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Mia mamma è una rompipalle.

Lo so che lo dicono tutti i ragazzi, alla mia età, ma mia mamma lo è davvero. Non soltanto perché, nonostante oramai abbia tredici anni, continua a trattarmi come un bambino, ma soprattutto perché non mi sta mai a sentire. Quando dice una cosa si deve fare, io non ho voce in capitolo!

«Non puoi andarci.» dice col suo solito tono.

«Mamma, ma ci andranno tutti!» strillo

«Lo sai che non è così che mi convincerai.» ribatte ridacchiando.

Io stringo i pugni, cercando di mantenere la calma. Con lei è sempre stato così: non discute nemmeno con me, mi dà un ordine e poi mi parla con quel tono, come se mi stesse prendendo in giro. La odio, davvero.

«Mamma, se non vado a quella festa, stasera, non avrò mai più una vita sociale!»

«Dio, come sei tragico!»

«Mamma, dico sul serio!»

Ma perché non capisce? Certe volte mi chiedo come sia stata lei alla mia età. La nonna la descrive sempre come una ribelle che scappava di casa ogni volta che litigavano per farsi portare in giro in motorino. Chissà poi con chi...? Immagino che si tratti di mio padre: non credo abbia mai avuto altri uomini, a parte lui...

«Non ti ci posso mandare, tesoro.» mi dice fingendosi dispiaciuta, mentre si sistema gli occhiali sul naso «È troppo lontano, farete troppo tardi e circolerà troppo alcool.»

Non le rispondo nemmeno. Sarebbe inutile. Le dò le spalle con un ringhio e mi dirigo in camera mia, sbattendomi la porta alle spalle. Mi getto sul letto e affondo la faccia sul cuscino, esasperato. Lei non capisce. Non capisce come ci si sente ad avere tredici anni ed essere il più sfigato della scuola!

Mi giro supino e lascio andare un sospiro, anche se vorrei urlare. Ci sarà Valeria a quella festa, Dio Santo! Valeria, la ragazza dietro la quale letteralmente sbavo, da mesi! È stata lei a invitarmi, cazzo! Non mi aveva mai parlato prima, se non qualche scambio di battute sui compiti, e per una volta che sembra dimostrare un minimo di interesse verso di me, io devo rinunciare per la testa dura di mia mamma!

Sento il sangue che mi sta andando alla testa, credo che impazzirò.

Schizzo in piedi e inizio a camminare tutt'intorno alla stanza, cercando un modo qualsiasi per convincerla.

Potrei tentare di impietosirla con le lacrime... Certo, perderò la mia dignità di uomo, ma chi se ne frega! Se grazie a questo fossi in grado di andare alla festa e vedere Valeria sarei anche disposto a inginocchiarmi!

Scuoto immediatamente la testa, sconsolato: mia madre non si lascerà mai convincere da un pianto finto. Mi farebbe un discorso lungo una vita su quanto l'adolescenza sia difficile e bla bla... Ho sentito quelle cazzate tante di quelle volte che mi sanguinerebbero le orecchie se me lo facesse ancora!

Reclino la testa all'indietro e sospiro per la millesima volta, sentendomi sconfitto.

Il mio sguardo si posa sullo specchio che ho appeso alla parete e fisso per qualche istante la mia immagine riflessa: i capelli neri che sparano all'aria come se avessi preso la scossa, gli occhi marroni, inespressivi e infossati, le guance scavate e il fisico mingherlino da sfigato. Distolgo immediatamente lo sguardo: meglio non deprimermi ancora di più.

Mi metto a sedere sul letto e rifletto attentamente.

Posso ricattarla con qualcosa? Ci penso. Cosa so di mia madre che posso usare contro di lei in quel momento? A dire il vero, nulla... L'unica cosa che mi viene in mente è che ha mollato l'università all'improvviso e si è messa a lavorare come banconista, ma non è un'informazione utile, al momento. Me la sarei riserverò per il giorno in cui quella stronza cercherà di convincere me ad andare all'università...

Continuo a spremermi le meningi per un po', ma senza risultati. Possibile che quella donna non ne abbia mai combinata una?!

Gemo e mi accascio di nuovo sul letto. L'immagine di Valeria mi attraversa il cervello e per un momento mi pare addirittura di sentire la sua voce. Strizzo gli occhi più forte che posso per far andar via quell'immagine, poi mi decido: andrò a quella festa a tutti i costi, che mia mamma lo voglia o no!

Mi sollevo un po', puntellandomi su un gomito, e sorrido. Sì, più ci penso e più mi sembra una buona idea. Aspetterò che mamma si rintani nel suo studio per lavorare per sfilarle un po' di soldi dalla borsa, poi sgattaiolerò fino alla stazione dei pullman e salterò su quello diretto alla festa.

Un ampio sorriso mi si allarga sulla faccia: ho deciso.

In quel momento, sento il portone aprirsi e immagino che sia mio padre che rientra dal lavoro.

«Il capofamiglia è a casa!» annuncia infatti, entrando.

Apro un poco la porta e sbircio dalla sottile apertura.

La mamma lo accoglie sulla soglia dandogli un bacio. «Bentornato.» lo saluta.

«Grazie.» risponde lui con un sorriso. «Com'è andata la tua giornata?»

La mamma sospira. «Benissimo, fino a che tuo figlio adolescente non ha iniziato a fare i capricci.»

Io gonfio le guance per la rabbia: non sto facendo i capricci!

«Gemma, è solo un ragazzino!» mi difende papà.

«Lo so, lo so che è solo un ragazzino, ma tu non sei qui tutto il giorno, non puoi avere l'idea!»

Mio padre ride: la mamma esagera sempre tutto!

«Ascolta, Gemma: appena esce dalla sua stanza ci parlo io, okay?»

«Buona fortuna, allora.» ribatte lei, stizzita.

Io richiudo la porta e sbuffo. Con cavolo che ci parlo, con lui. Sorrido furbescamente all'idea che quando mio padre verrà a cercarmi, troverà la camera vuota.

Più deciso che mai ad attuare il mio piano, infilo nel mio zainetto i vestiti che ho intenzione di mettermi alla festa e poi torno ad origliare attraverso la porta. Sento lo scroscio dell'acqua della doccia e ghigno: se tutto va bene mio padre ne avrà almeno per mezz'ora.

Sguscio fuori dalla mia stanza cercando di fare meno rumore possibile e mi aggiro per il corridoio, notando con gioia che la luce nello studio è accesa, sintomo che la mamma è là dentro. Esultando nella mia mente per la mia buona sorte, arrivo in punta di piedi fino alla cappottiera all'ingresso e l'apro delicatamente per non far cigolare l'anta. Trovo subito la borsa di mamma appesa al pomello dorato e sorrido di nuovo: è la mia giornata.

Apro la cerniera con le dita tremanti: inizio a sentirmi nervoso, è la prima volta che rubo dei soldi. Scuoto la testa, risoluto. La colpa è della mamma. Se mi avesse dato il permesso, non sarei stato costretto a fare una cosa del genere! Inghiottendo il nodo che ho in gola, prendo a rovistare all'interno e trovo il portafoglio. Lo apro speranzoso, ma a momenti urlo per la frustrazione quando vedo che dentro ci sono soltanto cinque euro.

Mi passo più volte le dita tra i capelli cercando di calmarmi, ma è inutile. Possibile che quella donna abbia in borsa solo cinque miseri, pulciosi euro?! Digrigno i denti, pensando che non mi basterebbero nemmeno per un gelato, altro che prendere il pullman!

«Non può essere vero!» mormoro tra i denti.

Riapro la borsa e prendo a rovistare all'interno, controllando le tasche interne e svuotandole, ma senza risultato. Poi noto una zip semi-nascosta e l'apro, tirando fuori un foglio di plastica rosa. Incuriosito, me lo rigiro tra le mani, cercando di capire di cosa si tratti. Mi ci vuole qualche minuto, ma mi rendo conto che si tratta di una di quelle bustine di plastica che contengono le fotografie.

Sono così curioso di sapere perché la mamma avesse nascosto una cosa del genere con così tanta cura che mi dimentico della mia ricerca dei soldi e apro l'involucro.

Mi ritrovo in effetti di fronte a una foto, ma mi sento confuso. Nella ragazza con i capelli cortissimi e gli occhiali rotondi riconosco subito mia madre, ma chi è quello insieme a lei?

Il ragazzo ha una zazzera disordinata di capelli neri, ricci e gonfi e gli occhi rotondi da pesce lesso. Tiene il braccio sinistro avvolto intorno alla vita di mamma, che invece gli abbraccia il collo, poggiando la sua guancia contro quella di lui. Lo sconosciuto ha lo sguardo rivolto verso di lei, come se della foto non gliene importasse nulla, mentre mamma ha gli occhi fissi nell'obiettivo e sembra guardarmi divertita dall'immagine stampata.

Mi gratto pensieroso la sommità della testa e giro la foto per esaminare il retro e, sorprendentemente, vi trovo delle parole scritte con l'inconfondibile calligrafia tondeggiante di mia madre. "Gemma e Roberto a Cefalù, 1997." Sgrano gli occhi: è stata scattata vent'anni fa! Giro di nuovo l'immagine che ho in mano e fisso quel ragazzo, mentre la curiosità mi consuma: chi è quel tipo e, soprattutto, perché ha il mio stesso nome?!

Sono così concentrato sui miei pensieri che non mi accorgo di avere la mamma alle spalle fino a che non mi afferra per il braccio.

«Che cosa stai combinando qui dietro?!» strilla.

I suoi occhi si posano furiosi sulla sua borsa aperta e sul suo portafoglio svuotato. Arrossisce per la rabbia e apre la bocca per parlare, ma si blocca all'istante non appena nota la fotografia che tengo tra le mani. Batte le palpebre e chiude lentamente le labbra, deglutendo più volte e rinunciando a sgridarmi.

Adesso, io mi sento ancora più confuso. Perché non mi rimprovera? Non è da lei rimanere così calma. Il silenzio intorno a noi è così imbarazzante che mi spinge a parlare.

«Mamma, io...»

Senza nemmeno lasciarmi finire, lei mi strappa la fotografia di mano e se la stringe al petto come se fosse un oggetto prezioso.

«Non dovresti frugare tra le cose degli altri.» sibila.

La sua espressione sconvolta mi turba: non ho mai visto mia mamma in quello stato e non so esattamente come comportarmi.

«Scusa, mamma.» mormoro.

Lei annuisce, come a dire che ha capito e mi guarda negli occhi.

«Perché stavi rovistando nella mia borsa?»

Sento la mia faccia andare a fuoco, sentendomi terribilmente in colpa. Come posso cavarmela, questa volta?

Sto giusto per rassegnarmi all'idea di dovermene stare in punizione, quando le parole di mia madre mi sconvolgono.

«Vuoi davvero andare a quella festa, non è così?» domanda.

Il suo tono è stranamente calmo e la sua voce trema leggermente.

«Ci voglio andare.» mugolo.

Mi arrabbio con me stesso per il tono lamentoso che mi è uscito, ma non ci posso fare niente. La mamma sospira e, sempre stringendo la fotografia contro il petto, mi dà le spalle.

«E va bene, Roberto.»

«Che cosa?»

Non posso credere a quello che ho appena sentito. Che sia impazzito per l'ansia?

«Ti do il permesso.» spiega la mamma senza guardarmi «Ma ti prego di non toccare l'alcool, per lo meno.»

Sono stranito. Mia madre che cambia idea così all'improvviso? E, soprattutto, non mi punisce dopo aver cercato di rubarle dei soldi? Temo seriamente che il mondo stia per finire, ma ora come ora non mi importa. D'impulso, l'abbraccio da dietro e strillo per la gioia.

«Grazie, mamma! Ti voglio bene, sei la migliore!»

«Anche io ti voglio bene, Roberto.» bisbiglia.

Scappo in camera mia, terrorizzato al pensiero che possa cambiare idea, afferro il cellulare e mando un messaggio a Valeria, confermandole la mia presenza alla festa.

Mi lascio cadere supino sul letto, mentre un sorriso ebete mi piega la bocca. Tutto il resto si dissolve: non sono più arrabbiato con mamma e non voglio più fare i dispetti a papà, non mi interessa neanche di scoprire qualcosa sullo sconosciuto della foto che si chiama come me. Tutto quello che conta, in questo momento, è la festa. 

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