6. IL MALE ALTRUI (parte 3)

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-Sai che non parleremo di lavoro, vero? –

Brian si piegò verso di lui e lo fissò più intensamente, in piedi da dietro il tavolo.

Jayden rimase impassibile dalla sua posizione appoggiato al ripiano della cucina, e non alzò lo sguardo. Scosse la testa. – Sì. –

Stavano prendendo le distanze l'uno dall'altro, come se la lontananza avesse assicurato loro di non finire per litigare.

-Puoi guardarmi, Jayden? -

Brian aveva alzato la voce volontariamente e l'aveva rimproverato con determinazione. Non lo faceva spesso, e seppe che avrebbe dovuto ubbidirgli.

Ma restò impassibile, con lo sguardo basso, seppur nei suoi occhi lottassero le più innumerevoli emozioni / sensazioni. Boh.

-Ho capito, non mi guarderai. – Brian si rivolse verso la porta e mosse qualche passo alla sua sinistra mentre incrociava le braccia. – Hai intenzione di non coinvolgere Chiara? –

-Lei è già coinvolta. – Jayden alzò appena la testa per poterlo scrutare di sottecchi.

-Sì. E' già coinvolta, Jayden. Dall'inizio. Non toglierti quell'espressione imbronciata dalla faccia. Ti meriti di averla. –

Lui, chiuso nel suo indispettito riserbo, taceva.

-Spero che Cèleste dorma. Sai vero cosa potrebbe succedere se lei o Chloe... -

-Sì. Brian, sì, lo so. –

-E' inutile che provi a farmi stare zitto. – Si voltò irritato verso di lui. -Ora lasciami parlare. –

-Tanto hai finito. –

Lui si sedette su un bracciolo del divano, restando per un attimo in silenzio prima di parlare. -Sì, hai ragione. – Affermò con un lungo sospiro. - In realtà speravo fossi tu a parlare. – Lo guardò inclinando di poco la testa, come se aspettasse una sua risposta.

Jayden, dal canto suo, non rispose prima di qualche lungo secondo. Controvoglia. Prese un lungo sospiro. -Quello che devo dire purtroppo non devo riferirlo a te. –

-Allora perché non lo fai? E' da anni che continui a rimandare. -

-Pensi che non lo sappia? Pensi che per tutti questi anni abbia ignorato il fatto di essere andato avanti con la mia vita senza avere gli stessi ripensamenti o rimpianti? – Lo guardò con un'emozione dolorosa che cominciava a instaurarsi dentro di lui. Non riusciva più a contenerla.

-Esatto, Jayden. Tu hai avuto il beneficio della scelta. Scegliere è stato un tuo diritto. E tu hai deciso di vivere tenendo stretti i tuoi ricordi. Anche se sapevi che neppure il tempo avrebbe potuto cancellarli. – Brian cominciò a camminare nervosamente per la stanza, agitando compulsivamente le mani.

Jayden taceva.

-Tu lo sapevi. E allora perché... perché non hai fatto niente, Jayden? Quanti anni sono che te ne stai chiuso qui a piangerti addosso quando là fuori c'è un mondo che vorrebbe soltanto che tu rimediassi ai tuoi errori? -

-Per te è facile, vero? Non è così, Brian? – Jayden alzò la voce tutto in un momento facendo esplodere tutta la rabbia che aveva accumulato in tutti quegli anni di rancore e dolore represso. – A te non è restato altro che andartene a studiare nella tua bella università lontano da qui e...-

-Io?! Modera le parole! – Brian si girò di scatto verso di lui e lo guardò fisso. I suoi occhi cominciavano a mandare lampi di frustrazione. - Me l'avevi esplicitamente chiesto tu, e non ci avevi neanche pensato una seconda volta, proprio perché secondo te ce l'avreste fatta da soli, ma in realtà se non fosse stato per me... -

-Se non fosse stato per te cosa? Eh? Voglio sentire! – Jayden scattò in avanti e lo sfidò, mentre perdeva totalmente il controllo della voce e dei toni. -Su, avanti parla. Sono curioso di sentire. –

Brian mosse un passo verso di lui, cercando di apparire determinato quando invece la luce nei suoi occhi lo tradiva, tremando nel timore di reggere il confronto. – Perché se non ci fossi stato io... cosa ne sarebbe stato di voi? Cosa, Jayden? -

-Ma sentiti, ora accusi me. Chiedimi scusa. – Jayden avanzò di qualche passo verso di lui, costringendolo a indietreggiare. La competizione nei loro occhi era ancora presente, crescente in ogni secondo. -Chiedimi scusa. – Ripeté, calcando bene le parole e scandendo le lettere tra i denti.

Brian non accennava a distogliere lo sguardo. -Chloe è preoccupata, Jayden. L'hai notata, suppongo. Povera piccola. Si preoccupa del dolore degli altri. Si strugge per il male altrui, il tuo dolore, Jayden. Ma questo la attrae e la condiziona innegabilmente, perché la sua vita dipende dalla tua. Ma... -

– Ma cosa? Su, parla, Brian! –

Lui sorrise. Era un sorriso malizioso, irritante.

A Jayden non piacque. – Di cosa stai ridendo? Parla. Parla. –

-Niente. Io ho semplicemente evitato... che voi vi disgregaste. Che sfumasse come polvere con lo scorrere del tempo. E l'ho fatto in tanti modi, Jayden. Ma tu forse non te ne sei mai accorto. –

Questa volta fu Jayden a sorridere. E fu un sorriso iniquo, con una sfumatura quasi di malvagio. -Sai qual è la verità, Brian? La verità è che tu sei sempre stato invidioso di noi e della nostra felicità, ma non sapevi guardare oltre rispetto al voler eccellere per te stesso e... -

-Felicità?! – Brian rise, con una risata ironica e dolorosa. -Non venire a parlarmi di felicità, perché se ci fosse stato fra tutti un aggettivo per descrivervi, non sarebbe di sicuro felicità. Quella gioia era solo apparente ed effimera, Jayden. Solo perché eravate la bella coppietta sulla bocca di tutti. Ma questo non faceva di voi due persone felici. E più passa il tempo più non ti ostini a capire di quanto tu ti sia illuso. E se vuoi sapere una cosa, Jayden, ho sempre avuto una considerazione di me pari a quella di un verme che striscia per terra mangiando polvere; credo che tu prima ti sia confuso con te stesso, se è questo che intendevi. –

-Io ho dovuto abbandonare quello che stavo facendo perché non potevo più fare quello che... -

-Fammi il piacere, cos'hai mai dovuto abbandonare se non degli inutili fogli con delle parole sopra? – Cercò di ignorare la frustrazione e il rancore crescente negli occhi dell'altro man mano che continuava a parlare. - Tu hai scelto questa vita, Jayden, soltanto tu. Non piangerti addosso ora. Perché non hai più diciannove anni. – Lo fissò negli occhi, e questa volta resse lui il confronto per un attimo, avendo la meglio sullo sguardo penetrante dell'altro. -Jayden, fissati bene in mente questa cosa. Quel ragazzino non c'è più. Quel ragazzino è morto. E' morto insieme a Claire, i tuoi sogni e le tue speranze. –

-Non nominarla. – Ordinò a denti stretti con un finto modo autoritario, mentre cercava di sembrare determinato, anche se gli sembrò che tutt'un tratto l'ultimo frammento di voce l'avesse abbandonato, ormai ridotta a un flebile sussurro dopo l'affermazione di Brian. Ma il rancore cresceva, e cresceva ancora.

-Ma tu, Jayden, come potevi accorgertene? Come potevi accorgertene tra tutto quello in cui eri impegnato a fare ponendo sempre te stesso al primo posto, fra feste, tour e provini? Tu avresti potuto evitare tutto questo. Ma hai scelto la strada sbagliata, che ti ha portato nella situazione in cui sei adesso. –

Finse di non notare l'espressione adirata che si era dipinta sul viso di Jayden mentre parlava, ormai al limite della sopportazione. Finse di non vedere la frustrazione nei suoi occhi mentre continuava a parlare, scegliendo parole sempre più forti e mirate, scandendo bene le lettere, volendo che le accuse gli entrassero dentro e lo scuotessero nel profondo. -Non hai mai voluto ammettere la tua ostentata arroganza e il tuo ego smisurato. E indovina chi, se non io, ha dovuto occuparsi di voi mentre tu eri rintanato nella tua finta sofferenza fra antidepressivi e attacchi di panico? –

Questo fu troppo.

Brian non ebbe nemmeno il tempo di obiettare quando vide arrivarsi lo schiaffo violento di Jayden che lo colpì dritto al viso, lasciandolo interdetto per qualche attimo. Non appena si riprese, ebbe solo modo di guardarlo negli occhi per pochi momenti e notare il suo sguardo, maligno nel limite della tolleranza.

Lottavano le emozioni contrastanti che non sapeva più controllare, tanto l'indifferenza e la rabbia repressa si erano date battaglia dentro di lui, il quale non sapeva quale delle due potesse prevalere.

E alla fine il rancore aveva vinto, e ora si era manifestato congiuntamente a un'altra emozione che aveva definitivamente sconvolto l'apparente e momentaneo equilibrio nel cuore di Jayden: la pazzia. Il lato più oscuro di lui che non era mai riuscito a venire fuori allo scoperto.

E fu in quel momento che Brian lo capì, guardando quegli occhi ormai quasi indemoniati, che altro non avevano fatto per anni che rispecchiare e riflettere meglio di qualunque altra cosa il suo tormento interiore.

Anche se in quello sguardo ci vedeva ancora una volta, e purtroppo, o per fortuna, nient'altro che il suo migliore amico.

-Tu sei innegabilmente sotto effetto di alcol, Jayden. Dove sei stato prima di tornare qui a casa? Jayden, rispondimi. –

Ma lui ormai sentiva soltanto la voce spezzata dell'altro che ripeteva il suo nome, e gli sembrava che lo ripetesse all'infinito, senza fermarsi.

Jayden, Jayden, Jayden.

Quella ripetizione lo rintronava. E la testa gli girava, sempre di più.

-Mi sto preoccupando. Ti prego, dimmelo. Ci siamo spinti troppo oltre. Dovremmo... -

Ma Jayden non lo ascoltava più.

Doveva sfogare la sua rabbia, doveva finalmente farla risultare vincitrice dopo tutto quel tempo passata rinchiusa e a crescere, aumentando in modo smisurato fino ad esplodere tutta in una sola volta.

Quasi non se ne accorse quando scattò in avanti e afferrò Brian con tutta la forza che aveva mentre lo teneva fermo e lui cercava di dibattersi invano, nel momento in cui gli gridava un'imprecazione imponendogli di fermarsi.

Ma Jayden continuava, semplicemente perché negli occhi dell'uomo davanti a lui non riconosceva più il suo amico. L'unica cosa che vedeva era un'altra, l'ennesima persona che ancora cercava di fermarlo, dopo tutti quegli anni, mentre tutto quello che aveva sempre cercato di fare era combattere per cercare un posto nel mondo, che però non era mai arrivato, non per lui.

Le esclamazioni adirate di Brian si trasformarono via via in grida di angoscia, mentre urlava nella disperazione di aver acquisito la consapevolezza che non avrebbe mai potuto contrastarlo.

Lo capì nel mentre Jayden lo fece sbattere con tutta la forza che aveva contro il ripiano della cucina, e Brian riconobbe nei suoi occhi quasi un indegno istinto animalesco, che di sicuro non aveva più nulla di umano.

In quegli occhi rivide la sofferenza, la sopportazione, la frustrazione, il rancore e la mancata accettazione di conseguenze inadatte, sentimenti negativi (cambiare) che aveva accumulato nel tempo e che adesso stava sfogando su di lui.

In quegli occhi vide riflessi i suoi, e quasi provò ribrezzo di sé stesso al vedersi così scosso e turbato.

Si rese conto che quella paura non la provava per lui stesso.

La provava, sentiva, per Jayden.

Non fece caso a Cèleste seduta contro la porta della sua camera, dove poteva avere una visuale migliore di quello che stava accadendo.

Negli occhi della bambina avrebbe potuto riflettersi lo stesso turbamento presente negli occhi di Brian, solo più antico, con l'apparente convinzione di conoscerla da più tempo.

Rannicchiata con le ginocchia strette a sé, osservava la scena, mentre le lacrime a fatica nascondevano il terrore nei suoi occhi.

E, pallida e col viso cereo, piangeva.

Chloe si doveva aspettare che tutti i delinquenti come lui dovevano probabilmente trovarsi lì o in altri posti malfamati.

Ma cos'avrebbe dato per non incontrarlo più.

Ora doveva solo sperare che non la riconoscesse, e quel poco di trucco che si era messa facesse il suo lavoro.

Ma non servì. Anche perché immaginava che se aveva parlato proprio a lei ci doveva essere un motivo.

-Vedo che non hai seguito il mio consiglio. Le ragazzine come te non dovrebbero stare in giro fuori a quest'ora. – Un iniquo sorriso si dipinse sul suo viso cereo.

Come sospettava, si ricordava.

Chloe ebbe l'idea di assumere anch'essa un mezzo sorriso cercando di renderlo il più sgradevole possibile. – Mi vedi l'unica qui? Guardati in giro. Perché non vai a dirlo anche alle decine di altre che ballano e ridono? –

-Perché tu te ne stai qui in disparte. Sembri proprio a disagio. – Si protese un poco verso di lei. – E' la tua prima volta qui? –

Lei bevve un altro sorso dello Spritz senza guardarlo, facendo finta di distrarsi. -Non sono una tipa da discoteca. E neanche una che si mette a parlare con della gente a caso in un luogo del genere. –

-Eppure penso che le tue due amiche stiano in questo momento parlando con qualcuno, altrimenti non sarebbero fuggite via così. Ho pensato che servisse anche a te qualcuno per tenerti compagnia. –

Chloe si convinse che non doveva avere paura e che si trattava probabilmente di uno che doveva avere bevuto qualche bicchiere di troppo. Anche se sicuramente la stava osservando da un po' per essersi accorta di Iris e Ambra.

Decise di tacere.

Lui invece distese le gambe sul tavolino. Chloe ebbe l'impressione che non se ne fosse andato via troppo facilmente.

-Se non dici niente allora vuol dire che preferisci lasciare parlare me. – Sorrise di nuovo, e questa volta ebbe l'impressione che fosse sincero. – L'altra volta non eri restata molto contenta dopo avermi visto. Volevo scusarmi. Vieni spesso qua? –

Chloe lo guardò di sottecchi cercando di scorgere qualche segnale di incertezza. Ma non sembrava stesse fingendo. Le sue mani erano rigide e ferme composte in grembo. Non tremavano. I suoi occhi erano luminosi. Sembrava non stesse scherzando. Ma non capiva perché volesse tutto d'un tratto fare il simpatico se non per imbroccarla.

-Ci sono almeno una cinquantina di ragazze da portare a letto se ti guardassi intorno. E io non sarò fra quelle, mi dispiace. –

-Sei per caso pazza? Ti sembro il tipo che imbrocca? – Si piegò in avanti guardandola negli occhi. Erano decisamente di un blu intenso, non il quasi sempre comune azzurro chiaro. E brillavano di una luce quasi ipnotica.

-Senza offesa, ma sì. Altrimenti perché ti troveresti qui? – Scrollò le spalle mentre distoglieva lo sguardo da lui per un attimo.

-Per lo stesso motivo per cui ti trovi tu qui in questo momento. Per passare il tempo. -

-Io ci sono andata per fare un favore alle mie amiche, ma odio questo posto, come la gente che ci va. Senti, non hai nient'altro di meglio da fare? Non hai dei compagni con cui sei venuto? – Aveva alzato la voce volontariamente, ma doveva ancora lavorarci su per riuscire ad essere convincente.

Lui per tutta risposta scosse la testa. – Io sono un tipo solitario, un po' come te. –

-Cosa ne sai tu di me? Non mi conosci nemmeno. –

-Allora conosciamoci. – Appoggiò la schiena sul divanetto e ritrasse le gambe da sopra al tavolo. – Il mio nome è Johannes. Ma chiamami Jean. –

Chloe appoggiò il bicchiere sul tavolo, stufa di fare finta di bere qualcosa che le dava il vomito. – Ti ho forse chiesto come ti chiami? Ti ho solo domandato se te ne potevi andare. – Disse aspramente mentre si ritirava più vicina al cuscino.

Lui preferì non rispondere. Indicò invece il suo bicchiere. – Perché hai preso una cosa che non ti piace? –

Lei sospirò. – Non pensavo non mi piacesse. Se te lo offro te ne vai? –

-Jean! –

Chloe alzò la testa di scatto per guardare chi aveva parlato. In piedi davanti a loro stava una ragazza dai lunghi capelli castani scuro e dallo sguardo acceso, fisso su di loro. Aveva un semplice vestito nero e il trucco abbastanza leggero. Almeno non sembrava troppo snob. Era stata lei ad averlo richiamato.

Si rivolse a Chloe e scosse la testa. – Devi scusarlo. Spesso non sa quello che fa. Spero non ti abbia recato problemi. – Un sorriso piacevole si dipinse sul suo viso. Assomigliava a quello di Iris.

-In realtà so benissimo quello che faccio. – Il ragazzo si alzò e circondò con un braccio la vita della ragazza. – Questa è Emma, mia sorella. -

Chloe si sforzò di sorridere. – Ciao. – Agitò lievemente una mano.

Preferì non dire nient'altro. Considerava fosse già tanto il fatto che avesse salutato una sconosciuta e aver parlato con un altro che non conosceva.

Lei sorrise. Ebbe modo di confermare che in fondo era un bel sorriso. -Qual è il tuo nome? –

Rimase interdetta. Era solo una ragazza. E quando se ne sarebbe andata non li avrebbe mai più rivisti. – Sono Chloe. –

-Davvero? – Guardò Jean con un'occhiata entusiasta. - Che bel nome! Allora non sei italiana. –

- In realtà sì. -Annuì. - E' mio padre che è americano. Ci siamo trasferiti quando avevo sette anni. -

Jean le strizzò un occhio. - Wow, complimenti. -

Cominciava già a rompere la prima impressione positiva che aveva fatto colpo su Chloe a primo impatto. Sembravano decisamente troppo ostentati.

-Dev'essere bello avere un padre americano. I nostri genitori sono francesi.

Jean si rivolse a Emma con uno sguardo dolce. Lei per tutta risposta sorrise. Questa volta però era un sorriso forzato. Chloe si chiese se stessero giocando alla coppia di fratelli perfetta. Dovevano avere all'incirca la sua età o al massimo diciott'anni.

Sospirò sperando che se ne fossero andati via quanto più velocemente possibile e infatti fu sollevata nel vedere Ambra e Iris tornare insieme dirigendosi verso di lei.

Emma assunse un'espressione stupita quando le vide. Jean, dal canto suo, si limitò ad afferrarla per un braccio, ma non prima di aver recuperato il bicchiere di Chloe ancora sul tavolo. – Avevi detto che non lo volevi. Non ti dispiace, giusto? – Ammiccò verso di lei.

Lei scosse la testa, confusa da tutto quello che stava accadendo, mentre il ragazzo prendeva il bicchiere e mormorava un debole: - Ci vediamo. -, prima di sparire.

Lo smagliante sorriso di Emma si attenuò sul suo viso grazioso. Guardò Chloe chinando appena la testa e si dileguò insieme al fratello, sparendo tra la folla.

Ambra li seguì con lo sguardo, poi si rivolse a Chloe, interdetta. – Li conoscevi? –

-No. Non ne ho idea di chi siano. Mi avete appena salvato, sapete? –

Iris si sedette al posto che Ambra aveva occupato prima. – Cosa ti hanno detto? –

Chloe alzò le spalle. Non aveva voglia di parlare. -Niente di speciale. Lui mi ha detto il suo nome e mi ha detto che la ragazza era sua sorella. –

Ambra osservò meglio in mezzo alla folla per cercare invano di scorgerli. – Se non mi sbaglio, lui non era il ragazzo contro cui sei andata a sbattere quando c'ero anche io? Deve vivere decisamente in questa zona allora. –

-Proprio lui. E non avevo idea di cosa volesse. –

-Uh... - Iris fece un sorrisetto. – C'è aria di corna per Mathias. –

-Per favore, smettila. – Chloe si alzò, stabilendo che era definitivamente arrivato il momento di chiudere la conversazione e la serata. – Vi prego, andiamocene da questo posto. Mi si sta rintronando la testa. –

-Cosa facciamo con questi? – Iris indicò i due drink rimasti ancora intatti.

Ambra le rifilò un'occhiata di sbieco. – Semplice. Non li beviamo. Andiamo e ce ne torniamo a casa. Mi sono stufata anche io. -

Iris sembrò confusa e spaesata per un attimo, poi si limitò a seguire l'amica che si era già avviata. – Comunque avreste dovuto vedere Selena. Era vestita in un modo decisamente troppo bello. Mi ha anche rivolto un saluto. –

-Per forza, deve attirare gente per le sue prossime feste per fare ancora più baldoria e ubriacarsi ancora di più. – Ambra era sempre molto diplomatica.

Chloe le guardò ad una ad una mentre usciva all'aria fresca della sera e nella città di Milano appena offuscata dall'oscurità che cominciava a calare. E finalmente lontana da tutta quella scomoda situazione. Decise di cambiare discorso. – E tu, Ambra, dove sei andata? – Era curiosa di sapere la risposta.

Lei sembrò colta alla sprovvista. – Oh, solamente a vedere il posto. Ma dato che era piuttosto triste e caotico sono tonata indietro. –

Chloe rimase delusa. Era evidente che per qualche ragione non voleva dire di avere seguito la ragazza bionda. Si chiese il motivo. Probabilmente si conoscevano, o era un'amica di vecchia data della quale Ambra non aveva loro parlato.

Iris si attaccò al braccio di Chloe. -Forse non voglio più andare in una discoteca. Sono giunta alla conclusione che i vestiti di Selena posso vederli anche a scuola. Tanto lei è sempre così fashion. –

-Anche io sarei capace ad essere sempre fashion se avessi anche io come lei il padre avvocato, Iris. In poche parole non saprei dove mettere i soldi. – Chloe la guardò senza nascondere una sottile punta di divertimento.

-Oh, ti prego, tu devi solo stare zitta. La bellezza di tuo padre non può competere con nessun vestito del mondo. –

Ambra, davanti a loro, rise, e rise di puro piacere.

Chloe strinse più forte il braccio di Iris, sorridendo.

E fu in quel momento che le sembrò di vedere un piccolo movimento impercettibile alla sua sinistra. Dietro una colonna al lato della strada.

Per un secondo le venne in mente il ragazzo col tatuaggio. Johannes, o come aveva detto che si chiamava.

Tornò a guardare davanti.

Probabilmente si era immaginata tutto.

Non c'era nessuno.

Iris la guardò confusa, come per chiederle se andasse tutto bene e, a un suo sguardo rassicurante, tornò a guardare davanti a sé.

Fu la suoneria di una chiamata in corso a rompere il silenzio.

Chloe si fermò per recuperare il cellulare nella tasca della giacca e rimase interdetta quando vide il numero sul display. Era il numero di casa, ciò significava che suo padre non aveva usato il suo telefono per chiamarla.

Ambra e Iris si fermarono, evidentemente con l'intenzione di aspettarla.

Aprì la chiamata e accostò il cellulare all'orecchio. Era Cèleste.

Faticò per un attimo a riconoscerla, per via del bassissimo tono di voce che stava usando, quasi impercettibile.

-Cèleste. Va tutto bene? Sto tornando a casa. –

Iris le strinse più forte il braccio, e Ambra di fianco a lei assunse uno sguardo preoccupato.

-Chloe? –

Lei annuì anche se l'altra ovviamente non poteva vederla. Alzò la voce. – Sì, sono io. Stai bene? – Ripeté. Doveva essere sembrata molto apprensiva.

I momenti che seguirono furono i secondi più lunghi che Chloe avesse mai passato.

E poi parlò, seppur così flebilmente che quasi non riuscì a udirla.

E in quel frammento rimasto di voce, Chloe sentì concentrata tutta l'angoscia e l'oppressione verso qualcosa che non sapeva controllare e di cui lei era ancora all'oscuro.

-Chloe. Devi venire subito. -

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