WINTER 4 - Daiquiri e altre catastrofi

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Nessuno dei tre avrebbe saputo dire quanto tempo occorse per tornare alla villa. Correvano. Correvano nella notte come spettri, senza mai prendere fiato. Solo Eagle si voltava indietro di tanto in tanto, per accertarsi che Swan riuscisse a stare dietro al loro passo, e l'aiutava a non inciampare sorreggendola per un braccio.

Raven, che li aveva guidati per le strade più brevi senza un'esitazione, fu il primo a fermarsi di fronte al cancello centrale. Le luci che accendevano le finestre dell'edificio e il ronzio elettronico dei battenti che si mossero immediatamente al suo arrivo gli dissero che era troppo tardi per inventarsi qualsiasi bugia.

Salirono le scale senza dire una parola. Sapevano che lui li stava aspettando nella biblioteca.


⸩ↂ⸨


"Avete vent'anni o poco più, e questo io lo so. Avete voglia di fare quello che fanno i vostri coetanei, e anche questo lo so. Quello che non so, e che non riesco a capire, è come possiate comportarvi in maniera tanto irresponsabile dopo tutti questi anni di addestramento".

Raven, Eagle e Swan seguivano in perfetto silenzio ogni movimento, ogni espressione dell'uomo che stava loro davanti. Era sulla sessantina, ma dall'aspetto ancora giovanile e fiero. La mascella contratta e gli occhi nervosi rivelavano tutte le emozioni che si sforzava di nascondere dietro un tono artificialmente pacato. A togliere loro ogni dubbio sarebbe bastato comunque il suo andirivieni agitato, cifra evidente del suo nervosismo e della sua preoccupazione, mentre loro restavano impalati senza fare un fiato.

"Si sono susseguite centinaia di Prescelti in questa casa", proseguì l'uomo, perdendo appena un briciolo della sua calma apparente, "ma a nessuno di loro, a nessuno sarebbe venuto in mente, mai!, di lasciare la villa senza avvertire per andare a bere un Mojito a Kensington".

Raven incrociò le braccia sul petto e rivolse il suo sguardo di metallo verso un angolo della libreria.

"Era un Daiquiri", mormorò, increspando un angolo della bocca.

Il loro interlocutore non parve apprezzare molto la sua ironia, perché si fermò di colpo davanti al ragazzo e lo squadrò con un'espressione così severa da far zittire chiunque. Rimase a fissarlo finché Raven non abbassò lo sguardo con una punta di rassegnazione, poi i suoi occhi si puntarono sulla ragazza.

"Di chi è stata questa bella trovata, Swan?".

Si capiva, dal modo in cui aveva posto la domanda, che la riteneva in qualche modo responsabile di quella bravata. Lei batté le ciglia e schiuse le labbra intimorita, indecisa su quale fosse la risposta migliore da dare.

"È stata un'idea mia".

Eagle, al suo fianco, fece un passo avanti e sorresse lo sguardo stupito dell'uomo, ignorando quello altrettanto meravigliato dei suoi due compagni. Quello gli si fece da presso e lo studiò con scrupolo.

"Eagle...".

Nella sua voce, più che il rimprovero, si percepiva una sorta di triste sorpresa. Per un istante sembrò rivalutare il discorso che si accingeva a fare.

"Mi sorprende che tu sia stato tanto avventato. Ho sempre riposto grande fiducia in te".

Prese una pausa, come per dare tempo al ragazzo di ribattere, ma Eagle gli oppose solo i suoi occhi che brillavano di decisione e l'espressione immobile del viso. L'uomo scosse la testa e proseguì.

"Quello che noi facciamo qui da secoli è prendere persone comuni e trasformarle in persone preziose. Voi siete preziosi. Cerca di non dimenticarlo".

"Sì, Secondo Maestro".

A quelle parole, l'altro parve placarsi. Si girò appena a considerare i ragazzi, come per accertarsi che quella lezione fosse chiara per tutti prima di proseguire.

"Va bene", sentenziò. "Parleremo in seguito della vostra disciplina. Adesso ci sono argomenti più urgenti".

Si mosse a fronteggiare nuovamente Raven.

"Tu non hai sentito niente?", lo interrogò.

Quello impallidì, come colto in fallo dalla richiesta.

"E-ero distratto", balbettò.

Il Maestro lo soppesò da capo a piedi con una lieve smorfia di disappunto.

"Ti ricordi almeno se era bionda o bruna?", ironizzò con disprezzo. "Purtroppo anche le persone preziose possono rivelarsi inutili, Raven. Tienilo a mente, la prossima volta che gli ormoni ti faranno dimenticare chi sei".

Il ragazzo si morse le labbra e chinò il capo, per nascondere la rabbia e l'umiliazione. Swan lo spiò di sottecchi, con una strana ansia nel cuore.

"Anche se il nostro Raven era distratto", proseguì il Maestro, rivolgendosi al gruppetto, "la Terra ha tremato. Il Cielo era confuso stanotte e questo non esclude che possa trattarsi di un Segno. Dobbiamo restare all'erta ed essere pronti. Potrebbe accadere qualcosa molto presto, quindi adesso andate subito a riposare. Vi voglio in perfetta forma domattina".

I tre annuirono, poi scivolarono fuori dalla stanza, in silenzio così come vi erano entrati. Nessuno aveva voglia di commentare la disastrosa conclusione di quella serata e nessuno aveva più voglia di scherzare.


⸩ↂ⸨


Mentre Swan saliva le scale di malavoglia, un passo dopo l'altro, la sua mente era concentrata su Eagle, senza che lei stessa riuscisse a spiegarsene il motivo. Ripassava la scena appena vissuta e si chiedeva quale potesse essere il modo migliore per ringraziarlo. Lui, come faceva sempre, l'aveva protetta, e lei non riusciva mai a trovare le parole o l'occasione giusta per dirgli quanto gli fosse grata. Quanto gli volesse bene. A dire il vero, sembrava lo stesso Eagle a voler evitare quel momento. Lo fece puntualmente anche quella notte, quando scivolò nella sua stanza dopo un saluto laconico, chiudendole quasi la porta sul naso.

Swan rimase a fissare la superficie di legno laccato per qualche istante. Sospirò e indietreggiò di un passo. In quel movimento, andò a sbattere contro Raven. Per tutto quel tempo lui era rimasto stranamente silenzioso e lei si era perfino dimenticata di averlo alle spalle. Sussultò e si girò a fronteggiarlo.

Erano rimasti soli, al centro del corridoio, mentre la luna disegnava lunghe geometrie ai loro piedi. La luce opalina giocava con le ciocche corvine del ragazzo, scivolava sul suo viso allungando l'ombra delle sue ciglia. L'espressione che Swan vi lesse sopra era profondamente infelice e, a quella vista, il suo cuore perse un battito. Rimase immobile, e nemmeno Raven si mosse. Restarono per qualche istante a sfiorarsi, a respirarsi in silenzio.

"Raven", sussurrò infine Swan, nella notte. "Mi dispiace".

Lui annuì lievemente e non disse nulla.

"Mi dispiace per quello che è accaduto poco fa. Non è vero che sei inutile, non pensarlo nemmeno. Mai".

Teneva gli occhi bassi, fissi su un bottone della sua camicia mentre gli parlava con voce soffice, per schivare quelle sue iridi grigio-azzurre che di certo non l'avrebbero fatta più parlare. Raven sorrise, e per la prima volta non c'era alcuna ironia nella piega della sua bocca.

"Non importa", rispose a bassa voce.

Lei osò finalmente scrutargli il viso.

"Sei sincero?".

Raven sollevò una mano e attorcigliò una delle ciocche platino di lei attorno alle dita sottili.

"Ti sei divertita stasera?", chiese, ignorando la sua domanda e la sua occhiata preoccupata.

Swan, suo malgrado, sorrise. Ripensò al momento in cui avevano ballato vicini e sorrise.

"Moltissimo".

L'espressione del ragazzo parve addolcirsi e i suoi occhi, per un istante, sembrarono meno presuntuosi.

"Bene. Perché questa è l'unica cosa che importa".

Mentre bisbigliava quelle parole, lasciò scivolare sulla mano i capelli di Swan e glieli sistemò con delicatezza lungo il viso, sfiorandole la guancia lentamente. Quel tocco le bruciò la pelle come se fosse stato di fuoco, o forse le sembrò così caldo perché il suo corpo era gelato in un attimo. Nell'attimo in cui Raven l'aveva toccata.

"Buona notte, Swan".

La ragazza non riuscì a rispondere, non riuscì a fare nulla. Rimase a guardarlo mentre apriva la porta della sua stanza, poi a fissare la luce della luna. Rimase da sola, nel corridoio, senza saper dire per quanto tempo, mentre la sua mano accarezzava il segno invisibile che lui le aveva tracciato sul viso.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro