Capitolo 37 - In Volo

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Dopo circa quindici minuti di strada trascorsi in macchina, i miei genitori e mia sorella riuscirono a farmi arrivare in tempo all'aeroporto, dove l'aereo prenotato da noi sarebbe partito verso Madrid, la città natale di Beatriz.

Ero davvero esaltato dall'idea che presto sarei uscito dal mio luogo di origine, Londra, e avrei finalmente potuto vedere coi miei stessi occhi delle nuove terre, che fino a quel giorno avevo solo avuto la possibilità di ammirare per mezzo della televisione o del telefono.

Perché sì, avete capito bene, io non ero mai uscito fuori da Londra. La principale motivazione? Beh, i miei genitori.

Loro erano la classica coppia di marito e moglie che si preoccupa sempre dei propri figli, ma forse fin troppo. Così tanto che ogni volta che io e mia sorella gli chiedevamo disperatamente di andare a visitare qualche quartiere di Londra che non fosse ovviamente quello in cui già abitavamo, Westminster, loro ci proibivano di allontanarci troppo dalla nostra casa anche facendo uso di minacce, come ad esempio: vietarci di andare a casa di alcuni amici, precluderci il cellulare, forse la minaccia più paurosa, e altre varie punizioni che non sto qui ad elencarvi.

No, non sto scherzando.

Già, i nostri erano dei genitori davvero molto, anzi direi troppo iperprotettivi, anche se comunque si comportavano così solo per il nostro bene.

Da bambino avevo un sogno molto particolare, sapete? Ovvero... visitare la Spagna.

Anche se probabilmente prima non ve l'ho detto... beh, adesso lo sapete. Questo è un altro motivo per il quale considerai l'entrata di Beatriz nella mia vita come una vera e propria mannata dal cielo.

Quando la incontrai per la prima volta... cominciai davvero a pensare che la vita mi stesse dando un'altra possibilità. Una seconda chance per ricominciare da capo e per rimediare gli sbagli fatti, andando avanti a testa alta e senza guardare mai indietro, eccetto per migliorare dagli errori che abbiamo commesso in passato.

Di quali errori stai parlando?
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Basta... basta. Esci dalla mia testa.

Non ti libererai tanto facilmente di me.
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Vai a fanculo.

Okay... okay.

Sembra essersene andata... per ora.

Se c'era un quartiere di Londra che avrei davvero tanto voluto visitare... quello era Greenwich. Penso proprio che quello sia uno dei migliori quartieri londinesi, sibito dopo Westminster.
Chissà, magari in qualche futuro giorno avrei avuto la possibilità di esplorarlo. Ma se ci finirò... cosa sarà a portarmi lì?

Basta, è troppo presto... oltretutto, è anche inutile fare queste supposizioni. Continuiamo da dove ci siamo fermati, prima che sia troppo tardi.

La famiglia spagnola era già arrivata lì all'aeroporto da molto prima, così, appena uscii dall'auto di mio padre, corsi ad aprire il bagagliaio della macchina per recuperare la mia valigia e subito dopo mi diressi verso Beatriz.

- Eccolo qui, il ragazzo inglese per eccellenza! - urlò lei davanti ai suoi genitori, che si trovavano dietro di lei.

A quella sua esclamazione, seguì un terribile arrossire delle mie guance. Non conoscevo ancora i suoi genitori, e non avevo idea di cosa loro pensassero di me e loro figlia.

- Ehm, sì, Beatriz! Eccomi... - impappinai le parole per l'imbarazzo del momento.

- Dai, su, non fare così! Avanti, vieni qui!

Beatriz mi afferrò per il braccio destro e mi portò dai suoi genitori, mentre avevo l'altro braccio impegnato a trasportare il pesante bagagliaio che avevo preparato piena di roba occorrente per il viaggio che avremmo fatto.

- Mamá. Papá. Lui è Jacob Johnson, il ragazzo di Westminster di cui vi ho parlato, che conosco da quasi tre anni.

- Salve, signori. È un immenso piacere per me conoscervi. - dichiarai cercando di fare una bella figura, almeno con i genitori dell'amica a cui tenevo di più in quel momento.

- È un piacere nostro fare la tua conoscenza, Jacob. Noi siamo...

Beatriz intervenne e fece chiudere improvvisamente la bocca a suo padre, toccandolo per le spalle.

- Non c'è tempo per le presentazioni, l'aereo sta per partire. E potrebbe farlo anche senza di noi, quindi... noi due dobbiamo scappare!

- E va bene, alle presentazioni ci dedicheremo la prossima volta. - disse suo padre.

- Divertitevi, ragazzi. Voi che almeno avete questa possibilità. E... Jacob. - mi chiamò sua madre.

- Sì, signora?

- Affidiamo Beatriz nelle tue mani. Confidiamo su di te.

Inizialmente non riuscii a capire il perché di quelle parole, ma per continuare a mostare un'adeguata e bell'apparenza davanti a loro decisi comunque di annuire, cercando di guadagnarmi la loro fiducia nei miei confronti.

- State tranquilli, vostra figlia è in buone mani. - li rassicurai.

- In realtà, sei tu ad essere in buone mani! - si immischiò Beatriz.

- Sì, certo. - dissi facendo una risata - Adesso è meglio che scappiamo. Arrivederci, signori!

Mentre stavo per dirigermi verso l'aereo, Amelie si avvicinò a noi, con uno sguardo che sembrava quasi essere amareggiato.

- Arrivederci anche a te. - enunciò mia sorella, sentendosi totalmente esclusa dalla conversazione.

- Dannazione, che idiota. - riferii a me stesso - Ciao Amelie, ciao mamma, ciao papà!

Salutai alla mia famiglia in fretta e furia, visto che l'aereo stava per partire senza di noi, e mi fiondai come un disperato insieme a Beatriz al suo interno.

Lì dentro era pieno di passeggeri e la maggior parte dei post era già occupata. Beatriz si sentiva molto confusa per la gran confusione, così l'afferrai per la mano e mi diressi con lei in fondo all'aereo, verso gli ultimi posti, con la speranza di trovare quelli ordinati prima da noi. Fortunatamente, trovammo subito un'hostess a nostra disposizione che ci fece trovare i posti a noi riservati e, dopo aver fatto quella lunga camminata andata avanti con difficoltà per la quantità di persone che si trovavano lì riunite insieme alla rinfusa, riuscissimmo finalmente a sederci.

- Finalmente ce l'abbiamo fatta! Umpf, non pensavo ci fosse così tanta gente a Westminster col così enorme desiderio di visitare Madrid. - affermò Beatriz dando un'occhiata al suo zaino per assicurarsi che ci fosse tutto il necessario.

- Beh, penso proprio che non siamo i soli a voler viaggiare fuori da Londra, visto anche il periodo estivo. - replicai, mentre davo un'occhiata alle persone che si trovavano intorno a noi.

- Non ci posso ancora credere. Sto tornando davvero a casa mia... a Madrid! Ma ti rendi conto, Jacob?

L'esaltazione di Beatriz venne presto interrotta dalla voce di un'altra hostess, che stava per avvertire i passeggeri dell'imminente partenza dell'aereo tramite il microfono.

- Signori e signore, speriamo che l'aereo sia di vostro gradimento, come speriamo che lo sarà anche il viaggio stesso. Vi preghiamo di sedervi ognuno al proprio posto, in quanto l'aereo partirà verso Madrid entro due minuti esatti. Siete esortati nuovamente a prendere posto. Vi ricordiamo che, se avete qualsiasi tipo di problema, siete liberi di chiedere aiuto. Una delle nostre hostess sarà molto lieta di aiutarvi.

- Io avrei un po' di fame... - sussurrai a Beatriz.

- Diamine, sei il solito. - rispose lei - Prima aspetta che l'aereo parta, e poi potrai chiedere quello che ti pare.

Nell'attesa che l'aereo partisse, Beatriz frugò attentamente nel suo zaino e da questo estrasse il telefono e le sue, da lei inseparabili, auricolari.

- C'è più musica spagnola o inglese salvata nella tua playlist, Beatriz? - domandai per la noia.

- Tira ad indovinare. - rispose lei sorridendo e sistemando per bene i suoi capelli rossi.

- Ho capito. Noi inglesi abbiamo la musica migliore, lo so.

- Macché! In realtà...

Beatriz sobbalzò dal posto appena sentì la mia affermazione, ma proprio in quel momento percepimmo i motori dell'aereo cominciare a riscaldarsi e il microfono del velivolo riaccendersi.

- Gentili signori e signore, è tutto pronto. I motori sono accesi e l'aereo partirà esattamente tra dieci... nove... otto... sette... sei... cinque... quattro... tre... due... uno...

Buon viaggio, Jacob.
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- Partiti! Da Westminster verso Madrid, l'aereo è partito. Ripeto: l'aereo è partito, da Westminster verso Madrid.

Finalmente, dopo quel conto alla rovescia che sembrava essere interminabile, eravamo davvero partiti verso la Spagna. La mia esaltazione era palpabile, aspettavo questo momento da una vita intera. Stavo davvero abbandonando la mia città e dirigendomi in terre straniere... non riuscivo ancora a crederci. Il sogno che avevo sempre tenuto da bambino si stava finalmente avverando.

- Siamo in volo, Jacob! Oddio, non vedo l'ora di guardare la tua faccia appena arriveremo a Madrid! Lì ci sarà da divertirsi, cazzo! - urlò Beatriz posizionando le auricolari alle orecchie.

- Non vedo l'ora! Aspettavo questo momento da tantissimo tempo. Ehi, mi senti? Beatriz?

Ormai Beatriz si era diretta nel suo mondo, facendosi avvolgere dalla musica che risuonava nelle sue orecchie.

- Anche se non mi starai sentendo, Beatriz... grazie. Grazie di tutto. Ti devo la vita. - le dissi guardando il suo dolce sorriso e i suoi occhi tenuti completamente chiusi.

Subito dopo quel breve momento dolce, sentii qualcuno toccarmi la spalla da dietro.

- Ehi. Ehi, ragazzo! Non penso che la tua ragazza ti stia ascoltando, si sente la sua musica spagnola del cazzo fin da qui! - bisbigliò alle mie orecchie un signore che si trovava seduto sul posto dietro di noi - Vedevo che stavi cercando di parlarle, e...

- Si faccia i cazzi suoi, per cortesia. Grazie. - lo fermai - Aspetta, che cos'ha detto?!

- Ho detto che è possibile capire che è impegnata ad ascoltare la musica fin da qui. E che...

- No, no, no. Quello che hai detto prima! - esclamai.

- Oh. Ehm... intendi quando ho detto che la tua ragazza non ti sta minimamente ascoltando?

- Argh, merda.

Quel signore era realmente convinto che io e Beatriz fossimo fidanzati. Dei ragazzi innamorati... umpf. Sì, certo. Lo sembravamo essere davvero così tanto?

- Noi non siamo fidanzati, vecchio. - gli riferii freddamente.

- Ehi, ho ancora una buona età! Penso di potere essere considerato ancora giovane... - affermò lui risentito.

- ... dannazione, è un modo di dire. Senta, è stato un piacere fare la sua conoscenza.

Afferrai velocemente il mio zaino e cominciai a cercare disperatamente le mie cuffiette.

- Che voi siate maledetti, adolescenti del cazzo. Scusami, ragazzo. Non pensavo foste solo amici, sai? Eh eh... - cominciò a fare una risata stupida - Ragazzo? Ragazzo, mi senti? Non fare finta di non sentirmi, ragazzo...

Ero riuscito finalmente ad attaccare le cuffiette alle orecchie e a fare partire la mia playlist personale, contenenti tutte le mie canzoni preferite. Quella era una delle poche cose che riusciva a farmi trovare la serenità, conferendomi quindi la prova che essa, forse, non era ancora completamente sparita.

Io ero seduto a fianco del finestrino, in modo tale da potermi godere il magnifico panorama dall'alto. Vedere da così vicino tutte quelle nuvole e sembrare di stare volendo nel cielo riuscì a sanificarmi del tutto la mente. La tristezza, la rabbia, i brutti ricordi del passato... sembravano starsi per affievolire. Peccato solo che questo periodo di relax totale fu molto breve, in quanto ricordai che niente poteva cancellare dai miei ricordi tutti quegli avvenimenti che erano impossibili da cancellare definitivamente.

D'altronde, come ho detto molto prima... la mia è una condanna.
Non posso dimenticare. Sono condannato a ricordare, e a soffrire con esso.

Questa è la tua condanna?
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Mentre continuavo ad ascoltare la mia musica, spesso rivolgevo lo sguardo verso Beatriz. Riuscivo a notare che aveva un magnifico sorriso stampato in faccia e spesso le cadevano delle lacrime dagli occhi. Era molto evidente la sua felicità nel tornare nella propria terra di origine, anche se per poco tempo.

Non avevo fatto colazione quel giorno per la troppa fretta di recarmi all'aereporto e sentii la pancia iniziare a brontolare, così rimossi un attimo le cuffiette dalle mie orecchie e chiamai l'hostess che si trovava più vicina a me.

- Signora! Signora, mi sente?

- Shh! - sussurrò il signore di prima - C'è gente che vorrebbe riposare, qui!

- Oh, bene. Ci mancava solo questa... devo un attimo ordinare qualcosa da mangiare, non entra cibo nella mia pancia da almeno dodici ore! Quindi lasciami in pace, fammi chiamare la signora e poi potrai tornare a fare il tuo pisolino del cazzo, vecchio.

- Ancora che mi chiami "vecchio"? Ti ho detto che... argh, merda.

- Hai qualcos'altro di cui lamentarti? - domandai stressato.

- No, lascia stare. Anzi, guarda, la chiamo io per te. Signora. Signora!

L'hostess, appena udì il signore dietro di me chiamarla, corse subito verso di noi.

- Ci sono, signore. A sua completa disposizione. - riferì la signora cordialmente, avvicinandosi a noi.

- Il ragazzo qui davanti ha fame.

- Sì, grazie... ma potevo avvisarla io, non te l'ho mica chiesto. - precisai con tono minaccioso.

- Cosa desideri, giovanotto? - chiese la signora mantenendo il sorriso, anche se penso che in realtà non stesse riuscendo a comprendere nulla di quello che stava succedendo.

- Avete per caso... ehm, mi ci faccia pensare un attimo...

Il signore, che sembrava si fosse disteso nuovamente sul suo posto, si immischiò ancora una volta nella conversazione continuando a fare salire la mia irritazione.

- Ragazzo, la signora non ha tutto il giorno disponibile per te!

- Stia tranquillo, signore. - intervenne l'hostess - Giovanotto, se ti va possiamo portarti alcuni salumi assieme ad alcuni grissini. Che ne pensi?

- Va benissimo. Grazie mille! - risposi gioioso, dato che avrei finalmente potuto masticare qualcosa dopo ore di digiuno.

- Figurati! Arrivano subito. - disse la signora allontanandosi e facendomi l'occhiolino.

- Hai fatto colpo sull'hostess, "giovanotto". In effetti, non sei proprio un brutto ragazzo. Con quei capelli color nero corvino, quegli occhi castani...

- Stia zitto, la prego. - replicai cominciando a perdere la pazienza.

- Con piacere, ragazzo. Ehi, aspetta un attimo. Non mi hai neanche detto come ti chiami! Non è molto gentile da parte tua.

L'hostess ritornò subito da me, con in mano il piatto ricco di salumi di tipi diversi e alcuni grissini, insieme ad una bottiglia d'acqua.

- Ecco qui il piatto desiderato. Grazie ancora per aver scelto noi per effettuare il vostro viaggio! - esclamò lei.

- Grazie a lei! - cercai di risponderle nella maniera più gentile possibile, nonostante quel vecchio posizionato nel posto posteriore al mio che continuava a farmi girare i coglioni.

- Buon pranzo! - commentò ancora il signore dietro.

- Questa è la mia colazione. E adesso stai zitto, rischi di svegliare la mia amica.

In tutto questo, Beatriz si era addormentata ed io me n'ero accorto soltanto in quel momento.

- Oh, vedo che ci vai giù pesante. Comunque io mi chiamo... ma mi stai ascoltando, almeno?

Prima di iniziare a mangiare, riposizionai le cuffiete nelle mie orecchie e feci ripartire la mia playlist musicale, in maniera tale da non sentire più farneticare quel vecchio signore.

Avrei sfidato chiunque di voi a sopportare quel dannato vecchio. Dannazione, al solo pensiero... Dio, che fastidio.

- Se n'è andato nel suo mondo. Argh, vai a fanculo, ragazzo. - sentii dirgli prima di distendersi sul posto, visto che non avevo ancora fatto partire la canzone.

- Con piacere, "vecchio". - risposi a bassa voce, per far sì che non mi sentisse, e anche per non dare inizio all'inutile, ennesima, conversazione.

Dopo circa due ore e trenta minuti di viaggio, l'aereo cominciò a decollare e l'hostess comunicò a tutti noi passeggeri l'importante avviso.

- Comunicazione importante. L'aereo sta decollando verso la destinazione desiderata. Luogo di partenza: Westminster, Londra. Meta raggiunta: Madrid, Spagna.

Dopo aver preso le valigie e rinfoderato le cuffiette nel mio zaino, svegliai a Beatriz dandole una spintarella per la spalla e riuscii a farla sobbalzare immediatamente, avvertendola del nostro arrivo. Subito dopo esserci alzati, noi due corremmo verso l'uscita, scendemmo le scale dell'aereo e... avevamo raggiunto la nostra destinazione. Cominciai ad osservare il paesaggio e non riuscii ancora a credere a ciò che i miei occhi stavano vedendo.

Io e Beatriz eravamo davvero giunti a Madrid.

Finalmente la nostra vacanza stava per avere inizio... ma non avrei mai potuto prevedere cosa sarebbe accaduto in quei giorni.

Sarebbero stati giorni di felicità e spensieratezza, o giorni di dolore e sofferenza?

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