2 - Trovarsi era poi un casino

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Erano le tre di mattina quando fui chiamato dal mio capo per avvisarmi che nell'appartamento di Freya Foster, una giovane CEO che aveva ricevuto varie minacce di morte, avevano rilevato movimenti sospetti.

«Sbrigati. È una questione di urgenza nazionale». La chiamata fu interrotta e io, che già ero pronto a qualsiasi evenienza, chiusi il portone di casa e in sella alla moto sfrecciai verso l'edificio della giovane. Lasciai la Kawasaki lontano dall'abitazione ed entrai dal retro. L'edificio era buio, constatai che avevano tagliato la corrente, così tra le ombre e con la pistola ben carica e impugnata stretta salii le scale facendo attenzione ai vicoli ciechi.

L'auricolare emise un sussurro.

«Dawson a rapporto». Era l'agente Dan, il mio secondo.

«I Primi quattro piani liberi».

«Piano quaranta libero». Mi informò Dan, il quale era con la signorina Freya nell'attesa che io arrivassi da loro. Tuttavia agilmente visitai i piani rimanenti e con cautela procedevo verso il quarantesimo, nonché ultimo, piano.

Al ventesimo sentii un rumore lieve, mi girai puntando la pistola al vuoto, scesi due gradini, voltai l'angolo e un calcio mi arrivò in pancia,  il dolore che provai fu acuto ma non demorsi e contrattaccai con un pugno alla mascella, la pistola ancora impugnata era in direzione della coscia di quello che dalla fisionomia sembrava un uomo, non seppi se sparare.

«Ventesimo. Cazzo ventesimo». Ringhiai all'auricolare mentre tenevo sotto tiro l'uomo. Ricevetti silenzio e un pugno sull'occhio. Poi uno sparo echeggiò nell'edificio. L'uomo si accasciò a terra urlando dal dolore, tuttavia scalpitava, avrebbe voluto colpirmi, tuttavia lo guardavo da due gradini più in alto. Poi mi abbassai con le mani incrociate e la pistola a penzoloni, chiesi: «Chi ti manda?» L'uomo ringhiò dal dolore e tentò di alzarsi, ma gli misi un piede sul petto, lesto, impedendogli la rivalsa.

«Ingenuo». Mi rispose l'uomo. Senza mostrare emozioni mi chinai e gli tolsi il passamontagna.

«Lo sei tu. Per aver attentato a una vita, soprattutto se sono io a proteggerla». L'uomo rise.

«Non ce ne frega nulla della giovane donna che proteggete. Signor Ferran siamo qui per il progetto "R.C.A.D."». L'uomo aveva una piccola cicatrice sulla guancia, me ne accorsi nonostante il buio.

«Siete? Siete chi? Quanti di voi ci sono nell'edificio?» Domandai.

L'uomo sorrise ancora ma rimase in silenzio nell'agonia del dolore.

All'auricolare sentii Dan sussurrare.

«Piano quaranta». Così presi le manette e legai il polso dell'uomo alla ringhiera. Questo sorrise beffardo senza opporre resistenza.

«Chi siete?» Ripetei un'ultima volta, brusco.

«Io morto tra poco, quindi sono nessuno, signor Ferran. Dammi protezione o non saprai nulla a cosa ci serve il progetto "R.C.A.D."».

Con un taglio profondo sul sopracciglio destro e il sangue grondante, ero all'improvviso interessato più del dovuto, tuttavia dovevo andare da Dan.

«Dimmi dove sono gli altri dei tuoi e vedrò cosa posso fare». Proposi imperscrutabile. Se stava bluffando era impossibile capirlo.

«Mi uccideranno tra meno di dieci minuti», sorrise in un ghigno.

«Non potrai proteggermi da ammanettato».

«Fottiti. Rimarrai lì finché non tornerò». Gli puntai furioso il dito contro e impugnando la pistola mi diressi su per i piani.

«Non credo di poter obbiettare». Sentii dire all'uomo a voce alta.

Ringhiai piano, sospirai e continuai la mia perlustrazione. Procedette tutto nella norma fino al trentesimo piano quando notai tre uomini che si aggiravano furtivi con due coltelli per mano. Non mi feci notare ma il mio sguardo catturò le lame che riflettevano la fioca luce di quel piano che era poco illuminato dall'alba che stava per sorgere.

Capii che stavano aspettando qualcosa, forse proprio me, tuttavia non mi mossi ma sussultai quando sentii uno sparo provenire da vari piani di sotto. Pensai che qualcuno avesse ucciso l'uomo con la piccola cicatrice, proprio come lui stesso aveva previsto. Imprecai nella mente e capii allora di essere circondato: uno dei piani inferiori era stato compromesso e il trentesimo piano era occupato.

«Trentesimo». Sussurrai nell'auricolare. Poi mi mossi andando contro il primo: era incappucciato e vestito di nero, proprio come l'altro. Riuscii a sorprenderlo, o meglio, a sorprenderla, era una donna. Le puntai la pistola dietro la schiena e con l'altra mano le sfilai i quattro coltelli che aveva nella cinta: due davanti, due dietro.

«Getta gli altri». Le ordinai. Le stavo vicino, il mio corpo era stretto a quello della donna che tuttavia non rispose, voltò solo leggermente il capo. Seguii quel movimento. L'altro uomo incappucciato non era più dove lo avevo lasciato. Cazzo, imprecai mentalmente.

La donna fece quello che le ordinai e mi si stupii con quanta semplicità si fosse lasciata catturare.

Poi pensai al perché nessuno della squadra era ancora arrivato a prestare soccorso. Lì mi allarmai, lei lo notò e con una rotazione del busto e della gamba non solo mi arrivò uno stivale in faccia ma fui anche disarmato.

Sgranai gli occhi barcollando all'indietro. Lei recuperò due coltelli da terra facendoli roteare in una danza ipnotica e poi svanì sotto i miei occhi. Frustrato, decisi di non inseguirla ma solo perché stava scendendo ai piani inferiori. In fondo il mio unico obiettivo era quello di proteggere la signorina Freya quindi mi diressi al quarantesimo piano, sperando di non trovare altri impedimenti, non prima di aver recuperato la mia pistola e un coltello che apparteneva alla scena del crimine ma che mi potevo permette il lusso di prendere.

La mia speranza fu ripagata.

«Piano quarantesimo. Porta video-sorvegliata. Entro». Annunciai all'auricolare.

Con cautela aprii la porta. Con la mano in cui tenevo il coltello aprii leggermente la porta, con il piede la spalancai del tutto e mi riposizionai in modalità di difesa - attacco: con la mano destra tenevo il coltello, il braccio era piegato, arrivava sin alla scapola; con la mano sinistra invece tenevo distesa la pistola carica.

Perlustrai la stanza, trovai Dan accasciato atterra senza sensi.

«Merda, amico!»

Non c'era nessuna traccia di Freya, inoltre. Sussurrai diverse volte il suo nome fin quando non la vidi emergere da sotto il letto. Stavo ancora puntando la pistola. Abbassai le armi e le andai incontro, mettendo l'indice sulle labbra, lei annuì e rimase ferma, terrorizzata.  Tornai a chiudere la porta dell'appartamento, mi assicurai per una seconda volta che fosse tutto libero poi mi portai il braccio muscoloso di Dan intorno al collo, lo afferrai per la vita, lo trasportai fino alla camera da letto e lo feci stendere. Era ridotto male. Corrucciai la fronte. Avevo bisogno di sapere cos'era successo.

Quasi sobbalzai quando Freya mi toccò il braccio scoperto. Il contatto fisico non richiesto mi innervosiva, non quel nervosismo da prestazione, ma un nervosismo fatale, che poteva uccidere. Mi voltai e la guardai. Non era ferita. Cosa cercavano se non lei? Quell'uomo con la cicatrice aveva detto che erano lì per il progetto "R.C.A.D." ma Freya centrava molto più di quanto immaginassero... quindi perché lei era intatta e Dan a terra?

«Dimmi». Mi scostai e mi portai una mano alla massa scombinata di capelli.

«Dan si rimetterà?» Lo guardai.

«Sì, è quasi intatto, avrà ricevuto un bel colpo, ma è tutto okay, non preoccuparti». Annuii incrociando le braccia tatuate.

«E tu? Tu non mi sembri star bene», disse in pensiero, Freya.

«Ti sbagli. Devo fare delle chiamate. Non uscire dell'appartamento». Le imposi, poi dandole ancora le spalle presi il cellulare e composi il numero del mio capo, Mick.

«Perché cazzo non sono arrivati i rinforzi quando li ho richiesti? Eravamo solo io e Dan, ora lui e fuori gioco, io devo occuparmi di una faccenda rimasta in sospeso con uno di quella gente, a meno che non sia morto e devo sorvegliare Freya. Mi mandate dei fottuti uomini?» Ringhiai.

«Non ci è arrivata nessuna richiesta Dawson. Ti mando altri agenti. Quanti?»

«Ne voglio ottanta, cazzo. Due per ogni piano». Sbuffai.

«Prima che si mettano in postazione dovranno ripulire i piani, di nuovo. L'ho fatto, certo che l'ho fatto, Mick. Sai che significa salire fino al quarantesimo piano quando ci sono dei potenziali assassini attorno a te? Ho controllato ogni dannato piano. Ero da solo, cazzo! E non è bastato. Dan era con Freya. Vaglio quegli uomini, Mick, entro quindici minuti».

Il capo acconsentì e io sospirai frustrato.

«Voglio l'FBI tra un'ora dalla signorina Freya Foster. Il più discreti possibili, per piacere». Quella fu un'altra chiamata.

🍁

Mentre Freya con la vestaglia da notte se ne stava seduta sulla poltrona, sconvolta, io pensavo ad Annabel perché tutto questo presto avrebbe avuto ripercussioni su di lei, era certo come era sicuro che lei non era pronta a sopportare tutto quel casino. Lei, anima pura e buona non poteva gestire tutta quella merda, non da sola, per questo aveva bisogno di me al suo fianco.

Le avevo chiesto più volte e anticipatamente se era disposta ad avere una guardia del corpo, lei però non aveva acconsentito e io non avevo accettato quella risposta, quello era il motivo per il quale continuavo a insistere. Sapevo che lei avrebbe avuto bisogno molto presto di qualcuno pronto a proteggerla. Quello che aveva scoperto, quello a cui ha lavorato per anni l'ha portata ad avere una certa rilevanza nell'ambito scientifico e tutto quello si era clamorosamente trasformato in una lotta politica. Lei aveva bisogno di me. Ne aveva bisogno, anche se non voleva ammetterlo. E seppure il pomeriggio precedente avevamo avuto quello scambio insolito, ma neanche poi così tanto, ero pazzamente preoccupato per lei. Per lei che ogni volta che la guardavo mi perdevo e trovarsi era poi un casino.

«Ti spiace se fumo?» Chiesi a Freya.

Lei sembrò come essersi risvegliata da un sogno a occhi aperti. Mi guardò con occhi luccicanti poi disse di no e si avvicinò a me. Sfilai una sigaretta e Freya ne sfilò un'altra dal mio stesso pacco. Le nostre dita si sfiorarono e io quasi non ringhiai, lei tuttavia sorrise.

Avevo bisogno di fumare perché preoccupato per Annabel, Freya solo per stare accanto a me, e io non lo sopportavo.

🍁

«I tuoi ottanta uomini sono posizionati, Dawson». Fu l'unica cosa che il capo mi disse in chiamata. Dopo poco, fuori dall'appartamento sentii un chiacchiericcio, presi la pistola in mano, facendo spostare dietro di me Freya, la quale ancora non aveva finito di fumare e aveva la sigaretta tra le dita, io tuttavia prontamente avevo spento la sigaretta nel posacenere.

Gli agenti federali del Bureau entrarono nell'appartamento.

«Agente Dawson Ferran è un onore», disse un uomo di carnagione scura.

«Niente convenevoli. Avete visto un uomo ammanettato al ventesimo piano?» Subito chiesi.

«No, signore».

«Rintracciatelo. Uomo sulla quarantina, alto circa un metro e settanta, segni particolari: una piccola cicatrice sulla guancia desta, corporatura massiccia. Non so farvi un disegno identificativo». L'agente federale, il cui nome in codice era "Tasso", annuì.

«Il mio lavoro qui è finito. Occupatevi dell'agente Dan. Fuori ci sono due guardie?» Chiesi, tuttavia mi affacciai alla porta per osservare con i miei occhi i due uomini: uno a destra e uno a sinistra della porta.

«Bene».

🍁

«Annabel, a breve, tra due giorni esatti, presenteremo pubblicamente il tuo operato con una conferenza stampa. Sono certo che saprai spendere due parole riguardati il tuo progetto». Il capo incrociò le mani sul tavolo e mi guardava con gentilezza, io invece, seduta sulla sedia in pelle dello studio del mio superiore, accavallavo le gambe, sicura del lavoro svolto.

«Sì signore, il progetto "R.C.A.D." è completo, sperimentato e pronto a essere accolto dal mondo». Annuii.

«Bene - il capo si alzò e mi strinse la mano - può tornare al suo lavoro».

«Buona giornata, signore». Lasciai l'ufficio e mi diressi al centro scientifico e operativo. Le vetrate degli uffici erano trasparenti così i miei colleghi mi videro uscire dalla stanza del capo. Mi affiancò Lincoln.

«Tutto okay là dentro?» Mi porse il cappuccino mentre lui sorseggiava il suo.

Tuttavia mentre stavo per rispondere sentimmo un gran casino venire dall'entrata dell'edificio.

🍁

«Devo vedere Annabel Dickenson», imposi all'uomo in smoking e con l'auricolare all'orecchio.

«Non è possibile. La signorina è impegnata». Con sguardo truce la guardia ripose. Allora mi girai, gli diedi le spalle e mi portai le dita agli occhi perdendo la pazienza.

«La signorina non è impegnata. Non per me, se sta bevendo qualcosa con quell'uomo lì». La guardia corrucciò le sopracciglia.

«Proprio dietro di lei, si giri, prego». Lui lo fece e un sorriso beffardo spuntò sul mio volto.

«Si riferisce al signor Lincoln Lee».

A sentire quel nome, mi avvicinai prepotentemente quasi a sussurrargli all'orecchio.

«Passiamo dal lei al tu, va bene? Ottimo. Dicevo, vuoi che ti spacchi la mascella davanti alla signorina? Perché se è così basta chiedere. Lei si trova a meno di cinque metri da noi». Ringhiai.

«Non ho le sue referenze». Dichiarò l'uomo irritato.

«Bureau. Basta questo».

«Non posso farla entrare solo con questa informazione. Documento, distintivo? Ne possiede uno?»

«Certo che ne possiedo uno, razza di idiota, non ce l'ho con me. Sto perdendo la pazienza. Devo vedere Annabel Dickenson. Ora».

«Se lei pensa che io faccia entrare un uomo insanguinato e ferito all'interno del Centro e per di più senza referenze si sbaglia, signore». L'uomo si avvicinò e mise in chiaro le cose, tuttavia qualcosa di violento scattò nella mia testa mi trovai a prendere la guardia per il colletto e sbattere con violenza il corpo al muro.

«Annabel Dickenson. Devo vederla». Ringhiai.

Sentii il ticchettare dei tacchi avvicinarsi e altri passi veloci seguirli.

«Dawson», fu un sussurro. Voltai lo sguardo e lasciai andare l'uomo.

«Annabel». La guardai avvicinarsi sempre più. La guardai. Il suo viso era dolce, i suoi occhi grandi quasi spaventati e il vestito che indossava, rosso sangue, implorava qualcosa poco casto.

Poi spostai lo sguardo dietro di lei, vidi Lincoln, non ci feci caso, perché lei era davanti a me che mi fissava, osservava il sangue incrostato sul viso e sulla maglietta a maniche corte. Stava per toccarmi, stava per toccare le mie braccia ma io impaziente e stufo di quella lentezza la presi per il polso e la trascinai fuori dal Centro.

Il percorso fu silenzioso, si sentivano solo i tacchi di Annabel e i miei stivali calpestare prepotentemente il viale.

Poi ci fermammo, e, senza lasciare il polso candido della giovane, mi passai una mano sugli occhi, frustrato.

«Devi ripensarci, Annabel». Lei alzò lo sguardo di scatto sul suo viso insanguinato.

«Cosa? No, Dawson. Non voglio... - si allontanò, frastornata, lasciai andare la sua pelle morbida - non voglio questo, non voglio».

«Hai bisogno di me». La pregai.

«Non adesso, okay? Non adesso. Non ce la faccio. Non è ancora arrivato il momento. Non c'è ancora stata la conferenza stampa e... non c'è stata e nessuno sa chi sono, quindi non ho bisogno della tua protezione». Confusa, Annabel, aveva gli occhioni lucidi, forse anche perché spaventata dall'avvenire.

«Annabel», sussurrai, ma lei si era un po' persa nel vuoto, tra i suoi pensieri.

«Bel», dissi con voce bassa e roca, questa volta avvicinandomi. Mi abbassai sugli occhi neri della giovane e lei sussultò.

🍁

Mi aveva chiamata "Bel", quel nome revocava momenti familiari andati, sepolti nel passato, ma lui mi aveva chiamata e io non seppi come rispondere. Istintivamente volevo solo buttarmi tra le sue braccia e piangere, tuttavia non feci la prima cosa, la seconda sì. Le lacrime scendevano, mentre i miei occhi si spostavano di continuo in quelli giada del biondo.

«Sanno del progetto "R.C.A.D.", di conseguenza sanno di te», lo disse con voce dolce accarezzandomi la guancia, asciugando le lacrime sulla pelle rossa.

🍁

Quella donna era di una dolcezza assoluta, tutto di lei sapeva di frutta estiva, pensai sorridendo appena.

«Perché piangi?» Mi misi dritto e mi guardai intorno avvicinandomi ancora di un passo a lei.

«Non è nulla». Si asciugò presto le guance e si diresse velocemente al Centro.

«Non importa, non importa nulla. Voglio vivere in pace».

E io non potei far altro che lasciarla andare.

Lo spazio di Cenere:

Salve a tutti! Ecco il secondo capitolo!

Diciamo che qui scopriamo qualcosa in più sul lavoro di Dawson e quello che comporta, ma qualcosa mi dice che non è finita qui...

Che ne pensate del capitolo? Fatemi sapere la vostra, come sempre. Ci tengo, ormai lo sapete!
E se questo capitolo vi è piaciuto mi farebbe piacere se lasciaste una stellina di supporto, grazie! :)

Ci vediamo presto con il prossimo!

Mi trovate anche su Instagram cenere.astrale

- Cenere

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro