Capitolo 22

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Mrs. Putnam era stata, per l'ennesima volta, esagerata nell'organizzare il banchetto nuziale. Del resto, quella caratteristica particolare, era ben nota a tutti i componenti della famiglia. Più guardava il soggiorno, però, e più pensava che sua madre stavolta aveva dannatamente esagerato, chiamando addirittura dei musicisti che intrattenessero gli ospiti con dei balli. Forse l'unico ad essere d'accordo con la linea di pensiero della figlia, era proprio mr. Putnam, che durante il pranzo aveva guardato Amelia scrollando le spalle.

Va bene. Pensò infine la bionda. Del resto, ad un matrimonio si balla e ci si diverte. Cosa che, di certo, non stava facendo lei.

Da quando aveva lasciato la chiesa con suo marito, un velo di angoscia aveva iniziato a soffocarla, tanto che più volte si era toccata il collo per vedere se ci fosse un gingillo che le ostruiva il respiro. Ma niente. Sentiva solo la sua pelle liscia e priva di ogni decoro. Suo marito. Le faceva ancora strano pensare Cameron Mendel con quell'appellativo, eppure era così. Aveva giurato di amarlo sempre e comunque, sebbene sapesse che lui non l'avrebbe fatto.

Da quando erano iniziati i festeggiamenti nella casa che l'aveva vista crescere e maturare, le si erano avvicinati alcuni soldati, presentandosi con i loro nomi difficili da ricordare e da i loro gradi esposti lucidati a dovere. Ci avrebbe messo un bel po' di tempo a memorizzare tutti quei visi, tutti quei nomi, e tutti quei titoli. In qualità di moglie di un militare doveva. Far fare delle pessime figure al marito non era propriamente consigliato nella guida delle mogli perfette.

Per una mezz'ora aveva trovato rifugio nelle chiacchiere di Jennifer Kelly, della sua amica Carrie Evans, e della cognata Raissa. Quest'ultima se l'era messa sottobraccio, girando il tavolo imbandito di carne e leccornie varie cucinate dalle sei del mattino da parte delle domestiche.

"Allora, mia cara, com'è essere sposate?" Le chiese la russa, regalandole il primo sorriso sincero e amichevole della giornata.

"Strano. Come il fatto che stasera dormirò in un letto che non è il mio." Incuteva tenerezza, il visino pallido di Amelia, animato da cipria e un leggero velo di trucco sugli occhi.

Raissa le strinse una mano. "Non preoccuparti. Vedrai che dopo stanotte non vorrai più lasciare il tuo nuovo marito. Non hai visto quante amiche di tua madre gli hanno messo gli occhi addosso?" Le fece notare la donna, indicando un punto accanto alla porta d'ingresso.

Amelia lo costatò da sé, anche se ci avrebbe creduto senza ottenere una ulteriore conferma visiva. Cameron, impeccabile nella sua divisa da gala, era indubbiamente affascinante e faceva sospirare ogni donna nubile o maritata presente in quella stanza. Intento a parlare con altri militari, forse, non se ne accorgeva neppure o semplicemente faceva finta di niente, salutando le fugaci ammiratrici con un cenno del capo in segno di saluto.

"È affascinante." Riconobbe Amelia, senza scomporsi e senza staccare lo sguardo dalle sue larghe spalle.

Raissa seguì lo sguardo della bionda, prima di lanciare a quest'ultima uno sguardo d'intesa. "Buon cielo, Amelia! Sei sua moglie! Puoi anche esprimerti in altri termini."

"Non ne conosco." Ammise lei, ingenuamente sincera. Fortunatamente, in suo soccorso, giunse mr. Putnam.

"Raissa, mi perdoni se ti porto via mia figlia? Vorrei fare un ballo con lei."

La russa lasciò il braccio della cognata, lasciandole un bacio sulla guancia e consegnandola a mr. Putnam. "Certo che no, Signore. A più tardi." Disse, allontanandosi per andare a cercare il suo di accompagnatore, che sembrava sparito nel nulla.

Tra le pareti blu della hall, Raissa spiccava con il suo abito rosso con una veletta di pizzo nero sulla gonna, sulle maniche e sul bordo del seno sul corpetto. Cercò con lo sguardo Leonard, senza mai riuscire a identificarlo veramente. Con tutti quei militari vestiti con la stessa divisa da gala era alquanto difficile. Sulla soglia della cucina, dove le domestiche facevano sopra e sotto per riempire calici vuoti con ogni tipo di liquore e vassoi con l'ennesimo pasto abbondante, sentì la voce di Leonard. Muovendosi a passo deciso verso quella direzione, si rese conto che c'era qualcun altro. Un militare.

"E quando accadrà ciò, tenente generale?"

Raissa arrestò il suo passo, cercando di celare la sua presenza ai due che parlavano di spalle, ammirando il suo angolo di giardino che aveva fatto rifiorire, prima che la stagione fredda facesse addormentare quasi tutte le sue piante.

"Il più presto possibile. Trovo che sia anche ora, per lei, iniziare il suo percorso da militare. Mica vuole restare un soldato semplice tutta la vita, no?"

Il cuore della russa sembrò incrinarsi leggermente, portando la donna a deglutire silenziosamente.

"No, tenente generale. Domani sarò nuovamente disponibile per la mia patria." Decretò solenne, sbattendo i tacchi dei suoi stivali, unendoli e completando il saluto militare con la mano alla testa.

"Bene, soldato. Godetevi la festa ora, faremo la guerra domani." Concluse il superiore di Leonard, rientrando nella stanza rassettandosi la divisa da gala.

Nell'imbattersi con lui, faccia a faccia, a Raissa venne quasi scontato distogliere lo sguardo. Quell'uomo, come il nome e la divisa che portava, era ancora un punto delicato per i suoi occhi e per il suo cuore, nonché per i ricordi che si portava ancora dietro. Era colpa sua. Continuava a ripetersi questo. Era colpa sua se non aveva sposato Samuel, era colpa sua se era morto ed era sempre colpa sua se ora Leonard cercava d'emulare il fratello deceduto.

"Signora." Lo salutò distrattamente il tenente generale, facendo un breve cenno del capo per poi dileguarsi nell'anima della festa, nel soggiorno principale.

Neanche per un secondo, Raissa aveva rialzato lo sguardo. Neanche per un secondo aveva pensato di rispondere al suo saluto. Il veleno di quell'uomo era tremendamente contagioso, senza contare che aveva ancora il cuore in tumulto.

"Tutto bene, Raissa?"

Si ritrovò faccia a faccia con Leonard stavolta. Il giovane soldato la scrutava con attenzione, quasi preoccupato per il colorito del suo viso.

"Cosa voleva dire il tenente generale con domani faremo la guerra?" La russa non si perse in parole futili, botte e risposta scontate o ripetitive. Voleva delle risposte. Le esigeva il suo cuore, già abbastanza tormentato, e la sua mente, che iniziava a perdersi in ipotesi tragiche già in partenza.

Leonard assunse lo stesso colorito delle lenzuola. Bianco. "Da quanto tempo sei qui?"

"C'è qualche problema?" Ribadì la donna con un tono di sfida. Se Leo cercava di sviare la conversazione, non doveva essere un qualcosa di bello.

Il soldato cercò di smorzare il clima di tensione che si stava creando nella stanza, mettendo sulle labbra un sorriso con la quale accompagnare le parole che seguirono. "Raissa, se continuiamo a farci delle domande difficilmente troveremo una conclusione al discorso."

"Hai ragione." Costatò la russa, mettendo le mani sui fianchi. "Prima tu."

Sentendosi sempre di più alle strette, Leonard si passò una mano tra i capelli scuri, fino a prima completamente in ordine. Più passavano i secondi, più la donna iniziava a sospettare qualcosa che non le piaceva affatto.

"Il tenente generale mi ha comunicato di dover partire."

Una volta che il dubbio divenne certezza, il cuore di Raissa smise di battere, così come le palpebre smisero di chiudersi. Nella sua testa c'era solo una parola: partire. La donna deglutì, cercando di non perdere l'equilibrio. "Quando?"

"Domani all'alba, con altri uomini."

"Per dove?" Il groppo alla gola iniziava a farsi sentire sempre più grande e troppo difficile da mandare giù. Non voleva sapere dove era diretto, non voleva sapere quanto tempo ci sarebbe stato. Voleva solo sapere perché continuava a vestire quella dannata divisa e perché continuava ad andarsene.

Leonard sospirò, chiudendo un istante gli occhi per farsi coraggio. Sapeva che, inevitabilmente, ciò che avrebbe detto da lì in poi avrebbe procurato solo una profonda crepa nel rapporto con Raissa. "Verdun, in Francia."

Sentendo il nome di un posto così dannatamente lontano, la russa esaurì le forze a sua disposizione. Era come se, con quella informazione, esse fossero state prosciugate da una forza sconosciuta. Fece due passi indietro, lasciandosi cadere sulla sedia del tavolo. Scuoteva la testa, guardando un punto indefinito, nel mentre la festa continuava nell'altra sala.

"Perché?" Sussurrò la donna, quasi più a sé stessa che all'uomo.

"Come?"

"Perché hai accettato? Non poteva andarci qualcun altro?" Chiese la donna, sentendo le lacrime iniziare a pizzicarle gli occhi. Avrebbe ceduto, ormai ne era quasi certa.

"Evidentemente, il tenente generale, mi ha molto in considerazione. E poi sono un marines, non posso esimermi dal mio dovere." Le fece notare lui, cercando di essere il più calmo e comprensivo possibile, ripetendo a sé stesso che stava facendo la cosa giusta.

Raissa, dal canto suo, avrebbe voluto urlare. Più lo scrutava, più lo osservava nei movimenti, nei gesti e nelle parole... e più l'immagine di Samuel appariva viva e tremendamente nitida per essere solo morto.

Lo fulminò con lo sguardo, per quanto potesse incutere timore in quel momento. "Il tuo dovere? Il tuo dovere è quello di restare qui con la tua famiglia, cercando di rimanere vivo. Che doveri hai tu verso quelle persone? Che dovere hai con gli assassini di tuo fratello?" Urlò la russa, sentendo l'irrefrenabile voglia di tirargli un sonoro schiaffo. Si sentiva esclusa, ancora una volta. Si sentiva un'estranea.

Leonard si voltò verso la porta aperta della cucina, dove vide alcuni ospiti voltarsi verso la loro direzione. "Dannazione!" Esclamò tra i denti, chiudendo la porta e raggiungendo nuovamente la donna. "Puoi cercare di abbassare la voce?"

"No. No, non abbasso un bel niente!" Rispose la donna, ancora a voce elevata. "Che ne è della tua promessa, Leo? Mi avevi promesso che la vita militare non ti avrebbe cambiato. Dio, neanche ventiquattro ore fa! Te lo ricordi o soffri di amnesia?"

"Piantala, Raissa! Te l'ho già detto. Non posso esimermi dal mio dovere. In fondo, si tratterà solo di qualche mese." Cercò di tranquillizzarla, provando a sedersi accanto a lei per spiegarle ciò che sarebbe successo nelle terre francesi. "Vedi, il generale Paul Chrétien ha bisogno di rinforzi e a chiesto al tenente, un suo vecchio amico tra l'altro, di mandare qualche suo marines e lui ha pensato a me. Senza contare che sarà solo per poco tempo. Un mese, al massimo due."

"I due mesi diventeranno tre o quattro. Leonard, so come funzionano queste cose. Ero la fidanzata di un brigadiere generale." Il ricordo della promessa di Samuel tornò a farsi sentire, prepotentemente. Contribuì a farla crollare definitivamente. Le lacrime iniziarono ad uscire e al secondo singhiozzo, Raissa non poté più controllarle. "Ed è morto. Per colpa di una missione." La donna si coprì la bocca con una mano, strizzando gli occhi per assorbire l'ennesima pugnalata, l'ennesimo dolore.

"Raissa, io..." Leonard le prese una mano, stringendola. Vederla così gli faceva sanguinare il cuore. "Non mi succederà niente, te lo giuro."

"Non puoi ribellarti agli eventi, né cambiare il destino. E quando si tratta di me tendo ad essere abbastanza scettica sui miracoli, essendo stata sempre molto sfortunata." Le fece notare lei, ricambiando la stretta sulla sua mano.

"Io non credo più alla sfortuna. E lo sai perché?" Una volta che ebbe ottenuto la sua attenzione e i suoi magnifici occhi chiari su di sé, Leonard le regalò un sorriso pieno d'amore e di speranza. "Perché in questo mondo ci sei tu." Senza darle il tempo di fare o di dire qualcosa, Leonard tirò Raissa su di sé, lasciando che la donna si sfogasse sul suo petto. Si stava spezzando lentamente e, una volta tornato, avrebbe avuto la premura di ricomporla, pezzo dopo pezzo.

Quando i singhiozzi iniziarono a scemare, Raissa e Leonard tornarono a fronteggiarsi con lo sguardo. Fronte contro fronte, naso contro naso, i due memorizzarono i battiti dei loro cuori. Entrambi fotografarono con gli occhi un momento che non sarebbe tornato facilmente. Le ipotesi di sopravvivenza erano tante, ma ognuna lasciava il tempo che trova. Lo sapeva bene Raissa, che di speranza era quasi morta, e lo sapeva bene anche Leonard, che ci aveva ricamato sopra una mezza bugia.

"Se... ti dovesse succedere qualcosa, io non riuscirei a sopportarlo. Non potrei, capisci?" Disse la donna, tremando ancora un poco tra le sue braccia.

"Neanche io, fidati. Sono un tipo cocciuto e non morirò lontano da te. Ti scriverò tutti i giorni e saperti qui, al sicuro e in attesa del mio ritorno, mi terrà compagnia e mi incoraggerà a sopravvivere." Le promise, catturando le labbra della donna come a sugellare quel momento.

Raissa si aggrappò alle sue spalle, rispondendo al suo bacio con sentimento e lasciando che alcune lacrime scivolassero ancora sulle sue guance. Tutta la speranza, la disperazione e l'amore che provava nei suoi confronti, erano nelle loro bocche, nella danza delle loro lingue, nel sapore delle loro labbra. Erano lì, giovani e speranzosi, e domani sarebbero stati divisi nuovamente. Per quanto tempo lo sapeva solo Dio.

"Leonard."

Presi dai loro sentimenti e timori, non si erano minimamente ricordati di essere in una dimora che ospitava un ricevimento nuziale. Sentendo la voce di mrs. Putnam, i due quasi sobbalzarono dalla sedia. Sviando lo sguardo della donna, Raissa tentò di rassettarsi il proprio abito, sgualcito in più punti, e Leonard pensò bene di assicurarsi di avere ancora tutto in ordine. Tutto tranne i capelli che erano completamente scompigliati.

"Madre." La salutò normalmente lui, osservando Raissa avviarsi rapidamente fuori dalla cucina e in seguito su per le scale. Alcuni ospiti si erano voltati ad osservarli, specialmente le anziane Signore del quartiere, quelle in cerca del prossimo pettegolezzo succulento. E qualcosa suggeriva al soldato che erano proprio loro i protagonisti dell'ultimo che si sarebbe sparso di bocca in bocca. Certo era che non dovevano avere propriamente l'aspetto di due che stavano solo parlando. L'occhiata fulminea di mrs. Putnam, poi, glielo diceva chiaramente.

"Vuoi spiegarmi? Cos'era quello che ho visto?" Chiese, mettendo le mani sui fianchi e usando il classico tono da generale.

"Due persone che si baciano, madre. È così sconveniente ai vostri occhi?" Le fece notare il figlio, passandole accanto e superandola prima che potesse dire altro. Prima di perdersi in una conversazione con Sunford, circa l'imminente partenza per la Francia, era certo di aver sentito sua madre borbottare, come suo solito.

La festa proseguì fino alle undici e mezza di sera, quando i primi ospiti iniziarono ad andarsene e, tra questi, anche i due sposi che si apprestavano a raggiungere la loro nuova dimora. Staten Island appariva come un luogo immaginario nella mente di Amelia. Durante il viaggio si era più volte chiesta come fosse, in che posizione fosse posizionata la loro casa, quante camere avrebbe avuto a disposizione, che vista si potesse scorgere. Riverdale iniziava a scomparire alle loro spalle, così come la casa che l'aveva vista crescere, così come i ricordi che la legavano alla sua famiglia e i suoi famigliari stessi. Avrebbe ricordato per sempre le lacrime di gioia di sua madre, gli abbracci di suo padre, di suo fratello e di Raissa.

Coraggio, Amelia! Non stai andando mica in guerra. Questa è una nuova avventura! Continuava a ripetere a sé stessa, con l'enfasi di un bambino il giorno di Natale. L'emozione della partenza per un posto a lei nuovo l'aveva, sebbene per un breve istante, distolta dal pensiero di come era arrivata all'altare e soprattutto perché.

Osservò il profilo di colui che ora era suo marito, totalmente calmo e concentrato sulla strada che stava percorrendo. Nella testolina di Amelia si procreò il pensiero sul fatto se lui ricordasse della sua promessa. Aveva un sacco di domande da porgli, un sacco di risposte che alleggiavano ancora nell'aria. Non sembrava preoccupato ma terribilmente rilassato. Poteva essere solo dotato di un buon autocontrollo o, semplicemente, un bravo attore. In entrambi i casi, lo invidiò. Se pensava a quella sera, Amelia sentiva solo una profonda ansia stringerle lo stomaco e il petto.

Cameron non parlò per tutto il tragitto e la notte iniziò lentamente ad avvolgerli. Superato il fiume Hudson non ci volle molto per giungere nel borough di Richmond, come veniva chiamato. Agli occhi di Amelia si presentarono una fila di case, alcune in costruzione, altre già finite e magistralmente decorate. La sua espressione meravigliata fece sorridere appena il tenente colonello, che si premurò di nasconderlo bene. Anche se appariva calmo e privo di qualsiasi preoccupazione, Cameron covava in sé profonda angoscia.

Svoltando per la collina di Fort Hill non ci volle molto prima di potersi fermare, spegnendo il motore della vettura. Il piccolo viale era illuminato da piccole fiaccole poste su alcuni piedistalli e sul muretto in pietra della scala curva che conduceva all'ingresso dell'abitazione.

"Siamo arrivati." Confermò Cameron, scendendo e aiutando la moglie a fare lo stesso. Moglie. Gli sembrava ancora strano definire Amelia con quell'appellativo, eppure avrebbe dovuto iniziare a pensarla in quel modo.

La ragazza continuava a guardarsi intorno, visibilmente più meravigliata di prima e nell'oscurità, cercò di scorgere eventuali particolari della sua nuova casa. Ancora vestita con l'abito nuziale appariva come una docile bambolina di porcellana, pronta per essere messa come decoro in una dimora stile Tudor, come quella che si presentò davanti ai suoi occhi. Salita la scala curva, si ritrovarono davanti al portone d'ingresso, totalmente in legno e con una maniglia d'orata su di esso.

"Benvenuti, Signori." Li accolsero alcuni componenti della servitù, prettamente assunti da Cameron stesso. Erano pochi, ma essenziali. Un poco intimorita, Amelia strinse le mani ad ognuno di loro, facendo così la conoscenza di Henry, il maggiordomo, Dorotea, la sua domestica personale, Lilian, la governante, e Patrik, il giardiniere e stalliere. Tutti i membri della servitù avevano sui quarant'anni in su e si dimostrarono cordiali e rispettosi verso i loro nuovi padroni.

"Volete che vi prepari un bagno, mrs. Mendel?" Sentirsi chiamare con il nome di Cameron era ancora una novità per lei.

Tuttavia, sorrise a Dorotea e annuì. "Un bagno è proprio quello che vi vuole. Grazie, Dorotea."

"Dovere, Signora." E così come lei, gran parte della servitù si congedò alle loro mansioni.

Rimasta nella hall, si prese la briga di curiosare in giro e cogliere altri particolari della casa. Una grande sala da pranzo era disposta nella stanza alla sua destra, dotata di una mobilia antica e particolare, nonché di un colore primaverile e speranzoso come il verde chiaro e un pavimento in legno scuro che copriva gran parte della casa.

Un grande scala curva si presentava, invece, davanti a sé. I gradini erano coperti da un tappeto borgogna e si poteva scorgere una statua in marmo bianco, di donna, che tentava di coprire il seno con un lenzuolo, al piano superiore.

Altre due porte erano poste alla sua sinistra, con poca differenza di spazio tra loro e Amelia immaginò ci fosse una cucina.

"Allora, che te ne pare? È di tuo gradimento?" Cameron la riportò alla realtà, ancora dietro di lei, intento a togliersi la spada che aveva legato alla vita della divisa da gala.

"Assolutamente sì. Va oltre ogni mia immaginazione." Rispose, perdendosi ancora ad ammirare i quadri appesi alle pareti, sia della hall che della sala da pranzo.

"Mi fa piacere. Non mi intendo di mobili o arredamenti quindi, se reputi che qualcosa non stia al suo posto, prenditi pure l'autorità di cambiare qualcosa. Dorotea, così come gli altri, sono ai tuoi servigi." Le ricordò, rivolgendole un breve sorriso.

Amelia annuì, voltandosi a fronteggiarlo. Era lieta di sapere di avere voce in capitolo riguardo la propria casa, anche se la vedeva perfetta così com'era. "Ci penserò. Grazie, Cameron."

"Di niente." Il tenente colonello si tolse anche i guanti bianchi, riponendoli su un mobile accanto alla porta. Un tavolino in legno di noce con sopra un vaso con delle orchidee viola dentro. "Ora scusami ma ho alcune carte da sistemare." Disse, passandole accanto e nel momento in cui le fu vicino, si fermò. Sotto il suo sguardo interrogativo, Cameron si sentì quasi disarmato. Da che erano diventati marito e moglie non si erano rivolti ancora la parola, solo sguardi fugaci che lui le aveva rivolto durante il ricevimento. Non un ballo, un bacio o un sorriso. Perciò li risultò istintivo darle una carezza sulla guancia. "Ci vediamo tra poco." E così dicendo, si avviò su per le scale.

Amelia se ne restò lì, in mobile, a sfiorare con due dita la guancia che lui le aveva accarezzato, confermando a sé stessa che le era andata bene. Cameron, in fondo, non era cattivo come uomo.

"Signora? Il bagno è pronto, mi segua." La informò Dorotea, su per le scale.

Amelia non fece testo e seguì la domestica lungo il corridoio del secondo piano, scoprendo ancora più suntuoso ed elegante del primo, in special modo la camera da letto. Un baldacchino scuro con le tende rosse padroneggiava la stanza, una scrivania era posta davanti alla finestra da dove si poteva vedere il viale della casa, circondata da pini. Una panca era posta ai piedi del letto, invece, e mentre Dorotea ne apriva il contenuto, Amelia vide alcuni capi d'abbigliamento tra cui tre vestiti e alcune vestaglie da notte. Alla vista di quella che le porse la domestica, quasi arrossì. Anzi... arrossì proprio, vistosamente anche.

"Qualcosa non va, Signora?"

"E' solo che... è tremendamente trasparente."

Dorotea sorrise in modo comprensivo dinanzi allo sconcerto della sua padrona. Mise la vestaglia sul braccio e annuì. "È normale che sia così. Il tenente colonello ha lasciato a me il compito di prepararle qualche vestaglia in più, pensavo foste abituata ad indossarle."

"Sì, Dorotea, è perfetto e ti ringrazio. È solo che non penso di avere un fisico proprio adatto per una vestaglia trasparente."

La domestica, i quali quarantadue anni se li portava proprio bene, la scrutò da capo a piedi, come se stesse valutando un prodotto al mercato. Infine, scosse la testa, ampliando il sorriso, e facendo strada alla padrona sino alla zona bagno. "Non vedo problemi simili in voi, Signora. Credetemi, ho visto di molto peggio. Voi avete un bel fisico ma lo valorizzate poco. In qualità di moglie dovete imparare."

Amelia si lasciò spogliare dalla domestica, immergendosi poi nella grande tinozza d'acciaio con l'acqua calda. "E come si fa?"

"Con il tempo e della buona stoffa. Se volete, posso pensarci io."

Stavolta, fu Amelia a regalare alla donna un caloroso sorriso. Con quelle parole, si sentiva definitivamente a casa. "Grazie, Dorotea."

"Dovere, Signora, non ringraziatemi sempre."

Mentre Amelia lasciava che l'acqua eliminasse dal suo corpo dubbi, preoccupazioni e incertezze, conobbe meglio la sua domestica personale. Scoprì che era nata e cresciuta a Little Italy, che era italoamericana da parte di madre, e che aveva scelto di non sposarsi per colpa di una delusione che aveva avuto da giovane. Una storia noiosa da sentire, a suo dire. Poi toccò ad Amelia a raccontarsi, per sua volontà. Raccontò a Dorotea della sua vita a Riverdale, della sua famiglia, e alcuni aneddoti divertenti. Tralasciò le cose tristi come la morte del fratello maggiore e l'entrata nell'esercito da parte dell'altro.

"Vedete che qui vi troverete a vostro agio." La rassicurò Dorotea, pettinandole i capelli una volta asciugati e aiutandola ad indossare la vestaglia.

"Non ne ho dubbi."

Tornata nella stanza, Amelia si guardò allo specchio, sentendosi ancora fortemente in imbarazzo per la nudità alla quale quella vestaglia la esponeva.

"Siete perfetta, Signora, credetemi." La rassicurò ancora Dorotea.

Amelia annuì nella sua direzione. Il modo di fare della donna le piaceva e poi farsi una nuova amica lì a Staten Island era il minimo per prepararsi ad una nuova vita. Almeno, le giornate, sarebbero state meno noiose.

Tutti i buoni propositi iniziarono a svanire quando, attraverso lo specchio, Amelia vide la figura di Cameron entrare nella stanza, ancora vestito della divisa da gala. L'uomo fece un cenno a Dorotea che, con una piccola reverenza, lasciò la stanza. "Buona notte, Signori."

Rimasta sola con il soldato, Amelia iniziò a respirare in modo affannoso e a coprirsi il petto incrociando le braccia. Come rumore, c'erano solo gli stivali del marito che si avvicinava a lei. "Scusa se ti ho lasciata sola ma, da quando sono diventato tenente colonello, ho avuto poco tempo da dedicare alla mia nuova mansione."

"Tranquillo. Dorotea è di ottima compagnia."

"Ho notato. Sono certo che diventerete buone amiche." Le disse, allungando poi una mano per accarezzare i suoi capelli morbidi e sciolti sulle spalle. "Hai rispettato parte dell'accordo, penso che ora tocchi a me." Disse, in seguito, allontanarsi per andare a sedersi sul bordo del letto e disfarsi degli stivali.

Amelia si voltò nella sua direzione, raggiungendolo dopo neanche tre secondi. Continuava a tenere le braccia al petto, rifiutandosi di farsi vedere nuda anche se dubitava sarebbe durato per tanto tempo. "E' così."

Cameron annuì, indicandole il posto libero accanto a lui. "Beh, inizia a sederti."

Accettando quell'invito, Lelia deglutì, cercando di mascherare il disagio che provava nel trovarsi sola e mezza nuda in una stanza con lui. "Mi hai promesso delle risposte. Inizia."

"Cosa vuoi sapere?"

"Perché tutta questa messa in scena?"

"Te l'ho detto, Amelia." Le ribadì lui, passandosi una mano sul viso stanco.

"No. Tu mi hai detto che se non mi sposavi, rischiavo di morire per mano di quella donna. Quindi, vorrei sapere dal principio... chi è Elmira? Perché ha ucciso Claire?" Insistette la bionda, colta da una grande voglia di sapere la verità.

Cameron guardò la moglie per un breve istante, chiedendosi se veramente fosse pronta a sapere realmente tutto. L'avrebbe odiato, ne era certo, ma poteva ancora sperare di apparire come un uomo d'onore ai suoi occhi. Tuttavia, costatò che fosse meglio iniziare dal principio. "E' una storia lunga."

Amelia scrollò le spalle. "Abbiamo tutta la notte."



Wolf's note:

*suono di trombe*

FINALMENTE, CI SIAMO! Dopo tante, ma veramente tante avversità, ecco a voi il capitolo 22! Nel prossimo, Amelia scoprirà parte della vita di Cameron... secondo voi il tenente colonello rivelerà di essere l'assassino del fratello? O lo terrà ancora nascosto? Per saperlo, dovremo attendere Martedì prossimo! Questo capitolo, in teoria, doveva uscire ieri ma per cause di forza maggiore non ci sono riuscita.

Quindi, scuse già esposte sul mio Facebook riguardo il ritardo che ho avuto nell'aggiornare, immenso lo so, vi do appuntamento con il capitolo 23 il giorno Martedì 7 Maggio! Carichi, mi raccomando!

Poi vorrei ringraziare tutti voi lettori che seguite la storia, chi silenziosi e chi meno... grazie di cuore! <3 La storia, in questi mesi, ha raggiunto numeri super! Grazie a tutti i messaggi ricevuti, grazie davvero!

Ora, prima di lasciarvi, vorrei ricordarvi che domani sarà online il primo capitolo di "Istruzione pericolosa - Las munecas". Per i lettori che mi seguono da quando scrivevo "Modesty", vi avviso che sarà una storia simile ma molto più.... piccante?!<3 Per tutti i curiosi, l'appuntamento è domani! "Quante gocce nel mio mare", invece, torna Martedì 7 Maggio! 

In seguito, vi ricordo che per essere aggiornati su avvisi, quote, foto, link, booktrailer e molto altro sulle mie storie... vi invito a mettere "like" o seguire la mia pagina Facebook: Le memorie di Wolfqueens Roarlion. Link cliccabile dalla mia pagina d'autrice qui su Wattpad.

Alla prossima,

Wolfqueens Roarlion.





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