Capitolo 18 - Incontri Inattesi

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Uscii di casa e cominciai a girovagare fuori per sfogarmi. Mi recai al parco che si trovava vicino casa nostra e mi sedetti su una panchina, ripensando alla discussione che avevamo avuto io e Amelie.

Forse... Amelie aveva ragione? Sto davvero esagerando con tutto e tutti? Sto davvero impazzendo?

Ripensarci mi rendeva solo più nervoso, quindi mi alzai dalla panchina e mi allontanai dal parco... girovagando senza meta.

Ma poi, qualcosa cominciò a circolare nella mia mente.

- ... e se chiamassi Amelie al telefono per scusarmi? No, Jacob... non ti ascolterebbe. Anzi, rifiuterebbe subito la chiamata... L'ha detto lei stessa. Non vuole vedermi nè sentirmi. - pensavo, continuando a camminare senza una destinazione precisa da raggiungere.

Nonostante ciò, ci ripensai. Me ne fregai di quello che Amelie mi aveva detto prima che uscissi fuori di casa e, facendomi coraggio, decisi di chiamarla.

- Ah, fanculo. La chiamo. Dov'è il telefono? Eccolo. Allora... Amelie... cazzo... devo farcela. Fatti coraggio, Jacob. Ok. Perfetto. Sta squillando... Jacob, stai calmo...

Afferrai il telefono e feci partire la chiamata. Posizionai il telefono vicino all'orecchio destro, ma non sentivo niente. Non sentivo neanche squillare.

- Ehm... Amelie, hai risposto alla chiamata, o... sto parlando da solo...?
- ... sì, ti ho risposto. - affermò freddamente.

Ok, lo ammetto. Quando Amelie mi rispose, avevo una paura matta.

- Oh, o-ok. Ok...
- Cosa vuoi, Jacob? Sbaglio o ti avevo detto di sparire?
- S-Sì, è vero, hai ragione... Ecco, volevo chiederti scus...
- Scordatelo. Non avrai le mie scuse. Adesso lasciami in pace.
- Aspetta, Amelie!

Chiamata riagganciata.

- Ma che stronza! Ok, forse adesso sto esagerando. Datti una calmata, Jacob... - dissi facendo un respiro profondo.

Non sapevo che fare. L'unica idea che mi venne in mente fu quella di ritornare a casa tranquillamente facendo finta di niente e ignorando Amelie. Ma proprio quando decisi di incamminarmi verso casa mia, ecco che sento il telefono cominciare a squillare.

- Cosa? E chi è, adesso? Oh, la mamma. La mamma?!

Risposi immediatamente alla chiamata.

- Pronto, mamma?
- Jacob! Scusa se ti disturbo, ma dovresti farmi un enorme favore!
- No, non disturbi. Tranquilla, dimmi pure.
- Oh, sembri particolarmente gentile. Strano...
- Oh, sì! Non puoi capire quanto sono gentile in questo momento, guarda...
- Che hai detto?
- ... niente. Dimmi, cosa vuoi che faccia per te?
- Allora, avrei bisogno che tu andassi al centro commerciale che si trova vicino casa nostra.
- Oh, no... cazzo, e va bene...! Cosa ti serve?
- Dovresti comprare due quaderni e un pacco di penne per la scuola, circa sei bottiglie d'acqua e le medicine per papà.
- Va bene. Aspetta, ma con quali soldi compro questa roba?
- Hai con te la giacca di pelle nera?
- Beh, sì. Perché? - chiesi confuso.
- Perfetto. Ho messo nella tasca destra della giacca un po' di soldi che ti serviranno per prendere le cose che ti ho chiesto.

Controllai la tasca della giacca e notai che lì c'erano davvero dei soldi, infilati lì dentro sicuramente non da me.

- Ah, sì. Li ho trovati. Va bene, allora mi dirigo verso il centro commerciale.
- Ma hai capito quale centro commerciale intendo, giusto?
- Certo. Il "Westminster's Crown", dico bene?
- Esatto! Allora si può ancora contare su di te. Beh, qualche volta...
- Sì, sì... Oh, ascolta. Se dovessi parlare o vedere Amelie... sappi che è un po' nervosa. Ecco, in tal caso... lasciala perdere, va bene?
- Jacob... cos'hai combinato stavolta?
- N-Niente! Ha fatto tutto lei...
- Ah, Jacob... da quando andate alla High School vi litigate di continuo voi due! Ma volete smetterla?
- Ehm, mamma... non ti sento bene... mamm... no... ti... sen...

Feci finta di non riuscire a sentirla e chiusi immediatamente la chiamata, per risparmiarmi l'ennesimo rimprovero, come se già non ne avessi ricevuti abbastanza solo da parte di Amelie.

Corsi quindi al centro commerciale indicatomi da mia madre. Fortunatamente, non c'era molto casino. D'altronde, era ancora lunedì.

Entrai lì dentro e cominciai a chiedermi...

- Mh, prendo prima le bottiglie d'acqua o le cose per la scuola? O le medicine per papà? Nah, quelle all'ultimo. Vediamo cosa c'è qui vicino... oggetti per la scuola. Perfetto, cominciamo da qui. - affermai cominciando a camminare a passo veloce.

Non avevo alcuna intenzione di perdere troppo tempo lì dentro, complice anche l'eccessivo caldo che c'era in quel momento all'interno di quel grosso edificio.

Presi i due quaderni che la mamma mi aveva chiesto di comprare... ma non mi aveva detto se dovevo prenderli a righe o a quadri.

- Cazzo, ma vedi un po' tu... aspetta che chiamo la mamma... Madre, mi senti? - parlai da solo afferando il telefono.
- Sì, Jacob. Che c'è? Stai avendo già problemi?
- Beh, mi hai detto di prendere due quaderni per me e Amelie, ma non mi hai detto se prenderli a righe o a quadri...
- Oddio, vero! Fai così, prendine due a quadri e due a righe, va bene?
- Ok... e le penne dove si trovano?
- Dovrebbero essere alla tua destra, vicino ai quaderni.

Mi girai a destra e, oltre a vedere le penne, intravidi una figura femminile a me familiare...

- Ma quella ragazza coi capelli rossi... cazzo, ma è Beatriz!
- Cosa, Jacob? Non ti ho chiesto la tinta per i capelli rossi!
- Mamma, ma che hai capito... dicevo le penne rosse! Eh, sì... le prendo pure alcune penne rosse, no? Che dici? - mi giustificai andando nel panico.
- Beh, visto che ci sei... ma sì, dai.
- Perfetto. Ehm, io chiudo e finisco di prendere tutte le cose che mi hai chiesto. A presto, mamma!
- Aspett...

Troppo tardi. Avevo ormai chiuso la chiamata. Sì, ero nervoso. E anche molto.

Beatriz era là e non sapevo come comportarmi.

- Jacob, Jacob... stai calmo. Fai finta di non averla vista. Girati, girati... voltati indietro... prendi le penne, e... keep calm. - continuai a parlare da solo.

Una volta presi i quaderni e le penne che la mamma mi aveva chiesto, mi allontanai dal reparto e mi diressi a prendere le bottiglie d'acqua. Ma poi...

- Ehi, aspetta! - sentii una voce provenire da dietro di me.
- Cazzo, mi ha visto... e adesso come mi comporto?
- Ma tu sei... Jacob!
- Beatriz... ciao! Esatto, sono io. - la salutai un po' in imbarazzo.
- Ci siamo conosciuti solo oggi a scuola ma già ci siamo incontrati... così, per caso! - mi disse.
- Beh, sì, lo vedo! Effettivamente è molto strano...

Cazzo, quanto ero imbarazzato in quel momento. Non sapevo proprio che dire. L'avevo conosciuta solo qualche ora fa, ma già mi trasmetteva qualcosa di particolare. Qualcosa che non riuscivo neanche a capire cosa fosse.

- Mamma, lui è Jacob Johnson. Ho fatto amicizia con lui stamattina a scuola!
- Salve, signora. Ah, Beatriz, siamo già... amici...?

Lei mi diede una spinta sul braccio e mi fece un occhiolino.

- Volevo dire... sì, certo! Siamo diventati subito amici. Signora, sua figlia è adorabile.
- Mi fa molto piacere che mia figlia abbia già fatto amicizia con qualcuno qui a Londra, Jacob. Non so se lo sai, ma ci siamo appena trasferiti qua a Westminster dalla Spagna.
- Sì, signora. Me ne ha già parlato Beatriz stamattina.
- Madre, io vado a fare un giro veloce con Jacob. Appena dobbiamo andare a casa mi chiami al telefono e arrivo subito!
- Va bene, tesoro.

Beatriz mi prese per mano e corse con me fuori dal reparto.

- Beatriz, ma cosa...

Non feci in tempo a finire la frase che lei mi tappò la bocca, come fece a scuola, e cominciò a fissarmi con i suoi limpidi occhi verdi e il suo meraviglioso sorriso.

- Shh! Voglio solo passare un po' di tempo con te! Voglio conoscerti, Jacob.
- Beh, se devo essere onesto... anche a me farebbe tanto piacere conoscere te, Beatriz. - affermai con le guance diventate leggermente rosse.
- Oh, e come mai? - mi chiese curiosa, sorridendo come al solito.
- Eh... fai conto che è da tre anni che non faccio e non voglio fare amicizia con nessuno. Ma con te... è diverso. Non sei come gli altri. Forse non puoi capirmi...
- Ti senti circondato da stronzi, vero? Come quello di oggi...
- Sì, Zach. Ma come...
- Posso comprenderti.

Come diamine faceva una ragazza così solare e felice a comprendere realmente un ragazzo depresso, nervoso e solitario come me? Mai ci fu qualcuno che riuscii veramente a comprendermi... tranne lei.

- Non pensavo che una ragazza... sai, così gioiosa come te potesse vedere gli altri così come li vedo io.
- Beh, cerco di andare avanti, sorridendo! Ma lì fuori c'è comunque brutta gente... a proposito di quello lì, Zach Bailey...
- Sì, me l'ha detto anche mia sorella Amelie, potevo evitare...
- Macché! Sei stato grandioso, Jacob!
- Dici davvero? - domandai stupito.
- Certo! Perché mai dovresti soffrire restando in silenzio solo perché lui è uno stronzo arrogante, mentre lui fa quello che gli pare?!

Ero felicissimo. Finalmente, avevo trovato qualcuno che vedeva la realtà come me.

- Oh, vedo che ho fatto tornare il sorriso a qualcuno! - esclamò Beatriz gioiosa.
- Ehm, ma no, ma che dici? - le risposi cercando di non darle soddisfazione.
- Certo, come no. E hai pure le guance rosse!
- Oh cazzo...
- Oh cazzo sì, Jacob, ti ho fregato! - disse scoppiando a ridere.
- E va bene, hai vinto tu! - le dissi arrendendomi.
- Oh, che tesoro che sei!
- E perché mai dovrei esserlo? - chiesi dubbioso.
- Che t'importa? L'importante è che lo sei!

Mentre camminavamo insieme, continuavo a guardare il suo meraviglioso volto. Quei suoi occhi dolci, quel suo sorriso... straordinario.

- Oh, Jacob! Mia madre mi sta chiamando al telefono... devo andare.
- Ah, va bene. Allora... ci vediamo domani a scuola, giusto?
- Ovvio! E pretendo che tu mi faccia fare un tour completo della scuola!
- Ma chi, noi due... insieme, dici?
- Beh, direi di sì! Adesso devo andare, Jacob. A domani!

Beatriz mi salutò venendomi a dare un profondo bacio sulla guancia. Sembrava quasi volesse mangiarsela. Quando mi diede quel bacio, mi sussurrò una cosa all'orecchio.

- E ricorda, Jacob... io vinco sempre!

Si stava allontanando da me, ma si girava continuamente per guardarmi, come se non volesse assolutamente perdermi di vista.

Quanto era dolce quella ragazza. Mi ricordava i bei tempi che avevo passato con Sarah... quando le cose andavano ancora bene.

Ma io non avevo ancora finito. Dopo aver preso le bottiglie d'acqua, dovevo ancora passare in farmacia per comprare delle medicine per mio padre. Gli incontri non erano ancora finiti. Ce ne fu un altro, anche se piuttosto... strano.

Arrivato lì, vidi che c'era solo una persona davanti alla cassa, quindi presi le medicine e andai a fare la fila. La persona che era davanti a me indossava una giacca scura e aveva il volto quasi completamente coperto dal cappuccio.

Quando arrivò il mio turno... accadde qualcosa di strano.

- Salve. Prendo queste, grazie. - dissi al farmacista che stava alla cassa.

La persona che aveva comprato delle medicine prima di me si girò appena sentì la mia voce e cominciò improvvisamente a fissarmi da lontano. Non riuscivo a capire neanche se era un maschio o una femmina. Sembrava essersi vestito/a così apposta per non farsi... "identificare".

Così, decisi di avvicinarmi a quella figura misteriosa.

- Ehi... ma ci conosciamo, per caso? - chiesi a quella persona.

Rimaneva in silenzio e aveva lo sguardo rivolto verso il basso. Decisi di lasciare stare e mi allontanai dirigendomi verso l'uscita.

Quando ero ormai vicino all'uscita del centro commerciale, notai che quella persona continuava a seguirmi. Ma fortunatamente, appena arrivai fuori, smise di seguirmi e cominciò ad allontanarsi.

Chi poteva mai essere? Era come se volesse parlarmi... ma allo stesso tempo non ne aveva il coraggio.

Ero un po' preoccupato, ma non ci feci troppo caso. Grazie a Beatriz, mi sentivo bene. Non riuscivo a sentirmi così da anni.
Sembrava fosse stata capace di purificare finalmente il mio, ormai, dannato animo.

Lei era riuscita a trasmettermi qualcosa che non provavo da tanto tempo... la beatitudine.

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