WINTER 5 - L'Acqua cancella ogni cosa

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Non ci furono altre sortite notturne né brillanti iniziative nei giorni che seguirono. In effetti, non ci fu nulla di nulla.

Londra era ostaggio della neve e del gelo da quasi una settimana ormai. E non solo Londra. Pechino, New York, Sidney, Singapore. Ovunque temporali o nevicate sferzavano le città, senza alcun riguardo per latitudini, longitudini e altezze. Non era la solita neve, e non era la solita pioggia. Swan lo sapeva, poteva sentirlo. Perché Swan era una Custode dell'Acqua. Così come Raven lo era della Terra, Eagle dell'Aria e Phoenix del Fuoco.

Era per quel compito che erano stati marchiati, per quella speciale affinità che erano stati scelti. Ne portavano i segni addosso fin dalla nascita. Dopo l'inevitabile vergogna provata nell'infanzia e l'imbarazzo della prima adolescenza, Swan aveva infine imparato ad accettare i suoi capelli color platino. Aveva addirittura inventato un'improbabile marca di colore e un costosissimo hair stylist per far morire d'invidia le ragazze che osavano interrogarla sull'argomento. Nei locali esclusivi che frequentavano di nascosto sfoggiava ormai la sua lunga chioma con la stessa ostentata indifferenza con cui Raven metteva in bella mostra il disegno che gli decorava il braccio e che faceva passare per un tatuaggio tribale. Eagle, invece, aveva tenuto nascosto a lungo il suo segno. Glielo avevano visto quasi per caso, durante i loro giochi da ragazzini, ma lui non sembrava mai molto in vena di esibirlo. Una volta cresciuti, Swan aveva cercato in tutti i modi di convincerlo che le due linee sottili che aveva sui lombi, quasi due ali d'uccello, erano irresistibilmente sexy quando si intravedevano oltre il bordo del costume da bagno. Eagle, però, sembrava sempre poco interessato a catturare l'attenzione delle ragazze, tanto quanto Raven era affascinato dall'idea di riuscire ad attrarle tutte.

Swan passò malinconicamente le dita sulla superficie gelida della finestra. Fuori, la neve cancellava ogni cosa. L'acqua, in ogni sua forma, cancellava sempre ogni cosa. Aveva cancellato persino il suo nome.

A volte le sembrava quasi di non ricordarlo più. Lei era semplicemente la Swan, come lo era stata la donna prima di lei e come lo sarebbe stata quella che sarebbe venuta dopo. Prescelto dopo Prescelto, e non sapere mai se e quando sarebbe arrivato il momento, se sarebbe toccato a loro portare a compimento l'Opera o se avrebbero vissuto l'intera vita in quella quieta attesa. E anche se fosse accaduto il peggio, non sapevano nemmeno con esattezza quale sarebbe stato il loro compito. Loro erano solo i Prescelti, i Custodi incaricati di gestire gli Aspetti di cui parlava la Profezia. Non erano Maestri, non avevano accesso alla conoscenza più segreta. Sapevano solo che l'origine della Profezia si perdeva in un passato oscuro.

Era saltata fuori da un'antica pergamena, tradotta secoli addietro da colui che, in seguito, avrebbe fondato la Congrega. Da allora i Maestri avevano impiegato il proprio tempo a studiare minuziosamente il cielo astrale, nel tentativo di trovare nel movimento delle stelle un indizio che preannunciasse la sventura che doveva colpire la Terra. Allo stesso tempo, si occupavano di crescere e addestrare un Custode per ciascuno degli Elementi, perché fosse pronto se il momento fosse giunto.

Swan chiuse gli occhi. Si sentiva terribilmente stanca. Quella violenta manifestazione dell'Acqua la stava fiaccando e quei giorni trascorsi senza potersi muovere da casa nemmeno per andare all'università la stavano rendendo stranamente umorale.

"Tutto bene, mia cara?".

Sollevò le ciglia e si girò piano con un movimento che rivelava il piacere di quella visita. A un passo da lei, un anziano signore si era fermato a osservarla. Vestiva una calda e raffinata vestaglia da camera, al di sotto della quale non aveva rinunciato a indossare una camicia candida e un ascot perfettamente annodato. Il prezioso bastone che stringeva in una mano non lo invecchiava, ma gli conferiva piuttosto un elegante aspetto da gentiluomo del Sud. I capelli bianchissimi e ordinati facevano risaltare il verde dei suoi occhi, che erano ancora vivi e brillanti.

Swan sorrise lievemente.

"Abbastanza", rispose. "Solo un po' preoccupata. Tu, Phoenix? Come ti senti stamattina?".

L'anziano signore ridacchiò divertito.

"Bene come può star bene un uomo della mia età. E poi lo sai, tutta quest'acqua mi mette paura".

"Mette paura anche a me", commentò lei a mezza voce, senza staccare gli occhi dal biancore che sigillava la città.

Phoenix la guardò con tenerezza, come se avesse quasi voluto abbracciarla.

"Dovresti riposare, bambina. Non sappiamo quanto durerà questa manifestazione. Faresti bene a risparmiare le forze".

Le prese la mano con gentilezza e l'attirò verso il centro della stanza, lontano dalla finestra e da quello spettacolo, che sembrava calamitarla e svuotarla allo stesso tempo. La guidò verso il divano paffuto che adornava un angolo della biblioteca e le fece cenno di sdraiarvisi.

"Stenditi un po'. Io resterò qui con te a leggere".

Swan annuì e obbedì senza protestare. Il vecchio Phoenix aveva sempre avuto uno speciale ascendente su di lei. Ogni volta che le parlava sembrava farle un incantesimo. Per un motivo o per un altro, non riusciva mai a dirgli di no, a dispetto del suo carattere ostinato. In quel caso, poi, aveva assolutamente ragione: si sentiva esausta, fiaccata dall'interno. Appena ebbe appoggiato la testa su uno dei cuscini, sentì che le palpebre le diventavano pesanti.

Phoenix la osservò per qualche istante. Quando fu certo che si fosse addormentata, si diresse quietamente verso la porta, attento a non ticchettare troppo forte con il bastone. Con la stessa delicatezza, si richiuse l'uscio alle spalle. Si fermò a controllare il corridoio e inquadrò la figura del giovane che gli stava andando incontro.

"Ah, Eagle!", esclamò, attirando la sua attenzione.

Il ragazzo si fermò immediatamente.

"Signore?".

Phoenix gli mise la mano libera sulla spalla, con aria affabile.

"Faresti qualcosa per questo vecchio, ragazzo?".

"Certamente".

L'altro annuì soddisfatto e indirizzò Eagle verso la stanza che aveva appena lasciato.

"Allora sii gentile e va' in biblioteca. La nostra Swan non sta molto bene stamane e io le ho promesso di vegliarla per un po'. Ma, vedi, sono troppo vecchio per essere ancora affidabile. Prenditi tu cura di lei".

Eagle esitò, colpito da quella richiesta. La sua presa indugiò sulla maniglia, ma lo sguardo intenso di Phoenix lo convinse a entrare senza fare altre domande.

Si chiuse la porta alle spalle senza un rumore e si mosse piano fino al divano. Swan dormiva. I capelli chiari rilucevano sul velluto del cuscino, le labbra appena dischiuse sembravano sul punto di chiedere un bacio. Eagle si passò una mano sugli occhi e si lasciò sfuggire un gemito. Scosse il capo, come per scacciare un pensiero, quindi rivolse la sua attenzione al foulard damascato che ricadeva disordinatamente su un angolo del divano. Lo sollevò e lo distese sul corpo di Swan, rimboccandoglielo fino al mento perché non prendesse freddo. Appena ebbe finito con la stoffa, la sua mano corse automaticamente a sistemarle i capelli, come se quel gesto fosse la naturale continuazione della cura che aveva messo nel coprirla. Si interruppe nell'attimo in cui se ne rese conto e si immobilizzò. Fissò le proprie dita come se non le riconoscesse, poi il volto di lei, così sereno nell'abbandono di quel momento.

Senza un vero motivo, ripensò alle parole di Phoenix, allo strano modo in cui le aveva pronunciate: Prenditi tu cura di lei. Sospirò, staccandosi da Swan, dal suo calore, con un gesto dolente.

"Se solo potessi, Phoenix", mormorò rivolgendosi al vuoto della stanza, "passerei tutta la mia vita a ravviarle i capelli".

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