Capitolo 2

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Il suo orologio da taschino, del colore del metallo, segnava le sette passate.

Quel mattino, Leonard Putnam, si era svegliato alle cinque. La sera precedente si era concesso due o tre bicchieri di brandy, nella speranza che potesse conciliare il suo sonno, e invece era restato in piedi per gran parte della notte. Poteva aver chiuso gli occhi solo per venti minuti, gli stessi -all'incirca- che aveva impiegato da Riverdale a City Island. Nel tragitto aveva incontrato pescatori carichi di rete, scatole e canne da pesca, pronti per imbarcarsi sulla loro piccola nave e iniziare la loro giornata lavorativa. Alcuni li conosceva, perché con Samuel, spesso e volentieri, si era fermato a mangiare in un posto di mare. Si erano ripromessi di portarci Amelia, in vista del suo compleanno, ma la chiamata improvvisa da parte del superiore di Samuel aveva mandato in malora la bella sorpresa da loro pensata.

A parte pescatori e comuni commercianti, a camminare svelte alle prime luci del mattino, c'erano anche le prostitute dell'unico bordello di City Island. Chiamate dagli uomini del luogo come le sirene dell'isola, l'edificio era stato, tempo addietro, un ospedale. In rovina, era arrivata la pimpante Madame, che aveva ereditato una fortuna dal padre deceduto, e aveva tirato su l'attività. Le donne venivano da ogni dove per lavorare in quel posto, sempre in ordine, pulito, e con regolare visita dei medici locali per le sue ragazze. All'esterno dava l'impressione di una classica residenza benestante. Giardini curati, roseti in fiore, siepi ben tagliate, fontane dall'acqua limpida e una scultura di Venere a forma d'uomo che usciva dalla conchiglia come nel celebre dipinto. Leonard era certo che, prima o poi, Madame avrebbe commissionato agli scultori anche i due angeli.

I clienti, lì, venivano messi subito a loro agio. Le ragazze che avevano il giorno libero e che decidevano di restare nelle loro stanze, venivano messe in cucina a dare una mano alla ristretta servitù. Accoglievano gli uomini, prendevano i loro cappotti, e li facevano sedere su eleganti poltrone dal tessuto rosso cardinale, perfettamente in sintonia con il colore bordeaux delle pareti. Tendaggi damascati dalle stesse tonalità dividevano le varie entrate. C'era chi portava fiori per la proprietaria, cioccolatini per le ragazze, e i più facoltosi portavano anche gioielli per loro. Venivano viziate e coccolate, tanto da scatenare l'invidia della concorrenza. Il bordello di City Island, comunque, dominava l'intero Bronx e dintorni.

Ed eccola lì, Madame Le Blanche. Avvolta in un abito austero e antico, con una spilla ovale di cammeo bianco al colletto di pizzo della camicia, li andava incontro.

"Oh, mio caro Leonard! Non aspettavo di trovarvi qui di buon'ora." Lo salutò la donna, sulla cinquantina circa, truccata ancora in modo poco vistoso. A giudicare dal modo in cui aveva i capelli, mezzi acconciati e mezzi ancora sciolti sulle spalle, doveva essere nel mezzo della sua toeletta mattutina.

"Ho accompagnato mio padre da un amico e ho pensato di venire subito." Aprendo la camicia grigia del completo, Leonard tirò fuori una busta d'avorio ben sigillata che sapeva ancora di chiuso. Gli occhi della donna si illuminarono e dilatarono, neanche fosse un gatto che aveva appena visto un topo passargli sotto il naso. "Da parte di mio fratello. È una intera mesata e penso ci sia anche un piccolo extra per la vostra... discrezione." Sottolineò l'ultima parola con un tono basso e alquanto sospetto.

Madame, comunque, annuì facendo ondeggiare le ciocche di un biondo spento e prossimo ad ingrigirsi. "Vostro fratello è un santo!" Esclamò gioiosa, afferrando la busta con gentilezza forzata. "Quella povera ragazza non ha dormito per niente! Figuratevi che quando sono andata a svegliarla era seduta alla scrivania, pallida come un fantasma, e ancora vestita del giorno precedente. Le ho consigliato di riposarsi prima dell'arrivo di Mr. Putnam ma non ha voluto sentire ragioni." Spiegò gli ultimi eventi della sera precedente in modo ben dettagliato.

In conclusione, Leonard annuì. "Quindi ora è sveglia?" Con sua somma sorpresa non solo la risposta fu positiva ma riuscì a non far tremare per niente la voce.

"Certamente. Gliela mando subito." Ma quando Madame si girò per salire sulle scale di marmo bianco, coperte da un tappeto rosso sangue, se la ritrovò davanti. Stava scendendo l'ultimo gradino e Leonard strinse, con maggiore presa, nella mano il mazzo di garofani rossi che le aveva portato. Ricordava che erano i suoi preferiti e che Samuel glieli portava sempre quando partiva per City Island.

Esattamente come aveva anticipato Madame, la ragazza apparì pallida in viso ma con capelli acconciati e ben vestita. I ricci castani le incorniciavano il viso bianco e scavato ed erano schiacciati da un cappellino del medesimo colore. In abbinamento indossava una camicia larga beige, con un fiocco sotto al collo, e una giacca celeste con pois bianchi. Il tutto si legava con una gonna lunga fino alle caviglie, bianca come i sandali che calzava ai piedi. Appariva come una fanciulla appena scappata dal collegio, la futura moglie di suo fratello, eppure era una delle più belle ragazze del posto. Colei che aveva vissuto tra gli splendori degli antichi palazzi e opere d'arte di Pietrogrado, era arrivata alla drastica decisione di vendere il proprio corpo ad appena sedici anni. La piccola Raissa Kovic moriva per lasciar posto ad una donna bisognosa di cibo e tetto sopra la testa, al riparo da tempeste improvvise.

Il cuore di Leonard perse un battito, esattamente come il primo giorno che l'aveva vista, quando la donna gli sorrise e andò a lui incontro.

"Buon cielo, Raissa! Potevi metterti qualcosa di più elegante." La rimproverò amichevolmente Madame.

"Sta benissimo." Rispose l'uomo per lei, cingendola con le braccia quando, senza parlare, la russa si rifugiò sul suo petto. Un senso di calore lo invase. Tanto che temette che potesse essere sentito a tutti e come a leggergli nel pensiero, Madame alzò le spalle e, stringendo i soldi in una mano, si allontanò da i due. I pochi uomini nella hall non davano loro neanche uno sguardo curioso e questo lasciò loro un po' di intimità.

"Credevo che non sarebbe venuto nessuno. Sono felice di vedere qualche viso amico." Esordì Raissa, sciogliendo l'abbraccio in modo lento e piantando gli occhi azzurro mare in quelli di Leonard. Occhi che volevano essere amati, occhi che chiedevano un rifugio sicuro.

"Sei la futura moglie di Samuel e la nostra famiglia diventerà la tua, molto presto." E come a voler cambiare argomento, Leonard le mostrò i fiori che aveva preso dal fioraio di Riverdale prima di partire.

Alla vista dei garofani, come era prevedibile, Raissa ampliò il suo sorriso e li annusò. "Ne ho ancora di freschi nel vaso di sopra ma sono sempre contenta di dar loro un po' di compagnia." E tornando a guardare il volto di Leonard, si strinse nella sua giacca all'ultima moda. "Usciamo."

I giardini all'esterno erano un ottimo posto dove poter chiacchierare in modo da non essere disturbati da terze persone. Specialmente il piccolo labirinto, dietro la terza fontana, vicino alle scale esterne. "Non immaginavo di vedere te, credevo sarebbe venuto tuo padre." Continuò a dire la giovane, sedendosi su una panchina accanto a due siepi in piena fioritura di boccioli gialli.

"Mi sono offerto volontario." Rispose l'uomo, raggiungendola. "Mio padre voleva chiederti di mollare la casa e venire a stare da noi."

Raissa si fece un attimo seria. "No, Leonard. Non voglio entrare nella vostra casa. Preferirei attendere il ritorno di Samuel. Non voglio che tua madre mi veda come... una delle tante e già non nutre molta simpatia per me."

Il giovane avrebbe voluto ribattere, dire che non era vero, che sua madre la considerava già come una figlia. Ma se c'era una qualità, una delle tante, in Raissa era proprio il dono di capire sempre tutto prima di tutti. Al primo sguardo aveva intuito che Mrs. Putnam non aveva fatto i salti di gioia alla notizia che la sua futura nuora era una prostituta. Una donna all'antica, sua madre. Stessa cosa non si poteva dire per i restanti membri della famiglia: Amelia, così come Leonard e Mr. Putnam, erano rimasti colpiti da quella giovinetta che si presentava a loro come intrattenitrice, giacché la parola prostituta era troppo volgare.

"Per noi sei già parte della famiglia. Per me è come se fossi già la moglie di mio fratello." Perché il desiderio del suo corpo caldo l'aveva scacciato dalla mente nello stesso istante in cui Samuel appariva felice ai suoi occhi, al settimo cielo.

"E' la donna giusta, Leo. Me lo sento." Gli aveva detto poco prima di partire. Ed era stato proprio in quel frangente che gli aveva fatto promettere, con tono meno gioioso e più serio, di prendersi cura di lei fino al suo ritorno. E nel caso, Dio non voglia, li fosse successo qualcosa... di continuare a prendersene cura come una sorella, come se fosse una seconda Amelia. Come se fosse una cosa semplice.

"Tu sei un bravo ragazzo, fratellino." Scherzò lei, pizzicandogli il braccio. "Ma preferirei attendere comunque il ritorno di Sam. Mi ha giurato che non ci sarebbe voluto che un mese e poi sarebbe tornato." Nel dirlo, fece cadere lo sguardo al suo anulare privo gingilli. "E mi ha giurato che mi avrebbe portato un gioiello inglese, come anello di fidanzamento. Io gli credo. Anche perché non mi importa di ciò... anche se fosse di semplice cipolla lo indosserei con orgoglio. È il suo amore il dono più prezioso che potessi mai desiderare in questa terra straniera." Parole cariche di speranze, di sentimento e soprattutto di aspettative. Un breve fidanzamento, un matrimonio semplice, una casa vicino al porto di City Island e dei figli, due massimo, che avrebbero arricchito la loro vita fino alla fine dei loro giorni. Lasciò la sua fantasia a navigare lì, notando che Leonard la osservava ancora. "Ti sembrerà sciocco, per una ragazza come me, ma è così."

"Non lo trovo sciocco. Samuel è molto fortunato ad averti incontrata." Mentre lui poteva accontentarsi della fortuna di vegliare su di lei come una sorella fino al suo ritorno. Nessuna delle sue mani l'avrebbero mai sfiorata con malizia, nessuno dei suoi sguardi sarebbe apparso troppo inappropriato. E quando lei sorrideva, lui le rispondeva snudando le due file di denti bianchissimi.

"Amelia come sta? È eccitata per il suo compleanno?" Chiese Raissa, cambiando lei il discorso stavolta.

"Ha la classica eccitazione delle ragazzine della sua età. Io già non ricordo più i miei diciassette anni." Rise in modo nervoso.

"Perché non venite a pranzo qui? C'è un ristorante di pesce e Samuel mi ha detto che volevate passare lì la giornata. Non la vedo da tanto."

"Ne sarà felice. Non appena tornerò a casa penserò a parlarne con mio padre." Del resto, non voleva che la sua sorellina fosse triste proprio in un giorno importante. Non doveva pensare a niente se non alla sua età che avanzava e a godersi quel momento di gioventù. Era certo che, arrivata ai venti, non avrebbe più avuto alcuna eccitazione di far passare così in fretta gli anni. In aggiunta, non vedeva l'ora di vedere la sua espressione davanti il bel regalo che lui, suo fratello, e Mr. Putnam avevano commissionato allo stesso Maurice.

"Passeremo una gran bella giornata." Commentò sorridente la donna. Nuovamente, l'attenzione di Leonard, fu tutta per lei. Il regalo per sua sorella era già archiviato, ma non dimenticato. "Secondo te quanto ci può impiegare una lettera da Liverpool ad arrivare qui?" Chiese qualche secondo più tardi, tornando ancora una volta seria.

Leonard la imitò, schiarendosi la voce. "Due settimane, forse tre. Ma anche di più. Non pensarci troppo, Raissa. Sono certo che Sam scriverà non appena arriverà a destinazione. Lelia è convinta che gli arriveranno sue notizie per il suo compleanno ed io glielo faccio credere. In questo modo non sono costretto a vedere il suo faccino triste e affranto."

Raissa inclinò la testa di lato. Lei non aveva mai avuto un fratello maggiore. Da qualche parte doveva aver avuto una madre, un padre, degli zii e forse due cugini. Ma i loro volti, così come i loro nomi, erano offuscati dalle troppe lacrime che aveva versato quando aveva toccato il suolo di City Island. Con due genitori morti durante il viaggio aveva faticato a credere alla storiella che l'America fosse la patria delle seconde occasioni. Tuttavia, sorrise, il viso rilassato, le guance piene e due righe segnavano la serenità attorno alla sua bocca. "Amelia è fortunata ad averti come fratello. Si vede che tieni molto a lei."

Lelia, così come l'aveva sempre chiamata da quando aveva cinque anni e già metteva il broncio per ogni capriccio, era stato un cambiamento un po' per tutti. Da un giorno a nove mesi, lui e Samuel, erano diventati fratelli di una piccola peste. Quando i genitori non c'erano toccava a loro farla divertire, darle da mangiare, e giacché all'epoca non avevano neanche la governante erano costretti a fare anche i lavori di domestici. Non era stata una schiavitù, più un divertimento. Ma con gli anni che passavano era diventata troppo un'abitudine per lasciarla andare. Per lei era un amico che condivideva il suo stesso sangue, il suo stesso colore degli occhi, lo stesso carattere da testa calda, lo stesso difetto di non saper mantenere un segreto, anche il più sciocco. Sam era diverso da loro. Più posato, più responsabile, ma all'occorrenza diventava giocoso anche lui. Ma i bambini crescevano, diventavano pian piano dei giovani adulti con i problemi che l'età si trascinava. Entravano dentro di loro, tenendoli -a volte- svegli la notte. Arrivava quel momento in cui ognuno di loro sceglieva un'ideale, una strada, e anche a costo di andare contro i desideri dei genitori si seguiva, si raggiungeva e non si lasciava più andare.

Leonard riteneva Samuel decisamente più fortunato. Aveva scelto una bella carriera militare, i genitori erano stati subito d'accordo, e in poco tempo era salito al grado di brigadiere generale e veniva scelto per un viaggio segreto al fine di trovare un accordo nel conflitto di Inghilterra e Germania. Aveva scelto una donna bellissima, lei lo ricambiava con un amore incondizionato. E di Leonard Putnam cosa si poteva dire? Del più giovane dei maschi della sua famiglia era sicuramente quella pecora nera incapace di prendere una strada. Viveva all'ombra del fratello soldato, quello che tutti ammiravano per la divisa verde scintillante di gloria e sudore. Molti pensavano che avrebbe intrapreso le orme del padre, nel campo del giornalismo, ma lo studio non era mai stato il suo forte e aveva mollato quasi subito. Ciò nonostante Mr. Putnam continuava a adorarlo e l'unico fallimento che gli elencava era quello di non riuscire mai a batterlo a bigliardo.

"Vuole un gran bene anche a te, sai? Ne parlavamo proprio l'altro giorno." La buttò lì, concentrando l'argomento su qualcosa di più sereno che i suoi fallimenti scolastici.

"Ah, sì? Parli di me con tua sorella? E cosa ha detto dimmi."

Leonard deglutì. Mentalmente andò a cacciare un ricordo di quella giornata afosa come la stagione richiedeva. Sotto gli alberi del piccolo sentiero dietro la residenza, Amelia gli aveva tirato una gomitata, ridendo.

"Dai, ammettilo! Anche tu sei cotto di Raissa!" Aveva esclamato la bionda, correndo qualche metro avanti a lui.

Il sole picchiava sulle loro teste e benché facesse caldo non era di certo per quello che le guance gli si erano colorate di rosso porpora. "Amelia, smettila subito! Non è divertente. Pensa se ti sente Samuel!" L'aveva richiamata con tono secco. La sua espressione, però, abbastanza sorpresa e timorosa aveva tradito il tutto.

"Guarda che non glielo dirò. Né a lui, né a lei." Continuava ad infierire la piccola peste, alzando le mani al cielo.

"Le tue promesse durano quanto durano le rose." Con una breve corsa, Leonard raggiunge Amelia. Quest'ultima assume un'aria infastidita, offesa.

"Che cattivo che sei! Guarda che mi sta molto simpatica. Chiunque lei scelga, tra te e Sam, sarò felice lo stesso. L'importante è che entri nella nostra famiglia!" Esclama ancora gioiosa, saltellando come una scolaretta di quindici anni.

"Anche a me sta simpatica. Fine della storia. Adesso piantala con questi discorsi! Ecco che tornano Sam e papà." In lontananza, i due li avevano raggiunti in breve tempo. Per tutta la giornata, Amelia tenne sulle labbra una risata trattenuta a stento. Era stata la prima ed unica promessa che era riuscita a mantenere.

"Anche lei smania all'idea di vederti tra i corridoi di casa." Rispose Leonard, forzando un sorriso contenuto. In verità sentiva una gran voglia di ridere al solo ricordare di quel pomeriggio. Ma non poteva davanti a Raissa. Che figura ci avrebbe fatto? E soprattutto... come avrebbe spiegato tale comportamento?

"Oh, che cara ragazza! Anche io non vedo l'ora di vedervi ogni giorno." E involontariamente -o volontariamente- la mano di Raissa strisciò fino alla sua, sul suolo della panchina di legno un poco inverdito di muschio. Un modo solo amichevole, così come la scintilla che usciva da i suoi occhi chiari. "Grazie per essere venuto tu oggi. Dalla prima volta che ti ho conosciuto ho avuto subito l'impressione di potermi fidare di te. Il mio intuito non mi ha mai tradita."

Una piccola e ingannevole speranza si insinuò nella sua mente. Sbagliata, lo sapeva, ma comunque la sua mente aveva preso a navigare per fantasie a lui proibite. Anche solo immaginare che Raissa potesse, in qualche assurdo modo, sugellare quel momento stupendo con un bacio era fuori discorso. Eppure, fino all'ultimo, quella piccola e ingannevole speranza gli aveva fatto pensare che poteva succedere, che ogni cosa poteva accadere. Gli uomini potevano uccidersi a vicenda al fronte e lui non poteva sperare in un bacio da quella dolce ragazza russa?

Fu proprio quest'ultima, involontariamente, a risponderle. "E come se Samuel fosse sempre qui. Soprattutto in te, che condividi il suo stesso sangue e il suo stesso sguardo." No, evidentemente lui non poteva sperarlo.

Svanì tutto in un battito di ali, proprio come quelle di una farfalla azzurra che passava davanti a loro. La speranza sotto forma di insetto che veniva a deriderlo? La guardò di traverso. Contenta?

Deglutì, sentendosi quasi ferito. Non si aggrappò a nulla, neanche ai frammenti della sua immaginazione, che sapevano fungere e far male peggio del vetro rotto. "Mi fa piacere." Idiota, si disse mentalmente, sei un fottuto idiota. Tu e le tue idee del cazzo.

Guardò il suo orologio da taschino. Si stava facendo tardi e doveva fare una commissione, prima di rientrare a Riverdale, per conto di Maurice. Altrimenti il regalo per sua sorella non sarebbe mai stato pronto. "Ora devo andare. Ti accompagno dentro." Detto ciò, si alzò, imitato poco dopo da Raissa che stringeva ancora il mazzo di garofani in mano.

"Oh, no, grazie. Vado a fare una passeggiata per il mare. Mi ha fatto piacere parlare un po' con te. È un sollievo in giorni bui come questo."

Sempre perché ti ricordo Samuel. Ovviamente.

"Non c'è di che. Sta attenta ai pescatori e se qualcuno ti importuna vieni pure a dirmelo." Le raccomandò, neanche stesse parlando veramente con sua sorella. Infatti, quasi se ne pentì subito dopo.

"Certo, fratellino, non preoccuparti." E chinandosi a baciarlo sulla guancia ruvida e priva di barba, Raissa lo superò e prima di voltarsi del tutto, lo guardò sorridente un'ultima volta. Leggiadra come la farfalla di pocanzi se ne andò, per le strade soleggiate di City Island.

Uscendo dal cortile della casa, diretto alla sua vettura fuori dal grande cancello bianco, Leonard pensava ancora all'appellativo con la quale l'aveva salutato. Fratellino. Non era stato lui a dirle che la riteneva ormai parte della famiglia? Ebbene, di che si lamentava?

Idiota. Si disse ancora. E lo ripeté per tutti i ventidue minuti d'auto che fece da City Island fino a Riverdale, desiderando che quel mese potesse finire presto. Una volta che Raissa sarebbe stata ufficialmente la moglie di Samuel, e quindi sua sorella, sarebbe stato tutto molto più semplice.

Pazienza. Doveva solo portare pazienza.

*****

Il mercato di Riverdale era sicuramente il più rifornito, ma anche il più affollato durante la settimana. Iniziava il lunedì e finiva il mercoledì. Una delle principali ragioni del perché l'economia, in quel paese, funzionava così bene. O almeno era quello che ripeteva sempre la saggia governante Tilla, originaria della bella Little Italy. Come il nome suggeriva per l'appunto, un pezzo d'Italia che gli Americani avevano ricostruito con amore. Tilla diceva che lì si vendevano i marchi più famosi del bel paese, abiti, borse, scarpe, cappellini all'ultima moda, e vi erano persino ristoranti e panifici che ricreavano con esperienza e passione i sapori made in italy. Figlia di due italiani emigrati a Little Italy, Tilla, aveva servito ai tavoli come cameriera quando era più giovane e tramite un amico di famiglia aveva fatto la conoscenza di Mr. Putnam, all'epoca molto più giovane. Risultata simpatica, le competenze per badare ad una casa come la loro non servivano più. Era stata subito assunta e in poco tempo era diventata una presenza importante in famiglia.

Importante e assillante, oserebbe pensare la bimba che camminava tre passi avanti a lei. Gli occhi chiari di quest'ultima restavano a fissare -per pochi secondi- tutto ciò che le bancarelle avevano da offrire. Verdura, frutta, legumi, carne, pesce, fino a soffermarsi -il più del dovuto- a quella dei dolci. L'odore delle frittelle incartate e pronte per essere mangiate le invadeva le narici. Ma non appena i suoi piedi si mossero in quella direzione, anche involontariamente, si sentì tirare verso destra per essere riportata sulla strada dritta, colma di gente che camminava. Stretta accanto a lei, c'era Tilla.

"Smettetela di mangiare sempre i dolci! Di questo passo finirete per ingrassare e allora sì che vostra madre potrà pure dire addio al sogno di vedervi sposata." La rimproverò la donna, stringendole una mano per non farla scappare di nuovo.

"L'amore di un uomo si misura dalle taglie delle donne?" Chiese Amelia con leggera perplessità. Quello che Tilla le stava dicendo non era ciò che leggeva nei numerosi libri d'amore.

"Ah, l'amore!" Esclamò la donna, che d'amore aveva patito in gioventù e a lei quel sentimento andava stretto per l'età che si portava sulle spalle come una croce. "Cos'è, bimba? Cos'è per te che vedi il mondo bello e buono? Nulla. Semplicemente perché non esiste. Dio ci ha dato tante cose e l'unico amore che c'è dato conoscere è quello puro e casto delle nostre famiglie. In compenso c'è quello per la patria, più intenso e più innocente."

Amelia strabuzzò gli occhi dianzi a quella rivelazione. L'amore non esisteva? Cosa andava chiacchierando quella donna dal cuore spezzato? Poteva sentire i pezzi essere calpestati dalle sue parole. Non riusciva veramente a comprenderla. Non sentiva alcun dolore?

"Ma l'amore della patria non è come quello tra un uomo e una donna, giusto?"

Tilla sgranò gli occhi. "Per l'amor del cielo, Amelia! Queste non sono cose che dovrei dirti io. Chiedile pure alla signora tua madre quando saremo a casa."

Facendo riemergere il suo lato divertito e infantile, Amelia gonfiò le guance di risate che non poteva esprimere. Si limitò ad una smorfia buffa. "Figurati se la mamma possa dirmi una cosa così. Sconveniente, lo definirebbe. Non mi resta che sfogliare i miei libri."

"A proposito di questo..." Era certa che prima o poi avrebbe cambiato discorso. "Stai studiando ciò che il precettore ti ha affidato l'ultima volta? Bada, dopo il tuo compleanno egli sarà di nuovo qui e pretenderà che tu sia più matura e responsabile."

Amelia faticava a credere che Mr. Gaynor fosse in grado di vedere ciò. Era già una fortuna che riuscisse a capire qualcosa del suo balbuziente precettore. Era l'unico rimasto lì a Riverdale e come le diceva suo padre, doveva accontentarsi. Un'istruzione doveva pur averla e benché amasse lo studio al di sopra d'ogni altra cosa, Mr. e Mrs. Putnam erano stati più che chiari con lei: niente idee rivoluzionarie. Tradotto benissimo nella frase: niente Somerville College, niente Oxford. Ecco cosa poteva raccontare ai suoi figli, un giorno.

Ho ricevuto il mio sapere da un balbuziente precettore che solo per concludere una frase ci metteva quindici minuti buoni. Niente aveva contro quegli uomini, la giovinetta, ma i suoi genitori potevano avere anche pietà per lei e la sua pazienza e mandarla in una scuola normale. Quello era l'unico campo dove né Leonard e né Sam potevano dire nulla.

Non rispose a Tilla circa Mr. Gaynor. Quando se lo sarebbe ritrovato davanti gli avrebbe rifilato una scusa plausibile. Il sorriso tornò a battagliare il suo volto. Tra pochi giorni sarebbe stato il suo compleanno e doveva essere allegra. Il pensiero dello studio doveva essere come suo fratello: lontano. Come l'urlo che da lì a poco stroncò la pace e il chiacchiericcio dei passanti. Iniziò così il delirio generale. Amelia si sentì tirare più stretta al fianco di Tilla, quest'ultima cercava di mettersi sul marciapiede per non farsi investire dalla folla che continuava a scappare. L'unica cosa che si sentiva, mentre correvano, era la parola: "Sangue!" In lontananza, Amelia vide delle persone -quelle che non scappavano come se il demonio fosse atterrato sulla strada dinanzi a loro- creare una capanna accanto alla bancarella della salumeria.

Bastò un battito di ciglia ed ecco che lo spirito ribelle riemerse ancora una volta nella giovinetta che, sentendosi più libera dalla stretta, prese ad allontanarsi verso la folla a passo svelto. Aumentò, mescolandosi alla folla, quando Tilla si rese conto di non averla più al suo fianco. Amelia non si voltò, a passo svelto raggiungeva il luogo del delitto. Se di diletto si parlava. La gonna dell'abitino indaco si alzava di poco, scoprendo una lunga proporzione di gambe. Chiunque della sua famiglia, a quella visione, le avrebbe tirato uno schiaffo così forte da farla cadere in coma. Ma a parte Tilla che, dietro di lei, si guardava intorno come una disperata e chiedeva ai passanti che correvano se aveva visto una bambina bionda allontanarsi, non c'era nessuno della sua famiglia.

Arrivata vicino alla bancarella, la giovinetta vide la mano dell'uomo ricoperta di sangue, che sporcava -senza volerlo- il lenzuolo bianco dove era adagiato il pesce da una parte e la carne dall'altra. Dove la macchia era più intensa c'era un tagliere con un coltello e... il dito dell'uomo. Amelia si portò una mano alla bocca ma non gridò dalla paura, istintivamente le venne da girare la testa dall'altra parte ma non fece neanche quello. Puntò lo sguardo verso il volto dell'uomo sofferente. Dalla sua bocca uscivano lamenti strozzati mentre, accanto a lui, le persone che non erano scappate si davano da fare nel cercare un fazzoletto che fermasse l'emorragia. Altrimenti quel povero uomo sarebbe morto dissanguato. Il taglio era netto e il sangue usciva come un fiume in piena.

"Spostatevi! Lasciatelo prendere aria!" Urlò una voce femminile lì vicino. Amelia osservò una figura avvicinarsi all'uomo e controllare la ferita. Aveva il volto nascosto da un cappello e portava abiti maschili. Se non fosse stata per la voce dal timbro femminile non avrebbe mai riconosciuto l'identità sessuale di quella sconosciuta. Quando però ella alzò gli occhi verso la folla, Amelia poté vedere chiaramente i lineamenti femminili della donna. Azzardò mentalmente la sua età. Poteva avere due o tre anni in più a lei. Ma perché vestiva con abiti maschili?

"Non state lì impalati! Cercate un fazzoletto, un pezzo di stoffa... qualsiasi cosa! Il tempo necessario per fermare il sangue e portarlo all'ospedale." Diede istruzioni in seguito, mentre sorreggeva la mano dell'uomo e diceva qualcosa di rassicurante a lui. Pareva che lo conoscesse molto bene.

La folla iniziò a dileguarsi in cerca di quanto richiesto. Tutti tranne Amelia che, istintivamente, portò le mani al collo e slegò con un movimento secco il fazzoletto di seta che gli aveva regalato Samuel prima di partire. Le piangeva il cuore separarsene ma lo faceva nella consapevolezza di aiutare un innocente, vittima di un brutto incidente sul lavoro. Lo faceva sapendo di aiutare qualcuno. Del resto, anche quell'uomo poteva avere una sorella, giusto? Una figlia? Magari anche una moglie. In quel modo poteva sperare di aiutare più persone e senza giri di parole porse il fazzoletto verso la donna. Quest'ultima alzò lo sguardo sul volto soave della giovinetta e accettò di buon grado il suo aiuto.

Coperto il dito tagliato e imbrattato di sangue, la donna diede istruzioni a due infermiere di portare l'uomo all'ospedale. Sarebbe rimasta lei lì alla bancarella per sgomberare tutto, curiosi arrivati all'ultimo momento inclusi.

"Su, andate via! Non c'è più niente da vedere! Grazie per il vostro contributo." Tagliò corto, immergendo le mani in una bacinella d'acqua sporca dove veniva pulito il pesce. Si era quasi scordata della ragazza ma il suo sguardo insistente gli portò alla mente che doveva ringraziarla, per lo meno. "Grazie anche a te per l'aiuto."

"Oh, non ho fatto nulla. Davvero. È stato un caso." Obiettò lei con tono dolce.

"Un caso piovuto dal cielo." Sorrise la donna, porgendole poi la mano. Odorava di pesce ma il sangue non c'era più. "Jennifer Kelly. Sono la capoinfermiera all'ospedale locale. E sono anche la nipote dell'infortunato."

La giovinetta gliela strinse. "Amelia Putnam. Mi dispiace per tuo... zio?" Chiese lei, tanto per essere sicura del grado di parentela che univa l'infermiera al salumiere.

Stretta sciola, Jennifer scosse la testa. "Nonno." Precisò lei. "Sei stata coraggiosa a guardare. Solitamente le ragazze della tua età urlando, scappano alla vista del sangue. Tu no."

"Ho uno spirito forte."

"Molto." Rise l'infermiera, guardando poi dietro le spalle della bionda. "Credo che quella donna ti stia cercando. È tua madre?"

Amelia non si voltò, ben sapendo che tra poco Tilla l'avrebbe raggiunta e le avrebbe rifilato una bella ramanzina. "La governante." E neanche il tempo di finire di spiegare il ruolo che ricopriva, che se la ritrovò vicino. Il maglioncino abbottonato fin sopra al seno e lo sguardo carico d'ira.

"Ma insomma... ti pare questo il modo di sgattaiolare? Poteva succederti qualsiasi cosa. Aspetta che racconti tutto ciò a Mrs. Putnam. Vedrai che punizione stavolta!" La terra non tremò sotto i piedi della piccola Amelia, che se ne stava lì a fissarla con indifferenza. Da qualche parte nella sua testolina stava elaborando una frase da rifilare alla donna e risponderle a tono.

"E' colpa mia, Signora. La prego di perdonarmi ma avevo chiesto aiuto per mio nonno e la signorina Putnam si è concessa di aiutarmi. La prego non la sgridi. Ce ne fossero di ragazze come lei!" Esclamò l'infermiera bruna in sua difesa. Allorché Jennifer ebbe la completa attenzione della governante, continuò: "Potrebbe diventare una eccellente infermiera."

Tilla guardò dapprima la donna e poi Amelia. "Non sono io a decidere, signorina..."

"Kelly. Capoinfermiera nell'ospedale locale."

Lo sguardo di Tilla s'illuminò all'istante. "La vostra è una professione nobile. Vi ammiro molto per ciò che fate, infermiera. Sarà mia premura avvertire Mrs. Putnam del vostro punto di vista. Ora dobbiamo rincasare." E guardando Amelia, le indicò la strada verso casa. "Andiamo."

Amelia si voltò verso l'infermiera. "È stato un piacere conoscerti, Jennifer. A presto, spero. E in bocca al lupo per tuo nonno."

"Crepi. A presto, Amelia, e grazie." Si congedò anch'essa, andando nella bancarella vicina per chiedere dell'acqua e un panno pulito.

Passate dal formale voi al confidenziale tu, Amelia era più che sicura che quello sarebbe stato l'inizio di una bellissima amicizia. Più in là avrebbe avuto ragione.




Wolf's note:

Altra settimana, altro capitolo!

Colgo l'occasione per ringraziarvi sempre per l'affetto che nei messaggi mi dimostrate costantemente! Grazie davvero. <3 Vi ricordo che per seguire gli aggiornamenti, le news, eventuali spoiler ed avvisi, foto e video... seguite la mia pagina facebook dedicata alle mie storie. Al seguente link: https://www.facebook.com/lememoriediwolfqueenroarlion/ Per non perdervi nulla!!

E siamo giunti al secondo capitolo. Il prossimo sarà ancora più ricco di emozioni, lo garantisco. Abbiamo finalmente fatto la conoscenza di Raissa e di Jennifer Kelly, personaggi che torneranno utilissimi, specialmente la capo infermiera. Ma questo lo vedremo solo nei prossimi capitoli...

Appuntamento, quindi, a Martedì 14 Aprile per il terzo capitolo. Mi raccomando, non mancate! <3

Un abbraccio,

Wolfqueens Roarlion.


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