INTRODUZIONE

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Il mondo è grande.
Ma purtroppo si finisce sempre per incontrarsi, per scontrarsi, per vedere sempre le stesse, ignobili, persone.
Non capisco perché la gente mi stia così antipatica.
Mia madre mi dice sempre che sono troppo scontrosa e buia.
I miei compagni di classe mi dicono che sono depressa.
Ma le persone non nascono depresse. Lo diventano.
E lo diventano perché sono condizionate da cosa e, soprattutto, da chi sta loro intorno.
E, tanto per mettere in chiaro le cose, non parlerei di depressione quando sono forse troppo spesso semplicemente triste.
Ho imparato però a non sottovalutare la tristezza. Mi lascio andare alla malinconia, pensando alle più svariate cause che possono avermi portato a sentirmi in quel modo, ma spesso non trovo cosa causi le mie frequenti tristezze.
Spesso ho un umore altalenante. Mi ritrovo triste e mi riscopro felice pochi minuti dopo. Quindi mi chiedo a cosa sia dovuto.
E allora le tanto odiate domande iniziano ad affollare la mia mente. Un giorno penso che esploderò perché la mia testa non riuscirà a contenere tutto quello che mi chiedo, e soprattuto del perché sono così spesso triste.
Ho chiesto a mia sorella di otto anni cosa volesse dire per lei la parola tristezza.
Lei ci ha pensato un po' giocando con i capelli come suo solito e poi ha detto: "Quando la tua amica del cuore ti ruba le tue bambole preferite."
Ecco. I bambini. Che vivono felici e spensierati nella loro beata ingenuità e umiltà. Noi ragazzi invece siamo sempre impegnati e assorti in qualcosa. Alcuni non si fanno domande e si lasciano passare il mondo davanti, altri invece si fermano a pensare dentro loro stessi e capire cosa veramente li tormenta scavando dentro di loro.
Io sono così. Insicura, anche se non ho paura di vedere che cosa mi affligge, né di scoprire cosa mi crea continui problemi.
E il mondo non sta male con me, perché al mondo non importa niente di quello che siamo e quello che facciamo, e se anche non fossimo nati, tutto andrebbe avanti comunque, nella stessa spasmodica direzione, avanti, avanti e sempre avanti, senza mai guardare indietro, senza che nulla venga scalfito dai segni del tempo.
Piuttosto, collegandomi al discorso della mia tristezza, sono io che sembro stare male col mondo e da un po' di tempo sto cercando di capire il perché.
Dicono che "a quest'età" sentirsi un po' malinconici è normale. Ma che differenza c'è esattamente tra "normale" e "non normale"? È una domanda a cui dovrò trovare una risposta.
Non credo sia una crisi esistenziale. Credo invece che sia qualcosa dovuto a una lunga e sottile linea che separa l'età infantile da quella adulta.
Mi hanno parlato tante volte dell'adolescenza. Alcuni la considerano un'età brutta, altri bellissima e unica, stravolta dalle gioie giovanili e dalla vera comprensione dei sentimenti.
Io pensavo fosse un periodo come gli altri, e, soprattutto, che durasse di meno. Non riuscirei a stare anni con i miei pensieri e le mie tristezze fissi in testa, immaginandomi le cose più terribili.
Per terribili intendo: che cosa mi aspetterà? Soffrirò? Mi verrà mai un tumore? Starò male per amore? Mi innamorerò del ragazzo sbagliato? E lui mi tradirà mai con un'altra? Troverò mai degli amici veri che sappiano apprezzarmi per quello che sono?
E cose di questo genere. Era una mia abitudine scrivere tutte le domande su un foglio di carta ma, nella confusione della mia camera, ho temuto più di una volta di averlo perso per poi non ritrovarlo mai più, e allora ho deciso di tenermi tutto nella mente per cercare ogni risposta da ciò che avrei imparato nel corso del tempo.
Beh, adesso che ci penso, pensare al ragazzo era un po' troppo presto, soprattutto quando hai quindici anni e non sei capace neanche minimamente ad avvicinarti a una persona per chiedergli anche un banale "come stai".
E poi, si sapeva che le ragazze troppo frettolose rimanevano speso incinta, e io non volevo rischiare, anche perché fare "certe cose" alla mia età mi suonava tutto abbastanza strano, per non dire "schifoso".
A tal proposito, avevo chiesto alla mia migliore amica cosa ne pensasse. Lei mi aveva riso in faccia, affermando spiccia: - - Chloe, ti fai troppi problemi. A quest'età bisogna provare tutto. Solo rischiando imparerai.- Dopo essersi ravvivata i capelli per l'ennesima volta aveva aggiunto con fare filosofico, convinta di stare dicendo qualcosa di straordinario anche se probabilmente non si stava rendendo conto di una sua ennesima cavolata: - E poi dipende se è figo, devi puntare tutto sull'estetica. Io, sai, me lo prenderei, magari anche solo per "divertirmi", sai cosa intendo. - Aveva assunto uno sguardo languido, io non avevo potuto fare altro che storcere il naso, schifata solo all'idea di pensare a fare certe cose.
-Dovresti farlo anche tu. - Ambra mi aveva rivolto un ultimo sguardo prima di uscire da scuola dirigendosi verso casa. - Te l'ho detto, a quest'età bisogna rischiare. -
Ricordo che mi ero fermata in mezzo al marciapiede corrucciata, domandandomi se Ambra dedicasse del tempo alla sua giornata per chiedersi se tutto quello che mi aveva appena dichiarato aveva un senso.
E poi, la parola "a quest'età" mi risuonava in testa come una campana fino a farmi male, tanto che non avevo nè sentito gli strattoni di mia sorella che mi tirava per la felpa pronta a tornare a casa da scuola nè le grida di un mio compagno di classe che con i suoi soliti modi sgarbati mi chiedeva di spostarmi dal mezzo del marciapiede.
"A quest'età". Cosa aveva di strano la nostra età? Ed ecco che rientrava in discussione quella lunga e sottile linea che separa l'età infantile da quella adulta, chiamata in altri termini "adolescenza".
Ed ecco la causa di tutte le mie infinite domande senza neanche l'ombra di una risposta.
Le parole di Ambra mi ritornavano in modo cadenzato in mente, accompagnandomi per tutto il tragitto da scuola verso casa: "A quest'età bisogna provare, bisogna rischiare. Solo rischiando imparerai."
Ma poi, bisogna davvero provare?
Bisogna davvero rischiare, per crescere?
Perché forse è da lì che si impara.
Ma io non sapevo se volevo.


Chloe finì di annotare queste ultime righe sul suo diario. Le sembravano considerazioni interessanti, che forse in futuro le sarebbero potute tornare utili.
Chiuse la copertina in fretta, sulla quale faceva bella mostra di sé una sua foto in quarta elementare con un bel sorriso stampato sulla faccia incorniciata dai lisci capelli neri e gli occhi ridenti, luminosi.
Era da tanto che non si sentiva più come quando ero piccola.
Alzò lo sguardo per guardarsi allo specchio fissato alla parete della mia camera proprio sopra la grande scrivania dove spesso scriveva.
Ora, riflessa nello specchio, non c'era più quella bambina e non ci sarebbe stata mai più. Tutto ciò la spaventava, al pensiero che stava entrando nel periodo più difficile della sua vita, da cui forse difficilmente sarebbe uscita. 

Dall'angolo destro della scrivania, suo padre da vent'enne le sorrideva con uno dei suoi caldi sorrisi audaci, accoglienti dal quadro che teneva nello stesso posto da più di dieci anni.

Sospirò. Fu un sospiro lungo e deciso.
Oggi è un altro giorno.

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