SUMMER 11 - The devil waits for the kind

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L'arrabbiatura di Raven svanì in fretta, assieme ai malesseri di Caroline e allo spavento di Diane. Che, per la gioia di tutti, non aveva avuto il minimo sospetto su ciò che era realmente accaduto, e ciò fu sufficiente a ristabilire una calma apparente all'interno del gruppo. La vacanza finì così com'era iniziata, tra gli scherzi e le risate. Nessuno, d'altronde, aveva reale interesse a riparlare dell'incidente, e le amiche di Swan archiviarono la faccenda come un'avventura eccezionale da raccontare una volta tornate in città.

Raven e Swan fecero pace la notte stessa in cui fecero ritorno a Fulham Palace. Lui non le aveva praticamente rivolto la parola per quasi tutto il viaggio ma, quando tutti erano andati a dormire, Swan aveva aperto piano la porta della stanza di Raven e, senza dir nulla, era scivolata nel suo letto. Nessuno dei due aveva chiesto scusa all'altro e nessuno dei due si era aspettato il contrario. Si erano semplicemente abbracciati, in silenzio perfetto. Swan aveva affondato la testa sul suo petto e Raven aveva iniziato a baciarla dolcemente. Per tanti inspiegabili motivi, sapevano entrambi di non poter fare più a meno l'uno dell'altra.

⸩ↂ⸨

L'estate, ormai, snocciolava le sue ultime giornate. L'autunno stava arrivando e Londra era sempre più malinconica. Eagle e Phoenix passavano sempre più tempo insieme. Non si erano ancora arresi all'idea del fallimento. Tutti e due avevano ottime ragioni per non rinunciare.

Eagle era davvero un allenatore intelligente. Sapeva quando spingere sull'acceleratore e quando tirare il freno. Aveva saggiato i limiti di Phoenix e ormai indovinava subito quando ostinarsi con esercizi e meditazione diventava solo inutile e frustrante. Così quel pomeriggio gli aveva proposto di fare quattro passi e di andare a bere qualcosa assieme. L'irlandese aveva decisamente bisogno di fare una pausa e di prendere fiato.

Passeggiavano senza fretta e senza una vera meta tra le stradine di Camden Town. La vita passava loro accanto, assieme alle frotte di turisti e ai ragazzi londinesi che si raccontavano con entusiasmo le vacanze appena trascorse. Settembre aveva ripopolato la città, le strade e i negozi, e intorno a loro si muoveva un carosello colorato e piacevolmente confusionario di gente.

"Hai più sentito niente?", chiese Phoenix d'un tratto, approdando a quell'argomento che gli sembrava spinoso con tutta l'indifferenza che riusciva a sfoggiare.

Eagle gli restituì un'occhiata interrogativa.

"Sì, quelle cose che senti tu. Poli Magnetici e cataclismi vari".

"Raven si è messo al lavoro", rispose l'altro laconico. "D'altra parte, questo è compito suo".

"C'è qualcosa che non è compito di Raven, in tutta questa storia?".

"Che intendi?".

Phoenix aggrottò la fronte e si strofinò il sopracciglio con la punta del pollice, come se stesse cercando il modo migliore per esprimere i propri pensieri.

"Cioè, questa cosa che sembra sempre lui il capo... c'è qualcuno che l'ha deciso?".

"Raven non è il capo", precisò Eagle, stringendosi nelle spalle quasi a giustificarsi di qualcosa che non aveva fatto. "Però è quello che ha studiato più di tutti. È normale che abbia sempre qualcosa da dire".

"Lo sai, vero, che vali molto più di lui?".

Come sempre, Eagle si sentì spiazzato dal modo diretto con cui Phoenix gli metteva sotto gli occhi le sue opinioni. Si mordicchiò le labbra ed esitò un istante prima di rispondere.

"Sai, Phoenix... io credo che quelli che hanno il potere di ferire gli altri e non lo fanno siano più forti di quelli che minacciano tempesta in continuazione".

"Sì, ok, ma così facendo il nostro corvo-tempesta non fa altro che dettare le regole per tutti".

"A Raven piace giocare con i Lego. A me piace guardare oltre", considerò Eagle con aria seria. "Occuparmi della visione d'insieme".

"Eh, tu guardi troppo lontano, Eaglet", lo canzonò affettuosamente, "e poi finisci per perderti i dettagli più succulenti". 

Fece per assestargli un colpo sul braccio. Eagle si parò ridendo e si preparò a rispondere alla provocazione. Il suo colpo, però, andò a vuoto, a colpire l'aria: Phoenix si era fermato di colpo, come se l'avesse colpito un fulmine. Una voce ferì l'orecchio di Eagle e lo fece sobbalzare.

"Charles!".

Se gli fosse arrivato un proiettile in pieno petto, Phoenix avrebbe provato un dolore meno intenso e anche Eagle non sarebbe sbiancato a quel modo.

"Charles!".

Quel nome era risuonato una volta ancora oltre le teste della gente che li circondava e per Eagle fu peggio dello squillo delle trombe del Giudizio.

Aveva visto Ailleann nelle foto che Phoenix aveva conservato di nascosto. Avrebbe dovuto distruggerle, come aveva fatto con il suo vecchio cellulare e gli altri ricordi, ma lui ne aveva tenute un paio, senza dirlo a nessuno e mostrandole solo a lui. Aveva visto Ailleann e riconobbe subito il suo viso tra la folla.

Phoenix sembrava essersi inchiodato al suolo e lui non aveva molto tempo per agire. Lei era dall'altra parte della strada, divisa da loro da macchine e persone. Calcolò di avere ancora qualche minuto di vantaggio. Agguantò l'amico con tutta la forza e la disperazione che aveva e lo trascinò nella via che si apriva alla sua sinistra. Phoenix vi si lasciò condurre senza fare resistenza, come se fosse stato un sacco vuoto, e si afflosciò con la schiena contro il muro appena ebbero superato l'angolo. Sembrava che le gambe avessero smesso di sorreggerlo e che il sangue gli si fosse prosciugato nelle vene, tanto era cadaverico il suo viso.

Eagle cercò di respirare e di pensare il più velocemente possibile. Respinse contro i mattoni Phoenix, che istintivamente cercava di ritornare sulla strada, inchiodandolo con una mano, mentre con l'altra gli strappava il berretto da baseball e gli occhiali da sole che l'amico sfoggiava sempre quando erano in giro.

"Resta qui!", gli intimò, indossando gli oggetti che gli aveva appena sfilato e precipitandosi nella via principale.

"Charles!".

Appena in tempo. 

Eagle si senti mancare il terreno sotto i piedi e risollevare nello stesso istante. Una mano gli sfiorò lievemente la spalla e lui si girò con una finta disinvoltura che avrebbe fatto impallidire Raven. Di fronte a lui una ragazza dai lunghi capelli castani e dal volto puntellato di lentiggini lo fissava con aria sorpresa e triste allo stesso momento.

"No, ma se vuoi puoi chiamarmi Charles tutte le volte che vuoi, bellezza".

Aveva pronunciato quella frase a bella posta, sforzandosi di apparire sicuro. Provare a imitare Raven, dopo tutti quegli anni in cui l'aveva avuto accanto, non era impossibile. Riuscire a farlo in maniera naturale e convincente era l'impresa più dura per Eagle. Perché l'espressione di dolore che di colpo si era dipinta sul volto di lei gli stava mandando in frantumi il cuore.

La ragazza era trasalita, come se lui l'avesse brutalmente svegliata da un sogno con uno schiaffo. Aveva schiuso appena le labbra delicate e respirava a fatica.

"Scusami...", balbettò quasi con disperazione. "Ti avevo scambiato per un altro".

Senza attendere una replica, si girò e si allontanò in fretta, portandosi una mano sul viso. Di sicuro si stava dando della stupida, rimproverandosi per quel gesto impulsivo e sbagliato. Eagle, immobile, la seguì con lo sguardo fino a quando fu sparita dalla sua vista. A ogni suo passo gli sembrò di ricevere una coltellata. A ogni suo passo lottò con la tentazione di richiamarla e di dirle ogni cosa. Prese fiato e si accorse di aver quasi smesso di respirare per tutto quel tempo in cui l'aveva avuta davanti agli occhi. Perché aveva appena conosciuto l'immagine della speranza e quella della delusione, e aveva appena visto com'era lo sguardo del vero amore.

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