano la sua pelle.

Lui parve ignorare quel commento. Sembrava deciso a seguire il filo dei propri pensieri, conscio che, se si fosse fermato, forse non avrebbe più trovato la forza per andare avanti.

"Mia madre è morta quando sono nato, non ho mai saputo che faccia avesse".

Sembrava quasi non esserci dolore, nelle parole di Raven. Piuttosto una quieta rassegnazione. E amarezza, amarezza senza fine. Oscura, incolmabile. Swan provò quasi un senso di vertigine. Era così vicina a lui, in quel momento, che pensò di non riuscire più a liberarsi da quella sensazione che l'avvolgeva assieme alle sue braccia.

"Ci sono state delle complicazioni durante il parto. O lei o me, hanno detto i medici. La nostra famiglia serve la Congrega da secoli e mio padre non ha mai avuto dubbi: il suo erede doveva essere il Raven. Ne era sempre stato convinto, quindi sarei venuto al mondo a ogni costo".

Per un istante si interruppe e parve voler ridere di se stesso, con il solito cupo sarcasmo che sapeva sfoderare così bene all'occorrenza.

"Crescere a Fulham ha di certo i suoi aspetti positivi", considerò. "Almeno non ho dovuto passare venticinque anni della mia vita a odiarlo giorno dopo giorno. Semplicemente lui non esiste, come tutto il resto".

Poi, per la prima volta da quando aveva iniziato a confessarsi, Raven cercò il suo sguardo. Le sfiorò il viso nella penombra, fino al mento, quindi glielo sollevò perché i loro occhi potessero incrociarsi.

"Non posso che essere speciale, Swan", scandì con tono profondo, senza mai allentare quel contatto. "Devo esserlo, così almeno lei non sarà morta per nulla".

Come le aveva pronunciate, quelle parole! Swan pensò di poter precipitare in quel baratro che lui le aveva spalancato dinnanzi. Si pentì di aver desiderato quel discorso, di averlo spinto fino a quel punto. Le parve quella la vera perdita dell'innocenza, molto più di quanto non lo fosse stata quella sperimentata sul suo corpo. Lo spiraglio aperto sui pensieri di Raven era come una ferita della carne. D'impulso, Swan si chinò, gli sollevò il braccio tra le mani e cominciò a seguire con le labbra le mistiche linee del suo Segno, coprendo con baci lenti il simbolo della Terra che si portava inciso addosso.

Raven seguì il suo movimento senza parlare. Sembrava sul punto di spezzarsi eppure si sarebbe detto, in quel momento, che non esisteva nessuno resistente quanto lui. Quando ebbe finito, Swan si fermò e sollevò il capo. Cercò i suoi occhi e vi si smarrì, come se avesse cercato lì la giusta risposta da dare e non vi avesse trovato nulla.

"Raven...", riuscì solo a mormorare con dolore.

Lui serrò le palpebre e, nello stesso istante, le prese la testa tra le mani e se la strinse al petto, come per rendere cieca anche lei.

"Ssssst...", sussurrò implorante. "Cancella tutto, Swan, ti prego. Ogni mia parola".

Lei affondò il viso contro la sua pelle. Le lacrime le stavano salendo agli occhi assieme a una inspiegabile tristezza. Toccare l'angoscia di Raven l'aveva bruciata.

Un grido squarciò la notte, riducendo quell'attimo in cenere, come se non fosse mai esistito. Il nome di Raven, urlato nel silenzio innaturale, li strappò violentemente dal loro abbraccio.

"È la voce di Daisy", esclamò Swan.

"Dannazione...", masticò lui tra i denti, mentre rotolava giù dal letto e allacciava i pantaloni sulla pelle nuda.

Lanciò a lei la propria maglietta, che la ragazza indossò sopra gli slip tirandosela sui fianchi, e insieme si precipitarono fuori. Non era il momento di pensare al proprio aspetto: il tono urgente di Daisy e la sua espressione sconvolta quando la raggiunsero sul vialetto non lasciava spazio a quel genere di preoccupazioni.

⸩ↂ⸨

"Minuite, decrescite, descendite...".

Eagle continuava a snocciolare ordini come una bassa preghiera, una litania scandita a fior di labbra che nessuno poteva udire. D'altra parte le urla di Diane, che continuava ad agitarsi sulla riva, avrebbero coperto qualsiasi suono. Lui, invece, cercava di restare calmo, sperando che placare i venti potesse in qualche modo agevolare Phoenix, che cercava di strappare Caroline dal mortale abbraccio delle correnti sotterranee.

"Minuite, decrescite, descendite... Swan!".

Il suo nome lo gridò ad alta voce, appena li sentì arrivare. Non aveva bisogno di dirle altro. Non la guardò nemmeno, e riprese a recitare con insistenza, come se nulla fosse mutato.

"Resta! Subside!", ordinò Swan, guardando minacciosa le acque scure, agitate da Phoenix.

In quel momento l'intero lago parve immobilizzarsi. Phoenix afferrò Caroline e la sollevò come se improvvisamente il suo corpo non avesse più peso. L'ancorò sulla spalla e la portò a terra. La ragazza cominciò a tossire e a sputare acqua, annaspando per riuscire nuovamente a respirare. Eagle si chinò al suo fianco e le mise una mano sulla spalla, quasi volesse consolarla.

"Respira", fu il suo ultimo ordine sussurrato, e Caroline sentì che l'aria tornava finalmente a riempirle i polmoni, quasi senza sforzo.

Raven, a quel punto, mollò la presa su Diane, che aveva tenuta ferma a sé serrandole le braccia per impedirle di precipitarsi verso Caroline, e la ragazza corse ad abbracciare l'amica, con le lacrime agli occhi.

"Dai, Di", la esortò Phoenix, che era rimasto in piedi a pochi passi, stillante d'acqua. "È tutto finito".

Ancora con il fiato grosso, tirò in piedi Diane e si chinò per sollevare Caroline, sistemandosela tra le braccia.

"Andiamo a casa, su".

Eagle gli andò dietro per qualche metro, poi si fermò a stringere la mano di Daisy.

"Stai con Diane", le disse. "Di certo Caroline non può aver capito nulla, ma Di... se dovesse dire qualcosa...".

"So cosa fare", lo interruppe la ragazza indirizzandogli un sorriso rassicurante.

Di fronte ai suoi occhi tranquilli, Eagle si sentì sollevato. Le restituì lo stesso caldo sorriso e un lieve bacio sulla fronte. La seguì con lo sguardo fino a quando tutti e quattro non furono spariti dietro le piante, poi si girò.

Raven stava calciando via un sasso con la punta del piede, le mani affondate nelle tasche e un umore nero. Swan lo osservava in silenzio, senza osare proferire parola.

"Ci sei andato vicino", mormorò infine Raven, trattenendo a stento la collera.

I suoi occhi di metallo si erano sollevati su Eagle che, al contrario, sembrava perfettamente padrone di sé.

"Non è successo niente, Raven. E non potevo certo lasciarla affogare, ti pare?".

Raven sputò al suolo un'imprecazione e il suo sguardo di fuoco si indirizzò su Swan.

"Ecco perché è meglio non avere troppi contatti con l'esterno", sentenziò come se avesse voluto rimproverarla.

Swan abbassò lo sguardo, mentre lui continuava a fissarla come se fosse sul punto di balzarle addosso, se non fosse stato in grado di controllare la furia che lo agitava.

"Ne ho abbastanza di te e di Phoenix e di tutte queste sciocchezze", le urlò contro. "Esiste un modo per fare le cose, uno soltanto!".

"E tu sai sempre, esattamente, qual è, vero Raven?", mormorò lei senza mai guardarlo.

"Non farmi perdere la pazienza, Swan", la minacciò lui mentre il respiro gli si faceva più accelerato. "Da domani si torna al vecchio sistema. È da stupidi ostinarsi a cambiare le regole".

Swan non replicò. Continuò a sopportare in silenzio la sfuriata di Raven, come se avesse accettato il fatto che avesse ragione lui.

In qualsiasi altro momento nel passato, Eagle pensò che si sarebbe parato davanti a lei, le avrebbe fatto da scudo, avrebbe indirizzato su se stesso il biasimo di Raven e l'avrebbe portata in salvo. Quella notte, invece, rimase a guardarli mentre si fronteggiavano come due lottatori nell'arena, uno vincente, uno sconfitto. Come se quello spettacolo non gli appartenesse più.

È quello che hai voluto, Swan... è quello che hai scelto.

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