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«Io ti aspetto.» le dico con quel tono sicuro di me che uso quando voglio nascondere una debolezza.

Mi metto a correre senza voltarmi, in modo che Gemma non veda le mie patetiche lacrime. Mi sono dichiarato con la presunzione di avere una facile vittoria, ma invece mi sono scontrato contro il muro della sua ostinazione. Mi viene fuori una risata amara. Rido e piango contemporaneamente e se già questo non mi fa sembrare abbastanza fuori di testa, sto anche correndo come un matto lungo la passeggiata deserta.

Quando il fianco destro inizia a farmi male per lo sforzo, decido che è arrivato il momento di fermarmi. Mi piego letteralmente in due e appoggio le mani sulle ginocchia, mentre cerco di riprendere fiato. Il mio respiro si calma lentamente ed io mi asciugo la fronte con il braccio coperto dalla manica del piumino, lasciando una larga macchia trasparente sul tessuto nero. Sbuffo, seccato. Certe volte non riesco a capirla, quella ragazza, e dire che siamo praticamente cresciuti insieme.

Gemma è imprevedibile, il più delle volte. È una delle cose che mi piacciono di lei.

Mi guardo intorno e mi accorgo di essere arrivato fino al porticciolo e, non appena me ne rendo conto, la puzza di pesce mi invade le narici, facendomi storcere la bocca in una smorfia. Odio quella città sepolta nella parte più a sud del sud Italia, dove la gente ha la mentalità più ristretta che nel medioevo e dove non ci sono sbocchi lavorativi.

Sospiro di nuovo e mi appollaio su un gradino della baia, lasciando le gambe penzolare di sotto. Mi metto a osservare il mare, l'unica cosa per cui valga la pena vivere in quel posto dimenticato da Dio e il mio pensiero va di nuovo a Gemma.

Non mi sono reso subito conto che i miei sentimenti per lei stavano cambiando. Probabilmente, se lo avessi fatto, avrei cercato di impedire in qualche modo quella metamorfosi: Gemma e io siamo sempre stati buoni amici e sarebbe davvero un peccato mandare tutto all'aria. L'ho sempre vista come una sorella minore anche se avevamo la stessa età, perché con quei suoi occhioni languidi scatena sempre i miei istinti di protezione.

Mi piace il modo in cui corre da me ogni volta che ha un problema. Chiama il mio nome quasi piangendo e mi gettale braccia al collo, nascondendo la faccia contro il mio petto. Io la consolo e lei mi lancia quelle occhiate piene di gratitudine, che dovrei proprio essere fatto di pietra per non intenerirmi.

È l'unica ragazza al mondo con cui posso parlare di tutto senza vergogna, persino di sesso. Ricordo benissimo che da adolescenti ne parlavamo spesso, chiarendoci i reciproci dubbi e imparando l'uno dall'altra. Gemma non si è mai scandalizzata per quel tipo di discorsi, né per nessun'altra cosa, a dire il vero... Non si mette a urlare se rutto dopo la birra o se sbadiglio a bocca aperta, si limita a fare una battuta che mi fa ridere.

Sorrido spontaneamente: Gemma è straordinaria, davvero.

È capace di piangere come una bambina e poi, un minuto dopo, di farti un discorso da donna adulta. E poi è intelligente, a scuola prendeva sempre il massimo dei voti e se non fosse stato per quel bastardo di Gabriele avrebbe finito anche l'università.

Mi mordo il labbro. Probabilmente è stato in quel momento che ho iniziato a innamorarmi di lei. È distrutta per quel tradimento e, come al solito, chiama me. La rabbia che mi monta in corpo e provo l'impulso irrefrenabile di mettere le mani addosso a Gabriele. Quando la vedo così sconvolta, poi, alla rabbia si unisce la frustrazione, perché non so come aiutarla. Comunque, alla fine supera anche quel brutto periodo e lo fa anche grazie a me.

Quel viaggio in Sicilia è una pena, ma lo faccio per lei. Ecco, se dovessi identificare il momento preciso in cui i miei sentimenti sono cambiati, potrei dire che è stato una di quelle notti, mentre stiamo dormendo in uno di quegli ostelli del cavolo. Mi sveglio perché devo andare in bagno e quando torno a letto lancio un'occhiata a Gemma per assicurarmi che sia tranquilla. C'è un raggio di luna che filtra attraverso le tapparelle bucherellate e la colpisce proprio in pieno viso, illuminandolo di quella luce strana. La osservo con attenzione e, per la prima volta, mi rendo conto di quanto sia bella. Quella rivelazione mi sconvolge così tanto che mi prendo la testa tra le mani, sta per scoppiarmi il cervello. Dov'è finita la ragazzina miope di prima liceo e da dove spunta fuori questa donna? Gemma ha i capelli scuri, li ha tagliati da poco, così corti da farmi rabbrividire, ma non le stanno male, una volta che ci fai l'abitudine. Ha le sopracciglia sottili e le ciglia lunghe. Il mio sguardo corre per tutto il suo corpo, scoprendo cose di lei che non ho mai visto prima: ha sempre avuto le tette così grosse? E le sue cosce, sono sempre state così ben fatte? Dio, ha sempre avuto questo culo così sodo ed io non me ne sono mai reso conto? Mi rimetto a letto e rifletto a lungo sulla questione, fino a convincermi che se è qualcosa che è cambiato tra noi due, quello sono io.

D'altro canto, ho sempre voluto bene a Gemma, quindi si può dire che il passo allo stadio successivo sia stato piuttosto facile. Perché per lei non è lo stesso?

Il suo rifiuto fa male al mio cuore e al mio orgoglio e mi rende incredibilmente nervoso. Appoggio i palmi al freddo pavimento di pietra e reclino la testa all'indietro, agitando le gambe ancora più freneticamente.

Sono certo che Gemma pensi che la mia decisione di dichiararmi sia stata una cosa impulsiva, ma non è così. Ci ho riflettuto a lungo prima di farlo, non sono così stupido. Tengo anche io alla nostra amicizia e non desidero certamente mandarla in fumo per un capriccio del momento. Ma la verità è che Gemma, per me, non è semplicemente il capriccio del momento. È mortificante, da uomo, ammettere una cosa del genere, ma quella ragazza ormai occupa ogni mio pensiero. Qualsiasi cosa faccia, in testa ho sempre lei. E adesso mi saltano all'occhio dei particolari che prima non avrei mai considerato: la piega che prendono le sue labbra quando sorride, il suono argentino della sua risata, i riflessi color miele tra i suoi capelli... E ancora più forte delle mie pulsioni fisiche, sento dei desideri bruciarmi dentro: la voglia di vederla ridere, sempre e comunque, la voglia di farla felice e, più di ogni altra, la voglia, anzi, il bisogno di averla sempre con me.

Certo, avrei sempre potuto scegliere di far finta di nulla. Avrei potuto ignorare tutti questi segnali che continuavano a lampeggiarmi nel cervello e pretendere che fossimo gli amiconi di sempre, ma non sarebbe stato come mentire? No, non mi piace quell'idea. Perderla mi sarebbe piaciuto ancor meno, ma se non altro sarei stato onesto, con me stesso e con lei.

Raccolgo le ginocchia al petto e vi poggio sopra le braccia, intristendomi sempre di più. È la prima volta in tutta la mia vita che sento Gemma così lontana da me, e questa sensazione è penosa.

D'improvviso, sento uno scalpiccio di passi provenire dalle mie spalle e mi volto di colpo. Trattengo il fiato e quasi mi viene un infarto: Gemma sta correndo a perdifiato verso di me. Mi stropiccio gli occhi con forza, incredulo, ma non sto sognando, lei è davvero lì. Mi alzo lentamente in piedi, in modo che possa vedermi, e lei mi individua all'istante.

«Roberto, Dio Santo, ti ho cercato dappertutto!» strilla sistemandosi gli occhiali sul naso.

Rallenta l'andatura e si avvicina a me, fermandosi a un paio di passi, scrutandomi.

«Che cosa vuoi?» domando, brusco.

«Parlare con te.» è l'ovvia risposta.

Ma non voglio rendergliela facile, quindi metto il broncio. «Mi pare che ci siamo già detti tutto, per il momento.» brontolo.

Lei si morde il labbro e si avvicina di altro passo. «Tu avrai anche detto tutto, ma io no.»

Incrocio le braccia sul petto e la squadro. «Dimmi.»

Lei alza gli occhi al cielo. «Possiamo sederci?»

«Prego.» dico indicando il gradino su cui ero rannicchiato fino ad un attimo prima.

Gemma si avvicina, ancora titubante, e aspetta che mi sieda prima di imitarmi.

Anche lei lascia le gambe penzoloni e fissa il mare per un po', come se quella distesa d'acqua potesse darle l'ispirazione.

«Mi dispiace.» dice infine.

«E per cosa, esattamente?» ribatto.

«Mi dispiace per questa situazione e mi dispiace che tu stia soffrendo e mi dispiace di essere così stupida di non essermi mai accorta dei tuoi sentimenti per tutto questo tempo.» sputa tutto d'un fiato.

Posso capire quanto sia nervosa semplicemente guardandola in faccia, ma decido di lasciarla andare a ruota libera, perché sono troppo curioso di vedere dove voglia andare a parare.

«La tua confessione mi ha spiazzata.» dice sinceramente «E se devo essere onesta, ancora adesso non so che cosa risponderti.»

«La verità.» sbotto io, iniziando a seccarmi.

Mi innervosisce vederla così contrita, in ansia, mentre si tormenta le pellicine in preda al nervoso: sono sempre io, lo stesso Roberto da cui corre ogni volta che c'è un problema, lo stesso confidente a cui racconta tutto, lo stesso coglione che sta sempre a pendere dalle sue labbra.

«Il fatto è che non lo so qual è la verità.» mi confessa. «È vero che sei stato sempre con me ed è vero che ti ho dato per scontato, ti chiedo scusa per questo, ma nella mia testa ho sempre avuto questa idea di me e di te che stiamo insieme per sempre.»

«Possiamo farlo.» propongo, sentendo le guance che diventano calde.

Mi imbarazza continuare quella discussione, ma anche io voglio stare con lei per sempre. Voglio sposarla, fare dei figli con lei e tutte quelle stronzate che si fanno quando ami qualcuno. Spero che me lo legga negli occhi, perché non avrei mai il coraggio di dirlo ad alta voce, così incrocio il suo sguardo. Purtroppo sono io quello a leggere qualcosa, e non mi piace per niente.

I suoi occhi sono di nuovo pieni di lacrime e mi stanno supplicando di smetterla. Ma cosa dovrei smettere, esattamente? Possibile che il mio amore per lei sia una cosa così difficile da sopportare?

Grugnisco arrabbiato e mi rimetto in piedi, intenzionato ad andarmene per lasciarla lì, ma lei scatta in piedi e mi afferrò per il braccio.

«Ti prego, non te ne andare.» mi supplica.

Io sbuffo. «Questa discussione non ci sta portando da nessuna parte, Gemma.» ringhio. «Non puoi continuare a tenere il piede in due scarpe, devi decidere cosa vuoi. O con me o senza di me.» sentenzio.

Stringe la labbra forte e corruga le sopracciglia.

«Con te.» mormora infine. «Non potrei mai lasciarti andare, Roberto.»

È la risposta che volevo, eppure non mi fa piacere. Non così, almeno, con quello sguardo disperato spalmato in faccia.

«Non puoi metterti con me perché ti faccio pena.» bercio.

«Nessuna pena.» risponde in fretta.

Lascia il mio braccio e affonda le mani nelle tasche. Posa di nuovo lo sguardo sul mare, osservando il sole che tramonta e sembra gettarsi in quelle acque calme. Anche il vento smette di soffiare, come se persino il Padreterno volesse starsene ad ascoltare il suo discorso.

«Ti conosco da dieci anni e ho condiviso tutti i momenti significativi della mia vita insieme a te.» esordisce lei con voce flebile «Sei sempre stato il primo a cui pensavo quando avevo bisogno d'aiuto, il primo che chiamavo, sei sempre stato il mio punto di riferimento, la mia ancora di salvezza.»

Punta su di me i suoi occhi profondi e mi inchioda. Ci sono strane ombre che si muovono sul suo viso in penombra, ma la trovo comunque bellissima.

«Sei il centro del mio mondo, Roberto.»

Deglutisco a vuoto, incapace di parlare: non sono preparato a una confessione simile.

«Alla fine, cos'è che tiene insieme due persone per sempre?» domanda, voltandosi finalmente verso di me «A un certo punto la passione si spegne, no? Cosa resta, dopo?»

Sorrido: eccola che parte con uno dei suoi voli pindarici.

«Cosa resta?» le chiedo, andando dietro al suo ragionamento.

«L'affetto.» risponde, serissima. «E la complicità.»

Muove un passo verso di me, guardandomi negli occhi.

«La compatibilità e la familiarità.» aggiunge, avanzando ancora.

Adesso siamo uno di fronte all'altra e lei è stranamente a disagio. Le sue guance rosse e i suoi occhi lucidi risultano talmente comici che mi scappa un sogghigno, ma fortunatamente lei lo ignora, preferendo proseguire.

«Queste sono tutte cose che noi due abbiamo già, Roberto.»

Mi prende la mano e intreccia le dita con le mie. Lo ha già fatto un milione di volte, non è un gesto nuovo per noi, eppure improvvisamente l'atmosfera è cambiata e stringerle la mano mi rende nervoso.

«Sai...» esordisce arricciando il naso in modo buffo «Non credevo che il mio cuore avrebbe mai potuto battere così tumultuosamente vicino a te.» mi confessa.

Gli occhiali le sono ricaduti come al solito sulla punta del naso e lei li sistema spingendoli indietro con l'indice, guardandomi fisso mentre aspetta una mia risposta. Ma il fatto è che io in quel momento non me la sento di parlare. Sono troppo agitato e troppo felice e di certo la mia voce avrebbe un'intonazione acuta, quindi meglio tacere: perderei la mia virilità agli occhi di Gemma, se sapesse che mi emoziono così.

Eppure lei sembra volere una qualche risposta, così le prendo l'altra mano e mi poso il suo palmo sul petto. Lei avverte di certo il mio batticuore sotto le dita, perché arrossisce ancora di più e sorride in modo tenero.

«Anche il tuo cuore batte forte.» commenta, sottolineando l'ovvio.

Ma non ha importanza: che faccia pure quello che vuole, io sono troppo felice. La circondo con il mio braccio e me la stringo addosso mentre il sole finisce di tramontare e tutto intorno a noi diventa buio. Mai glielo direi, ma trovo quel momento incredibilmente romantico.

«Forse ti ho sempre amato anche io.» bisbiglia «Soltanto che non ci avevo mai pensato.»

Rido piano. Si può morire per la felicità?

«Non eri tu quella intelligente tra noi due?» la stuzzico.

Lei sorride. «Sì, ma sai... Quando si tratta di queste cose divento davvero un'imbecille.»

Voglio talmente tanto baciarla che mi pare di esplodere. Mi chino su di lei per raggiungere le sue labbra, dieci centimetri più in basso delle mie, e finalmente realizzo il mio desiderio.

Gemma chiude gli occhi e si stringe a me, i suoi occhiali urtano contro il mio zigomo, ma li ignoro e mi perdo nel momento, sentendomi un perfetto idiota. Felice, ma assolutamente imbecille.

Mi stacco da lei e respiro a fondo.

«Com'è stato?» domando per metterla in difficoltà.

Lei apre e chiude la bocca più volte, come se ogni volta che stesse per iniziare a parlare ci ripensasse, ed è talmente ridicola che non posso trattenermi dallo scoppiare a ridere.

«Smettila.» mi rimprovera, paonazza.

Ormai è quasi completamente buio intorno a noi e la luce dei lampioni ai bordi delle strade è intermittente per via di un calo di tensione o che so io. La prendo per mano e muovo un passo.

«Sarà meglio che ti riporti a casa.» propongo.

«Sarà meglio.» risponde.

Camminiamo in silenzio per qualche metro, poi lei mi ferma.

«Promettimi una cosa!» esclama.

«Cosa?»

«Che starai con me per sempre!»

Non la vedo bene con quella scarsa illuminazione, ma me lo immagino il suo viso. Le lascio la mano e incrocio le braccia dietro la schiena.

«Chi lo sa se ti sopporto per sempre.» scherzo.

Lei si arrabbia e mi urla qualcosa contro, ma io non la sto a sentire, troppo impegnato a correre via, senza nemmeno guardare dove sto andando. Sono così felice che ho le lacrime agli occhi e non voglio farmi prendere, altrimenti le vedrebbe.

La mia scarpa scivola sul pavimento liscio e perdo l'equilibrio. Sono troppo vicino al bordo del porticciolo e il terreno sotto i piedi mi manca. Urlo per la paura e la sorpresa prima di finire nell'acqua puzzolente della baia: il bagno più freddo della mia intera vita.

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