15.Devo toglierti il casco

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Appena Jack ritorna, ci dirigiamo verso una piccola osteria lì vicino.
L'edifico è una semplice struttura in mattoni, l'esterno è abbellito da dei rampicanti lungo il contorno della porta e da due grossi barili di legno con sopra impresso il nome dell'osteria.

Appena entriamo ci accoglie un ragazzo e ci fa sedere in un tavolo vicino alla vetrata, così da permetterci di godere del passaggio delle macchine.
L'interno è molto carino e accogliente, alle pareti ci sono molte cornici con dentro delle foto di persone, paesaggi e dell'osteria nel corso degli anni.
I tavoli sono apparecchiati con: una semplice tovaglietta di carta, posate, tovaglioli e bicchieri.
Dopo aver ordinato, Jack apre il discorso.
"Allora come si sta comportando il ragazzo?"
"Per ora bene" dico guardando il diretto interessato.
"Sono perfetto" commenta il moro sorridendo.
Jack ride. "Sono felice di vedere che sei rimasto modesto".

Il pasto prosegue tra una chiacchiera e l'altra. Jack mi racconta alcune delle loro avventure, come quella nella galleria d'arte.
"Il ragazzino se la stava facendo sotto"
"Credo tu ti stia confondendo su chi se la stava facendo sotto" commenta Jan sorridendo.
"Comunque ci siamo finti, lui un pittore famoso ed io il suo assistente, e siamo entrati riusciti ad entrare a questa mostra molto esclusiva. Dovevi vedere come le persone lo idolatravano, senza nenache sapere quali fossero i suoi quadri"
"Uno mi ha anche promesso che mi avrebbe chiamato per comprare un mio dipinto" commenta Jay ridendo.
"Vero, mi sono divertito da matti quella sera" dice Jack sorridendo.
"Beh anche la gita dai tuoi nonni non è stata da meno".
"Oddio è vero, quelli sono stati i tre giorni più belli della mia vita. Abbiamo fatto bungee jumping da un ponte e poi rafting sulle rapide di un fiume" ricorda Jack.

I due continuano a rivangare i vecchi tempi, fino alla fine del pranzo.
Nonostante abbiano parlato prevalentemente loro due, non mi sono mai sentita esclusa o di troppo, semplicemente mi sono goduta i racconti e le espressioni felici di Jay.

All'uscita dell'osteria, salutiamo Jack e ci avviamo verso la macchina.
Usciamo da quel luogo isolato e ci inoltriamo in una piccola cittadina, per poi iniziare a percorrere varie strade, che ci conducono tra meravigliosi condomini, fino ad arrivare davanti ad un'imponente palazzo, che sembra fatto in marmo.
"È la mia galleria d'arte preferita" dice Jan prendendomi per mano.
"Entriamo?".
Lui annuisce.
All'ingresso ci accoglie una signora dal sorriso smagliante. Ci lascia due opuscoli e poi ci dice di seguire il percorso segnato di blu, così da vedere tutte le opere.

Jan mi trascina subito verso l'ultimo piano, senza seguire il percorso.
"Questo è il mio piano preferito" dice portandomi al centro dell'enorme stanza.
"Wow" dico osservando i vari quadri.
Sono in bianco e nero, la maggior parte rappresenta delle persone, mentre gli altri rappresentano dei paesaggi inventati.
"Sono bellissimi". Mi avvicino ad un quadro che raffigura una donna girata di spalle, non so perché ma mi attira.
"È il mio preferito" Pronuncia Jan vicino al mio orecchio.

Dopo aver ammirato tutti i quadri di questo piano, passiamo ai piani inferiori, dedicando, però, meno attenzione. Infatti ogni tanto con una scusa o un pretesto, Jay, mi bacia o mi avvolge tra le sue braccia, facendomi perdere per alcuni istanti il contatto con la realtà.

Finito di visitare il museo, ci dirigiamo verso la macchina per tornare a casa.

Poco prima di arrivare a destinazione, mi arriva un messaggio da John.

Mercoledì c'è una competizione.

A che ora?

L'una.

Dove?

In una fabbrica abbandonata.

Ci sarò.

"Era John?" Chiede Jan accostando davanti a casa mia.
"Si, mercoledì c'è una gara". Mi slaccio la cintura e lo guardo.
"Okay, ci vediamo sta notte". Mi sorride e lentamente si avvicina a me, facendo combacia perfettamente le nostre labbra.

Appena arriviamo nel luogo della gara, l'ansia inizia a farsi strada dentro di me.
Vedo la macchina grigia della scorsa gara, e colui che la guida mi fa un sorriso inquietante.
"Vuole solo spaventarti, tu concentrati ed andrà bene" dice John mettendomi una mano sulla spalla.
Io annuisco e poi guardo Jan.
La sua presenza è meglio del migliore tranquillizzante in commercio, so che se c'è lui i miei problemi e le mie ansie possono prendersi una pausa, perché sono nel mio posto sicuro. Per molti il posto sicuro è un luogo o magari qualcosa di meno strutturato come un libro ma per me è una persona, so che può essere pericoloso, perché se quella persona se ne va tu sei spacciato, ma non credo di essermi mai sentita così con nessun altro o in nessun altro posto.

Salgo in macchina e non appena fanno il via premo l'acceleratore con tutte le mie forze.
Mi ritrovo quasi subito in terza posizione, cosa abbastanza strana, ma procedo, comunque, a superare la macchina davanti a me.
I miei sforzi si rivelano inutile, visto che dopo poco la macchina davanti a me va in avaria e si schianta contro una colonna di cemento.
In questo momento la mia adrenalina è alle stelle.
Mi preparo, come da manuale, per superare la macchina davanti alla mia, ma da dietro una macchina gialla mi colpisce.
Fortunatamente il suo colpo mi sposta di poco, ma mentre cerco di rimettermi in assetto, senza che possa impedirlo, la macchina mi colpisce una seconda volta.
Vado fuori strada, sbattendo la fiancata destra contro un pilastro di cemento.
Ho male al petto per via della forte pressione che la cintura ha esercitata il mio petto, ma non mi do per vinta.
Mentre cerco di ritornare in pista, vedo la macchina grigia che viene a tutta velocità verso di me. Cerco di spostarmi, ma la macchina non vuole collaborare, nonostante spinga l'acceleratore a tavoletta, la macchina non si muove.
Vedo i fari della macchina grigia a pochi metri da me, l'unica cosa che mi viene da fare è accucciarmi il più possibile. So che probabilmente non ne uscirò viva, l'unica cosa che mi viene da fare è pensare ai momenti più felici della mia vita, così da attenuare un po' la paura.
Mi colpisce a tutta potenza sul lato sinistro, dove io sono accucciata.
Sul momento non provo niente, sembra come se il tempo si sia fermato.

In lontananza sento il rumore di una macchina che fa retromarcia.

Mi fa male tutto il corpo, ma il mio istinto di sopravvivenza mi dice che devo uscire dall'auto, così eccomi qua, mezza rotta che cerco di aprire quel che resta della mia portiera.
I miei tentativi risultano inutili, visto che lo sportello è completamente schiacciato.

Lacrime salate iniziano a scendermi lungo le guance.
Ho paura, ma non per me.
Ho paura per i miei genitori, per come la mia probabile morte gli spezzerebbe il cuore. Ho paura per Jay, non posso pensare di farlo stare male.

Voglio uscire da quest'auto ma non ce la faccio, vorrei almeno rivedere un'ultima volta il viso di Jay e dirgli che andrà tutto bene.

Se posso esprimere un'ultimo desiderio è questo: vedere il viso di Jay e poterlo tranquillizzare.

L'ho sempre saputo che sarei potuta morire in una di queste competizioni e l'ho accettato da tempo, ma non sopporto l'idea che Jay o i miei genitori passino il resto della loro vita con i sensi di colpa o a rimpiangermi.

In questo momento mi viene in mente la lettera che avevo scritto per i miei genitori, poco prima della mia primissima gara clandestina.
Mi ricordo esattamente quel giorno, ero un fascio di nervi, a scuola non avevo ascoltato una parola e quando sono tornata a casa mi sono chiusa in camera tutto il pomeriggio, per paura di tradirmi in qualche modo.
Nella lettera ho scritto parole d'affetto e di consolazione, ho cercato di fargli intendere che devono andare avanti anche senza di me e che in modo o nell'altro devono essere felici e di non imputarsi colpe che non hanno.

L'ho nascosta dietro una foto della nostra famiglia che ho sulla scrivania, ho pensato fosse un posto abbastanza facile da individuare, ma ora non ne sono del tutto convinta.
Magari riuscirò a uscirne viva, ma in ogni caso i miei genitori devono avere quella lettera, quindi devo dire a Jan dove trovarla.

Dopo quelli che sembrano anni sento qualcuno aprire la portiera e prendermi in braccio.
"Jan" sussurro.
"Va tutto bene Bee, ora ci sono io". Lasua voce trema.
"Devo toglierti il casco" dice slacciandolo.
"No" sussurro mentre lui me lo sfila dalla testa.
"Va tutto bene".
"Lettera...scrivania...foto di famiglia" mormoro con la gola secca.
"Bee non capisco"
"Dillo a mamma e papà"
"Bee non capisco. Per favore resta con me".
Nella mia mente riesco ad organizzare delle frasi per spiegargli meglio la situazione, ma dalla mia bocca non esce altro che un sibilo quasi impercettibile.
"Per favore Bee" queste solo le ultime parole che sento prima di cadere nelle tenebre.

Mi sveglio con le braccia pieni di tubicini, una gamba ingessata, un gran mal di testa e un dolore acuto alle costole.
"Tesoro sei sveglia" dice mia madre abbracciandomi, stando attenta a non stringermi troppo.

Sul momento non capisco il motivo per il quale sono qui, ma appena incrocio lo sguardo di Jay mi torna in mente la gara e l'incidente.
"Ma come ti è saltato in mente di fare delle corse clandestine?" esclama mia madre piangendo.
Non rispondo, semplicemente tengo lo sguardo fisso su Jay.
Ha il viso stanco, accentuato da due enormi occhiaie e gli occhi rossi che suppongo siano dovuti al pianto.
"Baylee, stavi per morire lo capisci vero?!" Dice mia madre cercando di mantenere una voce bassa.
Annuisco.
"Cosa pensavi di fare con quella lettera, che grazie a quella io e tuo padre saremo vissuti felici e contenti?! Tu non sai come ci ha fatto sentire il fatto che nostra figlia avesse scritto una lettera per la sua morte. Nel momento in cui l'ho letta ed ho capito che tu eri pronta a morire solo per guidare una stupida macchina, è come se un pezzo di me fosse morto".
"Non è solo il fatto di guidare una macchina mamma, è il modo in cui mi fa sentire, libera e forte"
"E non ci pensi al modo in cui ci siamo sentiti noi, quando Jaydan ci ha chiamati e ci ha detto che ti stavano portando in ospedale in fin di vita, a questo non ci pensi?!" Esclama arrabbiata.
"Mi dispiace". Non c'è la faccio a guardarla negli occhi, per cui poso il mio sguardo sul gesso che ho sulla gamba.
Dopo qualche attimo di silenzio sento il suo sguardo insistente sulla mia figura.
"Promettimi che non farai mai più".
"Te lo prometto". Alzo le runa frazione di secondo il mio sguardo su di lei le lancio e vedo tutto il dolore che si porta dentro, cosa che mi fa sentire ancora peggio di come non stia.
"È meglio se noi usciamo un'attimo" dice mio padre prendendo per mano mia madre.

"Jan" sussurro.
Lui si avvicina e sfiora la mia mano con le sue dita.
"Mi dispiace tanto" dico con le lacrime agli occhi.
"Lo so". Mi guarda con compassione e dolcezza.
Restiamo qualche secondo in silenzio, poi io mi scosto un po' più in là in modo da fargli spazio sul lettino e lui si sdraia vicino a me, prendendomi tra le sue braccia.

"Ora tutti sanno chi sono, vero?".
Lui annuisce e mi da un bacio sui capelli, mentre le lacrime continuano a scendere lungo le mie guance.

"Da quanto tempo sono qui?" Chiedo alzando il viso per vederlo meglio.
"Quattro giorni"
"Cosa?".
Pensavo fossero passate solo alcune ore, al massimo un giorno ma non quattro.
"Pensavamo non ti saresti più svegliata" dice con gli occhi lucidi, guardando un punto fisso sul muro, come per tentare di trattenere le lacrime.
"Mi dispiace". Gli accarezzo dolcemente il viso con la mano e accenno un sorriso dispiaciuto.

"Come ti senti Baylee?" Chiede un medico entrando nella stanza insieme ai miei genitori.
"Ho mal di testa e mi fanno male le costole"
"È normale, hai un lieve trauma cranico e ti si è incrinata una costola. La gamba invece come la senti?". Il suo sguardo mi percorre attentamente, pronto ad osservare ogni mio movimento.
"Abbastanza bene".
"Perfetto. Dovrai rimanere qui ancora due notti, in modo da poterci accettare che tu stia bene, ma ormai sei fuori pericolo" dice sorridendo.
"Grazie mille Dottor Brown" lo ringrazia mia madre stringendogli la mano.

"Jaydan, potresti lasciarci da soli?" Chiede mio padre guardandomi.
"Si, certo". Mi lascia un tenero bacio sulla fronte e poi si avvia verso la porta.

"Io e tua madre vorremo chiederti le ragioni per cui hai iniziato a correre, è una cosa che veramente non riusciamo a spiegarci" Chiede mio padre avvicinandosi al lettino.
"Ve l'ho già detto, mi fanno sentire libera e forte e poi sono anche molto brava" dico accennando un sorriso. So che non dovrei dire cose di questo genere ma buttarla sull'ironia è l'unico modo che ho per non prendere completamente coscienza di quello che mi è appena successo.
"Sei quasi morta" esclama mia madre piangendo.
"Mi dispiace". Non riesco a guardarla negli occhi, così poso lo sguardo sulle mie mani
"Perché non c'è l'hai detto?" Chiede mio padre mentre abbraccia mia madre.
"Non mi avreste mai lasciato partecipare".
"Magari non a delle competizioni illegali, ma potevamo farti prendere la patente".
"Non l'avreste fatto" dico guardando un punto fisso davanti a me.
"Non è comunque un buon motivo per fare delle corse clandestine" interviene mia madre.
"Mi dispiace" mi limito a dire.
"Ora è meglio se la lasciamo riposare" dice mio padre trascinando fuori dalla stanza mia madre.

Vedo la testa di Jay sbucare dalla porta. "Posso?"
"Si". Mentre si avvicina alzo lo schienale del letto, in modo da poter stare seduta.
"Non è andata molto bene eh?!" Dice prendendomi le mani.
"Da cosa l'hai capito?" Chiedo sforzandomi di sorridere.
"Mi dispiace tanto". Il suo sguardo è fisso sulle nostre mani.
"È successo qualcosa al tipo che mi ha colpita?" Chiedo guardandolo.
"Essendo corse illegali no e non si è fatto niente neanche a livello fisico, o almeno non per via dell'incidente" sussurra guardandomi.
"L'hai picchiato?".
"Avrei voluto ma dovevo starti vicino, ci hanno pensato Trent e molti fan incazzati a conciarlo per le feste".
"Allora poi dovrò ringraziarli" commento sorridendo, nonostante abbia un peso sullo stomaco che non ne vuole sapere di andare via.

Lentamente, accucciata tra le braccia di Jan, mi lascio andare al sonno.

Mentre sono in ospedale, mi arrivano: un sacco di lettere di fan che mi augurano una pronta guarigione, richieste di amicizia sui social e messaggi da compagni a cui non ho mai rivolto la parola.
Jan viene entrambi i pomeriggi, dopo la scuola, e mi racconta quello che sta accadendo.
"Ti hanno tappezzato l'armadietto di bigliettini, foto, fiori e anche peluches" dice sorridendo.
"Non vedo l'ora di tornare" rispondo ironica.
"Non sarai da sola". Mi stringe la mano e mi guarda pieno di fiducia.
"Lo so. Grazie" dico per poi baciarlo.

Spazio autrice

Che ne pensate di questo capitolo?
Credo sia la cosa più struggente che abbia mai scritto fino ad ora, quindi spero sia venuta bene.

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