Capitolo 36

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Con il fiato dei nemici sul collo, pensare di riposarsi in quel letto, era una pazzia. Samuel Putnam aveva passato così tanto tempo nelle vesti di fantasma che, ritrovarsi in quelle di persona viva e sotto copertura, li sembrava strano. Strano, sì. Era come un novello soldato semplice alle prime armi. Attizzava le orecchie al minimo rumore, faceva attenzione a non dare troppo nell'occhio quando camminava nei corridoi della villa militare e aveva riposato per pochissimo tempo, forse due ore scarse.

La sua mente era troppo concentrata a ciò che accadeva fuori dalla villa, nelle aperte campagne che circondavano Spincourt. Cameron era riuscito a trovare sua sorella e a metterla al sicuro? Fino a quando non avrebbe visto il cognato varcare la soglia degli alloggi non poteva dirlo con certezza. Aveva un tremendo nodo allo stomaco che gli impediva di mangiare una qualsiasi pietanza che servivano all'orario dei pasti. Fortunatamente, però, in quelle occasioni, poche persone gli si erano avvicinati per chiedergli chi era e da dove veniva. E tutti loro sembravano soddisfatti delle sue risposte brevi e concise. "Sono Götz Hoffman, vengo da Berlino e sono un vecchio amico di Cameron Vom Mendelson." E beveva altra birra per soffocare inutili domande e frasi aggiunte che lo avrebbero solo tratto in una trappola mortale.

Samuel aprì gli occhi di scatto, avvertendo un rumore sopra la sua testa, oltre le travi, provenienti quindi dal secondo piano. Non era la prima volta. Da quando Cameron l'aveva lasciato solo, nel tardo pomeriggio di ieri, aveva più volte sentito qualcosa proveniente da sopra le scale. Aveva notato che, ad orari giusti, una domestica dall'aria aggraziata saliva le scale con in mano un vassoio colmo di cibo e acqua. Sicuramente si trattava di qualche prigioniero... o prigioniera di guerra. Come ex marines conosceva bene il codice militaresco che si attivava in guerra. Una sorta di leggi messe su da chi è al comando per far sentire e vedere agli altri chi era il migliore. A giudicare dalle urla femminili che avevano seguito quei rumori, alla poverina era toccata la legge più crudele di tutte. A volte, secondo il suo parere di uomo che aveva fatto della guerra il suo pane quotidiano, era meglio la morte a trattamenti del genere.

Provò a richiudere le palpebre, stirando le gambe sul letto degli alloggi, cercando di allontanarsi con la mente da quelle urla che, come a torturarlo internamente, gli riportavano alla memoria l'immagine del viso di Raissa. Strinse i pugni sulle coperte che puzzavano di formaggio andato a male.

Maledizione! Imprecò, lasciandosi andare ad un sospiro. "Ma quanto tempo ci vuole?" Chiese al nulla, sottovoce, rivolgendosi con la mente a Cameron e a quando sarebbe tornato lì per mettere in atto il loro piano.

Qualcosa, però, alle prime ore del mattino, fece tremare la terra. In senso letterale. Al suono di cannone, Samuel si destò del tutto e, con un gesto fulmineo, si infilò la giacca. Avvertì dei passi nella villa farsi sempre più insistenti, correre a destra e sinistra e riversandosi in strada con urla e canti in lingua tedesca.

La battaglia era appena cominciata.

Tenendo sempre un basso profilo, Samuel uscì dagli alloggi per verificare con i propri occhi cosa stesse succedendo. Quando vide scendere dalle scale anche Wagner, Sam capì che il loro più grande timore si stava avverando. Con una battaglia in corso sarebbe stato complicato farlo fuori.

"Oh, signor Hoffman!" Lo salutò, con una punta d'ironia, l'uomo.

"Kommandant!" Rispose Sam, battendo i tacchi degli stivali sul legno della villa.

"Riposo, soldato." Li intimò il tedesco, trattenendo una risata per il colorito pallido del nuovo sottoposto. Sembrava intimorito dai colpi di cannone.

"Che cosa accade, Signore?"

Brandolf fece ricadere le braccia lungo i fianchi, sospirando con un fare teatrale ben palese. "Tu cosa ne dici, Hoffman? Siamo in guerra e, finalmente, dopo giorni di clima non proprio promettente, possiamo fare la prima mossa. Abbiamo sparato un primo cannone in direzione di Verdun." Spiegò lui, tenendo ben saldo lo sguardo sul viso del nuovo sottoposto. Non sembrava particolarmente stupito.

Samuel dovette far ricorso ad un buon autocontrollo per non far tremare la voce. La posta in gioco si faceva, ad ogni ora, sempre più alta. "Dobbiamo prepararci all'assalto, Signore?"

Wagner ci pensò un attimo. "Forse. Prima, però, parlerò con il principe ereditario e soppeseremo il da farsi. Non dobbiamo farci cogliere impreparati."

Un altro urlo, sempre proveniente dal piano di sopra e sempre dalla stessa persona, risuonò ancora una volta fino a loro. Wagner sbuffò sonoramente, tramutando la sua espressione, fino a poco prima divertita, a cupa e irritata. "Russische Schlampe!" Imprecò a denti stretti, volgendo lo sguardo a terra come se stesse cercando di contenere una collera improvvisa.

Samuel, però, che aveva studiato le basi di un tedesco da rendere perfetto quasi come fosse la sua lingua madre, riuscì a comprendere l'insulto alla prigioniera. Il suo cuore, involontariamente, tremò un istante. Provò a collegare una traduzione mentale e il risultato non gli piaceva affatto. Deglutì, lieto che il comandante non studiasse la sua espressione confusa. "Signore? Chi c'è al piano di sopra?"

Wagner tornò con lo sguardo sul nuovo soldato, con tono e sguardo irritato più di prima. Samuel quasi tremò all'idea di aver fatto un passo falso. "Hai le orecchie foderate con dei crauti, Hoffman? Non hai sentito? Una lurida puttana russa che abbiamo trovato nel bosco qui vicino! Mi irrita quella ebrea." Ancora una volta, il cuore di Sam perse un battito. Era come se un pensiero, così lontano ed estraneo, si insinuasse nella sua mente, facendoli perdere l'equilibrio che stava cercando di mantenere su una corda sottilissima. "Fammi un favore! Vai sopra e cerca di farla stare zitta, in tutti i modi che conosci." Gli disse, in seguito, Wagner. Passandogli accanto per uscire, li diede una amichevole pacca sulla spalla e uno sguardo che non gli piaceva affatto.

Prendendo un gran respiro e un briciolo in più di coraggio, Samuel salì le scale che conducevano al piano di sopra. Non era mai stato lì e si sorprese di scoprire come poco curato fosse quel posto. Le pareti erano rovinate, il soffitto pieno di muffa, polvere e ragnatele. Un altro lamento femminile, più strozzato però, giunse fino alle sue orecchie. Lo seguì, ritrovandosi davanti ad una porta semichiusa. Quando l'aprì il suo cuore si spezzò completamente.

Oddio!

I suoi dubbi, i suoi pensieri lontani ed estranei, l'avevano raggiunto come una nuvola carica di pioggia. Avrebbe dovuto comprendere a fondo le parole di Wagner. Un misto di rabbia e preoccupazione lì salì al petto, mentre correva in quel letto dalle coperte sporche di sangue e di una puzza incredibile. "Raissa." Sussurrò, cercando di ottenere la sua attenzione. Anche se aveva il volto tumefatto da un gonfiore destro, un labbro spaccato e il corpo che tremava, l'avrebbe riconosciuta tra mille. "Raissa." La chiamò ancora, scuotendola.

A quel tocco, la donna tremò e si scostò, aprendo di scatto gli occhi. A stringere di più il cuore dell'uomo era vedere, negli occhi della donna che un tempo aveva amato, la paura della morte.

"Chi sei? Che cosa vuoi? Ti prego, non farmi del male!" Disse tutto in un fiato, faticando a riprendere il respiro per colpa di un dolore al petto.

Samuel le prese le mani, stringendole, e cercò di guardarla negli occhi. "Raissa, calmati. Sono io. Sono Sam."

A quelle parole, la russa smise di dimenarsi e tremare. Guardò bene quel soldato, volendo verificare che stesse dicendo il vero e che non fosse una trappola organizzata da Wagner. Aveva dei baffi lunghi ma, con un pizzico di lucidità, Raissa provò a toglierli con la mente. Due piccoli occhi neri la guardavano con grande pena e amore. Alzò una mano per sfiorare il suo viso, accertandosi che non fosse un'illusione. Il dolore che sentiva nel cuore tornò prepotentemente a farle ricordare che era ancora viva e che Samuel era lì con lei. "Sam." Sussurrò con le lacrime agli occhi, lasciandosi tirare da lui sul suo petto, dove diede sfogo ad una disperazione silenziosa per non farsi sentire da orecchie indiscrete.

Samuel la strinse forte, sentendo la rabbia montargli dentro come una furia. Digrignò i denti, sentendo una voglia inarrestabile di andare fuori dalla villa, trovare Wagner e ucciderlo, strangolarlo con le sue stesse mani. "Che ti ha fatto quel mostro? Cosa ti ha fatto?" Le sussurrò all'orecchio, vedendo come quelle parole avevano un effetto negativo sul suo stato. Quando notò che aveva ripreso a tremare, Sam la cullò dolcemente. "Shhh. Andrà tutto bene, Raissa. Tutto bene, te lo prometto." Vedendo che riprendeva nuovamente a rilassarsi, Samuel cercò di estraniare la rabbia, solo per un istante. Doveva pensare ed essere lucido. Doveva trarre in salvo Raissa da lì.

"E tu cosa ci fai qui?"

Samuel si voltò di scatto verso la porta, notando l'aggraziata cameriera, quella che aveva visto più volte salire le scale, squadrarlo da capo a piedi. "È stato Wagner a mandarmi." Le disse, sperando che la verità potesse salvarlo dall'essere scoperto.

La cameriera alzò un sopracciglio, dubbiosa. "Ma davvero?" Fece ironica, entrando nella stanza e posando il vassoio su un tavolo con uno specchio rotto che fungeva da toeletta.

"Va tutto bene, Paulne. È un amico." Spiegò la russa, a fatica, rialzando il viso dal petto dell'uomo e guardando la donna con la quale aveva stretto una amichevole confidenza.

"Paulne? Paulne Vom Mendelson?" Chiese Sam, animandosi improvvisamente di luce come se avesse visto una Santa in carne ed ossa.

La cameriera strabuzzò gli occhi, ancora più sospettosa nei confronti del soldato. "Sì, sono io. Chi siete? E come sapete come mi chiamo?"

Anche se molto stanca e frastornata, anche Raissa si interessò alla conversazione tra i due, guardando prima una e poi l'altro.

"Io so molte cose di te. Ti basti sapere che conosco bene tuo fratello Cameron." Le spiegò, ben sapendo che quella donna odiava Wagner quanto lui.

Paulne sbuffò sonoramente. "E quindi?"

In altre circostanze, Samuel avrebbe sorriso e si sarebbe congratulato per come quella donna cercava di proteggere sé stessa con numerose difese e corazze invisibili. Del resto, Cameron glielo aveva predetto. "La fenice che risorge dalle ceneri." Si limitò a dirle, vedendo il mutamento sul suo volto. Quello che stava aspettando.

Paulne rilassò i muscoli del viso. La frase in codice che aveva in comune con suo fratello, che avevano studiato insieme, e che lui gli aveva ripetuto prima di partire per l'America.

"Quando sentirai questa frase, che sia da me o da qualcun altro, saprai che ho un piano in mente per liberarci di Wagner. Una volta per tutte."

Paulne deglutì, incamerando aria e mantenendo l'espressione più neutrale possibile. Avrebbe pianto di gioia e magari l'avrebbe fatto, ma sola e al sicuro da lì. "Ti manda Cam?" Chiese, andando a chiudere la porta della stanza per essere certa di non essere ascoltata da nessuno.

Sam fu sollevato del fatto che la donna avesse abbassato le difese. "Sì. Abbiamo un piano per liberarci di Wagner."

"Dov'è mio fratello?"

"A recuperare sua moglie, che ha la mania di mettersi in mezzo ai guai, e poi so che era diretto a Verdun." In verità, era preoccupato anche lui ma voleva mantenere la calma.

Raissa fu scossa da un brivido di paura. "Amelia è qui?"

Sam guardò la russa, annuendo con fare triste e sconsolato. "Sì. Per colpa mia, devo ammetterlo. Mi lascio convincere nelle sue folli spedizioni."

"Chi c'è a Verdun?" Chiese Paulne, un poco pensierosa.

"Mio fratello, arruolato nei marines. Ma lui non sa nulla di tutto questo, neanche che io sono vivo." Spiegò Samuel, sentendo come Raissa, benché fosse nelle sue braccia, si irrigidiva fino a tremare di nuovo. "Va tutto bene. Sei al sicuro adesso."

Ma non era della sua sicurezza che aveva paura. Le parole crudeli di Wagner tornarono a spezzarla da dentro. "Leo... lui è..." Ma fu incapace di continuare, perché fu scossa da un singhiozzo e poi dalle lacrime che le bagnarono nuovamente il viso.

Samuel guardò un attimo Paulne, verificando che quel timore fosse vero, ma la tedesca alzò le spalle, scuotendo la testa. "Non ne so niente."

Sam tornò a stringere con una presa maggiore la donna, cullandola dolcemente. "Chi te l'ha detto, Raissa?" Le chiese, sentendo un dolore salire anche al suo di cuore. Troppe cose in pochi minuti, troppe.

"Wagner! È stato lui ad ucciderlo." Quasi lo urlò con quanta disperazione aveva dentro.

Paulne abbassò la testa, unendosi in silenzio al dolore della donna. Samuel poggiò il mento sulla testa di Raissa, controllando il respiro e senza lasciarsi andare al dolore che provava. Non poteva, non ancora almeno. Due lacrime gli solcarono il viso, sole e silenziose. Aveva sognato per mesi il momento in cui avrebbe potuto ricongiungersi alla famiglia, il momento in cui avrebbe riabbracciato i suoi fratelli, entrambi. Leonard, in quel momento, giaceva sicuramente in una fossa. Al freddo, al ghiaccio della notte, e non avrebbe mai avuto una sepoltura decente. Il suo corpo si sarebbe decomposto ancor prima di trovarlo.

"Faremo una messa in suo onore, quando la guerra sarà finita." Decretò lui, non aggiungendo altro. Non era nel contesto giusto ed era ancora sul suolo nemico. Si rivolse a Paulne, intenta a darsi un contegno per non lasciarsi andare alla tristezza della notizia. "Dobbiamo portare Raissa via da qui."

"E come? Ci sono guardie ad ogni angolo della città. Verdun dista parecchie ore da qui, bisognerebbe usufruire del bosco come scorciatoia. I tedeschi hanno il passo veloce e la tua amica sarà morta prima ancora di vedere un albero del sentiero." Spiegò Paulne, illustrando la situazione della sicurezza di Spincourt.

Raissa chiuse gli occhi, poggiando la testa nuovamente sul petto dell'uomo. "Lasciami qui, Sam."

"E' fuori discussione! Sei ferita, hai un gonfiore, un infezione forse e hai bisogno di cure. Se resti morirai." Le disse, lanciandole uno sguardo di rimprovero. Non era quello il momento di lasciarsi andare.

"Forse è questo il mio destino. Morire. Per davvero, stavolta."

"Piantala! Non voglio sentire queste sciocchezze! Se Leonard fosse qui ti tirerebbe fuori da qui con la forza, intimandoti di andare avanti. La vita continua."

Raissa incamerò un gran respiro ma venne interrotta da una tosse pesante e rumorosa dall'interno della gola. "E' una menzogna! Ho dato retta a questo mantra per un anno, sono tornata ad amare, sono tornata a sperare. E che cosa ne ho ricavato? Dolore, lacrime, sofferenza. Io sono già morta."

Samuel socchiuse gli occhi per un attimo. In strada si potevano chiaramente sentire le urla in tedesco e un carico di armi venire scaricato, nonché il fischio di un treno in lontananza. Ignorò per un istante l'inno alla morte della russa, senza farsi prendere troppo dal senso di colpa. "Da dove viene il treno?" Chiese, in direzione di Paulne.

"Carica da Dancourt e Saint Rémy le armi destinate all'esercito tedesco e le scarica qui a Spincourt. Due volte alla settimana. Perché?"

"Semplice curiosità." Rispose Samuel, spostando lo sguardo su un tappeto arrotolato, un poco logoro ma abbastanza resistente. Si voltò verso Raissa, cercando di attirare la sua attenzione. "Ascoltami bene. Conosco... conoscevo bene Leonard. So per certo che mi manderà un fulmine a colpirmi da lassù, se ti lascio morire nelle mani di un assassino. Quindi fallo per me, mettiti in salvo, cerca di arrivare nell'esercito francese da Saint Rémy. Sei una cittadina americana e vedrai che sapranno tenerti al sicuro, fino a quando la guerra non sarà conclusa. Cercherò di contattarti non appena avrò finito qui." Non le promise una seconda volta di tornare da lei, preferì che fosse il destino a scegliere la sua sorte. Ma una preghiera la fece comunque, nel momento in cui vide Raissa annuire con fare triste e singhiozzare ancora.

Dio, se esisti e se hai bisogno di una vita, prendi la mia... ma lascia a lei la sua.

"Puoi procurarti qualche vestito, anche logoro, ma che la tenga al riparo dal freddo? Una borraccia d'acqua e del pane?" Chiese a Paulne, cullando ancora la russa tra le sue braccia.

"Sì, ma ancora non mi hai detto come intendi metterla su un treno strettamente sorvegliato. Senza contare che Wagner sarà di ritorno stasera o, al massimo, domani mattina solo per controllarla. Mi spieghi cosa intendi fare quando scoprirà che lei è scappata?"

"Tu non preoccuparti. Ho pensato a tutto. Ci darà anche modo di impegnare il tempo, fino a quando Cameron non tornerà."

Paulne annuì, non molto convinta ma fece finta di esserlo ed uscì dalla stanza. Avrebbero avuto tutti bisogno di un aiuto divino, per arrivare vivi fino al giorno seguente.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro