4. Green

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4.
Green


"Poiché la disperazione era un eccesso che non gli apparteneva, si chinò su quanto era rimasto della sua vita, e riiniziò a prendersene cura, con l'incrollabile tenacia di un giardiniere al lavoro, il mattino dopo il temporale."
(Alessandro Baricco)


Esiste un labirinto, dentro la tua testa.

Un luogo fatto di sentieri, scorciatoie e vicoli ciechi. Percorsi che si intrecciano tra loro, confondendosi, scontrandosi e lasciandosi per sempre; un labirinto invisibile e oscuro, dove è facile perdere l'orientamento. Smarrire la strada, rimanere incastrato nei rovi o impazzire. La cosa divertente, poi, è proprio che le persone stesse finiscono per perdersi, nel proprio labirinto. Se ti chiudessi nella tua stessa mente, se sigillassi gli occhi, finiresti per perdere il senno. Perché, assodato che esista quel labirinto, l'immediata affermazione che segue riguarda la tua completa incapacità di orientarti all'interno di esso.

«Riproviamo.» Draco strinse i denti, spostandosi i capelli sudati dalla fronte.

Daphne gli scoccò un'occhiata scettica, piuttosto restia a risollevare la bacchetta. L'amico era madido di sudore, tanto che la camicia bianca quasi gli aderiva al petto sudato, e respirava pesantemente. I capelli biondi gli ricadevano scomposti sulla fronte e gli occhi erano affaticati, anche se agguerriti come poche volte li aveva visti. Insomma, tutto nel suo aspetto le suggeriva che non avrebbe retto un altro tentativo.

«Forse dovremmo fermarci, per oggi.» considerò cautamente.

«Riproviamo.» ripeté seccamente lui, in un tono che non ammetteva repliche; poi ammorbidì leggermente la voce «Per l'ultima volta.»

Daphne sollevò la bacchetta, poi la riabbassò, mordendosi leggermente il labbro inferiore.

«Draco...» tentò di farlo ragionare «Sai che in questo modo ti torturi inutilmente, o meglio costringi me a farlo. Sei il miglior occlumante che conosca, non posso allenarti meglio di quanto tu non lo sia già.»

Fece una pausa, quando notò che lui non la stava più guardando: fissava intensamente la missiva del Ministero giunta quel pomeriggio, abbandonata sul camino a pochi passi da loro. La pergamena era stropicciata, segno che lui dovesse averla stretta tra le dita prima di dispiegarla nuovamente.

«Per di più, mi fa sentire in colpa ridurti così.» aggiunse con una punta di risentimento «Potresti chiedere a Theodore, una volta tanto.»

Lo sguardo gelido del biondo tornò nel suo, fulminandola.

«Nott non avrebbe il fegato neanche di lanciarmi un fiore, figuriamoci un incantesimo avanzato.» alzò gli occhi al cielo, poi raddrizzò la schiena e si irrigidì, pronto «Ora riprova. Non ho tutto il giorno.»

La serpeverde serrò la mascella, tenendo a bada la voglia di schiantarlo. Almeno, però, la sua scontrosità le diede il coraggio necessario per fare quello che le chiedeva.

«Legilimens!» scandì, sollevando la bacchetta verso di lui.

Come previsto, visualizzò quasi subito una stanza vuota. Il corridoio che le si presentò davanti non aveva porte e non c'era un singolo ricordo, persona o sensazione a indirizzarla. Non per nulla, Draco era un ottimo occlumante. Ma Daphne sapeva di non potersi fermare a quel punto. Del resto era per quello che erano lì da tutto il pomeriggio. Strinse la presa attorno alla bacchetta, raccogliendo la concentrazione e l'energia necessarie a passare dal Legilimens alla Legilimanzia vera e propria. Cominciò a forzare la sua mente, a cercare di plasmarla inviandole immagini, dapprima deboli, poi sempre più forti e insistenti. La visione sfarfallò e qualche porta tremolante apparve. Lei vi si insinuò subito.

Nagini.
Il volto terrorizzato di alcuni prigionieri.
La risata inquietante del Signore Oscuro.

Il tutto era pervaso da un senso di nausea, orrore e paura. Era un ricordo semplice da lavorarsi: probabilmente Oswald l'avrebbe modificato cercando di far sì che fosse Draco, e non il simpatico serpente domestico di Voldemort, a uccidere i prigionieri. Iniziò a provarci, ma venne scaraventata immediatamente fuori dal ricordo. Si ritrovò nel corridoio spoglio, ma non si diede per vinta. Continuò a forzare la sua mente e, dopo qualche minuto che le costò sudore e fatica, le porte tornarono a comparire a intermittenza. Si lanciò contro un'altra di esse, questa volta rapidamente, e la forzò in poco tempo.

Dolore.

C'era solo dolore, dietro quella porta. E tanta oscurità. Era buio e qualcuno singhiozzava raggomitolato in un angolo. Daphne uscì subito. Non le interessava: non avrebbe potuto modificarlo in nessun modo per far apparire Draco colpevole, quindi non aveva senso invadere la sua privacy, sapeva che lui non lo avrebbe sopportato. Gli aveva promesso che avrebbe visto solo ciò che era necessario. Provò con un'altra porta.

I corridoi di Hogwarts.
Draco che consegna l'idromele avvelenato a Lumacorno.
Un senso di disgusto, accompagnato dalla nausea che incontrava spesso nei suoi ricordi di quell'anno, e sgomento. Le mani tremanti. Il cuore a mille.

Daphne si concentrò: poteva andare bene, doveva solo trasformare il ribrezzo per sé stesso in orgoglio. Era quello che avrebbe fatto Oswald, se si fosse trovato davanti quel ricordo. Ci provò con tutta se stessa, senza dosare la magia, troppo presa a forzare la sua mente. Si accorse del momento in cui Draco cominciò a resisterle e tentare di buttarla fuori, ma si oppose a propria volta, mettendo da parte il timore di ferirlo per poterlo aiutare. Il fine giustifica i mezzi, per i serpeverde. E lei avrebbe dovuto fargli male, per renderlo abbastanza forte e allenarlo a non farsi sopraffare durante l'interrogatorio al Ministero, proprio come lui le aveva chiesto. Erano mesi che Oswald cercava di incastrarlo creando false accuse sulla base dei suoi ricordi, ma lei non lo avrebbe permesso. Strinse i denti, cercando di alterare il ricordo che aveva davanti e plasmarlo a proprio piacimento. Ma all'ultimo momento, proprio quando sentiva di esserci riuscita, qualcosa si oppose con forza e lei venne sbalzata indietro e catapultata fuori dal ricordo e dalla mente di Malfoy. Riaprì di scatto gli occhi, pronta a complimentarsi con lui per averla contrastata, quando lo vide afflosciarsi fino a perdere i sensi e scivolare in un tonfo dalla sedia al pavimento.

«Draco!» si precipitò verso di lui, afferrandolo per le spalle.

Sapeva che avrebbero dovuto fermarsi prima, dannazione. Glielo aveva anche detto. Ma quell'idiota testardo l'aveva costretta a riprovare e lei l'aveva sfinito, senza volerlo. Sentì la frustrazione e la preoccupazione per l'amico aumentare, ma c'era anche un altro sentimento, molto più potente degli altri, che premeva per manifestarsi.

Rabbia.

Rabbia nei confronti del Ministero della Magia e del Wizengamot, che procedeva tanto a rilento e si professava imparziale senza esserlo per nulla. E rabbia nei confronti di Oswald, l'infido legilimante che tentava di incastrare Draco da due mesi. Avrebbe dovuto limitarsi a sondargli la mente una volta, per controllare che non mentisse. Invece l'aveva tirata per le lunghe, ottenendo addirittura che il ragazzo fosse sottoposto a controlli mensili, per testare la sua condotta e controllare bene - a detta di quel bastardo - i suoi ricordi della guerra, ché erano davvero tanti, per accertarsi che non fosse colpevole. Invece che controllarli, però, ogni volta Oswald cercava il pelo nell'uovo, qualcosa che lo facesse anche solo apparire colpevole. E se non riusciva a trovarlo, tentava di forzare i ricordi di Malfoy per fargli commettere qualche crimine da cui il Ministero non avrebbe potuto assolverlo. Denunciare la cosa era stato inutile, quindi l'unico modo era tentare di contrastarlo, per cui Draco le chiedeva di continuo di aiutarlo ad allenarsi a contrastare delle intrusioni. Benché fosse un bravissimo occlumante, l'insistenza di un invasore instancabile avrebbe potuto farlo cadere o sfinirlo, com'era successo quel pomeriggio. Daphne strinse i denti, trattenendo un'imprecazione contro quell'infimo essere umano.

«Innerva.» mormorò, mentre sosteneva la testa di Malfoy, che era riuscita a non fargli sbattere sul pavimento.

Il ragazzo sollevò lentamente le palpebre, mettendo a fuoco il maglione verde di Daphne e i suoi occhi preoccupati, che lo fissavano in un misto di severità e sollievo. La scostò con gentilezza, anche se fermamente, mettendosi a sedere e cercando di recuperare il senso dello spazio. Gli girava la testa, ovviamente. Aveva le vertigini, la nausea e una gran voglia di rimettere tutto quello che non aveva mangiato da quando gli era arrivata quella maledetta convocazione.

«Sei stata troppo delicata.» commentò, anche se se ne pentì un attimo dopo.

Daphne lo stava aiutando senza chiedergli nulla in cambio, anzi, probabilmente le costava parecchio, in termini di fatica e sangue freddo, fargli quello. Non era giusto non mostrarle neanche un po' di riconoscenza e anzi criticarla. Ma era più forte di lui, non poteva arrivare impreparato al controllo. Oswald non era gentile, non gli lasciava respiro e di certo non gli dava il tempo di riprendersi. Era brutale. E se Daphne non lo fosse stata altrettanto, lui non sarebbe stato in grado di fronteggiarlo, al momento giusto, e avrebbe finito per cadere nella sua trappola.

«Ce l'ho messa tutta, Draco.» rispose Daphne, piccata ma benevola «Non sono una legilimante abile quanto lui, lo sai. Questo è il massimo che riesco a fare. Ma è tanto. E tu sei stato bravo, mi hai contrastata bene.»

Non sembrava convinto, ma annuì stancamente. Si aggrappò alla sedia per rimettersi in piedi e non la lasciò andare neppure dopo, non fidandosi delle proprie gambe. La testa sembrava scoppiargli e il cuore non voleva saperne di rallentare la propria corsa, ancora preda degli incubi che aveva rivisto.

Era questa la cosa peggiore, ciò che più gli faceva male.
Il fatto che ogni volta che qualcuno scavava nei suoi ricordi lui fosse costretto a riviverli.

Detestava farlo. Odiava vedersi inerme, spaventato e completamente alla mercé di qualcuno. In quei mesi era cambiato abbastanza da aver deciso di combattere per la propria libertà, soprattutto quando era ad Azkaban. Quel mese di prigionia era stato un inferno. E avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per non tornarci. Serrò la mascella, sollevando lo sguardo su Daphne. Doveva avere un aspetto sfatto e stravolto, ma le sue parole contrastarono enormemente con il modo in cui si sentiva.

«Sei libera stasera?» le chiese.

Daphne strabuzzò gli occhi, poi si irrigidì e assunse il suo classico cipiglio severo, con le mani sui fianchi e le labbra strette in una linea sottilissima.

«Per vederti perdere i sensi un'altra volta?» sbottò, velenosa «No, non sono disponibile. Sarà inutile riprovare, finché non ti sarai ripreso completamente. Hai un aspetto orribile.»

Lui incassò il colpo in silenzio, conscio che lei avesse ragione. Sarebbe stato inutile allenarsi a contrastarla, se non fosse stato in sé, avrebbe solo rischiato di sfinirsi e arrivare all'incontro con Oswald della settimana successiva già a pezzi. Quindi non insistette, ostinandosi in un silenzio che, Daphne ormai lo sapeva, significava che le stava dando ragione, anche se non lo avrebbe mai detto a voce. E che le era grato per il suo aiuto. Sospirò.

«Hai bisogno di aiuto per tornare in camera?»

Visto che Daphne era prefetto e aveva una stanza singola, solitamente era da lei che facevano pratica nella legilimanzia.

«Ci riesco da solo, grazie.» Draco la fulminò con lo sguardo, quasi offeso dalla sua insinuazione., staccando le mani dalla sedia e incrociandole al petto, per rimarcare il concetto.

Non era certo delicatino.
Non lo era mai stato, non poteva permetterselo.

«E comunque ho appena il tempo di una doccia.» si lasciò sfuggire prima di rendersene conto «Devo lavorare a quel compito sugli Ianus.»

Finse disinvoltura, mentre recuperava la giacca nera e la indossava, incurante della camicia ancora umida di sudore.

«A proposito, tu e Blaise avete fatto qualche progresso?» cercò di correggere il tiro.

Daphne era in coppia con Blaise. Per il compito sugli Ianus e nella vita in generale. Erano una coppia... bizzarra. Ma sembravano funzionare, e Draco era felice per loro. Quanto meno non erano usciti di senno come Nott, che da qualche settimana aveva stampato un sorriso sognante ogni volta che incrociava Luna Lovegood per i corridoi.

«Nessuno.» Daphne sospirò, per la prima volta parve incerta «Abbiamo passato un intero pomeriggio a cercare libri sugli Ianus in Biblioteca, ma non ne abbiamo trovato neanche uno. Sembra che sia già stata svuotata.»

Malfoy sogghignò tra sé, facendo finta di nulla. La salutò con un cenno del capo e uscì in corridoio, diretto in sala comune e poi nella sua stanza. Ma fece appena pochi passi, giusto il tempo di uscire dal campo visivo della ragazza, prima di sbandare ed essere costretto a poggiarsi al muro. Le gambe tremavano e la vista si offuscò, mentre ricordi in ordine confuso gli vorticavano nella testa. Rivide Silente, la notte in cui aveva tentato di ucciderlo, poi Hogwarts distrutta, Voldemort, il marchio nero tra le nuvole grigie e la tempesta in arrivo. Strinse i denti, cercando di tenere fuori quelle immagini.

Non è reale.

Non era la prima volta che gli capitava, dopo aver subito un Legilimens. Sapeva che sarebbero andate via, doveva tenere a mente che tutto quello non era reale. Era a Hogwarts ora, al sicuro. sua madre era al sicuro e nessuno avrebbe potuto farle del male. La guerra era finita. E la Granger lo aspettava nella Stanza delle Necessità.

Respira.

Riuscì a raggiungere la sua camera, grato che non ci fosse Nott. Prese subito un sorso della Pozione Ricostituente che aveva preparato quella mattina e aprì il getto della doccia, lavandosi con movimenti imprecisi e tentando di non guardare il marchio nero. Infine indossò una camicia pulita e i pantaloni del completo, ma visto che faceva fatica a respirare rinunciò alla cravatta.

Era in ritardo.
La Granger si sarebbe infuriata.

Quando uscì, aveva ancora l'impressione di non essere sicuro sulle proprie gambe. Si impose fermezza mentre richiamava la stanza, deciso a non mostrarsi debole di fronte a lei. La Granger non sollevò lo sguardo dalla pergamena su cui stava scrivendo quando lo sentì avvicinarsi.

«Sei in ritardo, Malfoy.»

Non era quello che avrebbe voluto rispondere, ma gli scivolò fuori dalle labbra un «Accontentati della mia presenza, Granger.»

La grifondoro sussultò, sollevando lo sguardo per fulminarlo. Aveva delle occhiaie scurissime, notò Draco, e si vedeva che era pronta a una ramanzina, per questo si stupì quando non arrivò. Ma non fece in tempo a provare sollievo, poiché si accorse che gli occhi della ragazza erano fissi sui suoi polsi.

Respira.

Nella fretta non si era tirato giù le maniche della camicia, lasciando in mostra la coda del marchio nero. Ma non era l'unica cosa che lei stava osservando: gli occhi castani indugiavano con un'ombra di comprensione sui segni attorno ai polsi, lascito delle catene di Azkaban e del Ministero, e lui sentì l'umiliazione arpionargli il petto. Si riabbassò bruscamente le maniche.

Respira.

Avrebbe potuto curarli. Forse avrebbe dovuto farlo. Ma non gli importava. Era solo dolore, e in fondo se lo meritava. Aveva sbagliato e meritava tutto quello, gli era parso che non fosse importante. Ma ora che lei li aveva visti, ora che la Granger lo guardava in quel modo, d'un tratto gli parvero qualcosa di sporco. Lui era sporco.

Respira.

Le immagini di poco prima, quelle che i Legilimens di Daphne gli avevano richiamato alla mente, tornarono con prepotenza e per un attimo gli si offuscò la vista. Si aspettava che la Granger gli facesse delle domande, che pretendesse delle spiegazioni o decidesse di metterlo alle strette, invece lei sollevò le spalle e tornò a lavoro.

Grazie.

Quella parola gorgogliò dentro di lui e quasi non gli fece risalire la bile. Non era abituato a ringraziare, né lo avrebbe fatto ad alta voce, ma in quel momento si rese conto che se gli avesse detto qualcosa lui sarebbe andato in mille pezzi. Senza rendersene conto, quando si sedette di fronte a lei nascose il braccio sinistro sotto il tavolo, il marchio verso il pavimento, ben nascosto e il più lontano possibile. Poi abbassò lo sguardo sul foglio, maledicendosi mentalmente.

Doveva darsi una calmata.

Senza volerlo, sollevò discretamente lo sguardo per posarlo sulla ragazza che gli stava di fronte. Lei non se ne accorse, concentrata com'era a scrutare le pagine di uno di quei libroni sugli Ianus che aveva pescato in biblioteca. Draco osservò le sue pupille correre da un estremo all'altro della pagina con rapidità, mentre le labbra si muovevano ogni tanto a mimare inconsapevolmente qualche termine che lei trovava rilevante. Erano carnose.

E invitanti.

Avrebbe dovuto maledirsi per quel pensiero, ma sarebbe stato ipocrita. Non era la prima volta che pensava a lei in quel modo, anche se prima della guerra era stato difficile ammetterlo a sé stesso. E dopo... aveva comunque smesso di avere senso. Lei o chiunque altro gli avrebbero riso in faccia. E aveva già abbastanza problemi con il Ministero, occupato com'era a combattere per la propria libertà. Di certo un mangiamorte pentito non può essere amico di un'eroina di guerra. E di certo lei non l'avrebbe mai guardato in quel modo. D'altronde, non stava facendo tutto quello per poter toccare di nuovo il suo ragazzo?

«Penso che dovremmo fare una prova pratica.» disse lei.

Draco si schiarì la gola «Una prova pratica?»

«Con lo Ianus.» chiarì la Granger «Credo che dovremmo chiedere a Miracle di farci fare un tentativo.»

«Non ce lo permetterà.»

«Tentar non nuoce, Malfoy.» sollevò le sopracciglia «È un proverbio babbano.»

Si bloccò, guardandolo con cautela: probabilmente si aspettava che dicesse qualcosa di offensivo o sgradevole sui babbani, e Draco non poteva biasimarla per questo. Il ragazzo di qualche mese prima lo avrebbe fatto.

«Credo sia meglio che glielo chieda tu.» rispose invece «Io non gli piaccio.»

Miracle lo odiava, ne era certo. Lo aveva scelto come volontario per affrontare un demone, poi aveva condiviso con l'intera classe le ultime notizie sul suo processo, per non parlare della velata minaccia di scrivere e inviare al Ministero una pessima relazione. La Granger sembrava essere - Salazar, era incredibile - d'accordo con lui, perché annuì. Poi si alzò per raccogliere le proprie cose e Draco dimenticò di nuovo di pensare prima di aprire bocca.

«Te ne vai?» le chiese, e un attimo dopo avrebbe voluto schiantarsi e maledirsi da solo.

La Granger parve sorpresa, lo studiò con diffidenza e spostò il peso da un piede all'altro.

«Emh, sì.» rispose, soppesandosi i libri tra le mani «Mi resta da dare un'occhiata a questi, ma posso farlo in Biblioteca.»

Non era per lei, si disse Draco, non gli importava della Granger in sé. Solo che averla accanto gli impediva di pensare e bloccava il flusso dei suoi orribili ricordi. Si convinse che qualunque sensazione stesse provando avesse come unica motivazione il proprio stato confusionale, e il fatto che non ci fosse nessun'altro oltre lei lì. Hermione lo stava ancora studiando.

«Vuoi... vuoi che resti?»

Draco quasi si strozzò con la propria saliva «No.» rispose subito «Salazar, certo che no.»

Per un attimo gli sembrò che ci fosse rimasta male, ma poi si disse che doveva essere solo sollevata. Chiaramente aveva di meglio da fare che restare in quella stanza con lui.

«D'accordo, allora.» gli disse «Ci vediamo venerdì?»

«Non posso venerdì.»

Se pensare alla Granger lo aveva distratto fino a quel momento, a quella domanda l'imminenza della seduta di controllo al Ministero invase nuovamente la sua mente e i suoi pensieri. Ricordò il ghigno sardonico di Oswald, l'impotenza che provava ogni volta che si introduceva nella sua mente, cercando di alterarla. Il modo in cui si sentiva quando lui aveva finito, le volte in cui non perdeva i sensi, e l'umiliazione che provava nel sentirsi violato a quel modo davanti a tutto il Wizengamot. Ogni volta temeva di dimenticare chi fosse. Detestava quel giorno del mese più di qualunque altro.

«Malfoy, mi stai ascoltando?» La Granger sembrava spazientita, doveva essersi perso qualunque cosa avesse detto. Si riscosse, mentre lei ripeteva pazientemente: «Cos'hai da fare di così importante, venerdì? Non abbiamo neanche lezione. E il tempo è agli sgoccioli, dovremmo sbrigarci.»

Lui serrò la mascella talmente forte che avrebbe potuto slogarsela.

«Ho detto che non posso.» ripeté seccamente «E la ragione non ti riguarda.»

Era stato brusco, se ne pentì immediatamente, ancora prima di vederla irrigidirsi. Ma non poteva, non avrebbe sopportato di spiegarglielo. Si mise alla ricerca di una scusa valida.

«Io ho... un appuntamento.» era la verità: aveva un appuntamento, anche se era con i membri del Wizengamot.

Il sangue affluì al viso della Granger, lei cercò di nascondere il rossore coprendo il viso con i suoi morbidi ricci. Aveva frainteso, ovviamente.

«Oh.» fece infatti, in imbarazzo «Non pensavo che uscissi con qualcuno.»

Non esco con nessuna, Granger, gridò una voce dentro di lui; è da un po' che mi chiedo come sarebbe uscire con te, insinuò quasi timidamente un'altra.

«Sono impegnato.» fu quello che disse, invece, lui.

La Granger fece un passo indietro, a disagio «Okay.» disse «Bene. Allora possiamo incontrarci sabato.» annuì tra sé, poi gli rivolse uno sguardo cordiale «Chiederò a Miracle di farci fare un tentativo con lo Ianus.» lo informò «Ti manderò un gufo per farti sapere.»

Draco la guardò uscire dalla stanza, poi poggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese il viso tra le mani. Il cuore minacciava di sfondargli la cassa toracica senza un particolare motivo, mentre pensava al vero motivo per cui non avrebbero potuto incontrarsi venerdì. Si passò le mani tra i capelli e li tirò fino a farsi male, chiedendosi quando tutto quello sarebbe finito. A se sarebbe finito.

A volte sembra davvero impossibile trovare una via d'uscita.

Il mondo pare congiurare contro di te, abbatte tutte le difese che hai faticosamente tirato su e scocca dardi avvelenati contro quei bersagli del cuore che hai sempre difeso assiduamente. Ti senti perso, vulnerabile, condannato. Non è tanto l'infelicità a ferirti, quanto la mancanza di speranza che le cose miglioreranno. Perché credi che non possano migliorare, vero?

E invece lo faranno.

Chiunque si sia sentito perso abbastanza a lungo, o chiunque abbia davvero toccato il fondale di un abisso, sa con esattezza qual è il punto da cui si inizia a risalire. Prima o poi, in qualsiasi epoca e per qualsiasi individuo, il vento di bonaccia si trasforma in tiepida brezza. Se ti lasci andare prima nella tempesta, tuttavia, o smetti di trattenere il respiro e di cercare la via d'uscita del difficile labirinto in cui sei intrappolato, ti perdi quel momento.

Per questo si dice tieni duro.

Perché in ogni storia, dalle fiabe alle realtà, c'è un finché. Tutto sta nel trovarlo, il tuo finché. Il sentiero per il lieto fine, mi piace chiamarlo. Il punto da cui inizi a risalire.
In questo senso, la speranza può davvero salvarti. Perché solo chi crede che esista una via d'uscita continua a cercarla. E solo chi continua a cercare, a un certo punto, proprio quando credeva che fosse tutto perduto, nota una strada che non aveva visto. O ci si trova già, su quella strada, e si accorge che in realtà porta in un sacco di posti.
Ci sono così tante strade, porte, possibilità.
È impossibile che nessuna conduca alla felicità.
Perciò se stai attraversando un momento difficile, terribile, osceno.
Tieni duro
Lo vedi quell'angolo, poco più avanti?
Lì,
proprio lì dietro,
potrebbe esserci quello che stai cercando.

Spazio autrice:
Ehilà! Ho aggiornato in anticipo per farmi perdonare del ritardo dell'ultima volta, spero che vi abbia fatto piacere! Il prossimo aggiornamento sarà comunque venerdì.

Ho scritto le ultime frasi di questo capitolo in un momento molto difficile per me, di getto e senza collegarle a qualcuno o qualcosa in particolare. Però poi, in cerca di una chiusa e nello scrivere, sono andata a ripescarle nelle mie note per metterle qui. Spero possano essere di conforto per chiunque stia attraversando un momento difficile. Tenete duro, perché la vita è fatta di tanti angoli, e nel bene come nel male, non sappiamo mai cosa davvero ci aspetti dietro il prossimo ❤️.

Grazie per essere qui a leggere e lasciare un voto. E grazie soprattutto a chi trova il tempo di lasciare un commento: ogni vostra opinione ha infinito valore per me.
Un fortissimo abbraccio, a venerdì!

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