Capitolo 20

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Alle tre e mezza del primo pomeriggio, Amelia era già fuori dal centro ospedaliero di Riverdale. Dopo il conseguimento dell'esame teorico, tra due mesi ci sarebbe stato quello pratico, che avrebbe portato la giovane alla conclusione del corso e quindi nell'integrazione completa nel corpo infermieristico. Immaginava già quel giorno. Lei, vestita di bianco con la cuffietta da infermiera a coprirle parte dei capelli, e la sua famiglia orgogliosa del suo operato. Prima che quel giorno potesse arrivare, però, la giovane veniva messa a dura prova con un altro esame, ben più complicato.

Sulla strada che l'avrebbe ricondotta a casa, Amelia meditava sulla scelta di presentarsi all'incontro con il maggiore o meno. Vederlo avrebbe significato ammettere a sé stessa una notevole sconfitta ed era l'ultimo dei suoi desideri, al tempo stesso, però, sentiva una mancanza proprio all'altezza del cuore al pensiero di non presentarsi, di chiudere la porta della sua stanza e aprire il libro per un noioso ripasso teorico.

Camminava con passo lento, sperando che l'andatura potesse sollecitarle la giusta decisione. Pensiero positivo andato in frantumi dal delizioso odore di pane appena sfornato direttamente dal fornaio dell'angolo. Una piccola discesa di san pietrini era circondata da abitazioni e botteghe. Il sarto, amico di famiglia, il fornaio con un garzone simpatico, e una piccola e calda sala da thè. Quest'ultimo era il luogo preferito di ogni Signora di Riverdale. Sua madre ce l'aveva portata spesso ma, come per molte cose, la morte di Samuel aveva cambiato anche quella abitudine. Una benedizione per Amelia, il fatto di non dover frequentare più un simile posto. Per quanto fosse sofisticato e adeguato al suo stato sociale, era ben lontana la sua personalità da pettegolezzi e argomenti di ricamo. Preferiva di gran lunga il suo velivolo. Ancora una volta, al pensiero del biplano parcheggiato nel garage di Maurice, ebbe un fremito.

Presentarsi o meno?

Arrivata alla fine della piccola discesa, Amelia alzò gli occhi al cielo lanciando, nell'aria, un sospiro sconsolato. La sua testolina bionda iniziò a viaggiare e creare momenti di imbarazzo alternati a frasi scontate da rifilare al maggiore, ammesso e concesso che si sarebbe presentata. Se non lo avesse fatto, però, c'era la possibilità che il militare potesse presentarsi a casa sua. Sapeva dove abitava.

Ogni volta che pensava a lui si sentiva terribilmente a disagio, e non centrava affatto il loro ultimo incontro, il fatto che il militare si fosse approfittato di lei per arrivare a suo fratello. La turbava il fatto che, sotto il suo sguardo, si sentiva costantemente sotto esame. Faticava a tenere gli occhi puntati sulla sua figura, faticava a non diventare rossa non appena egli apriva la bocca, faticava ad arrestare i battiti troppo rumorosi del suo cuore. Le parole di Raissa, poi, le risuonavano ancora nelle orecchie.

Sai quando ti piace così tanto una cosa, Amelia? Ecco, l'attrazione tra un uomo e una donna è proprio questo. Quando sei certo di non poter vivere senza quella cosa, beh, allora è amore.

La domanda che si poneva era proprio quella. Poteva avere la forza di rifiutare l'incontro con il maggiore? Poteva, la rabbia che ancora provava nei suoi confronti, aiutarla a non camminare verso la stradina di breccia che conduceva al garage di Maurice? Qualcuno poteva aiutarla a provare ancora un po' della rabbia che le serviva per non presentarsi? A tutte quelle domande, il suo inconscio realizzò per lei il viso sofisticato e perfetto di Claire Ferrars. La sua casa non era lontana da lì, ora che la bionda ci pensava bene. Lei, forse, poteva aiutarla a provare ancora più rabbia. Sembrava buffo pensarlo, specialmente perché era stata proprio la Ferrars a chiederle di trovare delle giuste risposte circa la verità di ciò che era successo sul Lusitania.

Amelia attraversò a passo rapido i pochi tratti di strada che la dividevano da Cambridge Avenue, ritrovandosi sulla destra delle villette colorate di bianco e azzurro, ognuna separate da delle alte siepi e cancelli neri. La residenza dei Ferrars era quella al centro, il loro nome era ben leggibile sulla targhetta dorata accanto all'entrata. Un giardino ben curato e delle arrampicanti che decoravano la parete visibile, accanto alla porta, davano il benvenuto ai visitatori e ad eventuali ospiti. Trovando il cancello già aperto, Amelia avanzò verso la porta d'ingresso, non avvertendo la minima presenza.

"C'è qualcuno?" Chiese la bionda, entrando nella piccola hall tappezzata di quadri di ogni tipo: paesaggi, ritratti di nobildonne, e uno di loro raffigurava proprio Claire. Continuando ad avanzare e a guardarsi attorno, Amelia non avvertì nessun passo provenire verso di lei. Era strano tutto quel silenzio, tanto che pensò che non ci fosse nessuno. La porta aperta, però, aveva estirpato quel pensiero dal principio. Almeno una domestica doveva esserci. "Mrs. Ferrars, ci siete?" Continuò a chiedere al nulla, sentendo solo il silenzio. Per un attimo pensò di tornare indietro, di aver sbagliato a venire lì. E lo stava facendo. I piedi presero a muoversi all'indietro, girandosi col busto per avanzare verso la porta, ma qualcosa la bloccò proprio sulla soglia.

Il rumore di qualcuno che cadeva a terra.

Amelia si avvicinò, a piccoli passi verso un piccolo soggiorno, ben illuminato, dalle pareti verdi e altri tipi di quadri alla parete. E statue bianche poste agli angoli, su piedistalli di marmo. Notando una mano che spuntava da dietro un divano, la bionda fece un respiro profondo, controllando che la donna stesse bene. Dalla mano delicata che vedeva era andata per esclusione che si trattasse di una femmina.

Lentamente, il campo visivo di Amelia si ampliò, prendendo nota di un braccio, delle gambe, e del corpo di una donna ben vestita. La cosa che la fece sobbalzare però, era una chiazza di sangue che si allargava a vista d'occhio sul petto e che, la nobildonna in questione, era proprio la padrona di casa, mrs. Claire Ferrars. Amelia soffocò un urlo tra le mani con la quale si era coperta la bocca. Con gli occhi sgranati e il cuore in tumulto, le era estremamente difficile fare un passo verso la donna, controllare i battiti del polso e verificare se respirava ancora.

Troppo tardi. Dalla bocca di Claire iniziarono ad uscire piccoli fiotti di sangue e, gli occhi aperti, avevano perso ogni vitalità. Amelia sentì le gambe venirle meno ed era certa che sarebbe svenuta da lì a pochi minuti. Il suo corpo prese a sciogliersi come neve al sole, e non rispondeva più a nessun comando. Ciò che la bionda vedeva era solo sangue e morte. Un conato di vomito prese a salirle fino alla bocca, ma riuscì a bloccarlo in tempo. Le caviglie iniziarono a piegarsi e Amelia era fermamente convinta che sarebbe caduta per terra, priva di sensi.

"Bewegen Sie sich nicht!" Urlò una voce femminile dietro di lei, sentendo allo stesso tempo qualcosa premere dietro la sua testa. La canna di una pistola.

Amelia tremò, non avendo capito una parola di ciò che le era stato appena detto. Era certa di non aver compreso, perché non comprendeva la lingua non perché fosse tremendamente scossa. "Io non..." Iniziò a parlare, provando a girarsi lentamente, ma la donna le premette la canna alla testa con più forza.

"Halt den Mund!" Urlò ancora.

Era completamente arabo alle orecchie della bionda, che iniziò a tremare per la paura. Sarebbe morta, ne era certa. Così come era stata convinta di svenire alla vista del corpo senza vita di Claire Ferrars. E sarebbe caduta, se la donna non l'avesse spaventata a morte da toglierle anche quello. Amelia strinse gli occhi, maledicendosi per aver dato ascolto alla sua testolina. Iniziò a pregare nella sua lingua e in francese, che ben conosceva.

Ti prego, non voglio morire. Non voglio morire. Dio, aiutami!

Il suo pensiero volò al fratello, a Raissa, a sua madre e suo padre, e alle domestiche della sua casa. Non avrebbe più rivisto nessuno di loro. Quella consapevolezza, oltre a tremare, la fece piangere. Mentre le lacrime uscivano dai suoi occhi, il suo cervello registrò il rumore della sicura della pistola che veniva tolta. Si chiese come sarebbe stato morire. Avrebbe sentito dolore? Non riusciva a pensarlo. Quando sentì lo sparo liberarsi nella stanza, Amelia aveva già detto, mentalmente, addio alla luce del sole e ai suoi cari. L'ultimo viso che le apparì davanti fu quello del maggiore Cameron Mendel. Le era sembrato così vivo, così reale, che credeva di aver sentito la sua voce proprio lì, accanto a lei.

"Elmira, leg die Waffe hin." Ordinò una voce maschile alle sue spalle.

Amelia riaprì gli occhi di scatto. Non aveva solamente immaginato la voce di Cameron, lui era lì davvero. Ma il suo tono appariva rude, completamente diverso da come era abituata a sentirlo parlare. Non sembrava neanche lui.

"Er sah die Leiche der Frau. Ich muss es beseitigen, Cameron." Anche la donna parlava con un tono marcato e di tante parole, che alle orecchie della bionda suonavano come note stonate, riuscì a comprendere solo il nome del maggiore. Cameron era davvero lì. Una lacrima scivolò dal suo occhio sinistro, carica di sollievo. Era certa che non l'avrebbe fatta morire per mano di quella donna. Ma perché la conosceva? Perché conosceva l'assassina di Claire Ferrars?

Dietro di lei, Amelia sentì il maggiore sospirare. "Bitte, Elmira. Bitte."

"Gib mir einen Grund, sie nicht zu töten. Wer ist für dich?"

Cameron ci mise un po' prima di rispondere, estraendo le giuste parole dalla bocca per far sì che Amelia tornasse sana e salva dalla sua famiglia. Doveva essere il più convincente possibile. "Meine zukünftige Frau."

Elmira sgranò gli occhi, abbassando l'arma dalla testa della bionda. Amelia si sentì liberata da un enorme peso ma fu ancora incapace di muoversi. "Du lügst." Commentò la tedesca, con maggiore astio nel tono della voce, come se stesse per gettare una maledizione a qualcuno.

"Ich habe keinen grund." Certo di non star correndo un pericolo, Cameron avanzò fino ad arrivare nel campo visivo di Amelia. Osservò per un attimo il suo stato di totale confusione, le lacrime che continuavano ad uscire dai suoi occhi e le gote arrossate per il pianto e lo spavento. Alla sua vista continuava a tremare. In quel momento, l'ormai tenente colonello, avrebbe voluto avere il dono della telepatia, per trasmettere alla ragazza solo con lo sguardo semplici e determinate parole.

Sotto lo sguardo crucciato di Elmira, Cameron tirò a sé Amelia, facendola aderire al suo petto. A quel contatto, la bionda strinse la sua divisa, nascondendo il volto sui suoi indumenti, dando il via ad un pianto liberatorio. Ansia, spavento e sollievo, si mischiavano in una fragranza pungente e pericolosa. Amelia si aggrappò alla divisa di Cameron con tutte le sue forze come un'ancora di salvezza. La sua scialuppa di salvataggio da morte certa.

"Denken Sie an den Körper der Frau. Ich werde alles morgen erklären." Ordinò ancora Cameron, in direzione di Elmira e poi indicando il corpo senza vita di Claire Ferrars, ai suoi piedi. Dandole un ultimo cenno, iniziò a camminare verso l'uscita della dimora, con Amelia ancora stretta al suo petto. Nel mentre usciva dal campo visivo della tedesca, accarezzò i capelli della bionda, cercando di confrontarla. "C'è la fai a camminare?"

Lelia scosse la testa con forza, cercando di riprendere il respiro regolare, avvertendo la luce del tramonto riscaldarla, facendo assumere ai suoi capelli una tonalità d'oro più scuro. Terribilmente grazioso. Lo stesso termine che passò anche per la mente del giovane tenente colonello. "Va bene." Commentò quest'ultimo con tono basso, prima di prenderla in braccio e iniziare ad allontanarsi da quella zona.

Non era molto pesante, per un uomo che aveva tratto in salvo feriti di guerra dai campi di battaglia, di peso maggiore a quello della donna. Durante il tragitto, memorizzò ogni battito del suo corpicino esile e persino i suoi respiri. Regolari, sebbene tendevano a spezzarsi troppo presto per via dei singhiozzi. Ben presto, però, anche quelli divennero più lievi, fino a sparire del tutto. Improvvisamente la sentì più leggera, la stretta sempre presente ma più malleabile. Il suo respiro era quasi silenzioso, tanto che dovette controllare che fosse ancora viva. Lo era, fortunatamente. La paura di morire e il sollievo di essere stata salvata, doveva averla spinta, singhiozzo dopo singhiozzo, a crollare in un sonno profondo. L'uomo che era in lui la reputava la creatura più tenera del mondo, simile ad una bambina che davvero aveva paura della crudeltà della gente. Ora, però, doveva occuparsene. Far in modo che Elmira non cambiasse idea e che l'odio non le facesse fare inutili stupidaggini.

E c'era solo un modo per assicurare ad Amelia una sicurezza completa. Non poteva tornare indietro, dopo aver esposto ad Elmira ciò che era per lui la piccola Putnam. Un senso del dovere, spinto anche dal fatto di essere stato la causa di tanta sofferenza nel suo cuore e in quello dei suoi famigliari. Sarebbe stato il suo modo, completamente originale, per riscattarsi. Sperò che Dio potesse perdonare i suoi errori, con quel gesto di redenzione.

Tra una pausa e un'altra, durante il tragitto, Cameron arrivò a pochi isolati dalla residenza dei Putnam. Ancora in braccio a lui, Amelia dormiva tranquillamente. Aveva un'espressione così serena, che quasi li dispiaceva doverla svegliare e raccontarle una triste verità. Prima, però, andava fatta la cosa più importante: assicurarsi di non essere arrestato e fucilato per tradimento. Scortò, quindi, la giovane lungo la stradina di breccia, presso il garage di Maurice. Il proprietario, come sapeva, non c'era a quell'ora e usufruì del garage per far riprendere completamente la ragazza.

Con i piedi distese l'unica coperta apparentemente pulita, anche se impolverata per il tempo in cui era stata chiusa. Lentamente, facendo leva sulle ginocchia, si chinò fino a far distendere il corpo ancora assopito della giovane. La guardò ancora un po', scostandole alcune ciocche di capelli che le erano ricadute sul viso. Cameron sospirò, decretando solo dopo cinque minuti, che era arrivato il momento di svegliarla.

"Amelia?" La chiamò, scuotendola gentilmente. "Amelia, svegliati."

Un rantolo uscì dalla sua bocca, poco prima di aprire le palpebre. Sentiva gli occhi leggermente gonfi e la bocca secca. Al suo risveglio, le ci volle un po' prima di comprendere dov'era e cosa ci faceva lì. Mentalmente, ripercorse tutto ciò che era accaduto quel pomeriggio. Dal momento in cui era uscita dall'ospedale, fino alla sua improvvisa visita a casa di Claire Ferrars. Amelia sgranò gli occhi, scattando seduta sul tappeto dov'era stesa. Il sangue della povera Claire era ancora ben impresso nella sua mente, così come la donna che gli puntava la pistola alla testa e le parlava con uno strano accento. Non aveva capito nulla.

"Amelia?" La chiamò ancora Cameron, lasciando che gli occhi verdi di lei lo guardassero per la prima volta, da quando era successa quella cosa.

La bionda si allontanò dalla sua figura, come se fosse stata scottata. "Non avvicinarti!" Esclamò, quasi gridando, alzandosi di botto.

"Amelia, fammi spiegare. Ti prego!" Provò a calmarla lui, tornando in posizione retta e avvicinandosi alla giovane.

"Non c'è niente da spiegare!" Sentitasi minacciata dalla sua figura, Amelia prese l'unico attrezzo che le capitò a tiro: un martello. Lo mise davanti a sé, a mo' di scudo. "Io mi fidavo di te. Hai ucciso tu Claire. Perché?" Chiese, permettendo alle lacrime di uscire ancora.

"Non l'ho uccisa io. È stata Elmira." Spiegò lui, mettendo le mani avanti.

"E glielo hai lasciato fare."

"No, ti sbagli." Cameron sospirò. Non era proprio il contesto che aveva desiderato per darle le opportune spiegazioni, ma doveva. La situazione rischiava di diventare peggiore di quella che era. "Ascoltami. Io non sapevo che Elmira volesse ucciderla. Non sapevo neanche che fosse qui a Riverdale."

"Allora come facevi a sapere che ero lì?"

"Mi stavo recando qui, quando ti ho vista uscire dall'ospedale. Il primo istinto fu quello di fermarti e parlare. Avevo il sospetto che non ti saresti presentata. E avevo ragione." Fece una pausa, dandole il tempo di assimilare parola per parola. "Il resto lo sai. Ti ho seguita fino a casa di mrs. Ferrars e hai visto ciò che hai visto. Ma ti giuro che non sapevo dell'idea di Elmira di ucciderla. Devi credermi."

"Perché dovrei? Mi hai già mentito. Ricordi?"

Hai ragione. Cameron sospirò, facendo appello ad ogni Santo nel paradiso per poter recuperare, almeno in parte, la fiducia in quella ragazza. Non poteva permettersi odio o rabbia rivolto verso di lui, non poteva. "Te lo giuro su mia sorella Paulne."

Amelia rilassò i muscoli del viso, memorizzando un altro elemento fondamentale della vita del militare. Paulne era il nome di sua sorella. Quella sorella che aveva detto di aver perso, se in senso metaforico non le era molto chiaro, ma non era quella la cosa più importante. Nel suo giuramento, su un elemento così importante per lui, sentiva che era sincero. Almeno in quello sapeva che non poteva recitare e né giurare il falso. Sentiva che era la verità perché, come lei, anche lui sapeva cosa voleva dire perdere qualcuno che si amava.

La donna abbassò il martello verso il basso ma mai la guardia. "Ti credo."

Sul volto del tenente colonello passò un sorriso sollevato. Cameron sapeva che, per riconquistare appieno la fiducia della giovane, ci sarebbe voluto un bel po' di tempo. Ma non aveva fretta. Avrebbero avuto una vita per perdersi e riprendersi. Ma lei lo avrebbe saputo soltanto tra qualche minuto, voleva farle godere ancora un po' di quiete prima della vera tempesta.

Infatti, come aveva immaginato, fu Amelia a riprendere la parola. "Chi è Elmira esattamente? E perché ha ucciso Claire?"

"Non ci basterebbe una intera giornata, madame, per rispondere ad entrambe le domande." E la notte calava lenta su di loro e sul garage di Maurice. Ormai erano le sei e il vento gelido invernale si faceva sentire, sempre più insistente.

"Mi devi queste spiegazioni, Cameron."

Il tenente colonello annuì, abbassando di poco lo sguardo. Aveva ragione, le meritava tutte. E lui intendeva rispondere ad ogni singola domanda, ma prima doveva occuparsi della sua sicurezza totale. "Facciamo un patto, ti va?"

"Se proprio devo."

Cameron fissò negli occhi la bionda, regalandole un sorriso speranzoso. "Io risponderò ad ogni tua singola domanda, ma tu ti fiderai di me. Completamente. E, in parte, riguarda ciò che è successo oggi. Per salvarti la vita, ho dovuto rifilare una bugia ad Elmira. Una bugia che deve essere trasformata in verità." Le spiegò, rispondendo -senza saperlo- ad altre domande che affollavano la testa di Amelia.

"Quale bugia?" La bionda percepiva qualcosa di strano. Un brutto presentimento.

Cameron si fece coraggio. In fondo, si disse, aveva sopportato di peggio, negli anni passati. Quel piccolo particolare era nulla, in confronto. "Le ho detto che sei la mia futura moglie."

Amelia sgranò gli occhi, sforzandosi di credere di aver sentito male. Ma osservando l'espressione tremendamente seria del militare, si disse che no, aveva sentito bene. Il soldato aveva detto quella parola, davvero. "Futura moglie?"

"Sì." Rispose, senza batter ciglio, il giovane che trovò sollievo sedendosi sul primo sgabello libero.

"E che cosa succede se ciò rimane una bugia?" Osò chiedere la bionda, trovando facilmente una logica risposta, ancor prima che Mendel potesse dargliene una.

"Se Elmira scopre che le ho detto una menzogna, non potrò più aiutarti. Una come te, che assiste ad un omicidio volontario, va eliminata. Sarebbe successo questo se non ti avessi seguita." Sapeva di non essere proprio delicato, ma non riusciva a trovare altre parole o frasi da poter mettere insieme, in modo da risultare meno brutale.

Amelia fece cadere il martello a terra, abbassando ogni tipo di difesa. Si sorresse grazie ad un bancone da lavoro dietro di lei. Sentiva di star perdendo l'equilibrio, ancora una volta. Odiava mostrarsi debole, indifesa, eppure quella donna gli aveva fatto paura. Le avrebbe veramente sparato, se non fosse intervenuto Cameron. Avrebbe dovuto ringraziarlo, invece che inveirgli contro. Eppure, c'era un particolare che la teneva ancora lontana da quell'uomo. Il loro ultimo incontro e il fatto che dovevano sposarsi. L'ultimo di questi la fece arrossire vistosamente.

"Quindi, noi, dovremmo... ecco... insomma..." Come si pronunciava? Faceva fatica anche a dirlo. Fortunatamente, Cameron la tolse facilmente dall'imbarazzo.

"Sposarci, Amelia, sì. Dobbiamo." Sottolineò lui, abbastanza divertito dalla reazione della ragazza. Sapeva a ciò che andava incontro, sapeva esattamente quale sarebbe stata la sua prossima mossa.

"E come farai con i miei?"

"Tu sta tranquilla. Di questo me ne occuperò io. Tu dovrai solo confermare ogni mia parola e annuire. E, soprattutto, non far parola con nessuno di ciò che hai visto oggi pomeriggio. Per tutti, domani, Claire Ferrars sarà una donna che si è suicidata per il troppo dolore. Era ben noto a tutti, del resto, che avesse perso il senno." Le disse, alzandosi per andarle incontro. Era giunto il momento di riaccompagnarla a casa.

Amelia continuava ad incamerare frase dopo frase, concetto dopo concetto, come una lezione che sapeva noiosa ma era fondamentale per l'esame finale. Quello sarebbe stato molto simile ad esso, in effetti. Soltanto che, se sbagliava, non poteva ripeterlo. Se sbagliava, sarebbe morta. Questo era uno dei pochi concetti che riuscì ad entrare nella sua testolina bionda. "Se farò tutto ciò, ricorda, hai promesso di rispondere ad ogni mia domanda. Qualunque essa sia."

Cameron alzò le mani, in segno di resa. "Un patto va mantenuto, dall'inizio alla fine. Sarò a tua completa disposizione, dopo il matrimonio." Le confermò, lanciando poi un'occhiata all'aperto. Iniziava a farsi buio pesto. "Ora sarà meglio andare. Ho il presentimento che sarà una lunga serata." E mai deduzione fu più giusta.

*****

C'erano tutti i componenti della famiglia Putnam, nel soggiorno della residenza. Dai padroni, agli eredi, fino ai loro domestici. Cameron Mendel, tenente colonello dei marines, gli aveva fatti chiamare tutti a rapporto, come se quella comunicazione fosse rivolta ad ognuno di loro. In realtà, era proprio così. Con sua grande sorpresa, poi, Cameron aveva visto il volto di mrs. Eleanor Putnam. Aveva raccolto qualche informazione su di lei, nelle settimane precedenti. Si diceva che fosse una donna ambiziosa quanto elegante, che decantava le lodi della figlia femmina ma che il suo preferito fosse rimasto, anche dopo tanti mesi dalla dipartita, il figlio maggiore, Samuel Putnam.

Seduto sul sofà antico dai toni del blu, Daniel Putnam si rigirava un sigaro tra le mani, come se fosse nervoso. Una poltrona più in là, vi era il soldato Leonard Putnam, ripulito della barba e tornato giovane di almeno cinque anni. Dietro di loro, come sfondo, le domestiche se ne stavano in posizione eretta come dei bravi cadetti.

"Una piacevole visita che non ci aspettavamo, maggiore. A cosa dobbiamo l'onore?" Esordì mr. Putnam, decidendo di rinchiudere il sigaro tra le labbra e di accenderlo. Il suo tono sapeva d'ironia. Da quando, i marines, avevano convinto Leonard ad arruolarsi tra loro, non gli aveva più visti di buon occhio. Certo, rispettava le scelte dell'ultimo figlio maschio che li rimaneva, ma non le condivideva di certo.

"Mi spiace avervi disturbato, mr. Putnam, ma si tratta di una cosa della massima urgenza e non potevo aspettare domattina." Iniziò il militare, rigirandosi il bicchierino di whisky tra le dita. "E sono stato promosso tenente colonello, qualche giorno fa."

"Congratulazioni, Signore." Disse rispettosamente Leonard, in direzione del superiore.

Cameron ricambiò con uno sguardo carico di ringraziamento, interrotto dalle parole del capofamiglia.

"Vi faccio i miei più sinceri auguri, tenente colonello. Ed ora parlate, qual è la cosa della massima urgenza che non poteva attendere un'ora di più?"

Mendel mandò giù per la gola il whisky, tutto d'un fiato, e poggiò il bicchierino sul tavolino di vetro ai suoi piedi. Fissò i membri della famiglia negli occhi, ognuno di loro, e gonfiando il petto di coraggio, si espose. "Riguarda vostra figlia, mr. Putnam."

Daniel strabuzzò gli occhi. "Amelia?"

"Sì, Signore. Io sono qui per chiederle la mano della vostra unica figlia femmina, Amelia Putnam." Disse il tenente colonello con sicurezza nella voce. Né un'inclinazione, né un lieve timore. Il suo tono appariva tremendamente fermo e perfetto.

Un leggero stupore si alzò per il soggiorno, tra le domestiche sorprese che iniziarono a parlare tra loro, e lo sguardo che mrs. e mr. Putnam si scambiarono insieme col figlio. Ci vollero cinque minuti buoni, prima che Daniel tornò con lo sguardo sul militare, mettendo a tacere anche i mormorii dietro di lui. "E il motivo?"

"Vostra figlia è di una bellezza folgorante, mr. Putnam. E le mie intenzioni sono molto serie. Prima che voi me lo chiediate, abbiamo avuto modo di parlare, io ed Amelia, e anche lei è d'accordo." Anche in quel frangente, Cameron si congratulò con sé stesso. Appariva tremendamente calmo e convinto nella decisione presa.

"Senza offesa, tenente colonello, ma gradirei sentirlo dire da mia figlia."

"Certamente. Andate a chiamarla." Rispose Mendel, indicando la porta del soggiorno ben chiusa.

Mrs. Putnam fece un cenno alla governante e, non appena quest'ultima, aprì la porta della stanza per recarsi in quella della giovane padrona, questa apparì nel campo visivo, affiancata da una Raissa a dir poco curiosa e sorridente.

"Venite pure avanti, voi due." Sotto l'invito del padrone di casa, le due donne entrarono nel soggiorno e, mentre Amelia se ne restava al centro della stanza, divisa tra i genitori ad un fianco e Cameron Mendel da un altro, Raissa andò dietro la poltrona dov'era seduto Leonard e poggiò una mano sulla spalla dell'uomo come incoraggiamento.

"Lelia, tesoro, il tenente colonello è venuto qui esponendo la seria intenzione di prenderti in moglie, aggiungendo che è anche un tuo desiderio. È così? Rispondi sinceramente, bambina."

"Oh, andiamo Daniel! Non è mica minacciata con una pistola alla tempia."

"Taci, moglie, non sto parlando con te." Tagliò corto mr. Putnam, prima di ripuntare lo sguardo sulla figlia, da sempre sua prediletta. "Allora?"

Amelia nascose alla perfezione il tremolio delle mani, unendole appena sotto il grembo. Il suo sguardo volò verso la finestra, alla sua destra, dove trovò Cameron che non le toglieva gli occhi di dosso. Sapeva che non sarebbe stata un'unione basata sull'amore, lui stesso glielo aveva ripetuto più volte che era un dovere, quello di sposarsi, più che un piacere. Non nascondeva, però, che dentro di lei albergava la speranza che, un giorno, quel Cameron che oggi la chiedeva in moglie per salvarle la vita, domani l'avrebbe guardata con lo stesso amore con cui un marito guarda una moglie. E poi, lui, le piaceva tanto. Oh, se le piaceva! Il solo pensiero di condividere ogni istante della sua vita con lui, le fece imporporare le guance per l'imbarazzo.

Si schiarì la gola, sentendosi ancora sotto esame, alla sua sinistra. Guardò i suoi genitori con amore, lanciando uno sguardo anche a Leonard e Raissa, che la osservavano curiosi di sapere la sua risposta.

"Sì, padre. Cameron è un bravo uomo e mi tratterrà bene. Ne sono certa." Rispose, raggiungendo il fianco del tenente colonello e aggrappandosi al suo braccio, come il copione richiedeva.

Il primo ad alzarsi, con sua sorpresa, non fu suo padre ma suo fratello. Leonard, seguito da Raissa, andò incontro ai due e li abbracciarono.

"Benvenuto, Signore." Disse il soldato semplice al suo superiore, regalandogli una sonora e amichevole pacca sulla spalla.

"Grazie, Leonard." Guardando oltre la spalla del giovane Putnam, il tenente colonello vide la figura di Daniel venirgli incontro e stringerlo in un abbraccio di benvenuto, prima di lasciare un bacio affettuoso sulla fronte della figlia.

"Benvenuto in famiglia, tenente colonello. Sarà un onore affidarle mia figlia. Deve sapere che, la sua felicità, è la cosa che mi sta più a cuore." Disse Daniel, lanciando uno sguardo alla figlia. Le sembrava davvero allegra e felice e forse lo era davvero. Lo sperava.

Fu il turno di Cameron ad andare incontro a mr. Putnam. Stringendosi la mano, i due uomini si guardarono negli occhi. "Saprò prendermene cura. Glielo giuro, Signor Daniel."

Mr. Putnam non disse nient'altro, limitandosi a sorridere al tenente colonello e a ricambiare la stretta. Mrs. Putnam, dopo le varie felicitazioni, diede disposizione a Carin di apparecchiare anche un posto in più, a tavola, destinato al tenente colonello. Ancora non riusciva a crederci che, sua figlia, si sarebbe sposata con un militare di alto livello come Cameron Mendel!

Quell'anno era iniziato nel modo più felice in assoluto.




Wolf's note:

Anche se con ritardo, buon Natale followers! A tutti voi! <3 Spero che l'abbiate passato bene.

Siamo, dunque, arrivati al capitolo venti della storia. Inizia sempre di più ad intensificarsi e a colorarsi, in parte, di giallo. Claire Ferrars è stata quindi uccisa da Elmira Becker. Cameron, per salvare la vita ad Amelia, trovatasi al momento sbagliato nel luogo sbagliato, ha deciso di sposarla. Cosa succederà? Perché Elmira ha dovuto uccidere Claire Ferrars? Tutto questo nel prossimo capitolo.

Il capitolo ventuno sarà online Venerdì 4 Gennaio 2019. Sarà il primo aggiornamento del nuovo anno!

Ora siccome alcuni di voi (come anche la sottoscritta) non avrete capito una H di ciò che è stato detto in Tedesco, vi lascio la traduzione qui sotto:

*BewegenSie sich nicht! = Non muoverti!

*Haltden Mund! = Stai zitta!

*Elmira,leg die Waffe hin. = Elmira, metti giù la pistola.

*Er sahdie Leiche der Frau. Ich muss es beseitigen, Cameron. = Ha visto il corpo della donna. Devo liberarmene, Cameron.

*Bitte, Elmira. Bitte. = Ti prego, Elmira. Ti prego.

*Gibmir einen Grund, sie nicht zu töten. Wer ist für dich? = Dammi una ragione per non ucciderla. Chi è lei per te?

*Meinezukünftige Frau. = La mia futura moglie.

*Dulügst. = Tu menti.

*Ichhabe keinen grund. = Non ne ho motivo.

*DenkenSie an den Körper der Frau. Ich werde alles morgen erklären. = Pensa al corpo della donna. Ti spiegherò tutto domani.

E questa è la traduzione completa.

Come sempre, ringrazio tutti voi lettori che vi appassionate alla storia, ai suoi personaggi e a tutto ciò che li circonda. Un abbraccio!

Inoltre, vi ricordo, che su Facebook è presente la mia pagina, dove inserisco quote da condividere delle mie storie, foto, link, video, booktrailer e molto altro. Fateci un salto! Le memorie di Wolfqueens Roarlion. Link cliccabile dalla mia pagina d'autrice qui su Wattpad.

Appuntamento,  quindi, al nuovo anno col prossimo capitolo!

Un abbraccio,

Wolfqueens Roarlion.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro