Capitolo 18

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Non metteva più piede lì da troppo tempo. Leonard aveva fermato la macchina proprio davanti alla porta di Jerome Avenue e, sbirciando al suo interno, poteva intravvedere già le prime lapidi e mausolei. Inevitabilmente, un peso iniziò a gravare sul suo cuore e le sue emozioni che, per tutta la durata del suo addestramento, erano state come congelate da severi sensi del dovere.

La neve caduta nei giorni scorsi aveva coperto i vari tratti di giardino, le statue decorative e le lapidi esposte al sole. Mentre entrava all'interno del cimitero, Leonard riusciva a sentire il suono procurato dai suoi passi, dai suoi pesanti stivali della divisa di servizio. Il colore senape era l'unica tonalità che spiccava con tutto quel bianco candido posato a terra. Salvo poi la barba incolta, ruvida e spessa, di una tonalità ancora più scura come la radice dei capelli. L'unica cosa che chiedeva, una volta a casa, era proprio il bisogno di farsi un bagno e darsi una sistemata. Ma prima doveva rendere omaggio ad una persona che meritava il più dovuto rispetto.

Il Woodlawn Cimitery era abbastanza famoso, non solo per la sontuosità del luogo, ma anche per i numerosi monumenti al suo interno. E poco lontano dal Reisinger Monument, un cerchio di colonne in marmo bianco che tendeva a sparire con tutta quella neve, esattamente sotto il White Oak Tree, una delle due querce all'interno del cimitero, c'era la tomba di suo fratello Samuel. Suo padre aveva deciso di far impiantare una lapide a sé, avvolta da una corona di fiori rossi e, inciso sul marmo, due date con il nome completo in alto. In bella vista, vi era anche inciso il grado di brigadiere generale che Sam ricopriva nell'esercito e quello con la quale era morto.

Leonard provò un senso di vergogna, ammirando quel nome sulla lapide che altro non era una lastra di marmo senza un vero cadavere sottoterra. Le lacrime di amici e parenti si riversavano nel terreno, ma senza arrivare veramente al defunto. Senza contare che, dopo la cerimonia commemorativa, non aveva mai veramente pensato di andarlo a trovare. I suoi demoni non glielo avrebbero consentito.

"Eccomi qui, fratello!" Esclamò sorridente, allargando le braccia al nulla. L'entusiasmo andò via via dissolvendosi, con le parole che fece uscire dalla bocca poco dopo. "Hai visto come mi sono conciato? Secondo te sono ridicolo o meritevole di portare questa divisa?" Parlava in modo fluido e con tono elevato, come se Sam potesse davvero sentirlo. "Mi dispiace non essere venuto spesso, ma so che nostra madre ti porta anche i miei di saluti." Si chinò all'altezza della lapide, reggendosi sulle ginocchia piegate. La vergogna stava lasciando spazio ai ricordi lontani della loro infanzia e adolescenza perduta. "Non sai come mi manchi, Sam. Ogni giorno. Oggi avrei bisogno di un tuo consiglio, di un tuo aiuto e forse anche di un cazzotto in pieno viso perché, credimi, me lo meriterei tutto." Deglutì, passandosi una mano tra i capelli impregnati dal freddo.

Si chiese cosa avrebbe detto suo fratello se veramente fosse stato lì. Cosa avrebbe detto del suo avvicinamento non proprio innocente nei confronti di Raissa? Sicuramente sarebbe partita una lite, magari qualche cazzottata tra fratelli e si sarebbe risolto tutto. Leonard avrebbe voluto avere quella opzione, avrebbe voluto avere l'opportunità di scegliere. Magari soffocare l'attrazione che provava per quella donna sarebbe stato più semplice, quasi obbligatorio, e ci sarebbe riuscito per il bene della sua famiglia, per restare tutti uniti.

Leonard spazzò via, con una mano, un po' di neve dalla lapide. "Non pretendo il tuo perdono. Vorrei solo chiederti di star vicino alla donna che hai amato e che io sto amando. Soltanto questo ti chiedo. E se ti avanza un po' di tempo, guardami le spalle." Concluse, rialzandosi da terra per terminare quel breve saluto. Iniziava a sentire il respiro venirgli meno, le mani diventare sempre più fredde per via della neve e gli occhi sempre più lucidi.

Un'altra importante prova l'attendeva a casa.

Lanciando un ultimo sguardo carico di rispetto alla tomba di suo fratello, Leonard tornò sui suoi passi per uscire da quel luogo sacro. Quando riattraversò le sue impronte nella neve, intravvide delle altre. Più piccole.

"Mr. Putnam?"

Sentendosi chiamare, Leonard voltò la testa verso la sua destra, trovando una ragazza avvolta in un mantello blu notte e un mazzo di fiori freschi in mano. Sembrava un fascio ben realizzato. "Sì? Ci conosciamo?"

"Sono Claire Ferrars. Ero la fidanzata di Ed Roges, era in squadra con vostro fratello Sam nel viaggio a Liverpool."

Leonard annuì, facendo mente locale. Aveva già sentito la storia circa il presunto tradimento di Roges che, secondo il tenente generale Lovett, avrebbe poi contribuito all'attacco e quindi all'affondamento del Lusitania. Onestamente, Leonard aveva sempre sentito puzza di bruciato in quella storia. Ogni volta che la sentiva, continuava a ripetersi che c'era qualcosa che non gli tornava. Ma non era suo compito farsi domande o trovare risposte. "Certo. Scusate se non vi ho riconosciuto prima, mrs. Ferrars. Come state?"

"Sopravvivo, mr. Putnam." Claire forzò l'accenno di un sorriso per non sembrare scontrosa. Era il suo umore a renderla tremendamente triste e distante dal mondo reale. "Vedo che vi siete arruolato." Commentò, indugiando con lo sguardo sulla divisa che indossava. Un abbigliamento che conosceva fin troppo bene.

Leonard si guardò un attimo dai piedi in su, fin dove poteva, e allargò le braccia al cielo. "E' così." Confermò, conferendo a quelle parole un sorriso sincero. L'espressione di chi non si era mai pentito della propria scelta.

Mrs. Ferrars non disse niente, si limitò a storcere il naso in una smorfia in modo contrariato. "Se volete un consiglio, da parte di un'amica, diffidate di chi vi circonda e fate solo il vostro lavoro. Se è questo ha rendervi fiero."

Il marines guardò la donna negli occhi, studiandone l'espressione con fare interrogativo. Sentiva una strana tensione nell'aria, come se ci fossero parole silenziose e non dette ad alleggiare tra loro. "Non capisco."

"Mr. Putnam, io ho perso un fidanzato per colpa della guerra, per colpa di un complotto. Non vorrei che vostra sorella o vostra cognata debbano piangere anche sul vostro di cadavere." Disse Claire, cercando di essere il più diretta possibile. Erano mesi, ormai, che urlava ai sette venti l'innocenza del suo defunto amore. Eppure, tutti, in quella base militare, sembravano sordi alle urla di una donna completamente disperata. Di quelle che avevano perso ogni cosa, compresa la voglia di alzarsi al mattino.

Leonard, dal canto suo, sbarrò gli occhi dinanzi alla schiettezza di mrs. Ferrars. Provò a comprendere il suo dolore, provò a giustificare in positivo quelle parole. Ma per quanto ci riuscisse, c'era sempre qualcosa ad impedirglielo. Non aveva udito male, ma molto bene. "Il vostro fidanzato è stato ucciso per tradimento nei confronti della patria."

L'espressione quasi serena della donna lo intimorì. Di colpo, il volto di Claire, era diventato senza alcuna emozione e il pallore andava via via aumentando. Poi un sorriso amaro, simile ad un ghigno, lo mise sull'attenti, ammettendo a sé stesso che quello strano comportamento lo spaventava. Quella donna sembrava aver perso il senno, oltre che al suo amore.

"Non c'è miglior ceco di chi non vuol vedere." Si limitò a rispondere, prima di superarlo per recarsi alla tomba di Ed Roges. Tomba, ovviamente, decorativa.

Leonard si voltò d'istinto, spinto da una forza inumana a continuare quella conversazione. "Spiegatevi, mrs. Ferrars."

Claire si fermò all'iniziò di una breve salitella che l'avrebbe portata su una collina, lontana dalle altre tombe. Farsi strada nella neve alta era complicato ma non impossibile. Sembrava che, anche nella morte, il suo Ed fosse destinato a riposare da solo. Neanche fosse stato vittima di lebbra o peste. Prima di proseguire il suo cammino, però, fronteggiò un'ultima volta lo sguardo interrogativo dell'ormai soldato Putnam. "Chiedetelo pure a vostra sorella. Sono certa che saprà farvi un buon resoconto. Buona giornata, mr. Putnam." Lo salutò, lasciandolo solo con le sue parole e i pensieri che gli affollavano la mente. Troppi per la sua testa e quel luogo.

Non c'è miglior ceco di chi non vuol vedere.

Leonard si interrogò più volte sul significato di quella frase, uscendo dal cimitero. Mettendo in moto l'auto, giunse a più conclusioni. Qualcuno gli stava mentendo? Ed Roges non era morto nel modo in cui gli era stato raccontato? O meglio... erano certi che si era trattato davvero di un traditore? Una vocina interiore gli consigliò di lasciar perdere, che ormai la verità era andata a fondo con quel transatlantico, proprio come suo fratello. Ma la maledetta curiosità, giunto nel vialetto della sua residenza, continuò a torturarlo mentalmente. Valeva la pena scoprire di più.

La sua abitazione tendeva a cambiare, coperta dalla neve alta. Riverdale aveva un aspetto più glaciale, esattamente come richiedeva la stagione. Trascinandosi dentro e lasciando le impronte dal cancello nero fino alla porta d'ingresso, Leonard sentì finalmente il buon vecchio profumo di casa. Quel calore indescrivibile, la voglia di buttarsi a peso morto sul divano del soggiorno, la voglia di stringere i propri famigliari e, soprattutto, la voglia di rivedere il volto della donna che lo turbava profondamente.

Come immaginava, Carin e Adelle, fecero a gara per accoglierlo. Leonard poggiò, accanto alla porta, il suo sacco verde militare che aveva portato in spalla e che custodiva i suoi numerosi cambi e alcuni regali che aveva comperato con la prima paga da soldato per i membri della sua famiglia, servitù compresa. Il giovane padrone, come veniva soprannominato dalle domestiche, strinse in un caloroso abbraccio le due giovani donne della servitù.

"Ci avete fatto penare, signorino Leonard! Ci chiedevamo quanto ci mettevate a tornare." Lo salutò Tilla, unendosi alle due domestiche nell'abbraccio che sapeva tanto di amore famigliare.

"Sono qui, Tilla. Finalmente sono qui." Rispose il giovane, dando un caloroso sorriso alle prime tre donne che erano venute lì per salutarlo.

Non ebbe molto tempo di guardarsi intorno, di chiedersi che fine avevano fatto gli altri componenti della sua famiglia, perché venne spinto violentemente verso la porta d'ingresso da una giovinetta abbastanza pesante che gli buttò le braccia al collo. La voce di mrs. Eleanor Putnam, dalla cucina, confermò l'identità della sua assalitrice.

"Amelia! Lascia stare tuo fratello che ha fatto molta strada e sarà stanco!" La donna, dalla chioma rossastra ed elegantemente acconciata, li raggiunse. L'espressione serena, gli occhi luminosi per l'arrivo del figlio, tradirono il suo rimprovero. Leonard notò distrattamente che, sua madre, indossava un abito dai colori neutri e non neri. Stava a significare che aveva abbandonato il suo lutto.

"Non preoccupatevi, madre." La rassicurò, prima di scostare un poco il volto per incontrare il viso sorridente e felice della sorella minore. Il suo piccolo terremoto di diciassette anni, la sua piccola donna. Riusciva a stento a trattenere le lacrime, tanto era che non la vedeva. Nel suo periodo d'addestramento non gli era permesso ricevere numerose visite, solo lunghe missive. Aveva intravvisto sua sorella e Raissa solo una volta, nei primi di Dicembre, e poi il nulla. Gli era sembrato di impazzire, solo con i suoi compagni d'armi e aspiranti marines. "Lelia." Sussurrò lui, stringendo a sé la sorella ancora più forte.

Amelia si fece dolcemente dondolare tra le braccia del fratello e non seppe dire per quanto tempo rimasero abbracciati. Non faceva che ripetersi, nella sua testolina bionda, che finalmente era tornato e che, probabilmente, non se ne sarebbe più andato fino allo scadere della licenza. "Mi sei mancato."

"Anche tu, terremoto." La lasciò andare, depositandole un bacio sulla fronte come segno dell'infinito affetto che provava per lei. Guardandola meglio, notò che in quei tre mesi era cambiata. Era diventata più alta, le sue forme si erano più accentuate e i suoi occhi brillavano ancora di più. Era davvero la sua piccola grande donna.

Dietro di lei, Leonard notò la presenza di sua madre, che salutò con un altrettanto caloroso abbraccio, e suo padre. Una pacca sulla spalla, uno scambio di sguardi orgogliosi, erano più sufficienti per due uomini che si ritrovavano dopo il lungo percorso di uno. Daniel apparì, agli occhi del figlio, leggermente più invecchiato, con i suoi soliti baffi rossastri e l'aria benevola. Notava un cambiamento in tutti loro, eppure, non aveva ancora visto un volto di donna in particolare.

"Dov'è Raissa?" Chiese, continuando a guardare tra il soggiorno, la cucina, e la scalinata davanti a lui.

Le donne si scambiarono una leggera occhiata, prima che mrs. Putnam potesse prendere la parola. "In verità dovrebbe già essere qui. Vedi, nelle ultime due settimane, Madame Le Blanche non è stata molto bene. Le altre... ragazze le hanno chiesto di fargli visita, ogni tanto, e quindi è rimasta lì qualche giorno. Aveva, però, promesso di essere qui oggi. Sapeva quanto fosse importante per noi, questo giorno. Dannata ragazza!" Imprecò silenziosamente, non nascondendo l'astio e il sottile velo di disgusto sottolineando la parola ragazze.

Leonard le riservò un'occhiataccia che le fece voltare lo sguardo dall'altra parte.

"Vieni, Tilla. Dobbiamo scegliere ancora il centro tavola da mettere e i fiori." Disse mrs. Putnam, rivolta alla governante. Quest'ultima si congedò con la sua Signora nel soggiorno, dove era addobbato un sontuoso albero di Natale. Prima di dileguarsi completamente, però, Leonard sentì la madre lamentarsi ancora. "Torna dopo tre mesi e si preoccupa subito per quella disgraziata."

Il giovane sbuffò sonoramente, decidendo di non raccogliere quella provocazione. Sapeva bene quanto sua madre provasse disgusto per Raissa, cosa che non condivideva affatto. Aveva sperato che, con lui a New York, le due donne potessero avvicinarsi. Invece non è stato così.

Daniel Putnam riservò un'occhiata di incoraggiamento al figlio e una potente pacca sulla spalla. "Non darle retta, Leo. Tua madre è parecchio stressata ultimamente."

"Questo non le da il diritto di offendere..." Si bloccò all'improvviso. Già, pensò, come doveva etichettarla Raissa? Cognata non di certo. "Una donna. Insomma... che colpa ne ha lei se si è ritrovata a vivere in un bordello?" Sbloccandosi, alzò un po' la voce, mentre si liberava della giacca marrone della divisa, consegnandola nelle amorevoli mani di Adelle.

"Lo so, Leonard. Lo so bene. Tua madre è così ottusa a volte!" Esclamò il capo famiglia, estraendo la pipa dalla tasca dei pantaloni e accendendola.

"Guardate che vi sento. Daniel, vieni un secondo qui!" Rispose la donna dal soggiorno, alzando la voce per farsi sentire dal marito.

Rimasto solo con sua sorella, Leonard colse al volo l'occasione. Doveva sapere di più circa ciò che gli aveva detto mrs. Ferrars. Raccolse quindi il sorriso luminoso della sua dolce Amelia, prendendola poi per mano. "Vieni, sorella. Ho molte cose da raccontarti e vorrei farlo lontano da questi pazzi." Facendola ridere, salirono le scale che conducevano ad un corridoio con cinque porte.

"Quanto ti fermi?" Chiese Amelia, sistemando sugli avambracci il suo scialle di pizzo bianco, in perfetta armonia di colore con il rosa cipria del suo abito.

"Tra due settimane devo rientrare al comando." Le rispose, entrando nel bagno per darsi una sistemata. Voleva essere presentabile e togliersi quella barba che aumentava solo la sua età.

"Oh. Così presto." Commentò vaga Amelia, unendo le mani sotto la pancia e restando sulla soglia.

"Sì, Lelia. Ma non preoccuparti, potrò ricevere molte più visite adesso e avrò ancora qualche licenza, nei prossimi mesi."

"Hai trovato ciò che stavi cercando? Potresti ritirarti adesso e tornare qui, da noi."

Leonard prese un coltello dalla lama sottile ma ben affilata, pronto per mettersi all'opera per quella bella sfoltita. Pensò alle parole di sua sorella e annuì senza pensarci troppo. Aveva deciso di arruolarsi per esorcizzare i suoi demoni, per provare ciò che aveva provato Samuel. Notava un lieve cambiamento ma da lì a trovare ciò che cercava c'era un profondo abisso. "Non è così semplice."

Amelia annuì, abbassando lo sguardo con fare deluso. "Alla fine l'ho passato l'esame." Cambiò discorso, volendo riportare un po' d'allegria tra loro.

"È fantastico, Lelia! Augurati di non vedermi mai su quelle barelle bianche, pronto per essere messo alle tue amorevoli cure." La prese in giro, beccandosi una linguaccia dispettosa da parte della sorella.

"Comunque, Jennifer Kelly ti manda i suoi saluti." Li comunicò con l'aria da abile pettegola.

"Grazie." Leonard la guardò con la coda dell'occhio, sospirando. "Cos'è quello sguardo?"

"Oh, niente! È solo che la capoinfermiera parla un po' troppe volte di te."

"Ti prego, Amelia. Sono appena tornato!" Esclamò lui, ben sapendo dove voleva andare a parare sua sorella. Non negava, a sé stesso, che mrs. Kelly era veramente carina. Un viso fine, lo sguardo furbo, la voce autoritaria. Perfetta, se si voleva un generale travestito da infermiera come donna.

"Va bene. Non parlo più! Ti lascio alla tua pulizia."

"Aspetta un secondo." La fermò, giusto in tempo prima che potesse sparire oltre la porta della sua stanza.

"Dimmi."

Leonard tolse il primo strato di barba, cercando di non far tremare la mano. "Prima di venire qui sono stato al cimitero, da nostro fratello." Iniziò, facendo sì che Amelia incamerasse bene quelle prime parole.

"Sì?"

"Ho incontrato mrs. Claire Ferrars, quando me ne stavo andando. Ecco, mentre parlavamo mi ha detto che tu avresti potuto farmi un buon resoconto, circa un presunto complotto ai danni del suo defunto fidanzato Ed Roges." Si volse verso la sorella, studiando la sua espressione. "E' così?"

Amelia deglutì silenziosamente. "Beh... lei pensa che non sia morto da traditore, perché lo conosceva fin troppo bene. E deduce che il tenente generale Lovett non abbia detto tutta la verità." Si trattenne nel proseguire, non voleva turbare ulteriormente il fratello.

"C'è altro? Avanti, Lelia. Non lo dirò a nessuno."

La bionda abbassò lo sguardo, massaggiandosi le mani in modo nervoso. "Secondo lei, se l'esercito le ha mentito sul fidanzato, avrebbero mentito anche sulle circostanze della morte di Samuel."

"Impossibile." Rispose Leonard, tornando al suo lavoro. "Il tenente generale Lovett mi ha spiegato per filo e per segno come è morto, salvando degli innocenti. Dobbiamo essere fieri di lui."

"Lo sono. Ma pensaci un secondo, Leo. Se qualcuno non avesse detto tutta la verità? Se fosse stata una menzogna costruita ad arte?"

"Amelia, per favore. Non crederai alle parole di una donna visibilmente scossa dalla morte del fidanzato."

"No, ma credo agli sguardi. Quello di mrs. Ferrars è lo sguardo di supplica, di aiuto, di chi chiede giustizia." Rispose, rialzando fieramente la testa. Inizialmente aveva pensato anche lei al fatto che mrs. Ferrars fosse solo una ragazza disperata, eppure qualcosa, nel tempo, l'aveva convinta a pensare che ci fossero delle fondamenta di verità in quella versione. La reazione di Cameron, poi, non aveva fatto altro che alimentare ancora di più quella tesi. Perché arrabbiarsi così tanto altrimenti? Qualcuno stava mentendo in quella storia e si rifiutava di credere che si trattasse di Claire. Che motivo ne avrebbe avuto?

Leonard continuò il suo lavoro, togliendosi definitivamente la barba. "Non ti sto dicendo che non comprendo il suo dolore. Lo trovo solo eccessivo."

Amelia sbarrò gli occhi. "Eccessivo? Diresti così se adesso Raissa fosse al posto di Samuel?" Sbraitò, senza pensare bene a ciò che stava dicendo. Se ne rese conto solo dopo, riascoltando la sua voce e osservando lo sguardo torvo del fratello. "Scusami." Commentò poi, sentendosi in colpa per ciò che aveva detto. "Ci vediamo dopo a pranzo." E si congedò verso la sua stanza per poter stare da sola con i propri pensieri.

Entrando nella camera, trovò Carin intenta a rassettare il suo letto. Quello di Raissa era già bello e sistemato, così tremendamente bene che si notava la cura con cui la donna l'aveva rimesso in ordine, prima di trascorrere alcuni giorni a City Island.

"Signorina Amelia?" La chiamò sottovoce Carin, benché la porta fosse già chiusa e non c'era alcun pericolo di orecchie indesiderate.

La bionda attizzò le sue, avvicinandosi alla domestica. "Sì?" Sembrava il giorno dei misteri. Tutti le volevano parlare in privato.

Carin fece scivolare una mano nella tasca della lunga gonna nera, consegnando quella che doveva essere una missiva ben sigillata. "Il Signor Mendel mi ha fermata al mercato, affidando a me il compito di consegnarvela senza che nessuno lo sappia."

Il cuore di Amelia iniziò a fare le capriole. "Grazie, Carin. Mi raccomando, non una parola con i miei genitori o con Adelle. Sarà il nostro segreto. D'accordo?"

Carin le sorrise, annuendo. "Certamente, signorina. Potete fidarvi." Detto ciò, terminò di rifare il letto e se ne andò, lasciando la giovane padroncina da sola.

Amelia sospirò, sedendosi sul bordo del suo giaciglio. Non sapeva se poteva fidarsi seriamente di Carin, ma confidava del fatto che, prima di consegnarle quella lettera, Mendel avesse preso tutte le precauzioni del caso. La giovane avrebbe faticato, altrimenti, a spiegare ai suoi genitori come mai teneva una corrispondenza privata con un soldato dell'esercito americano.

Con suo stupore, la missiva in questione, recitava pochissime righe. Le lesse ad alta voce, per accertarsi del suo significato. "Domani, alle quattro del pomeriggio, davanti al garage di Maurice." Suonava più come un ordine che un invito. Aveva immaginato qualcosa di più affettuoso, tipo delle frasi in cui manifestava il suo dispiacere per il loro ultimo incontro. Concluse sul fatto che, forse, quella mossa toccava farla lei. Inutile nascondere che, nelle settimane precedenti, aveva sperato di vederlo. Il suo cervellino le voleva proprio male, continuando ad imporle pensieri ben poco consoni ad una ragazza di buona famiglia.

Nascose la missiva in un libro di anatomia, usandola come segnalibro. Non attendeva risposta, doveva solo scegliere se andare o meno. Considerato gli ultimi avvenimenti, decise che un saluto al suo amato velivolo glielo avrebbe fatto più che volentieri.

Sì, il velivolo. Si diede della stupida, prima di scorgere qualcosa dalla sua finestra. La figura di una donna al cancello intenta a spingerlo e ad entrare nel cortile. Amelia sorrise, tirando un sospiro di sollievo. Raissa era tornata.

****

Ritrovarsi faccia a faccia con Leonard, dopo tanto tempo, le fece battere il cuore. Lo stesso che non sentiva così in tumulto da tre mesi. Quando si era recata, il mese scorso, all'unica visita che gli aveva fatto in compagnia di Amelia, aveva avuto un tuffo al cuore. La barba, prima, era più incolta. Ora, con sua sorpresa, riscopriva un giovane volto di ragazzo, un sorriso che tradiva l'emozione, e l'imbarazzo di lei nel riceverlo.

Leonard avrebbe voluto baciarla e, in un semplice intreccio di lingue, rivivere l'innocente notte passata abbracciato a lei, di tre mesi prima. Non l'aveva mai dimenticata. Quel ricordo gli era servito a sopravvivere, a non cadere in ulteriori tentazioni da parte di giovani newyorkesi o di avvenenti prostitute. Sunford l'aveva spinto più volte ad accompagnarlo in un bordello a Little Italy, ma la sua risposta era sempre stata la stessa: no. Rifiutava il contatto e il calore di una donna che non fosse Raissa. Ritrovandosi abbracciato a lei, in quel momento, poteva dirsi finalmente completo. Il calore affettuoso che entrambi provavano l'uno per l'altro tornò a farlo sentire vivo, a farlo sentire ancora giovane. Un calore capace di spazzare via i faticosi allenamenti dell'addestramento.

Non ebbero tempo di parlare, di chiedersi a vicenda come stava l'altro, perché vennero interrotti dalla figura autoritaria, quasi da perfetto generale, di mrs. Putnam. "Felice di sapere che sei dei nostri. Se non vi disturbo, il pranzo è in tavola." L'astio e l'ironia erano ben presenti nelle sue parole e a nulla servì l'occhiataccia, la seconda da quando era arrivato, che le rifilò Leonard.

Raissa poggiò una mano sul suo braccio. "Lascia stare. È fatta così, la conosci." Furono le uniche parole che riuscì a dire, colpita in modo quasi indolore da quella frecciatina. Si accomodò nel soggiorno, seguita dal vero protagonista della giornata.

A turno, mr. e mrs. Putnam, fecero domande di ogni genere al figlio. Come si mangiava, in quanti modi era divisa la sua giornata, in che cosa consisteva l'addestramento, se l'ambiente era di suo gradimento. Leonard rispose a tutto con prontezza e scioltezza, nascondendo alla perfezione il disagio provocato da quelle domande. Eppure, per i coniugi Putnam, non era il primo figlio che vedevano nell'esercito. Ma nessuno osò farlo notare, per evitare di riaprire ferite dal sangue secco.

Dopo pranzo, Leonard consegnò alla famiglia i regali che aveva portato da New York per loro. Per sua madre aveva optato per un elegante collier tempestato di rubini rossi, per suo padre dei pregiati sigari, per sua sorella un manuale di aviazione avanzata, promettendole di riprendere presto le loro lezioni. Alle domestiche e alla governante, Leonard regalò delle sottovesti rosse e oro. Adelle rimase decisamente sorpresa dalla scelta del giovane padrone.

"E dove pretendere che ci vada con questo addosso?" Aveva chiesto con visibile commozione. Il tessuto che aveva in mano era così pregiato che ci sarebbe voluto uno stipendio intero per comprarselo da sola.

Leonard le sorrise, strizzandole l'occhio. "Quando andate a messa, ad esempio."

Arrivò il momento di consegnare il regalo a Raissa. Estraendo il piccolo cofanetto in legno lucido, si ritrovò assalito dallo sguardo della donna. Negli occhi chiari della russa lesse la stessa emozione che provavano i bambini il giorno di Natale, quando scartano i pacchi con ferocia felicità. Leonard era ancora più felice perché sapeva che gli sarebbe piaciuto. C'erano volute settimane per trovare quello giusto, quello più originale, ma alla fine il suo cuore aveva scelto. Senza contare che intendeva ancora mantenere la promessa che gli aveva fatto, prima di andarsene.

Quando tonerò, nel nuovo anno, ti bacerò così tanto da toglierti il fiato.

Intendeva farlo ma a modo suo. Un modo tutto speciale.

Quando Raissa aprì il piccolo cofanetto di legno, al suo interno trovò una chiave dorata, nuovissima e mai usata, adagiata su un letto di velluto rosso cardinale. Interrogativa, alzò lo sguardo verso Leonard. Era confusa e non riusciva a dire una parola. Senza contare che, gli occhi puntati addosso da parte di tutta la famiglia e servitù, non aiutava affatto.

"Il mio regalo per te non è molto lontano da qui. Vogliamo andare a vederlo insieme?" Le tese una mano, togliendola da un evidente imbarazzo che le aveva imporporato le guance. Era il primo pomeriggio ed era un'ora perfetta per il suo regalo.

Raissa strinse la mano di Leonard, richiudendo il cofanetto e portandolo con sé. Quella chiave apriva qualcosa ed era più che certa che, quel momento, sarebbe rimasto impresso nella sua mente come il più bello della sua vita.

"Torniamo subito." Disse Leonard, rivolto alla famiglia, prima di trascinare la russa nella hall per prendere la sua giacca della divisa e il mantello per lei.

Quando uscirono dal vialetto con la macchina, iniziò nuovamente a nevicare.



Wolf's note:

Finalmente riesco ad aggiornare, followers! <3

 La prova che chi non molla, alla fine, c'è la fa! Vi chiedo scusa per questo ritardo, ma purtroppo, senza una connessione abbastanza stabile, non riesco ad aggiornare. Speriamo che, per il momento, il maltempo sia cessato. Comunque, capitolo abbastanza intenso, no? Ora non ci resta che scoprire che regalo ha in serbo Leonard per Raissa. Curiosi? Non vi resta che aspettare il prossimo aggiornamento. 

Salvo imprevisti di pioggia, tanto vi farò arrivare un annuncio nel caso, il diciannovesimo capitolo sarà online per Martedì 11 Dicembre. Esatto, followers, gli aggiornamenti verranno pubblicati nuovamente di Martedì. 

Vorrei già anticiparvi che il prossimo capitolo sarà.... no, niente. Tenete la storia in caldo e vedrete. 

Colgo l'occasione per ringraziare tutti i lettori, vecchi e nuovi. Un bacio a tutti voi che con messaggi sia qui su Wattpad che su Facebook mi fate sentire la vostra presenza e l'amore che avete per questa storia, come me del resto. <3

Appuntamento, quindi, a Martedì prossimo. Prima di lasciarvi, però, ci tengo a ricordarvi che per trovare avvisi, booktrailer, quote da condividere, foto, link, sulle mie storie potete seguire (o mettere "like") sulla mia pagina facebook: Le memorie di Wolfqueens Roarlion. Link cliccabile dalla mia pagina d'autrice qui su Wattpad, sotto la bio. 

Alla prossima settimana!

Un abbraccio,

Wolfqueens Roarlion.

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