Capitolo 38

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La puzza delle sigarette.

Ecco che cosa avrebbe ricordato di quei giorni passati come prigioniera dei tedeschi. La puzza delle sigarette consumate, spente male in un posacenere di fortuna, e l'odore che le penetrava la bocca quando, il suo carceriere, intrappolava la sua bocca con la sua.

"Se non fossi così sudiciamente ebrea, terrei in considerazione l'idea di portarti in Germania con me e farti diventare la mia concubina personale. La mia domestica, pronta a soddisfare ogni mia voglia." Come al solito, a parlare, era maggiormente lui. Tra una palpata e un'altra, tra un amplesso e un altro, tra una boccata di fumo e un'altra. Come un rituale giornaliero, Raissa stette in silenzio, certa che il tedesco non voleva una sua opinione. Gli insulti non la scalfivano più di tanto, dopo la crepa provocata nel suo cuore, nel suo corpo. Ferite non visibili, ma profonde nell'anima. Un'anima che non aveva mai compromesso davvero, neanche quando era stata una semplice prostituta al bordello di City Island. In quei momenti, avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro nel tempo, per tornare a quei giorni dove la fortuna sembrava sorriderle.

"Nonostante tutto sei graziosa." Le aveva detto una volta. Raissa, sorpresa, si era voltata di scatto con gli occhi fuori dalle orbite, come se quel complimento, alle sue orecchie, potesse suonare come un insulto o uno schiaffo in pieno viso. Non erano parole che Wagner usava, almeno non con lei. E aveva ragione. Ebbe appena il tempo di cacciare un urlo di paura che il tedesco, dopo aver mutato la sua espressione in una più rabbiosa, aveva scaraventato il posacenere sulla parete, facendo tremare il letto. Il tutto accompagnato da un pugno che il tedesco diede ad un comodino di legno lì vicino. "Dannatamente graziosa." E come se fosse stato insultato lui, Wagner si alzava e la lasciava sola. Ma erano solo questione di ore, prima che il tutto ricominciasse da capo.

La ruota, almeno in apparenza, sembrava finalmente essersi rotta. Poteva tornare ad abbracciare la libertà, poteva tornare a respirare dell'aria pulita ma... a quale vantaggio? L'uomo che aveva amato era morto. Non le restava più nulla. E Samuel, che camminava appena dietro Paulne che, a sua volta, trasportava una carriola con dei tappeti vecchi e logori, lo sapeva bene.

Quando entrambi furono certi che nessuno li aveva seguiti e che, la maggior parte dei soldati, erano lontani dalla ferrovia, poggiarono a terra uno solo dei tre tappeti trasportati. Tornando a respirare aria pulita, Raissa tossì in modo basso, cercando di soffocare il suono nelle mani.

"Non possiamo restare a lungo." Paulne spezzò il silenzio, dando alla ragazza una borsa non troppo pesante con dentro una borraccia d'acqua e del pane, il più commestibile che aveva trovato nelle cucine della villa.

"Resta un solo istante di guardia, Paulne. Ti raggiungo subito." Le rispose Samuel, aiutando Raissa a mettersi in piedi. Benché fosse avvolta da dei vestiti migliori di quelli con la quale l'aveva trovata, la ragazza continuava a tremare e a battere i denti. Il clima non era dei più caldi, lì nel bosco di Spincourt.

Paulne annuì, abbracciando la russa e salutandola. "Che Dio vegli su di te, Raissa. Buona fortuna." Le disse, scaricando gli ultimi due tappeti a terra e, riprendendo la carriola, ripercorse la strada fatta assieme al soldato, lasciando ai due qualche istante in più per salutarsi.

"Coraggio, Raissa. Il treno non starà qui per sempre." La intimò Sam, aiutandola a salire a bordo e a mettersi in un angolo abbastanza isolato. Venendo dalla villa aveva notato poche guardie uscire dai vari vagoni, senza contare che l'odore di polvere da sparo nell'aria gli faceva intendere che lo scarico era già avvenuto. Il fischio che avrebbe sentito da lì a poco, gli avrebbe garantito che la russa era al sicuro.

Raissa si rannicchiò su sé stessa, portando le ginocchia al petto come una bambina spaventata. "Che succederà se qualcuno mi trova?"

"Difenditi come puoi. Resta viva, Raissa." Le consigliò, forse l'unica cosa davvero sensata che potesse dire in quel momento. Dalla smorfia che le rifilò la donna, però, Sam capì che non doveva essere dello stesso avviso.

"Per quel che vale ormai."

Samuel sospirò, sistemando sul corpo della donna una coperta che aveva portato con sé dalla villa. Voleva che restasse coperta il più possibile, anche perché non sapeva di preciso quando quel treno sarebbe arrivato alla stazione di Saint Rémy. "Raissa, ascoltami. Non ti dirò frasi scontate o già sentite. Probabilmente ti dirò le uniche parole che conosco. Ti dirò che sei una donna forte e che, anche se la vita ti ha regalato più cicatrici che sorrisi, meriti di stare al mondo. Meriti di vivere, di rallegrare qualcuno con la tua gioia per la vita. La stessa che avevi quando ci siamo conosciuti. A Riverdale avrai sempre una famiglia, nonostante tutto." Le disse, alzando una mano per accarezzarle una guancia. Nell'osservare quel gesto vide passare negli occhi della donna un'ombra di tremore, di paura. Come se quel gesto puro potesse trasformarsi in qualcosa di violento.

Dio... cosa ti ha fatto quel mostro!?

Raissa chiuse gli occhi, lasciandosi andare alla fine alla carezza dell'unico uomo che non le avrebbe mai fatto del male. "Facciamoci una promessa."

Sam cercò di scacciare il pensiero della vendetta dalla mente, lieto di poter sentire qualcosa di positivo da quelle labbra tumefatte ma sempre irresistibili. "Cosa?"

"Cercherò di restare viva, ma dovrai farlo anche tu. Promettimelo, Sam."

Ed eccolo lì, il soldato impavido. Talmente impavido da tuffarsi di testa in una missione suicida, facendo evadere quella che per i tedeschi era una comune prigioniera e divertimento occasionale. E se solo pensava a quest'ultimo particolare, Samuel sentiva il sangue ribollirgli nelle vene. Se solo pensava alle urla che aveva sentito quando aveva messo piede in quella villa, ed ora che realizzavano che erano le sue... doveva ricorrere a tutto l'autocontrollo che aveva imparato in quei mesi, per non correre indietro, prendere una pistola e piantare un proiettile nella testa di Wagner.

Sam deglutì, prendendo il volto delicato della russa tra le mani. Un gesto che aveva fatto innumerevoli volte quando l'andava a trovare a City Island, e la salutava con la promessa di tornare a farle visita con un nuovo regalo. All'epoca, però, poteva permettersi certe parole, sapendo che avevano dei fondamenti di verità. Ora non ne era più tanto sicuro.

"Non posso promettertelo. Non ho la certezza di uscire vivo da tutto questo, ma tu puoi. Puoi fare tutto, una volta uscita dalla zona nemica." Le disse, quasi in una supplica, una preghiera. Quello che era in realtà. Per lui non c'era tempo per pensare al passato o ad un futuro che vedeva abbastanza incerto. Ma lei, sua sorella... potevano ancora salvarsi. Ed era questo a fortificarlo e a fargli credere che quella era la giusta strada da seguire.

Raissa socchiuse un poco gli occhi, sia per il dolore che provava in tutto il viso, che a tratti assumeva un colorito simile all'uva nera quando si pesta, sia perché sentiva alcune lacrime arrivarle sul bordo degli occhi. Avrebbero bruciato come l'inferno, quando sarebbero scese. "Ti prego. Io non so che fare se rimango da sola." Gli disse, abbandonandosi alle carezze delle sue grandi mani.

Sam sviò per un po' lo sguardo dal suo viso, solo per cercare di rimanere fermo nelle decisioni e nelle parole. Non voleva farsi prendere da un pianto improvviso, non voleva trasmetterle angoscia e timore, ma solo amore e speranza. Perché, con la forza che quella donna aveva, avrebbe potuto scalare una montagna a mani nude. Non aveva alcun dubbio, quindi, che se mai quel loro folle piano sarebbe andato storto e non sarebbe tornato a Riverdale, Raissa avrebbe trovato il modo saggio di rialzarsi. La vita glielo doveva, gli doveva la felicità che meritava.

"Tu devi ricordati una cosa." Le disse, ignorando le sue parole strozzate da un pianto doloroso e sofferto. "Se un componente della mia famiglia fosse in pericolo, io non esiterei neanche un secondo per salvarlo. Darei la mia vita per un ognuno di loro e, quindi, anche per te. Non lasciare che il mio sacrificio sia vano. Se Dio vorrà, a guerra conclusa, sarò a Riverdale con te e con Amelia. Ma se qualcosa andasse storto, Raissa... ti prego, ti scongiuro, non lasciarti logorare dal dolore. Trova quel tuo coraggio che ti ha sempre contraddistinto e che, in effetti, è stata la cosa che mi ha fatto innamorare di te." Concluse, udendo appena il fischio del treno e del fumo uscire dalla testa della locomotiva. Dinanzi al suo volto spiazzato per le sue parole, Sam si chinò su di lei e poggiò le proprie labbra sulla sua fronte, calda di una febbre che sarebbe solo salita se restava ancora lì.

Una carezza sulla sua guancia violacea, un ultimo sguardo, e Samuel si voltò, sforzandosi di non guardarsi indietro, di non cadere nella forte tentazione. Chiuse gli occhi, camminando a passi lenti, e memorizzò nella sua testa il volto della donna. Memorizzò la Raissa sorridente che era sempre stata, la Raissa amorevole che aveva conosciuto e, come aveva detto, la Raissa coraggiosa della quale si era innamorato. Raggiungendo Paulne dietro l'angolo si disse che sì, il destino doveva qualcosa a Raissa Kovic. Stavolta, non avrebbe sbagliato.

"È stata una mossa azzardata. Troppo, per i miei gusti. Cosa diremo a Wagner, quando tornerà?" Esplose Paulne, posando la carriola nella rimessa e tornando alla villa accompagnata dal soldato, nel mentre quest'ultimo si guardava intorno. C'erano pochi tedeschi e, tutti loro, erano fin troppo occupati per pensare a loro. Chi correva nelle varie tende, chi urlava ordini nella lingua madre, chi marciava, chi cantava alzando le armi al cielo. Fin troppo caos per pensare a loro.

Meglio così. Sam deglutì, entrando nella villa e anticipando Paulne. "Cameron troverà una soluzione." Rispose in tono nervoso, non proprio certo di ciò che diceva. La situazione iniziava a complicarsi e il loro piano non era ancora partito del tutto.

"Lo spero. Non è ancora arrivato." Commentò Paulne, tutto tranne che speranzosa, prendendo dei piatti sporchi dal tavolo da pranzo e portandoli direttamente nella cucina.

Entrambi si zittirono subito, udendo dei passi in cortile farsi sempre più vicini. Samuel si schiarì la gola, facendo finta di sistemarsi la giacca della divisa tedesca, mentre Paulne prendeva una scopa di vimini per spazzare per terra. I cuori di entrambi, sebbene non si poteva vedere, lo poterono sentire nelle loro gole. A smorzargli il respiro.

La figura di Trevor Scott, una spia tedesca infiltrata nei marines americani, fece capolino nella cucina. Lanciò solo una breve occhiata a Sam, prima di rivolgersi a quella che, per l'organizzazione, era una sorta di cameriera e domestica. Era quello il ruolo per la quale veniva tenuta in considerazione, non per il secondario, ovvero quello di moglie di Dankmar Schmid, secondo capo della polizia segreta tedesca.

"Oh, eccoti qui! Il comandante Wagner ti cercava." Esordì Scott, avvicinandosi alla dispensa dove c'era il cibo per prendere un pezzo di pane. Moriva di fame, dopo una nottata passata a fare da sentinella.

Sam osservò di sottecchi i due, soffermandosi sulla figura della donna, nella speranza che fosse abbastanza convincente. In caso contrario, con un breve movimento della mano, sarebbe riuscito facilmente ad arrivare alla pistola di servizio. L'unica arma che aveva a disposizione.

Paulne tossì un poco, aprendo una finestra per far arieggiare la cucina. L'unica presente, nel piano terra. "Ero andata a buttare dei vecchi tappeti. Erano inguardabili!" Rispose, cercando di non guardare in faccia la spia.

Trevor ridacchiò. "Che brava mogliettina che si ritrova il nostro Dankmar!" Ironizzò, prendendo della birra da un barile per mandar giù la scorza di pane nero. "Comunque, voleva solo che accompagnassimo la moglie di tuo fratello nella sua stanza. È al piano di sopra." Le spiegò, avviandosi per lasciare la stanza. Quando passò nuovamente accanto al soldato, però, Scott lo squadrò da capo a piedi. "Devi essere nuovo. Vuoi venire fuori a dare una mano o preferisci startene ad aiutare alla mensa?" Chiese ironico, indicando la figura della donna con fare malizioso.

"Io... sì, sto arrivando." Commentò Sam, sbattendo i tacchi degli stivali sul pavimento.

Trevor annuì e, scoccando un'ultima occhiata a Paulne, lasciò la cucina per tornare dagli altri soldati, nella tenda messa lì fuori.

Samuel aspettò qualche momento, che lo passò scambiandosi uno sguardo d'intesa con Paulne. Aveva già capito. Avrebbe aspettato i minuti necessari per far allontanare la spia e poi sarebbe corso al piano superiore. Se sua sorella era già lì, Cameron non doveva essere molto lontano.

Paulne si affacciò un solo momento e, nell'istante in cui fece un cenno d'assenso al giovane, Sam uscì dalla cucina per salire le scale e correre verso le stanze. La maggior parte di esse erano aperte ma, comunque, un rumore lo sentì solo dall'ultima, in fondo al corridoio, da dove proveniva anche un buon profumo di erba tagliata.

Erba tagliata?

Quando Samuel bussò alla porta, accostò l'orecchio al legno di essa. Sentiva respirare. Un respiro pesante, fin troppo per essere quello di sua sorella. Stava per prendere la pistola legata al fianco, ma la voce che udì lo tranquillizzò.

"Avanti." Era sua sorella.

Samuel fece ricadere le braccia lungo i fianchi e si lasciò andare ad un sospiro sollevato, nel mentre apriva la porta. "Finalmente! Temevo che ti fossi persa." Le ultime parole, però, sebbene espresse, gli si bloccarono in gola nell'istante in cui vide la canna di una pistola, nera e lucida, puntata contro di lui. Sua sorella c'era, ma era seduta ad una sedia di legno, dietro la possente figura di Dankmar, e tremava, guardando il fratello con un'espressione dispiaciuta, piena di scuse e lacrime che minacciavano di uscire solo per lui.

Muoversi in quella scacchiera non era stato così facile, come molti di loro avevano creduto all'inizio. E qualcuno aveva appena mangiato la torre, costruita con il loro bel piano di salvezza.



Wolf's note:

Dopo pranzo verrà pubblicato il capitolo 39, l'ultimo per questa settimana. Nella prossima tornerò con altri cinque capitoli, ma vi spiegherò meglio tutto nelle note del prossimo capitolo!

Un abbraccio,

Wolfqueens Roarlion.

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