SUMMER 2 - Posh

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Phoenix si stropicciò gli occhi con il palmo della mano. Possibile che, per quanto ci provasse, non fosse capace di riuscirci? Con il passare dei giorni, e poi delle settimane, cominciava a pensare di essersi sbagliato. Forse era stata l'agitazione di quel momento a trarlo in inganno. Dopo quel confronto con Swan, nonostante tutto l'impegno possibile, non era più riuscito a provare nuovamente quella sensazione, quel calore che gli si era irradiato dentro, e quell'evidenza lo faceva sentire sollevato e abbattuto allo stesso tempo. Un conflitto di emozioni al quale Phoenix non era per nulla abituato.

"Non può essere, dannazione!", sbottò rivolto al vuoto della sua stanza.

Distese una volta ancora le braccia di fronte a sé, cercò di rilassare i muscoli come gli aveva insegnato Eagle e aprì le mani.

"Conflăgra!".

Attorno a lui non si mosse una foglia, dentro di lui non sentiva nulla. Sbuffò.

"Ok, Phoenix, coraggio... Confl...".

"Phoenix! Se non ti materializzi immediatamente fuori, giuro che ti lascio qui!".

La voce di Raven, dal fondo del corridoio, mandò definitivamente in frantumi la già scarsa concentrazione e l'ancor più esigua sicurezza di Phoenix.

"Aahhh!", ruggì per scacciare la frustrazione.

Rivolse idealmente il dorso della mano a Raven e sollevò l'indice e il medio a V, poi afferrò il primo giubbotto che trovò nel mucchio di vestiti che stava miracolosamente in equilibrio su una sedia e uscì sbattendo la porta.

Raven e Swan erano già alla rimessa delle auto. Lei sembrava particolarmente felice, quella sera, e ignorava beatamente il disappunto di lui, che continuava a smozzicare frasi sull'assoluta inutilità di indossare vestiti microscopici e trasparenti. Quando vide Phoenix che si avvicinava, quasi gli saltò al collo, come se il suo arrivo avesse ulteriormente acceso il suo entusiasmo. Se c'era qualcosa di Swan che Phoenix aveva iniziato ad amare era proprio quella gioia bambina che riusciva a dimostrare di fronte a ogni piccola novità che irrompeva nella monotonia della sua vita. Bastava una passeggiata o una festa o qualsiasi trascurabile evento per farla felice. Tutto ciò che per qualsiasi altra ragazza della sua età sarebbe stato normale, routinario e addirittura banale, Swan lo ammantava di fascino, quasi fosse una magnifica avventura. 

Phoenix, al contrario, non riusciva affatto a sposare quell'emozione. Le serate che Swan organizzava con tanta cura con le sue due migliori amiche erano uno strazio per lui. Salvare Eagle dalle continue attenzioni di Diane e contemporaneamente sostenere una conversazione con Caroline era divertente per i primi dieci minuti. Trascorso quel tempo, diventava una specie di lavoro.

"Sto venendo solo per farti piacere, Swan, ma di' a Caroline che non si faccia illusioni", mise subito in chiaro, senza ricambiare la calorosa accoglienza di lei.

Swan sfoderò una smorfia di contrarietà e si tamburellò le labbra con la punta delle dita.

"Perché?".

Phoenix corrugò lievemente la fronte, alla ricerca della risposta più cortese da dare.

"Non fraintendermi: Caroline è deliziosa. È solo che io non sono su piazza".

Raven sbuffò una mezza risatina.

"Sei il solito irlandese mangiapatate", commentò acido. "Non apprezzi niente".

Phoenix gli restituì un'identica smorfia in cagnesco.

"Chiedo venia, Vostra Magnificenza, se non condividiamo la stessa passione per gli harem".

Lo sguardo di Raven si fece subito duro. Si mosse verso Phoenix con tutta l'aria di chi sta cercando una rissa. L'altro studiò con calma quell'atteggiamento provocatorio e sorrise a mezza bocca.

"Che c'è? Ti ho offeso?", domandò sarcastico.

"Non hai offeso me, hai appena offeso Swan", ribatté Raven con voce fosca.

"Non è mica colpa sua", ridacchiò Phoenix, prima di girare lo sguardo a cercare lei. "Ti sei offesa, Swan?".

Lei sospirò rassegnata e picchiettò la punta del piede sul vialetto.

"Va bene, va bene, piantatela", si impose decisa. "Eagle dov'è?".

"Ha detto di andare, ci raggiungerà più tardi".

Sia Raven che Swan guardarono Phoenix con curiosità, dimenticando perfino il battibecco appena avvenuto, ma nessuno dei due ebbe il coraggio di chiedere oltre. Si misero in macchina senza altre storie. Erano già in ritardo, come Raven ebbe cura di sottolineare.

⸩ↂ⸨

La serata non si stava rivelando poi così terribile, pensò Phoenix. Certo, quel club era un po' troppo posh per i suoi gusti, ma considerato che l'aveva scelto Raven non c'era nulla di cui stupirsi. E, anche se la birra alla spina sembrava non aver ancora colonizzato quella parte del mondo, i cocktail erano davvero buoni. La momentanea assenza di Eagle, poi, aveva portato un po' di sano scompiglio in quelle coppie improvvisate. Diane e Caroline, accantonati momentaneamente i progetti di caccia, erano più rilassate e spontanee. Erano spiritose e divertenti, dal momento che non erano impegnate a far colpo a tutti i costi. Persino Raven sembrava eccezionalmente piacevole, forse perché lui si sentiva davvero a proprio agio in quel posto e aveva l'affascinante capacità di trasmettere la stessa sensazione a quelli che lo circondavano.

Avevano preso posto su dei divanetti che si fronteggiavano, separati da un basso tavolino trasparente. Erano sulla balconata che correva lungo le pareti superiori del locale e da lì avevano una visione ideale della gente che affollava la sala sottostante, senza doversi infilare nella calca. Anche la musica arrivava più attutita, accompagnando piacevolmente le chiacchiere e il tintinnare dei bicchieri.

D'un tratto una familiare testa bionda si mosse tra la gente. Phoenix la intravide con la coda dell'occhio e la seguì con lo sguardo.

"Ah, ecco Eagle!", esclamò.

I ragazzi si girarono a cercare il nuovo arrivato. Da come si aggirava tra gli avventori del locale, Eagle non sembrava avere nessuna fretta di trovarli. Al contrario, non si era nemmeno guardato attorno. Era andato dritto al bancone del bar, dove aveva preso posto su uno degli sgabelli di ferro battuto. E non era da solo.

"E quella chi diavolo è?", sbottò Diane, mentre cercava di fare una radiografia a distanza della ragazza dai capelli chiarissimi e dal tubino bordeaux che stava attaccata al ragazzo.

"Lo scopriremo subito", replicò Raven con il suo solito, inimitabile aplomb. "Phoenix, fai una chiamata a Eagle".

L'irlandese strabuzzò gli occhi.

"E per dirgli cosa?".

"Quello che ti pare. Mi serve solo che tu lo faccia allontanare".

Phoenix lo scrutò di sottecchi senza troppa convinzione, ma prese ugualmente il telefono e obbedì.

Videro Eagle estrarre il cellulare, fissare lo schermo, poi avvicinarsi all'orecchio della sua accompagnatrice e dirigersi verso l'uscita. In quei pochi minuti, Raven era già sceso nell'arena centrale e, nello stupore generale dei quattro che guardavano la scena dall'alto, stava già offrendo da bere alla ragazza, che era rimasta sola a guardarsi attorno con aria sperduta.

"Ma come cazzo ci riesce?", sbottò Phoenix quasi con ammirazione.

Caroline ridacchiò per il modo buffo con cui aveva pronunciato quella domanda, ma Swan e Diane non dissero nulla, e si limitarono a seguire lo spettacolo.

Eagle rientrò. Dal modo in cui mutò il suo movimento appena fu in prossimità del bar, non doveva essere felice di trovare Raven seduto al suo posto. L'altro, però, gli riservò una plateale accoglienza, gli diede un'amichevole pacca sulla spalla, gli indicò il gruppetto che occhieggiava dalla balaustra e tolse il disturbo con la stessa nonchalance con la quale aveva fatto la sua incursione.

"Mistero risolto", esclamò lasciandosi cadere sul cuscino accanto a Swan, che lo scrutava lievemente imbronciata.

"Cioè?", si informò subito Diane, che aveva atteso il ritorno di Raven come se fosse stato l'avvento del Messia.

Lui temporeggiò, rubò dalla mano rigida di Swan il bicchiere e tirò su un sorso di cocktail.

"È una sua lontana cugina in visita a Londra", rispose infine.

Diane si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.

"Be', allora non c'è nulla di cui preoccuparsi", commentò a mezza voce.

Swan, in silenzio, sporse il capo dalla balconata e rimase a fissare i due seduti al bar per qualche istante.

"Temo proprio che non sia così", mormorò.

Nessuno fece molto caso a quella frase, perché tutti avevano ripreso a parlare, come se l'affaire Eagle avesse di colpo perso importanza.

Nessuno, tranne Phoenix.

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SOUNDTRACK:

Che pezzo immaginate ci sia al locale?

Per me stavano mandando Uptown Funk di Mark Ronson ft. Bruno Mars 😉

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