Capitolo 53 - Danzare Nei Ricordi

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Lucia... sei tu?

Sei tornata qui per me?

Noto che non ti sei dimenticato di me.

Riesci a vedermi?

Mi trovo qui, proprio di fronte ai tuoi occhi.

Mentre parli a loro della tua vita... e trascrivi ciò che ti sto dicendo, parola per parola, con assoluta precisione.

Non posso dimenticarmi di te.

Non posso dimenticare... sono condannato a ricordare.

Loro... meritano di sapere anche su di te.

Me lo permetterai?

Mi permetterai... di parlare a loro di te?

...

Rispondimi.

Dammi una risposta.

Soltanto una.

... un ultimo ballo, Jacob?

E che ballo sia.

L'acqua stava ancora scorrendo lentamente nel fiume, cullandomi unicamente col suo suono e trasmettendomi quella serenità di cui tanto necessitavo in quel momento.

Gli uccellini erano volati via, assieme al sole. Quest'ultimo, presente e ben visibile durante la conversazione avvenuta tra me e Sarah, stava scomparendo dalla mia vista, facendosi coprire dalle nuvole che dominavano quell'azzurro e limpido cielo.

Sia Beatriz che Sarah erano ormai andate via.

Mi trovavo ormai da solo.

Che cosa stavo facendo? Avevo assunto il comportamento corretto nei confronti di entrambe?

Nessuno poteva conferirmi una risposta. Nessuna voce giungeva alle mie orecchie, lasciandomi così con sempre più incognite. Nessuna di loro due era rimasta con me.

Ma in fondo... ero stato proprio io ad andarmene da loro.

O forse no.

Forse... stavo soltando ricambiando il favore con la loro stessa moneta.

Erano state loro ad allontanarsi per prime da me. Seppur Sarah e Beatriz non fossero la stessa persona, entrambe avevano commesso e stavano ancora commettendo lo stesso errore.

Nonostante ciò, riuscivo comunque a comprendere che quello di cui loro erano partite alla ricerca... era il perdono.

Ma a cosa sarebbe servito?

Anche se fossi riuscito a perdonare ognuna di loro, non avrei comunque potuto dimenticare le loro azioni.

È possibile perdonare, senza dimenticare?

O al contrario...

È possibile dimenticare, senza perdonare?

Ma poi, in mezzo a quel silenzio... riuscii a percepire un sassolino rimbalzare ripetutamente sulla superficie dell'acqua cristallina del fiume, fino a quando esso non si fece divorare dalle profondità marine.

Le mie pupille cominciarono a dilatarsi nell'osservare il punto esatto in cui il sasso era sparito, interrogandosi su cosa potesse avere causato ciò che avevano visto, o su chi fosse potuto essere l'artefice di quel fenomeno misterioso.

Le mie orecchie, invece... udirono improvvisamente una voce.

«Finalmente siamo soli.»

Era una voce femminile, ma che mai pensavo di aver sentito prima.

Un intenso brivido attraversò lentamente il mio corpo facendo tornare il cuore a battere ad una velocità impressionante, come se stesse cercando di aprire il lucchetto per fuggire dal contenitore in cui esso era risposto, seppur non riuscendoci, in quanto gli mancava ciò che era fondamentale per uscire dal mio stesso corpo: la chiave.

Ma quale era la giusta chiave? Che cosa poteva davvero essere?

Poggiai una mano sul petto in maniera tale da percepire il suo battito, e la stessa voce femminile che avevo sentito poco prima mi sussurrò...

«La mente

Mi girai di scatto per comprendere di chi si trattasse la donna che si trovava dietro le mie spalle, e ciò che si prostrò dinanzi ai miei occhi non fu nient'altro che una donna dal volto chiaro e limpido, leggermente coperto da una massa di capelli rossi, i quali riuscivano ad oscurare persino i suoi occhi. Ma nonostante ciò, essi erano comunque appena visibili.

«Tu sei...» mormorai non appena i nostri sguardi si incrociarono, ma qualcosa mi fermò sul momento.

La donna misteriosa alzò immediatamente il braccio destro e premette il palmo della sua mano sulla mia bocca, così che non potessi proferire parola.

«Silenzio.» asserì lei «Ascolta quanto è soave e profondo questo silenzio. È così immenso... senti qualcosa?»

Provai a riconoscerla osservando i suoi occhi intenti a fissare i miei, mentre obbedivo alle sue atipiche parole.

«Sì... io sì.» disse al mio posto «Sento... sento i merli cantare e volare via. Sono spaventati... ma da che cosa? O forse, la domanda che ci si dovrebbe porre sarebbe... da chi?»

Anche se a prima impatto sembrava avere una stretta somiglianza con Beatriz, forse per i suoi capelli caratterizzati da quel color rosso rame, non poteva essere davvero lei. Era una donna adulta, molto lontana dall'età di una tipica adolescente.

La luce del sole che illuminava i suoi occhi non mi permetteva di comprendere se fossero effettivamente anch'essi verdi come quelli di Beatriz, ma poco importava in quel momento. In ogni caso, non avrei mai voluto che Beatriz si fosse presentata nuovamente di fronte a me, dopo la discussione che avevamo avuto precedentemente.

Dopo avermi attentamente osservato per una manciata di secondi, la donna alzò il suo sguardo e lo rivolse verso il cielo. Lasciò che il sole facesse riflettere la luce sul suo viso e, lasciando ancora la mano pressata sulla mia bocca, socchiuse i suoi occhi, giacendo in un profondo silenzio.

Soltanto in seguito a quella sua strana azione, afferrai il polso della sua mano e la staccai via, tornando così finalmente a respirare.

«Io ti conosco.» affermai osservando attentamente il suo volto «Solo... non riesco a identificarti, o a ricollegarti a qualcosa.»

«O a qualcuno, magari.» aggiunse lei, allontanandosi da me e avvicinandosi verso il fiume.

«A giudicare dai tuoi capelli... mi ricordi molto qualcuno, sai?»

«Oh, ma davvero? Chissà... magari sai già chi sono. O magari devi soltanto sforzare un po' di più la mente. O ancora... forse devi solo accettare chi sono. Potrebbe essere così?» replicò enigmaticamente.

«Preferirei che fossi direttamente tu a dirmi chi sei, o vuoi ancora sottomettermi ad altri giri di parole?» borbottai girando su me stesso.

Lei reagì accarezzando dolcemente la manica sinistra del cappotto color nocciola che stava indossando e facendosi cullare dal corale canto degli uccellini, i quali sembravano esser tornati lì solo per la sua presenza.

«Ho atteso anni per fare la tua conoscenza... Jacob Johnson.» rivelò a sorpresa, indirizzando nuovamente lo sguardo verso di me.

M'immobilizzai al solo sentir pronunciare il mio nome, confuso e annebbiato dai pensieri su chi potesse essere quella donna, alzando lentamente gli occhi e osservando le sue pupille dilatarsi progressivamente.

Cosa ti prende, Jacob?
¿odnacecca ...esrof ats it asoclauQ

La mia vista si ridusse temporaneamente, mentre un forte tremolio assalì il mio corpo e mi impedì di muovere un singolo passo.

«Come fai a conoscermi? Chi ti ha detto di me?» la interrogai con voce tremolante, in quel momento tanto intenso quanto misterioso.

La donna si mise a ridere silenziosamente, incrociando le braccia e muovendo lentamente il passo verso di me.

Una volta che il suo volto si trovava distante di pochi centimetri dal mio, lei mi invitò a seguirla, afferrando con assoluta delicatezza la mia mano destra, per poi stringerla, e trascinandomi sotto un gigantesco albero di mele rosse che si trovava non poco vicino al fiume sul quale era stato precedentemente tirato quel sassolino.

«Passare il pomeriggio sotto un albero di mele non faceva proprio parte del mio programma di oggi...» mi lamentai sedendomi per terra, alzando di poco la mia giacca.

«Nemmeno del mio, caro ragazzo. Ma ho ormai imparato a farmi trovare pronta ad ogni tipo di sorpresa... inclusa questa.» scherzò lei, mantenendo comunque un tono serio «Dopotutto... esiste qualcosa che sia effettivamente prevedibile in questa vita

«Nella mia vita, perfetta sconosciuta... non di sicuro.» osservai gli uccellini ritornare a cantare, mentre svolazzavano tra gli alberi del parco.

Tentai di comprendere le intenzioni di quella misteriosa signora, restando al suo fianco e continuando ad ascoltare le sue parole.

Per qualche minuto lei tacque. Era troppo impegnata ad assistere attentamente allo spettacolo uditivo di quei volatili, i quali sembravano cantare sempre più armoniosamente, al sapere di avere un pubblico tutto loro, seppur di ridotte dimensioni.

Io, invece, approfittai del particolare momento per mirare ed analizzare il suo sguardo. Non mi era nuovo, ma allo stesso momento ero pienamente convinto di averlo già incrociato da qualche parte, magari nel passato.

Nel passato... il mio passato?

Quel suo sguardo impegnato ad osservare le varie espressioni della meravigliosa natura, che talvolta cambiava bersaglio e si rivolgeva ad ammirare i fiori che circondavano i nostri corpi, caratterizzato da uno splendente paio di occhi azzurri e avvolto dai quei lisci e rossi capelli, non potè fare a meno di ricordarmi di due delle persone che più, nel bene o nel male, avevano stravolto la mia vita.

Beatriz e Sarah, che sembravano essere unite nel corpo di una sola persona. Quella che si trovava al mio fianco.

Gli stessi occhi glaciali di Sarah, gli stessi ardenti capelli di Beatriz.

Restava però una domanda alla quale mancava risposta: chi era quella donna?

«Sapete il mio nome, quindi...» dissi con voce rauca, tossendo leggermente ad ogni parola che dicevo.

«Sembra proprio di sì. E comunque, dovresti buttare quella sigaretta e respirare più spesso la nostra stessa aria. Il fumo è una brutta bestia, ragazzo.» notò immediatamente lei la mia difficoltà nel parlare.

«Non è semplice fumo, nel mio caso. Io la considero più una specie di... liberazione

«Liberazione, uhm?» mise lei in evidenza i suoi dubbi riguardo alle mie parole «Una liberazione da cosa, se posso chiedere?»

«Una liberazione da questo gran troiaio.» affermai diretto, sospirando «Da questo gran fottuto casino. È come se mi sentissi vittima di qualcuno, o di qualcosa... una vittima del caos, nella sua forma più pura e cruda.»

La signora cadde misteriosamente in un profondo silenzio, mentre si accasciava per terra appoggiando le sue spalle al tronco di quel fruttifero albero e prendendo posto alla mia sinistra.

«Il caos, dici... il caos. Dannata parola. Caos, caos, caos. Maledizione, è sempre presente. Caos... caos.» mormorò misteriosamente, ripetendo all'infinito quel termine apparentemente innocuo, che però nascondeva in realtà qualcosa di ben più profondo, e allo stesso momento... fondamentale.

L'arcana donna fece scivolare dalla manica del braccio destro la sua borsa di medie dimensioni e l'afferrò con la mano dell'arto opposto, frugando lentamente dentro di questa alla ricerca di qualcosa.

Dopo il passare di qualche secondo, la sua mano fuoriuscì finalmente dalla borsa, tenendo stretto nel palmo e mostrando egregiamente uno strano sacchetto di color rosso.

Osservai attentamente il suo atteggiamento mentre lo estraeva. Le sue dita tastarono il sacchetto con estrema cautela, come se fosse suo compito quello di conservare con massima cura un sacro tesoro dal valore inestimabile, il cui contenuto era a me sconosciuto.

Ma non fu necessario aspettare molto per scoprirlo.

Aprì il sacchetto scarlatto e fece affondare una mano al suo interno. Qualunque cosa ci fosse lì presente, lei sapeva già cos'era. Non appena la mano si trovava completamente dentro il sacchetto, arraffò l'oggetto da lei interessato in men che non si dica e, improvvisamente, spostò lo sguardo verso i miei occhi, formando uno strano sorriso sulle labbra.

Dopo aver rivolto nuovamente lo sguardo verso il sacchetto, si decise a mettere in mostra ciò che si nascondeva dentro di esso. La sua mano si alzò lentamente, e tra le sue dita riuscii a scorgere due piccole figure.

Una strana perla grigia e una particolare sigaretta elettronica. Quest'ultima era di un color bianco argentato, e l'avvicinò delicatamente alle sue carnose labbra, opponendosi da sola alle sue stesse parole pronunciate precedentemente e riferite a me.

«Sapete, signora... a giudicare dalle vostre parole di prima, pensavo foste contraria a tali vizi.» affermai riferendomi a ciò che lei aveva detto poco prima riguardo al fumo, mettendo in luce la sua azione contraddittoria.

«Non sono nessuno per cui tu debba darmi del lei, tesoro. Sono solo un comune essere vivente, condannato a sopportare l'incombere di infiniti mali e infinite sofferenze, oltre a quello di finiti sorrisi e finite gioie. Ma talvolta... percepisco l'obbligo morale di respingere queste ultime.»

Da quale particolare mente provenivano quei pensieri e quelle parole?

Chi diavolo era quella donna?

«Se lo stato di felicità necessita sempre di essere sia preceduto che seguito da uno stato di dolore... a quale scopo noi comuni esseri viventi, allora, dovremmo trovare la beatitudine e la grazia? E se dovessimo cercarla, questa sorta di felicità... chi ci assicura che esiste realmente?» esposi il mio pensiero alla donna, pur di non far scena muta.

«Ma guarda un po' cosa sentono le mie orecchie... un giovane aspirante filosofo. Seguite forse le idee di Schopenhauer?»

«Beh, forse... sì.» balbettai tremolante, a metà fra l'imbarazzo e quella serietà colloquiale «Diciamo che mi hanno sempre affascinato, a modo loro.»

«Oppure ti sei semplicemente ritrovato in esse, a modo tuo.»

«Sì, è pure possibile. Proprio per questo non sei tenuta a darmi del 'lei' nemmeno tu...»

«Sì...» sospirò lei interrompendomi, mentre il fumo ondeggiava nell'aria e usciva dalla sua bocca «Anche tu non sei nient'altro che un comune essere vivente, proprio come me.»

«Già... sono solo un comune essere vivente. Proprio come tutti gli altri.»

«Non te ne fare una colpa, avrai comunque qualcosa di diverso da loro.» poggiò una mano sulla mia sinistra e la chiuse in essa «Dunque, caro ragazzo. La felicità... pensi sia un illusione creata magnificamente dall'uomo?»

«Sì. Sì, esatto.» afferrai la sigaretta dalla bocca con la mano libera «Tentiamo di crearla ignorando il fatto che qualcuno, in questo mondo, arriva persino a chiudere gli occhi una volta per tutte e a non risvegliarsi più, seguendo il libero arbitrio, e infine, beh... ci illudiamo in essa. E chiunque l'abbia creata... penso sia proprio lui quello ad essere un povero uomo. Forse il più povero di tutti. Il più povero... di tutti i comuni esseri viventi.»

La conversazione con quella signora continuava a diventare sempre più intrigante e misteriosa, ma necessitavo di risposte.

Dalle sue parole era possibile evincere quanto era dotta e riflessiva la donna con cui stavo avendo a che fare, che riusciva a dire tutto e a non dire niente allo stesso momento e continuando a tenere nascosta la propria identità, come se mi stesse sfidando a risolvere il grande rompicapo che mi si poneva davanti.

Dato il suo improvviso silenzio, schiarii la voce e muovetti leggermente le gambe in maniera tale da attirare la sua attenzione, ma subito dopo un istante da quella mossa fui vittima di un improvviso e preoccupante attacco di tosse, tanto che la donna, non appena vide le mie precarie condizioni, buttò la sua sigaretta elettronica sull'erba e si precipitò su di me per soccorrermi.

«Ragazzo, ragazzo! Sta' calmo, poggia le spalle sull'albero, e...»

Dopo essermi appoggiato sul tronco dell'albero sotto il quale ci trovavamo, indirizzai i miei occhi verso i suoi e non potei fare a meno di notare il suo sguardo sorpreso, ma allarmato allo stesso momento.

«Jacob, dannazione... le rughe sulla tua fronte... la tua pelle...» disse con voce tremolante, ricollegando queste al mio terribile vizio.

«Signora, mi stia a sentire.» mi aggrappai con la mano al suo braccio sinistro continuando a tossire «Adesso deve essere lei a mantenere la calma, d'accordo? È tutto a posto, non è nient'altro che un dannato effetto del fumo, e passerà completamente da solo. È... è soltanto pura liberazione, niente di più, e...»

«... e molla questa sigaretta, maledizione!» sbraitò lei afferrando quest'ultima fra le mie dita, alzando considerevolmente il tono della sua voce e fulminandomi con lo sguardo.

Senza permettermi di proferire parola, la signora si alzò dall'erba e si recò presso l'apposito cestino dell'immondizia, così da sbarazzarsene in fretta, lasciando tutti i suoi oggetti nella posizione in cui si era prima posizionata.

Nell'attesa di un suo ritorno, ancora in preda ad attacchi di tosse forte e mancanza d'aria, voltai lo sguardo verso la mia sinistra ed osservai ciò che lei aveva abbandonato.

Seppur con la vista leggermente annebbiata, riuscii a scorgere la sua borsa appollaiata vicino all'albero, accanto alla quale giacevano la sigaretta elettronica che aveva gettato qualche istante prima e quella misteriosa perla grigia, la cui straordinaria bellezza sembrava richiamare il mio nome.

Jacob... Jacob, mi senti?

Sono qui.

Ti sto aspettando... vieni da me.

.ùip non... oN

.iuq ùip eresse non iertop ossedA

.soac led irdnaem idnoforp ien ut ehcna itartnedda ... em ad ineiV

Allungai il braccio verso questa e aprii lentamente il palmo della mia mano, ma qualcosa mi fermò. Il dolore alla testa a cui negli anni passati mi ero ormai abituato fece il suo ritorno, e mi costrinse a chiudere gli occhi per un istante.

Una volta riaperti, il sole illuminò coi suoi raggi un ulteriore oggetto, che stavolta si trovava all'interno della borsa. Era un comune specchietto portatile, che niente aveva a che vedere con la perla di prima.

Tuttavia, i miei pensieri risalirono subito alle parole della signora riguardanti... la mia pelle.

"La tua pelle... le rughe sulla tua fronte."

Osservai profondamente lo specchietto e decisi di afferrarlo. Lo alzai sforzandomi e provando fatica ad alzare le braccia, ma una volta che esso si trovava dinanzi a me... eccomi.

I miei mori capelli scombinati dal vento e dal dolore.

I miei occhi color mandorla accecati dal sole e dall'angoscia.

Il mio giovane volto cosparso di affliggenti e profonde rughe che solcavano la mia fronte, provocate da un insieme di forze oscure, che rappresentava simbolizzava la mia più totale degenerazione psicologica: stress, dolore, rabbia, destabilizzazione, tristezza, angoscia... voglia di chiudere gli occhi.

Le emozioni erano ormai vuote. Svuotate di ogni significato possibile e immaginabile.

Il fumo non era una via di fuga, o di salvezza. Altro non era diventato che l'unica valvola di sfogo, per un uomo come me.

Non una cura, poiché mi stava portando alla distruzione. Bensì... una liberazione.

Un essere distrutto, traumatizzato per l'eternità e condannato alla sofferenza e alla sopportazione del caos.

Un essere alla ricerca della benedizione.

Nient'altro che se stessi.

Ecco me stesso.

Le mani che reggevano lo specchietto faticavano a resistere. Tremavano. Proprio come stanno tremando in questo momento, mentre trascrivo queste parole indirizzate a tutti voi.

Lo specchietto stava quasi per cadere dalle mie mani, ma, fortunatamente, la donna fece ritorno da me nel momento più opportuno.

«Jacob... Cristo Santo. Da' questo a me, forza.» notò lei le mie mani tremare e afferrò lo specchietto.

Lo ripose dentro la sua borsa e venne a sedere di fianco a me, accasciandosi sull'erba.

«Perché mi avete fermato?» domandai infastidito.

«Ti sei risposto da solo, osservando ciò che sei diventato col passare degli anni.»

Senza rivolgerle lo sguardo, socchiusi gli occhi e chinai la fronte, consapevole degli errori che stavo commettendo.

«Ehi. Ehilà, signorino Johnson.» batté di punto in bianco un colpo sulla mia spalla, a mo' di richiamo «Ho solamente fatto ciò che ritenevo fosse giusto fare.»

In quel momento, la dolcezza e il buonsenso della donna riuscirono a tranquillizzare il mio animo e a farmi mettere da parte la mia estenuante impassibilità.

«Non ve ne biasimo, signora. Non ve ne biasimo.» replicai mostrando un fuggevole sorriso.

Avendo apprezzato la mia reazione, le scappò subito una silenziosa risata.

L'avvisai presto degli oggetti che aveva lasciato sparsi sul prato, facendo particolarmente riferimento a quell'affascinante perla grigia, e, in men che non si dica, si precipitò a raccogliere la sigaretta elettronica e la suddetta perla e li rinchiuse all'interno della borsa, assieme allo specchietto.

«Ma non avete ancora risposto alla mia domanda.» tenni a ricordarle «Riguardo al mio nome, intendo. Come ne siete a conoscenza?»

«E tu invece ti ostini ancora a darmi del lei.»

«Non mi permetterei mai a dare del 'tu' ad una donna sconosciuta, specie se è più grande di me. Potreste approfittarne per dirmi anche il vostro, di nome.»

«Oh, ma quanto è diventato gentile il nostro caro giovanotto... e anche molto perspicace. Riesci a vedere quegli uccellini svolazzare laggiù, sopra il fiume?»

La signora sollevò il braccio sinistro e con l'indice della rispettiva mano si mise a indicare il fiume, vicino al quale si trovavano molti e vari volatili.

«Aspetti un secondo solo, la vista non è proprio dalla mia parte in questi giorni...» mi spinsi leggermente in avanti per osservare meglio il luogo indicato dalla donna, a causa della vista ancora leggermente offuscata «... d'accordo, forse ci sono. Intendete... intendete quelli lì?»

«Sì, proprio quelli lì.»

«Bene, e quindi? Andiamo dritti al punto.» dissi impaziente.

«Vedi, Jacob... non appena sono giunta qui, uno di quegli uccellini si è avvicinato verso di me. Si è appoggiato alla mia spalla sinistra e, prima di spiccare il volo... mi ha sussurrato qualcosa all'orecchio.»

Si avvicinò progressivamente a me, e disse a bassa voce...

«Mi ha detto... colui che vedi non è un semplice uomo. Non è un comune essere vivente. Lui è Jacob Johnson.»

Rabbrividii a sentir le sue parole, le quali mi condussero inevitabilmente ad ulteriori domande.

«E cosa sarebbe a rendermi così diverso da un comune essere vivente?»

«Tu non sei come gli altri, Jacob. Sei diverso da loro. Tu hai qualcosa in più che tutti gli altri non hanno. Ma questo riuscirai benissimo a comprenderlo da solo, semplicemente... vivendo.» continuò ancora a parlare in maniera piuttosto criptica, lasciando ampio spazio all'immaginazione.

Le lanciai un ulteriore sguardo, con la speranza che potesse rievocare qualcosa nella mia mente, e poi ricordai. Ricordai finalmente di quell'affascinante e misterioso volto femminile, che lo scorrere del tempo mi aveva fatto dimenticare.

Mancava soltanto la conferma.

«Sapete, signora... all'aeroporto di Westminster c'è un volo, adesso, che parte esattamente tra...» afferrai il mio telefono dalla tasca degli jeans e glielo mostrai «... tra ben diciotto minuti. Sarà diretto verso Spagna. Madrid, per l'esattezza.»

«Già, vedi bene...» asserì lei sorridendo.

«Ottimo, e adesso mi è d'obbligo una domanda. Quest'uccellino che vi ha sussurrato il mio nome... ha forse spiccato il volo per dirigersi lì?»

La signora, una volta udita la mia domanda, acciuffò nuovamente la sua sigaretta elettronica e riprese a ridere, mostrando una certa sorpresa nel suo volto.

«Non mi avete risposto neanche riguardo al fumo, se è per questo. Non eravate contraria?» sperai in una sua risposta.

«Avevi detto che è una liberazione, no? E se è davvero una liberazione, allora... è proprio ciò che mi serve in momenti come questo.»

Dopo la sua furba risposta, non potei oppormi alle sue parole. Ma, ciononostante, lei continuava ancora a coprire molte informazioni avvalendosi del suo silenzio.

«Mi chiamo Lucia.» rivelò a sorpresa, facendo fuoriuscire il fumo dalla sua bocca «Lucia Rubio

«'Lucia'...» mormorai «... capisco, capisco. È un nome spagnolo.»

«Bingo.» commentò lei «Adesso non hai più scuse per non darmi del 'tu'.»

Una donna spagnola, apparentemente sulla quarantina, che sapeva di me. Conoscevo soltanto tre persone grazie alle quali lei sarebbe potuta arrivare al mio nome.

La verità stava ormai venendo a galla.

«E dimmi un po', Lucia. Hai a disposizione questi tre nomi: Beatriz, Carmen, Miguel. Uno di questi... potrebbe appartenere all'uccellino che ti ha suggerito il mio nome. Ho ragione oppure no?»

«Vedi, Jacob... qualche mese fa, noi due ci siamo incontrati, in un certo senso. Il 21 Agosto del 2014, per la precisione. Sette mesi fa. Il tempo vola parecchio e non ci avvisa mai di niente, non trovi anche tu?»

Cos'era successo sette mesi prima di quel giorno?

«Sette mesi fa... Agosto 2014.» tentai di ricordare «21 Agosto 2014, ma certo! Penso proprio di aver azzeccato, signora Rubio.»

«Esponi pure le tue considerazioni.»

«Quello è stato il giorno in cui ho lasciato Londra per dirigermi in Spagna, per una breve vacanza, con una mia amica. La mattina stessa, lei era accompagnata da suo padre e sua madre. E quest'ultima...»

«... si trattava di me.» completò la frase al posto mio «Ebbene sì, Jacob. La donna con cui stai parlando è proprio la madre di Beatriz Hernández. È stata lei a dirmi di te.»

Identità svelata.

Lucia Rubio, quella donna dai capelli rossi e ardenti come il fuoco e gli occhi azzurri e freddi come il ghiaccio, era la mamma di Beatriz.

Colei che, proprio come fece Henry durante l'infanzia, stava velando tutto il possibile sulla sua famiglia.

«Sin da quando ho fatto la sua conoscenza, lei non mi ha mai riferito nulla sulla sua famiglia, o sul suo passato in generale.» provai a ottenere informazioni.

«So che negli ultimi mesi il vostro rapporto non sta andando a gonfie vele.»

Sapeva pure di questo.

Ma per quale motivazione Beatriz avrebbe dovuto dire tutto questo a sua madre?

«Nel mese di Settembre scorso, ho fatto amicizia con un suo conoscente spagnolo, oltre che con la sua vecchia migliore amica. Da quel giorno... il suo atteggiamento nei miei confronti è totalmente cambiato.»

«Hai conosciuto Carmen.» disse lei con aria soddisfatta «È una ragazza molto dolce e solare, ma merita molto di più.»

«Oh, sì... ho saputo che lei e i suoi genitori non vanno molto d'accordo.»

«Già.» e Lucia cadde improvvisamente in un misterioso silenzio.

Provai inizialmente a sapere di più su Carmen, ma qualcosa bloccò la mia tentazione.

«Ho conosciuto sua madre.» continuò lei «Ma... è piuttosto complicato da spiegare, persino per me.»

«Qualunque cosa le sia successa... Carmen è riuscita comunque a non perdere la felicità.»

«È vero. Ma non tutti siamo ciò che dimostriamo agli altri di essere, Jacob. Ricordalo

Svanito un mistero, s'infittisce un altro.

Nonostante le parole di Carmen sui suoi genitori, dentro di lei sembrava vigere soltanto allegria ed un invidiabile entusiasmo, e mai riuscivo a pensare ad una sua possibile tristezza.

Che lei stesse nascondendo qualcosa proprio in questo mondo? E se così fosse, perché avrebbe dovuto farlo? Per mancanza di fiducia negli altri, forse?

«Sette mesi fa avevo lasciato mia figlia nelle tue mani.» ricordò Lucia «E alla fine, al suo ritorno... mi sono ritrovata con una figlia in più.»

«Una figlia in più? Una figlia in più.» non riuscii a comprendere inizialmente le sue parole «Oh. Oh, sì, che cazzo di sbadato... parli di Carmen. Lucia, io avevo detto a Beatriz che, nel caso lei potesse risultare essere un peso fin troppo pesante da reggere, non sarebbe stato corretto portarla con noi fino a Londra...»

«Ssh. Rilassati, Jacob, rilassati.» mi zittì lei «Non hai motivo di preoccuparti. Carmen non è per niente un peso per me e per tutta la nostra famiglia, e, inoltre, la conosco già da molto tempo. Lei era per me una figlia anche in passato, così come era per Beatriz una sorella, sai? Anche quando era felice... più felice di adesso.»

Ormai era chiaro. Nessuno conosceva ancora davvero Carmen. Nessuno eccetto Beatriz. E Miguel, invece? Lui sapeva? O magari... lui aveva avuto una particolare influenza sul suo passato, oltre che su quello di Beatriz?

«Conosci anche...»

«Il ragazzo spagnolo?» cambiò Lucia improvvisamente tono, diventando ancora più seria di quanto già non lo fosse.

«Sì, proprio lui. Miguel.»

«Sì, Miguel... certo che lo conosco. Ma questa non è forse l'apposita sede in cui parlare di tale individuo. Oh, ma guarda... sono già le 18:00. L'aereo diretto per Madrid dev'essere appena partito. E io, invece... ho una famiglia che mi aspetta.»

Lucia troncò immediatamente il discorso e si sollevò da terra, tenendo una mano appoggiata al tronco dell'albero.

Raccolse la borsa che aveva lasciato su quell'erba verdeggiante e verificò che tutti gli oggetti che aveva con lei sin da prima si trovassero al suo interno, mostrando, anche per un solo istante, una certa preoccupazione.

«Lucia, posso... posso chiederti una cosa, prima che tu vada?»

«Riguardo alla vita

Quella breve frase mi fece gelare il sangue, a causa dei pensieri che affollavano la mia mente.

Pensieri... dei quali nessuno era a conoscenza. E dei quali non siete ancora a conoscenza neppure voi. Ma presto... capirete.

«Perché non dovrei essere anch'io un comune essere vivente, come tutti gli altri?» le chiesi.

«Tu sei diverso dagli altri, Jacob. Te lo si legge negli occhi. Sei stanco. Hai voglia di chiudere gli occhi. Voglia di riposare. Voglia di non risvegliarti più.»

Lei aveva capito. Era l'unica persona... ad aver compreso.

«Sono stanco, Lucia. Stanco di essere perseguitato dal mio passato. Stanco di vedere i miei demoni. Stanco di pensare. Stanco di ricordare. Vorrei soltanto dimenticare. Solo... chiudere per un po' gli occhi.»

«Mh... qualcosa ti ha cambiato la vita

«Più che qualcosa... qualcuno. Da piccolo, lui ha deciso di spezzarmi. Sei mesi fa, invece... ho conosciuto suo cugino. Ha dei capelli rossi, proprio come i tuoi, Lucia.»

«Avete avuto di modo di consolarvi a vicenda?» indietreggiò, avvicinandosi a me.

«No. In realtà... è avvenuto uno scontro tra noi due. E anche abbastanza violento. Alla fine è giunto suo zio, nonché padre di colui che, sette anni fa, ha deciso di andarsene via.»

Il ragazzo dai capelli rossi non poteva non essere che Igor Bell, quella persona con cui, forse... avevo molto in comune.

Se quel nostro violento scontro non fosse stato fermato da Nicholas Bell, dove sarei adesso?

«Suppongo che suo zio sia riuscito a placare entrambi i vostri animi.»

«Sì, Lucia, ma non è quello il punto. Durante il nostro scontro, il mio sguardo ha incontrato un suo braccio. E questo... era cosparso di tagli. Profondi e infiniti tagli, che sembravano non finire mai, cazzo...»

Al solo ricordo di quel momento, i miei occhi cominciarono a versare lacrime che scorrevano lungo le mie guance tremolanti. Lucia notò subito il mio volto divorato dalla sofferenza, oltre che dalle rughe, e lo accarezzò asciugando tutte le lacrime.

«Jacob... cosa stai pensando, adesso?»

«Sto pensando...» singhiozzai ripetutamente, seppur riuscendo a trovare la forza per continuare a parlare «... sto pensando di ritrovarmi in lui, Lucia.»

Il giorno dello scontro fra me e Igor fu uno dei più importanti della mia vita.

Non per il ritorno di Sarah.

Non per la conoscenza di Hilary e Igor, cugini di Henry.

Bensì... per la scoperta di una nuova concezione della vita. Dell'essere. Del vedere la realtà.

Da quel giorno... cominciai a ritrovare me stesso in Igor. Riuscivo finalmente a comprenderlo. Cominciavo a ritenere... di dover fermare tutto. A sentire il bisogno di chiudere gli occhi.

Ma nonostante questo... non riuscivo mai a fare ciò che andava fatto. La vista di quei tagli, su quel maledettissimo braccio... mi avevano cambiato. Cominciai a immaginarli sulle mie di braccia, ma non erano lì realmente.

Cominciai a sentirmi uscire fuori di testa. Ad impazzire. A sentire il bisogno di percepire la punta affilata della lama toccare la mia pelle.

Questa era la conseguenza di tutto ciò che tenevo dentro di me e che ero costretto a dover sopportare: stress, angoscia, dolore, tristezza, rabbia. Tutto... aveva portato a questo.

Al nuovo me.

Al nuovo Jacob Johnson.

Un altro Jacob Johnson.

Un Jacob Johnson più egoista, ma allo stesso tempo anche più sofferente.

Un Jacob Johnson... che sentiva il bisogno di fermare tutto e di chiudere gli occhi.

«Non serve dirsi addio, Jacob.» si abbassò Lucia e mi avvolse in un caloroso abbraccio, continuando a sussurrare alle mie orecchie «E non serve... dormire. Soltanto riflettere

«Rifletterò, Lucia... rifletterò. Ma non sarò da solo.»

Io non sono mai solo. Lui... è sempre con me.

«Adesso devo andare, Jacob.» affermò infine lei «Ma ho la netta sensazione... che ci rivedremo molto presto.»

Prima di andarsene, Lucia accarezzò e riordinò i miei capelli, per poi stampare un intenso bacio sulla mia fronte. Mentre si alzava, lei continuava a guardarmi con compassione, mantenendo costantemente quello sguardo indulgente e impensierito.

Dopo aver girato lo sguardo, s'incamminò sulla via di ritorno... ma, all'improvviso, la fermai.

«Lucia!» la richiamai.

«Sono ancora qui, Jacob.» voltò lo sguardo verso di me.

«Ci sono momenti, durante la notte... in cui andare avanti mi sembra del tutto privo di senso. E talvolta, la morte... la morte potrebbe essere una benedizione. Quella benedizione che io cerco da tempo.»

Dopo aver sentito le mie agghiaccianti parole, lei fece ritorno da me. Mi invitò ad alzarmi in piedi tenendomi per la mano, notando le mie insistenti difficoltà nel respirare, e, in men che non si dica, mi ritrovai dinanzi al suo sguardo.

«A volte, Jacob... è necessario convivere col caos stesso. Prima eri un piccolo e ingenuo bambino, che si accontentava con poco. Dopo sei diventato un ragazzo pensieroso e tormentato dai ricordi del passato. Adesso stai diventando un uomo, che non riesce a trovare una via di fuga da tutto questo. Ma dopo cosa diventerai? Hai conosciuto tante persone durante questi anni, vissuto esperienze... tutto questo non merita di essere vanificato. Cosa succederà adesso? Chi incontrerai sulla tua strada? Che cosa diventerai? Ci sono ancora tante da risposte da ottenere, per le quali vale ancora la pena continuare a vivere. Varrà pur qualcosa, tutto questo... non trovi?»

«Sì... varrà pur qualcosa.»

Lei afferrò e strinse le mie mani, facendomi così percepire tutto il suo calore. Disegnò un sorriso sul suo volto, e mi regalò un altro forte abbraccio, come segno di supporto da parte sua.

«Sai, Jacob... tu mi ricordi molto qualcuno. Qualcuno che è uguale a te, ma che allo stesso tempo è l'opposto di te. Qualcuno che conosci già... ma che allo stesso tempo non conosci realmente.»

Pensai attentamente alle sue parole, ma non sarei mai potuto arrivare a una risposta.

Scelsi così di dare la priorità al mio stato mentale, godendo del calore umano che Lucia mi stava trasmettendo e staccandomi poi dal suo corpo.

«Il passato non vuole lasciarmi via di scampo, Lucia. Il caos non vuole darmi pace.»

«In questo caso... la soluzione è soltanto una.»

Lucia si avvicinò lentamente al mio orecchio sinistro, poggiando una mano sulla spalla dello stesso lato, e sussurrò...

«Trova il conforto nel caos, Jacob.»

Dichiarate quelle ultime parole, lei si distaccò da me e si allontanò silenziosamente, incamminandosi sulla via di ritorno e mantenendo lo sguardo dritto verso la sua destinazione.

Fissai la sua figura fino all'istante in cui si trovava troppo lontana per essere avvistata e, una volta che mi ritrovavo ormai da solo, osservai il sole tramontare, mentre il cielo diventava sempre più scuro.

Non sapevo cosa fare. Non sapevo come agire. Non sapevo dove dirigermi.

"Trova il conforto nel caos."

Cosa diavolo voleva significare? Sottomettersi alla propria condanna? Farsi guidare dalla follia?

Tutte quelle domande non fecero altro che creare ancora più confusione dentro la mia testa.

Mentre continuavo a pensare, mi accorsi soltanto in seguito di stare girando intorno all'albero sotto il quale ci trovavamo io e Lucia fino a pochi minuti prima. Con la desolazione che si attuava intorno a me, qualsiasi di forma di esistenza sembrava ormai essere del tutto scomparsa.

Lo stress aumentava sempre di più, assieme alla voglia di sparire. Provai a sfogarmi cercando una nuova sigaretta da finire, ma, al posto del pacchetto, la mia mano afferrò il telefono. Decisi di approfittarne per controllare che ore fossero, e il display si accese.

18:15.

Sembrava essere il momento perfetto per fare ritorno a casa.

Mi allontanai dall'albero per dirigermi verso la strada, ma improvvisamente... udii una voce richiamarmi.

«Jacob, mi senti? Jacob, sono qui!»

Era Henry... quella era la voce di Henry.

«Henry... sì, ti sento! Ti sento, Henry, dove sei?» urlai guardandomi intorno.

La sua voce echeggiante proveniva dal fiume sul quale Lucia aveva buttato inizialmente quel sassolino, prima che facessi la sua conoscenza.

Era lui, doveva essere per forza lui.

«Sono sul fiume! Sono sul fiume! Vieni da me, Jacob!»

Senza pensarci due volte, presi velocità e corsi come un fulmine verso il fiume, mentre il vento continuava a soffiare forte sulla mia giacca nera, nella speranza di tornare a rivedere colui che stravolto la mia vita.

«Sto arrivando, Henry. Sto arrivando!»

Riuscendo a respingere la corrente, arrivai finalmente sulla sponda del fiume. Una volta giunto lì, mi accovacciai e iniziai a cercare Henry dappertutto. Qualunque posizione, qualunque altezza. Lui poteva essere ovunque e non essere da nessuna parte nello stesso momento.

Ma alla fine... lui fece il suo ritorno.

«Jacob, mi vedi? Sono qui, sotto di te! Abbassa lo sguardo!»

Come ordinato da lui, chinai lo sguardo e lo diressi verso l'acqua del fiume... e finalmente riuscii a vederlo. Osservai il suo riflesso nell'acqua. Lui era davvero lì, con me.

I suoi iconici occhi verdi stavano fissando i miei con espressione sorpresa, mentre rimaneva fermo.

«Jacob, cos'è successo alla tua faccia? È piena di rughe! Perché l'hai fatto? Perché?!» udii il tono della sua voce bambinesca aumentare progressivamente.

«È per te, Henry.» risposi singhiozzando «È la tua mancanza... è per la tua cazzo di mancanza che io adesso sono così!»

«Non è vero, sei un bugiardo! Sei solo un bugiardo!»

Era tutto così... struggente. Dagli occhi di Henry scorreva una fontana infinita di lacrime, mentre in lui era possibile sentire un'eccessiva rabbia, proprio come la mia.

«È vero, Henry. Stavolta è vero, maledizione! Non dovevi andartene, Henry. Non...»

«SEI SOLO UN BUGIARDO, SAI SOLO DIRE BUGIE ALLE PERSONE!» il tono di voce di Henry si amplificava sempre di più «PERCHÉ SEI DIVENTATO COSÌ? DIMMELO! NON DIRMI PIÙ BUGIE! PERCHÉ?!

«Henry, per favore, non piangere... non piangere, non urlare... non farmi del male!» gridai continuando a sforzare la gola, in preda alla disperazione.

Mi avvicinai sempre di più all'acqua del fiume, in modo tale che potessi toccare nuovamente il suo corpo e sentire la sua essenza, ma presto notai che più mi trovavo vicino all'acqua, più la figura di Henry si andava lentamente svanendo.

«Jacob... JACOB! Sto... cadendo... JACOB! SALVAMI! JACOB!» il riflesso di Henry si stava ormai volatilizzando del tutto.

«No, Henry, non di nuovo! Henry, dammi la mano! DAMMI LA MANO, HENRY!»

L'incubo che aveva stravolto la mia vita si stava nuovamente ripetendo... ma stavolta, era ancora più terrificante.

Lui mi odiava. Piangeva. Urlava.

Io stavo impazzendo. Piangevo, e urlavo pure io. Stavo morendo per lui.

Non potevo salvarlo. Non potevo più farlo.

«Jacob... vieni da me.» ordinò lui, con l'acqua del fiume nella gola.

«Non cadere, Henry. Non cadere! Sto arrivando da te! HENRY!»

Il riflesso di Henry stava ormai sparendo, ma non potevo permettere che morisse. Non di nuovo. I suoi occhi diventarono sempre più scoloriti, assieme alla sua pelle, che assumeva lo stesso colore dell'acqua.

L'unica cosa che era ormai visibile era la sua mano destra, la quale era tenuta verso all'alto, alla disperata ricerca di qualcuno che la tirasse fuori da lì.

«Henry, sono qui! Sono qui, sono qui, sono qui! Devi soltanto afferrare la mia mano, e sarai salvo. Henry... HENRY!»

L'intero arto superiore si trovava ormai sotto l'acqua del fiume. Anche la mia faccia stava ormai per essere bagnata per quanto si trovava vicino ad essa, ma, nel momento in cui stava per addentrarsi nel fondale... uno misterioso e angosciante sospiro di voce ghiacciò il mio corpo.

A H . . .

O H . . .

Rimasi fermo, nell'attesa dell'incombere delle solite voci che dominavano la mia mente, ma al posto loro incombette il silenzio.

Alzai la testa e uscii lentamente dall'acqua, mantenendo sempre la massima cautela e indietreggiando lentamente. Dai capelli scorrevano continue gocce d'acqua, tanto era rimasta vicina al fiume, ma questo non mi fermò nel ritornare con tutto il corpo sulla sponda.

Ero ormai arrivato sulla sponda, quando tutt'a un tratto sentii un cane abbaiare e provenire verso di me. Mi girai di scatto, spaventato per quell'improvviso abbaio, e...

... un nuovo sospiro di voci.

A H . . .

J A C O B . . .

O H . . .

J A C O B . . .

«Chi... chi cazzo siete?!»

Noi siamo le voci.
¿icsonocir ic noN

N O I  S I A M O  I  S O S P I R I . . .

A H . . .

D I  V O C I . . .

O H . . .

«Basta, basta... BASTA!»

Le voci iniziarono presto a dileguarsi, più presto del solito, regalandomi nuovamente il loro silenzio.

Che diamine erano quei misteriosi sospiri? Una nuova forma delle voci? Una loro evoluzione, forse?

O una mera conseguenza della mia decadenza psicologica?

Ben presto, tuttavia, dovetti tornare a concentrarmi sulla realtà, dato il continuo è fastidioso abbaiare di quello stupido cane. Fu quest'ultimo a porsi dinanzi a me, tenendo imprigionato tra i suoi denti uno sporco ramoscello, ornato di numerose spine che si trovavano attorno ad esso.

Lo raccolsi delicatamente dalla sua bocca, mentre lui assumeva una dolce espressione, quasi come se mostrasse di già un certo affetto nei miei confronti.

Una volta che il ramoscello si trovava rinchiuso nella mia mano destra, abbassai lo sguardo verso di esso e ne analizzai attentamente ogni singola parte, interrogandomi sul perché fosse finito nelle mani.

Cominciai a pensare che quel cane volesse soltanto trovare un compagno umano con cui giocare, così, formatosi un sorriso sul mio volto, caricai il braccio per lanciarlo da qualche parte intorno agli alberi, in maniera tale che il cane potesse rincorrerlo e giocare divertendosi.

Perché privare agli altri esseri della felicità, nonostante i propri demoni che si trovano dentro ognuno di noi?

Tuttavia, non appena alzai lo sguardo nella posizione in cui era seduto il cane... lui non c'era più.

Era svanito nel nulla, come polvere nel vento. Passai in rassegno l'intero spazio circostante alla sua ricerca, ma di lui non era rimasta più nessuna traccia.

Stavolta, ero davvero solo.

Nessuno era più con me. Neppure Henry, che aveva deciso di andarsene, per la seconda volta, senza portarmi con lui.

Ormai in preda alla disperazione e al dolore, mi recai nuovamente presso il fiume sul quale rifletteva l'immagine di Henry.

Tentai di richiamare il suo nome, ma non arrivava nessuna risposta. Abbassai lo sguardo verso la mia mano destra, e il ramoscello spinoso si trovava ancora stretto dentro di essa. Le spine facevano male, ma il dolore provocato da queste non era minimamente paragonabile a quello interiore. Quello che schiacciava e torturava la mia anima.

Rivolsi gli occhi verso la corrente che scorreva sul fiume, con la speranza che Henry apparisse di nuovo sull'acqua cristallina, ma così non fu. Niente era più rimasto.

«Ti penso spesso, Henry. Ricordo sempre i momenti in cui eravamo ancora insieme.» il mio sguardo si perse nel mio stesso riflesso «Non ti ho dimenticato... ed è proprio quello il punto.»

Alzai il braccio sinistro, e lo tenni sospeso per aria. Avvicinai la mano destra tremolante ad esso, tenendo stretto il ramoscello. Le sue spine nerastre, lunghe e taglienti coprirono il rispettivo avambraccio inferiore e si appoggiarono sopra le vene inturgidite.

Un solo momento. Un unico battito di ali. E tutto si sarebbe stravolto.

Feci un profondo respiro, alzando lo sguardo al cielo. Chiusi gli occhi. Sussurrai...

«Un solo battito di ali.»

E contai, fino al culmine della mia folle vita.

«Dieci...

Nove...

Otto...

Sette...

Sei...

Cinque...

Quattro...

Tre...

Due...»

Le spine avevano fatto il loro ingresso nella mia pelle... si erano impossessate di me.

«Uno...»

A H . . .

J A C O B . . .

Ma nel momento culminante... il sospiro di voce fece il suo ritorno, più potente di prima.

O H . . .

J A C O B . . .

Il cuore cominciò a battere velocemente, troppo velocemente. Il sospiro di voci mi prese alla sprovvista, facendomi riaprire di sobbalzo gli occhi.

A causa di questo, effettuai accidentalmente un taglio eccessivamente lungo e profondo, rischiando l'apertura pericolosa delle vene.

Emanai un potente urlo a causa del bruciore e del dolore mastodontico provocato dalla grave ferita, e cercai aiuto.

In preda al panico più totale, partii disperatamente alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarmi, o di un posto dovrei avrei potuto trovare la posizione più confortevole possibile e medicare adeguatamente la ferita.

Istante dopo istante, la vista diventava sempre più offuscata. La ferita sanguinava sempre di più, e il bruciore, oltre al dolore generale, non faceva altro che incrementare.

«Lucia... LUCIA!» strillai sempre più forte, sperando che si trovasse ancora nelle vicinanze.

Vedevo ormai il nulla più totale. Il cielo era buio, e le prime stelle cominciavano ad apparire. Ma all'improvviso, come la luce in fondo a un tunnel, riuscii ad intravedere poco sopra di me un pannello luminoso, con sopra una scritta.

Sforzai la vista, seppur con tutte le difficoltà del caso, e scoprii di ritrovarmi davanti a un locale. Il pannello riportava un particolare nome: Memories' House.

Memories' House. Quello doveva essere il nome del locale.

Feci rapidamente ingresso al suo interno e, dopo aver sbattuto la porta di violenza, incontrai al centro di esso un vecchio uomo, illuminato da una lampada che si trovava sul soffitto di quel gigantesco locale.

Mi avvicinai all'uomo per chiedere aiuto e, una volta che i nostri sguardi si incrociarono, lui s'incamminò verso la mia direzione.

«Buona sera, caro ragazzo!» mi diede il benvenuto nel momento in cui mi ritrovai dinanzi a lui.

«Signore, io... la prego, io ho bisogno di...»

«Shh, shh... qui sei a casa.» sussurrò lui, allungando il braccio destro verso di me «Che ne dici di... danzare nei ricordi

Al solo sentire quelle sue ultime parole, i miei occhi si socchiusero lentamente, fino a chiudersi del tutto.

Le voci all'interno del locale si interruppero bruscamente, insieme ad ogni tipo rumore.

Vedevo soltanto il vuoto, al centro del quale comparve una misteriosa farfalla azzurra battere incessantemente le sue ali.

La mia mente si stava annebbiando sempre di più.

E il cuore... cessò di battere.

SPAZIO AUTORE

E rieccoci qui, dopo tre mesi esatti di interruzione!

Aspettavo da tantissimo tempo questo momento: mostrarvi un nuovo Jacob Johnson, quello diciottenne, per la precisione.

Scrivere questo capitolo non è stato per niente facile per me, per le motivazioni che probabilmente avrete già compreso.

Abbiamo scoperto chi è Lucia Rubio, la madre di Beatriz!

E abbiamo anche scoperto cosa si cela dentro la mente del nostro caro Jacob.

Credetemi se vi dico che ho anche difficoltà nel parlare adesso, dopo le vicende e le parole che ho dovuto trascrivere.

E forse è proprio per questa motivazione che mi ritengo incredibilmente soddisfatto di questo capitolo, uno dei miei preferiti, da autore della storia (fino ad ora 🤐).

Cosa ne pensate dell'atteggiamento del nostro caro, nuovo, Jacob Johnson?

Non vedo l'ora di leggere i vostri commenti a questo capitolo, sono davvero curiosissimo!

Ricordate di lasciare un feedback con un commentino e magari una stellina, per me è fondamentale! 💞

Ci vediamo al prossimo capitolo, e ricordate: non c'è bisogno di chiudere gli occhi. Come ha detto Lucia a Jacob, quello che abbiamo vissuto varrà pur qualcosa.

Non trovate?

Gæb🍹

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro