Capitolo 39

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https://youtu.be/8f8WYvAo-RA

La velocità del treno non la spaventava, anzi, non la sentiva proprio. I rumori attorno a lei, infatti, le arrivavano tutti tremendamente ovattati, lontani parecchi chilometri di distanza. Soltanto il dolore che provava nel corpo e nell'anima era vicino, le era addosso. Ogni graffio, ogni livido, ogni ferita sulla sua pelle non si sarebbe mai rimarginata completamente. Non era il sangue secco dovuto ad una caduta, ad una strana scivolata che faceva da bambina quando, insieme ai suoi genitori, correva per le strade del suo quartiere a Pietrogrado.

Raissa provò a sfiorare con un dito le labbra, gonfie e violacei da un lato, e storse le labbra in una espressione dolorosa. Ogni parte del suo corpo sembrava ribellarsi anche al proprio di tocco. Era stanca. Tremendamente stanca. Ma non voleva dormire, aveva troppa paura di chiudere gli occhi e ritrovarsi ancora prigioniera di quel tedesco assassino.

Aveva paura, esattamente come quelle paure che le venivano da bambina. Anche allora, sua madre, aveva tentato di rassicurarla e in poco tempo aveva trovato un rimedio più che efficiente. Le si sedeva accanto, nel letto, e poggiando una mano sulla sua testolina bruna, iniziava ad intonare una ninna nanna in russo. Lenta, malinconica e a tratti triste. Nel mentre sentiva il vento entrare dalla finestra del treno, che continuava ad andare a tutta velocità, Raissa mosse piano le labbra. Dapprima non uscì nessun suono, ma poi, con un po' di sforzo, riuscì ad intonare qualcosa.

"Баю Баюшки Баю. Не ложитесь рядом с краем кровати. Серый волк придет. И схватить тебя..." Sembrava quasi un sussurro, una preghiera, ma parola dopo parola, le sembrò di materealizzarsi nei ricordi, nella sua stanzetta, nel loro appartamento nel Corso Neva.

Iniziò a dondolarsi da sola, con due lacrime che scivolarono dai suoi occhi, procurandole solo bruciore per quante ne erano uscite nei giorni precedenti e per le percosse ricevute. Pensò a sua madre, pensò a suo padre... e ribollì d'ira e dispiacere enorme nel pensare a come, quel verme di un tedesco, gli aveva derisi e offesi per le loro origini. Lei era sempre stata fiera di essere di sangue ebreo, non ne sarebbe mai vergognata.

"Cambia te stessa, ma mai le tue origini, bambina." Le parole della sua Bábuška, le tornarono prepotentemente in mente, come a ricordarle che il suo spirito era sempre con lei, come molte volte le aveva detto da bambina.

Si concesse il lusso di un singhiozzo, ben sapendo che le avrebbe procurato solo altro dolore al viso e al suo respiro. Si strinse, rannicchiandosi ancora di più per ripararsi dal freddo, e continuò a cantare con il suo bellissimo accento della sua lingua madre.

Non sdraiarti vicino al bordo del letto. Verrà il lupo grigio e ti afferrerà per il lato del collo. Ti afferrerà per il lato del collo e ti trascinerà nella foresta. Giù, sotto un arbusto di salice. Non venire mostro, non svegliare Raissa. Non sdraiarti vicino al bordo del letto. Verrà il lupo grigio e ti afferrerà per il lato del collo.

"Он схватит тебя за твою крошечную сторону. И тащить тебя в лес." E continuò a cantare fino a quando ebbe la forza per farlo.

Il respiro, però, iniziò a venirle sempre meno e fu costretta a fermarsi. Raissa pianse in silenzio, come per paura di svegliare qualcuno. Ma lì con lei non c'era nessuno. C'era solo lei con i suoi fantasmi, e i suoi traumi.

Dopo un'ora e mezza decise di mangiare il pezzo di pane secco e duro che Paulne le aveva fatto avere, insieme a mezza bottiglia d'acqua, in un vetro polveroso. L'unico che non destasse dubbi o domande. Se mentre veniva trasportata nella carriola, avvolta dal tappeto, i tedeschi li avrebbero fermati per chiedere dove andassero, sarebbe stato difficile spiegare del perché avevano del pane e dell'acqua. Così Paulne le aveva messo solo quello vecchio, quello destinato ai cani, e come bottiglia ne aveva usata una impolverata che poteva contenere anche altro.

Almeno in quello, erano stati fortunati e lei era stata messa su quel treno senza attraversare nessun controllo. Con la guerra che scalpitava da entrambe le parti, i tedeschi erano ben occupati a fare altro che a controllare un treno che trasportava solo polvere da sparo e armi di ogni tipo.

Raissa mangiò lentamente, sia per non strozzarsi, sia per permettere a sé stessa di gustarsi quel poco che le era stato dato. Doveva raggiungere l'accampamento francese al più presto, o sarebbe morta di fame e di freddo!

Ripassò mentalmente ciò che Samuel le aveva detto. Le istruzioni per salvarsi. Le ricordava bene, ma un ripasso mentale era sempre meglio. Sarebbe arrivata alla fermata ferroviaria di St. Rémy e da lì avrebbe proseguito verso Verdun, sperando di non essere catturata di nuovo dal nemico o, peggio, di cadere proprio nel bel mezzo del conflitto.

Sospirò, pregando Dio affinché potesse avere salva la vita, di nuovo. Concordò mentalmente che Samuel aveva ragione. Leonard non sarebbe stato contento di sapere che si abbandonava alle braccia della morte così, senza prima combattere. Lui, di certo, non l'aveva fatto. Il pensiero del suo povero corpo, trivellato da tutti quei proiettili, le donò un brivido di paura, che le salì su tutta la spina dorsale. A poco a poco, riuscì a svegliarsi del tutto da quel suo stato di coma apparente, da quella spossatezza dovuta agli eventi, alle percosse che sentiva sia fuori che dentro il corpo.

Non seppe con certezza quanto sarebbe durato il viaggio, non metteva il viso fuori dai finestrini aperti neanche per vedere un paesaggio completamente distrutto dalla guerra, un poco ancora innevato. Stette in quella posizione, a terra, per tutto il viaggio. Quando sentì il treno fischiare e uno stridulo di freni, capì che doveva essere giunta a destinazione. Aveva meditato per tutto il tempo, senza mai riposarsi davvero.

Raissa non si mosse, preferì attendere prima di cercare di alzarsi e uscire da lì. E fece bene ad avere quella accortezza. Da dov'era rannicchiata, sentì dei rumori pesanti farsi sempre più vicini e quando qualcuno aprì la porta del vagone, una luce l'accecò, portandola a chiudere gli occhi e a sviare lo sguardo. Attraverso uno sforzo estremo della vista, riuscì a vedere la sagoma puntarle un fucile contro.

Tremò di paura, di reale terrore. Tentò di balbettare qualcosa, ma senza riuscirci. Le uscirono solo dei versi gutturali non capibili. La figura, infatti, era totalmente divertita. Quando Raissa udì uno sparo, le venne d'istinto chiudere gli occhi. Era la fine? Era quello il destino che l'attendeva?

Evidentemente no. Perché sentì un rumore sordo, qualcuno che cadeva a terra, dei passi e delle voci. Avevano un accento che aveva sentito solo una volta nella sua vita, da una sua compagna di stanza quando abitava nel bordello di City Island. Ed era francese.

I Francesi! Pensò subito la donna, aprendo di scatto gli occhi e guardandosi attorno, prima di tornare a guardare davanti a sé. Quattro uomini la stavano osservando con fare interrogativo e curioso, ma non le puntavano le armi addosso. Beh, comprensibile! Era una donna vestita con un abito di fortuna, usato, sporco e rotto in più punti. Era una donna che era stata visibilmente torturata e stuprata, sia in senso fisico che psicologico. E loro erano francesi... era nelle loro terre. Le stesse che venivano martoriate dall'artiglieria tedesca. A Raissa venne quasi da piangere, di nuovo, ma cercò di farsi forza e di issarsi in piedi. Vedendo le difficoltà nel farlo, uno dei quattro, quello al centro per l'esattezza, corse in suo aiuto.

"Attention, Madame! Je vous en prie, laissez-moi vous aider." Benché alle orecchie della russa, quel tono, appariva straniero e autoritario, c'erano delle leggere sfumature di gentilezza. Sfumature che apprezzò con tutto il suo cuore, visto la cattiveria degli uomini che aveva avuto la sfortuna di conoscere, fino a qualche giorno prima.

Tuttavia, non aveva capito nulla di ciò che gli diceva. Si lasciò aiutare a stare in piedi, sorreggendosi senza vergogna al braccio del soldato che gli veniva offerto.

"Comprenez-vous ce que je dis?" Continuò poco dopo, facendole un gran sorriso.

Raissa cercò di ricambiare, curvando la linea delle labbra leggermente all'insù, con molta difficoltà. Scosse la testa, cercando di dire qualcosa. "Io... non riesco a capire, Signore. Mi dispiace." Avrebbe voluto fare un gesto con le mani, per far intendere meglio a quei soldati chi era e perché era lì, ma preferì non far vedere i polsi segnati e le mani arrossate e sporche.

Fu allora che notò che, il soldato, la stava squadrando da capo a piedi. Sembrava che qualcosa in lei, lo incuriosisse. Raissa ricominciò ad avere una giustificabile paura, cercando di prepararsi con i piedi a fare uno scatto all'indietro. Avrebbe incontrato solo un muro, l'ostacolo delle pareti del treno... ma era sempre meglio tentare che cadere di nuovo preda delle perversioni maschili.

Il soldato le prese il volto con le mani, quando vide che era restia a reggere il suo sguardo, e la girò prima a destra e poi a sinistra. Sbarrò gli occhi sorpreso, limitandosi ad una sola espressione, abbastanza banale. "Bon Dieu!"

"Signore, vi prego... non fatemi del male." Iniziò a pregare la russa, cercando di sciogliersi dalla presa sul suo braccio.

Il soldato, intuendo che la ragazza fosse spaventata, si affrettò a lasciarle il braccio e ad alzare le mani al cielo, in segno di resa. "No, vi prego. Non dovete neanche pensarlo."

Sorpresa dal fatto che parlasse la sua lingua, Raissa alzò un sopracciglio. "Mi comprendete?"

Il soldato le fece un gran sorriso, annuendo. "Certamente, madame. Perdonatemi ma voi assomigliate in modo così sconcertante alla fidanzata di un mio amico americano. Perdonate ancora la franchezza con la quale vi parlo ma, il tempo stringe, voi vi chiamate Raissa, vero? E venite da Riverdale?"

Ora era la russa ad essere visibilmente sorpresa da tali affermazioni. "Io... sì, sono io. Ma come fate voi a...?"

"Come ho appena detto, Signora, il vostro fidanzato è un mio carissimo amico. Ma cosa vi è successo? Aspettava una vostra lettera con tanta ansia!" Le spiegò, ricordando bene la delusione sul volto di Leonard quando gli aveva detto che non era arrivata nessuna lettera da parte dell'America.

Raissa sorrise tristemente, scuotendo la testa. Si mise una mano davanti alla bocca, pensando che, se a quest'ora fosse stata più saggia e meno avventata, magari ora il suo Leonard sarebbe morto con una sua notizia, una sua lettera. E invece niente. Aveva deciso di buttarsi a capofitto tra il burrone infernale della guerra.

Il soldato alzò un sopracciglio, sospettoso del comportamento della donna. "State bene, Signora?"

La russa annuì, tirando in su con il naso. "Sì. E, vi prego, ditemelo. Ha sofferto molto durante l'agguato? Quando l'hanno fucilato intendo." Chiese, temendo la risposta. Ma doveva saperla. Le avrebbe fatto male ma lo promise al suo cuore. Quello sarebbe stato l'ultimo dolore che avrebbe ricevuto.

Il soldato francese si scambiò uno sguardo con gli altri compagni, strabuzzando gli occhi. Era certo di non aver sbagliato persona. Quella era la Raissa del suo amico Leonard. L'aveva confermato lei stessa poi. E allora a cosa si riferiva la donna? "Perdonate voi, madame, ma non vi seguo."

"Conosco bene la procedura, soldato..."

"Ah, sono sergente, madame! Sergente Nicolas Fournier." La interruppe doverosamente il soldato. Non amava fare distinzione tra i ranghi ma, almeno, aveva avuto l'occasione anche di presentarsi.

"Sergente, conosco bene la procedura." Ricominciò Raissa, voltandosi a guardarlo negli occhi sorridenti e gentili. Che aveva da sorridere poi? "Il mio Leonard è morto, ucciso in un agguato nel bosco. Non ha senso che continuate a negarlo. So tutto."

Fournier si scambiò uno sguardo con i suoi uomini, ancora una volta, e quando tornò a guardare la ragazza non poté fare a meno di scoppiare a ridere, seguito a ruota dagli altri francesi, sotto lo sguardo allarmato e sbigottito della russa. Quest'ultima lo fulminò con lo sguardo e solo allora, Nicolas, smise.

"No, scusatemi, madame... ma... deve esserci un errore." Commentò, tossendo nervosamente per smorzare il riso che minacciava di prendersi possesso di lui nuovamente. Concordava mentalmente che non c'era nulla da ridere, ma se pensava al fatto che il Leonard che la donna dava per morto era vivo e vegeto, al forte, e aveva anche ricevuto un avanzamento di grado... sì, non c'era nulla da ridere. Si fece più serio. "Vedete, è praticamente impossibile. Vi hanno informata male. In verità, il vostro fidanzato mi ha salvato da quell'agguato ma si è salvato anche lui. Ed ora è anche tenente." La informò con fare trionfante.

Raissa strabuzzò gli occhi, sentendosi il respiro venirle meno. Era possibile che Wagner le avesse mentito? Magari per sperare di essere più disponibile ai suoi bisogni lussuriosi? Scosse la testa, avvertendo un dolore al petto dovuto allo sforzo. "Ne siete certo, sergente?"

"Certo che sì, madame. E sarò lieto di portarvici direttamente. Siete ferite, avete bisogno di riposare e sono certo che anche Leonard abbia bisogno di voi." Le ripose, rifilandole un nuovo sorriso gentile. Poi si rivolse ai suoi uomini. "Palmerin, tu verrai con me e miss Raissa. Non posso fare il viaggio di ritorno da solo. Voi altre cercate indizi e munizioni. Fatto ciò, tornate pure al forte e aggiornate il generale Joffre." Dispose il sergente, aspettando che tutti apprendessero l'ordine. Fecero il saluto militare e annuirono, rispondendo con un corale: "Sì, sergente Fournier."

Nicolas si avvicinò poi a Raissa. "Madame, non vorrei farvi fare tutto il viaggio a piedi. Permettetemi di portarvi in braccio."

La russa fu totalmente spiazzata da quella gentilezza, che in guerra credeva fosse inesistente. "Oh, non è necessario, sergente Fournier. So cavarmela." Rispose senza modestia, cercando di apparire rilassata.

"Miss Raissa, siete piena di lividi e faticate a respirare. E non oso pensare come ve li siete procurati e non voglio neanche saperlo. Lo direte a Leonard quando raggiungeremo Fort Dumont. Ma ora lasciate che mi prenda cura di voi e vi riporti dal vostro fidanzato." Le spiegò Nicolas, posizionando il fucile sulla schiena in modo che non potesse dargli fastidio. Dopodiché si avvicinò ancora alla ragazza e allargò le braccia. "Posso?"

Raissa sorrise, annuendo al sergente che, senza attendere oltre, la prese in braccio.

"Non pesate molto, madame." Le disse, volendo essere ironico, in qualche modo. "Fa strada, Palmerin." Disse poi al suo uomo, avventurandosi in una Saint Rémy totalmente deserta e avvolta da uno strano silenzio cimiteriale. Il silenzio della guerra.

"Sergente, vi ringrazio per ciò che fate. Davvero, grazie." Disse Raissa, piena di totale gratitudine. Si strinse nelle sue braccia, concedendosi il lusso di riposare la mente. Perché, tra poche ore, sarebbe stata nuovamente tra le braccia del suo Leonard.

Fournier sorrise alla donna, pensando che il suo amico era proprio fortunato. "Dovere, Signora, dovere." Senza contare che Leonard gli aveva salvato la vita e, quindi, doveva sdebitarsi definitivamente in qualche modo. Anche se non ci sarebbe mai stato favore in grado di ricambiare tale gesto.

****

Cameron Vom Mendelson si fermò a pochi passi dall'accampamento tedesco, a Spincourt. Con gli stivali impiantati nel fango e la mappa del forte francese che stringeva in una mano, i suoi occhi chiari osservavano ogni particolare che potesse essere utile a lui, a suo cognato, sua sorella, e sua moglie per poter fuggire. Quel tardo pomeriggio, Brandolf Wagner, capo della polizia segreta tedesca, sarebbe uscito per sempre dalla sua vita e da quella dei suoi cari.

Il suo piano iniziava in quel preciso momento.

Incamerando aria nel petto con fare orgoglioso, riprese la marcia all'interno dell'esercito che combatteva per una patria non più sua ormai. L'aria era piena di fumo, i cannoni continuavano ad essere sparati in direzione del nemico, anche per provarli, e c'erano alcuni soldati che si allenavano in un poligono di fortuna, con fantocci di paglia con un bersaglio nero in pieno petto. Notò che erano molto pochi, rispetto a quelli che aveva lasciato la prima volta che era venuto lì.

Meglio così. Significava che avevano pochi occhi puntati addosso e per ciò che doveva fare era ottimo. Il biplano era posizionato non poco lontano da lì. In linea di massima, in una corsa spericolata contro il tempo, potevano arrivarci benissimo. Ripassò mentalmente il piano, nel mentre entrava nella villa. Tre persone da salvare, escludendo sé stesso per un attimo. Un uomo da uccidere e ben quattro sentinelle poste ai lati dell'accampamento. Anche se avrebbe sparato tre colpi per una, poteva cavarsela con quelli che aveva nella pistola legata al fodero.

Wagner doveva essere nella sua stanza, a quest'ora. Doveva solo trovare Samuel e assicurarsi che Amelia fosse al sicuro negli alloggi. Almeno fino a quando non si sarebbero sbarazzati del tedesco, una volta per tutte.

Entrando nell'atrio, Cameron si guardò attorno. Lo accolse uno strano silenzio, interrotto a intermittenza da dei suoni provenienti dalla cucina. Dei piatti e degli stipi che venivano aperti e chiusi. Sorrise, andando proprio verso quella direzione. Paulne le dava le spalle, bellissima come sempre ma più magra di quello che ricordava.

"Paulne?" La chiamò lui con tono basso e dolce. Un tono che non usava con nessuno, soltanto con le uniche donne della sua vita, sua sorella e sua moglie.

La piccola Vom Mendelson si girò di scatto a sentire quella voce, e fece un gran sorriso, precipitandosi tra le braccia del fratello, abbracciandolo. "Lo sapevo! Lo sapevo che ce l'avresti fatta a venire!" Esclamò gioiosa la donna.

"Aspetta a ringraziarmi, sorella." Le disse lui, staccandosi da lei per guardarla negli occhi. "Come stai? Tuo marito ti tratta bene?"

A quella domanda, passò un'ombra cupa sul viso di Paulne che abbassò lo sguardo sul pavimento. "Lo conosci. Dankmar non è cattivo, ma pretende che venga rispettata la sua autorità."

"Presto sarà tutto finito. Dove sono loro?" Chiese, volendo andare subito al sodo. Prima di sbarazzavano di Wagner, prima avrebbero lasciato quel posto infernale per tornare in America. E aveva pensato anche ad un modo per avvertire Leonard, prima che abbandonasse Fort Dumont. Sperò solo che non fosse troppo tardi.

Paulne indicò, con l'indice alzato, il piano superiore, abbassando il tono. "Di sopra. Tua moglie ha l'ultima stanza in fondo al corridoio. È stato Wagner ad assegnargliela." Spiegò la donna, mutando la sua espressione in una più triste, delusa.

Cameron non ci fece tanto caso, incolpando il contesto in cui si trovavano. "Ci vediamo dopo." Le fece l'occhiolino, precipitandosi fuori dalla cucina per salire le scale e accedere al piano superiore. Anche lì c'era uno strano silenzio, un silenzio che non li piaceva affatto. L'istinto li suggerì di estrarre la pistola, nel caso la situazione fosse peggiorata, ma non lo fece. Se qualche tedesco l'avrebbe beccato a brandire un'arma da fuoco, sarebbe stato difficile spiegargli il perché. Teoricamente, quell'accampamento doveva essere come casa sua. Ed era al sicuro.

Arrivando all'ultima stanza del corridoio sentì qualcosa all'interno. Un singhiozzo. Qualcuno, all'interno, stava piangendo.

"Amelia?" La chiamò da fuori. Attese con il cuore in gola una sua risposta che, ancora più strano, arrivò dopo parecchi secondi.

"Cam? Sei tu? Entra." Lo invitò. Dal tono della sua voce, però, Cameron capì che c'era qualcosa che non andava. Qualcosa la turbava. Non aspettò oltre ed entrò, non avendo più bisogno di spiegazioni.

La stanza, con tutti i pochi mobili addossati alla parete, era stata una trappola ben organizzata. Dankmar, ad un lato, puntava una pistola alla testa di Amelia, che era seduta a destra della stanza, mentre Scott, a sinistra, la puntava a Samuel, anch'egli seduto su una sedia. Al centro, seduto con le gambe accavallate e intento a fumare una sigaretta, c'era Brandolf Wagner, che non si scompose neanche quando captò la sua presenza.

"Oh, la pecora che torna all'ovile." Ironizzò il tedesco, facendo ridere i suoi lacchè.

Cameron guardò dapprima Amelia, completamente tremante e con le lacrime agli occhi, e poi Samuel, con un'espressione fiera in volto ma con lo sguardo a terra. Alzò la mappa di Fort Dumont, in direzione del superiore. "Eccovi la mappa per attaccare il forte francese. Ora lasciate andare subito mia moglie! Che mi significa tutto ciò?" Chiese, sforzandosi di mantenere la calma anche se, con gli occhi che fuoriuscivano dalle orbite, era alquanto difficile.

Wagner ispirò una boccata di fumo, alzandosi lentamente dalla sedia. "Vedete, Cameron. Voi vi siete sempre distinto per essere un bravo soldato dell'organizzazione. Per anni avete messo il piede in due scarpe, senza mai farvi beccare dal nemico, senza mai far sospettare nulla a nessuno. Siete sempre stato, però, impulsivo e poco attento ai particolari. E si sa, alcuni di essi possono essere fatali." Nel dirlo, con la mano libera, fece scivolare le dita lungo la guancia bagnata di Amelia che, a quel contatto, tremò, irrigidendosi.

Cameron serrò la mascella, prendendo un gran respiro. "Non vi seguo, Signore." Rispose in un ghigno, fulminando Wagner con lo sguardo.

"Alcuni miei uomini sono andati in un lago qui vicino, l'Étang d'Amel, per ispezionare il posto, e alla riva hanno trovato la sottoposta Elmira Becker. Uccisa." Continuò il capo dell'organizzazione, parlando in modo lento e piuttosto calmo.

"Continuo a non seguirvi, Signore."

Il pugno che Wagner diede ad un tavolo lì vicino, sotto la finestra, fece sobbalzare tutti. "Maledizione, Vom Mendelson! Sapete di cosa parlo! Avevo incaricato Elmira di indagare su di voi, in segreto, nel vostro soggiorno in America. E, seguendovi, lei ha scoperto che Samuel Putnam era ancora vivo e che proprio voi, Vom Mendelson, l'avete tenuto nascosto."

Cameron non si scompose dinanzi a quelle accuse, anche se vide Amelia allargare le pupille in una classica espressione di paura. Restò calmo, scuotendo la testa. Doveva trovare una scusa plausibile, alla svelta. "Ciò che la Becker vi ha detto non sono altro che i vaneggiamenti di una pazza. Quando ho deciso di sposare Amelia, lei si è indispettita e ha giurato di farmela pagare. Samuel Putnam è morto durante l'affondamento del Lusitania." Spiegò, cercando di incastrare la menzogna e la verità ad opera d'arte, come aveva sempre fatto quando era sotto ordine dell'organizzazione.

Brandolf si finse sorpreso. "Dunque, voi, mi state dicendo che, per una assurda gelosia, Elmira abbia mentito? Potete provarlo?"

"No, Signore." Ammise Cameron, indicando poi Amelia. "Ma ha tentato molte volte di uccidere mia moglie. Lei può confermarlo." E lanciò uno sguardo proprio a quest'ultima, cercando di incoraggiarla a dire ciò che doveva. Una bugia in più per salvare tutti loro.

Con gli occhi pieni di lacrime, non ancora scese, Amelia annuì senza pensarci due volte. "Sì, Signor Wagner. È così. Glielo giuro!" Confermò, cercando di non far tremare la voce. Voleva uscire da tutto quel caos che aveva nella testa e, soprattutto, si sforzò di guardare il tedesco negli occhi gelidi e freddi come il ghiaccio, piuttosto che vedere suo fratello, non molto lontano da lei, che era sotto il tiro di una pistola.

Brandolf soppesò per alcuni secondi le parole di Amelia, annuendo sommessamente. Poi tornò a guardare Cameron, con un sorriso di sfida a dipingergli il volto tondo come un pallone. "Dunque non ci saranno problemi, per voi Vom Mendelson, uccidere questo impostore?" E indicò Samuel. "Ho controllato personalmente. Non esiste alcun Götz Hoffman, a Berlino. Dunque, questo individuo è una spia. Ma questa spia, mio caro sottoposto, è stata raccomandata da voi!" Urlò infine il capo della polizia tedesca. "Credete che sia così stupido da credere alla favola della gelosia?" Continuò, urlando in faccia a Cameron, esprimendo solo metà della collera che provava per essere stato ingannato. E per la sua organizzazione, l'inganno e il tradimento, erano severamente puniti.

"Signore, dovete crederci." Rispose Cameron, con tono piuttosto calmo, sebbene dentro di lui si agitavano emozioni come l'angoscia, la paura, e la rabbia. "Perché vi avrei portato la mappa di Fort Dumont, altrimenti?" Chiese, infine, sventolando sul petto del capo dell'organizzazione, la mappa del forte francese.

Wagner la prese, aprendola e controllandola personalmente. Annuì, posandola su un tavolo lì vicino. "Mi sono sempre fidato di voi, Vom Mendelson. Siete stato uno dei miei uomini più fidati, sempre. Ma mi avete ingannato. Potete benissimo essere d'accordo con i francesi."

Cameron chiuse gli occhi un breve momento. Soppesò le probabilità che era veramente nei guai, stavolta, ma la cosa che lo preoccupava maggiormente era che non era in ballo solo la sua di vita, ma anche quella di Amelia, di Samuel e di Paulne. Sapeva che, chi tradiva, veniva punito con la morte, senza alcun processo. Perché la loro organizzazione doveva dare il buon esempio, era la giustizia della Germania, un qualcosa che negli anni sarebbe cresciuto e mutato a qualcosa di più grande e pericoloso. La polizia segreta tedesca era una mina e lui ci stava camminando sopra, senza alcuna protezione.

Riaprì gli occhi, sospirando. "Mettetemi alla prova. Le occasioni non vi mancano." Propose, avendo avuto una probabile idea in mente, almeno per salvare le persone che amava.

Wagner annuì quasi subito, cosa che fece insospettire Cameron. "Ed è proprio quello che volevo fare." Un sorriso maligno e divertito si impadronì del suo volto diafano. "Voi dite che siete innocente, che queste sono accuse mosse da un impeto di gelosia, di Elmira nei vostri confronti. Provatelo ora. Uccidete quest'uomo."

Amelia sgranò gli occhi all'istante, guardando suo fratello con un misto di tristezza e rabbia. Voleva dire qualcosa, voleva liberarsi dalla presa del tedesco per prendere una pistola e ucciderli. Ucciderli tutti. Quanti erano? Tre. Poteva farcela, sì, ma un suo solo sbaglio le sarebbe costato la vita. Sia a lei, sia alle persone che amava. Abbassò la testa, con la sconfitta nel cuore e ansimò per non singhiozzare.

Samuel era seduto e impassibile dinanzi a quella situazione. L'aveva sempre saputo che c'erano basse probabilità di sopravvivenza, con quel piano, ma aveva voluto tentare. Per lo meno, Raissa era al sicuro. Poteva morire con il cuore più leggero, sapendo che era riuscito a fare ciò che voleva. Mettere in salvo le persone che amava.

Cameron deglutì in modo impercettibile, osservando come Wagner gli metteva in mano una pistola. La sua. Voleva avere la soddisfazione di uccidere colui che pensava essere Samuel Putnam con la propria pistola.

Verme. Pensò Cameron, che ben sapeva fin dove la crudeltà di Wagner poteva arrivare. Strinse l'impugnatura dell'arma e spostò lo sguardo su Samuel, evitando di passare per quello della moglie. Non voleva leggere la sofferenza nei suoi occhi. Tentennò visibilmente a prendere una decisione, a fare un solo passo in avanti verso la vera vittima di una guerra che non gli apparteneva.

Brandolf guardò i due, scoppiando poi in una risata maligna, seguito dagli sghignazzamenti degli altri due soldati. "Ah, lo sapevo! Non siete mai stato un bravo attore, Cameron. Ma ora lo spettacolo finisce qui. Uccidete Samuel Putnam adesso, oppure sarete giustiziato per altro tradimento, assieme a vostra sorella, e la vostra graziosa moglie." Lo minacciò il capo, accarezzando la guancia di Amelia con maggiore insistenza di prima. Quest'ultima cercò di non tremare, quando rincontrò i suoi occhi freddi, così chiari da sembrare bianchi.

"No!" Esclamò Sam con rabbia. Era la prima parola che diceva da quando era iniziato quel calvario. "Non potete permetterlo, Cam. Avete giurato di prendervi cura di lei." Gli ricordò Samuel, annuendo poco dopo in modo distratto. "Io ho vissuto una vita piena, con gioie e dolori. Il mio degno finale è questo. Proteggere chi amo è sempre stato il mio obiettivo principale." Disse, voltandosi poi verso sua sorella, ormai in lacrime. "Tu non piangere per me. Avrai sempre una famiglia che ti proteggerà. Perdonami, principessa. Per non essere mai stato troppo presente, per non essere stato il fratello meraviglioso che magari avevi sempre voluto. Ti voglio bene." Le disse, evitando di dirle di Leonard. Non voleva dargli maggiore dolore.

Amelia singhiozzò, piangendo tutte le lacrime che aveva ancora in corpo. "Anche io te ne voglio, Sam. Sei il mio eroe e sei stato il fratello migliore." Gli rispose, muovendo di poco le braccia che aveva legate dietro la schiena. Avrebbe voluto abbracciarlo, avrebbe tanto voluto abbracciarlo.

Cameron sospirò pesantemente, rivolgendosi a Wagner che, al breve scambio di parole tra i due fratelli, aveva la faccia disgustata. "Non davanti a sua sorella. Vi prego, è la mia unica richiesta."

"Vostra moglie è una Vom Mendelson, Cameron. Una di noi. E come tale deve imparare che, il minimo errore, viene punito severamente. Guarderà." Ribatté Brandolf, facendo un cenno ai due soldati di liberare i due fratelli e di raggiungerlo dando le spalle alla porta. Si sarebbe goduto da lì, quello spettacolo. Amelia era accanto a loro, tremante e singhiozzante.

Cameron evitò di guardarla, non potendo sostenere il suo sguardo. Guardò Samuel, con sguardo atterrito e senza alcuna speranza. Lui appariva piuttosto calmo, per essere uno che andava incontro alla morte. No, anzi... era solo rassegnato. Ma era un rassegnato felice. Cameron aveva ucciso, torturato, molti uomini da quando era entrato nell'organizzazione. Non aveva mai provato piacere nel farlo, ma lo faceva perché sapeva che era l'unico modo per tenere al sicuro sua sorella, all'epoca unica donna che gli era rimasta. Per la famiglia si fanno cose inimmaginabili, si cade nel fuoco e si è capace di rialzarsi, si è anche pronti a morire. E Cameron, quel tardo pomeriggio, vedeva tutto ciò tramite lo sguardo di Samuel Putnam, sfuggito alla tragedia del Lusitania per morire nella battaglia di Verdun. Ma nessuno avrebbe mai detto che l'ex marines era morto in una stanza, ucciso senza alcun processo regolare. In un certo senso, gli ricordava tremendamente Ed Roges. Anche lui era morto solo, ingannato, sul ponte di una nave e buttato in mare.

"Sapevamo che c'era la possibilità che le cose sarebbero andate così, Cam." Gli disse Sam, cercando invano di consolarlo. "Non fa niente. Regala a questi idioti lo spettacolo che vogliono, ma proteggi mia sorella. Con le unghie e con i denti." Aggiunse poi, quando vide il cognato avvicinarsi ancora di più.

"Anche a costo della vita."

Sam sorrise, annuendo. "Non avevo dubbi. Non potevo desiderare marito migliore per lei." Disse in modo sincero, contando mentalmente quanti minuti gli rimanevano ancora.

Brandolf sbuffò sonoramente, con un'espressione annoiata in volto. "Quanto ancora dobbiamo aspettare, Cam?" Chiese un poco spazientito. "Uccidilo!"

"No! No, vi prego!" Urlò Amelia, dimenandosi nella stretta di Dankmar che non accennava a lasciarla andare.

"Fai stare zitta tua moglie, Vom Mendelson, o ci penseranno i tuoi compagni." Lo minacciò Wagner, rivolgendo alla americana uno sguardo schifato.

Cameron si voltò di scatto verso Amelia, con gli occhi che tremavano. Si scambiarono un breve sguardo, sperando di dover usare poche parole e che fossero sufficienti affinché si calmasse. Ma era abbastanza difficile. Si sarebbe arreso, lui, nella stessa situazione? Vedendo magari la sua, di sorella, venire uccisa davanti agli occhi? Le aveva mentito, più di una volta da quando l'aveva incontrata la prima volta. Gli avrebbe mai perdonato una cosa del genere? Non voleva saperlo. Voleva che fosse il tempo a dargli una risposta.

Si limitò a fare due passi verso di lei, fulminando Dankmar con gli occhi. Lui l'avrebbe dovuto uccidere molto tempo fa, quando si era portato a letto sua sorella con l'inganno e poi l'aveva sposata. Tempo al tempo. Pensò, rilassando i muscoli del viso e scendendo con lo sguardo su Amelia.

Aveva vinto battaglie, sia come tedesco che come americano, ma quella non riusciva proprio a vincerla. "Andrà tutto bene. Devo proteggerti, Amelia. Sacrificherei tutto per te."

Amelia abbassò lo sguardo, singhiozzando e tremando. Sentiva le mani del soldato tedesco stringerla tremendamente forte, così forte che sicuramente gli avrebbe lasciato qualche segno su entrambe le braccia. "Non lo fare! Ti prego. È mio fratello!" Esclamò disperata, sentendo le gambe decederle. Infatti, le piegò appena ma non riuscì a cadere, sempre per la presa ferrea di Dankmar.

Il cuore di Cameron si spaccò in due nel vedere la moglie così affranta, distrutta dentro. Avrebbe dovuto dargli ascolto e restare in America. Ma la sua testardaggine e il suo sentimentalismo avevano avuto la meglio. Ed erano state proprio quelle le qualità che tanto gli avevano fatto innamorare di lei. Aveva giurato di proteggerla, di amarla, di rispettarla... finché morte non ci separi. E aveva intenzione di farlo.

"Vom Mendelson, volete vedere vostra moglie stuprata e uccisa? No? E allora uccidete questa feccia americana! Ora!" Tuonò Wagner, davvero spazientito.

Cameron notò come i suoi occhi glaciali lanciavano delle piccole fiamme nella sua direzione. Lo conosceva fin troppo bene per sapere che non erano minacce vuote e, a quelle parole, la mano che reggeva la pistola, tremò visibilmente. Per la prima volta, il soldato tanto acclamato e premiato era in difficoltà. C'erano poche scelte, però. La priorità era Amelia, sua moglie.

"Avanti, Cameron. Fa come dice." Disse Samuel, facendolo tornare alla realtà. "Intendo morire con dignità, senza implorare nulla. Ho vissuto una vita piena di amore e affetti. Cose che voi, luridi tedeschi mangia crauti, non proverete neanche in una prossima vita."

I lineamenti di Wagner si indurirono. "Vom Mendelson, questo è l'ultimo avvertimento. Fatelo!" Urlò, superando con il tono i singhiozzi di Amelia.

Cameron incamerò aria nel petto, avvicinandosi nuovamente al cognato, mettendosi proprio davanti a lui. Alzò la pistola, puntando la canna alla testa. Un solo sparo e non avrebbe sofferto più dal momento che il proiettile sarebbe entrato, traforando il cervello. Aveva già visto cosa succedeva se veniva sparato un colpo in quel punto preciso. "Perdonami." Disse il tedesco, non proprio al cognato, ma alla donna che era nella stanza, cara in modo estremo al suo cuore, e che doveva proteggere. Anche a costo di compiere quel sacrificio.

Levò la sicura, poggiando il dito sul grilletto. Contò mentalmente fino a tre. Quando arrivò al due, Cameron sviò lo sguardo, cercando di non far tremare la mano per non sbagliare. Non voleva farlo soffrire inutilmente.

Non appena la sua mente registrò il tre, premette il dito sul grilletto. Lo sparo squarciò il silenzio che si era venuto a creare e Cameron pensò a come era potente il suono, più forte delle urla vittoriose di Wagner, più forte delle urla disperate di sua moglie, più forte delle lacrime che scivolavano via dal suo viso.

Perdonami. Pensò ancora, nel mentre osservava, con la vista offuscata dalle lacrime rabbiose, sua moglie che correva verso il corpo di suo fratello, con il sangue che sgorgava dal buco alla testa, dalla bocca, e si riversava sul pavimento.

"Dì a tua moglie di venire a pulire questo macello, Dankmar, e quando miss Vom Mendelson avrà finito con questi piagnistei, chiamate altri due uomini per portare questo sterco alla fossa." Ordinò Wagner, rivolgendo un ghigno e un cenno d'assenso a Cameron. "Quando avete finito, raggiungetemi nel mio studio, al piano di sotto, con vostra moglie. È un ordine, Cameron." Aggiunse, prima di abbandonare la stanza con il viso contratto da un'espressione vittoriosa in volto.

Cameron rivolse al suo capo uno sguardo indecifrabile, ma duro come la pietra. Aspettò che Dankmar e Scott fossero usciti, prima di chinarsi a terra, affianco alla moglie. Amelia continuava a piangere, singhiozzando a tratti, e reggeva il fratello tra le braccia. Gli occhi sbarrati di Samuel e il rivolo di sangue che fuoriusciva dalla bocca, era una scena che lei non avrebbe mai dovuto vedere e provare.

"Amelia?" Provò a chiamarla, mettendogli una mano sulla spalla. Ogni tremolio del suo corpo, ogni sua lacrima versata, era una pugnalata dritta al cuore. "Amelia, mi dispiace. Io... non potevo fare altrimenti."

La giovane bionda serrò le labbra in una linea retta, girando lentamente la testa verso il marito con espressione dura. "Dovevi lasciare che mi uccidessero."

Cameron alzò un sopracciglio, scuotendo la testa. Non era affatto lucida. "Ho promesso di proteggerti, anche sacrificando me stesso. Sei al sicuro, ora." La rassicurò, alzandole il volto per asciugarle le lacrime che continuavano a scenderle.

"Doveva essere al sicuro anche lui." Mormorò in risposta Amelia, indicando il fratello morto tra le braccia.

Il tedesco preferì non abbassare lo sguardo sul cognato, anche per vergogna. A sé stesso aveva promesso di proteggerli tutti. Sua moglie, sua sorella, e anche Sam. Ma aveva fallito. E alla luce di ciò che era successo, non poteva far altro che onorare la volontà di Samuel. La priorità sarebbe stata solo Amelia, da quel momento in avanti. Non la guerra, non i francesi, non gli americani, non la sua patria, non i tedeschi... ma Amelia. Il suo nuovo obiettivo sarebbe stato portarla via da tutto quel caos. Metterla al riparo da qualche parte. E ben sapeva che c'era un solo posto al mondo dove potevano andare, almeno fino a quando la guerra non si sarebbe conclusa.

"Sam ha preferito stabilire delle priorità e ci siamo trovati d'accordo che, a onore del vero, eri tu." Le spiegò ancora, tirandola delicatamente verso di sé per farle poggiare la testa sul suo petto. Amelia lo lasciò fare, mollando la presa, lentamente, sul fratello. Con le mani sporche di sangue strinse la camicia del marito, sprofondando il viso su di essa e singhiozzando. "Andrà tutto bene. Nessuno ti farà più del male, nessuno ti minaccerà più. E se devo scendere a patti con il demonio, per questo, lo farò."

"Che vuoi dire?" Chiese Amelia, rimanendo stretta al suo petto. L'unico posto dove si sarebbe sempre sentita protetta.

"Che presto saremo lontani da tutto, anche dalla guerra."

Un poco allarmata da ciò, Amelia scattò con il viso in su, guardando il marito. "E Leonard? Non possiamo lasciarlo qui."

Cameron si guardò un attimo attorno. Erano ancora soli e la porta era ben chiusa. Si chinò ancora verso la moglie, guardandola dritto negli occhi. "Se tutto va come deve andare, sarà al sicuro anche lui." Preferì evitarle un ulteriore dispiacere, che anche se Leonard si fosse salvato, non l'avrebbe mai più rivisto. Come non avrebbe mai più rivisto Raissa, il Signor Daniel, e la Signora Eleanor. Le avrebbe spiegato tutto a tempo debito. Ma prima doveva congedarsi.

"Vado da Wagner, nel suo studio. E poi ce ne andremo. Tu vai pure nella tua stanza, gli dirò che ti sentivi poco bene." Le disse, lasciandole un bacio sulla fronte.

Amelia scosse la testa, tornando ad osservare il fratello morto a terra. "No. Quando tua sorella verrà a ripulire il suo sangue, io le darò una mano."

Cameron fu tremendamente sorpreso dalle sue parole. Le strinse una mano, sospirando. "Non sei costretta."

Amelia si sforzò di sorridere, non riuscendoci, però. Ciò che le venne fuori era qualcosa molto simile ad un ghigno, ma triste e pieno di delusione. Poggiò una mano libera su quella del marito, carezzandola lentamente. "Era mio fratello ed è il minimo che possa fare per lui."

Cameron le sorrise, cercando di apparire calmo. Sorrideva in modo amaro a lei, perché riusciva a ritrovare lucidità e coraggio anche in un momento come quello. Sollevò una sua mano, delicata come i petali di un fiore e sporche di sangue proprio come una rosa rossa. "Ecco perché ti amo." Le disse, alzandosi poco dopo da terra e andando verso la porta. Le rivolse un ultimo sguardo pieno d'amore e poi la lasciò sola con il suo dolore. Era anche giusto che rivolgesse l'ultimo saluto al fratello, da sola. Supereremo anche questo, te lo giuro. Le promise mentalmente, scendendo le scale con il cuore pesante.

"Ti amo anche io." Sussurrò Amelia, una volta rimasta sola nella stanza. Accarezzò il volto del fratello, ancora caldo, e con le lacrime agli occhi baciò le sue guance. "Perdonami, fratello mio. Avrei dovuto darti ragione e restare a casa." Disse, piangendo con gli occhi ormai rossi. Le lacrime, quando scendevano, le bruciavano tremendamente. Ma era nulla in confronto al suo cuore, spezzato. "Ma ti prometto che ti vendicherò. Tra una settimana, un mese, due, tre... anche fra dieci anni, ma ti vendicherò. Ucciderò Brandolf Wagner con le mie stesse mani, per tutto il dolore che ci ha causato." Disse con fierezza, pregustando quel momento, quando avrebbe mandato all'inferno quel mostro dagli occhi di ghiaccio. Il volto di Amelia tornò ad addolcirsi, baciando la fronte del fratello per l'ultima volta. "Dormi ora, fratello caro. Starò qui a vegliarti e a pulirti dal sangue che hai sul viso. Sono qui, accanto a te." E restò lì a vegliarlo, a pregare, a pulirlo con un panno umido insieme a Paulne che l'aveva raggiunta con un secchio e degli stracci umidi.

Non si parlarono, non dissero nulla. Unite in uno strano dolore, pulirono sia il defunto che il pavimento. Due soldati arrivarono poco dopo, per trasportare Samuel Putnam alla fossa. Amelia lo salutò per l'ultima volta, piangendo in modo più silenzioso, e con fierezza lasciò quella stanza. 





Wolf's note:

Followers... buongiorno... anzi, buon pomeriggio!

Ricominciamo gli aggiornamenti con un super aggiornamento di ben quattro capitoli! Ormai siamo alle battute finali, quasi... e quindi credo che in massimo due settimane, la nostra avventura si concluderà. Sicuramente avrete  notato il video ad inizio capitolo, Bayu Bayushki Bayu, ninna nanna russa che vi consoglio di sentire ad inizio capitolo, quando la stessa Raissa la canticchia. Ora non so, con certezza, se è abbastanza antica da risalire alla prima guerra mondiale, se non lo è... mi scuso per prima!

In questo momento così buio per il nostro bel paese, volevo anche mandarvi un bacio e abbraccio a distanza, non solo ai miei follower, ma a chiunque arriverà fin qui sotto. Restiamoci vicini, seppure a distanza. Sempre! <3 E con ciò... ringrazio tutti voi! Anche se ci sarà un capitolo destinato proprio a voi, a fine storia... ringraziamenti in generale.

Ora, dunque, appuntamento alla prossima settimana con altri quattro/cinque capitoli nuovi! Non so quanti ne mancano ancora, perché il finale devo ancora strutturarlo, ma penso, come già detto, che in due settimane si concluderà la storia. E, alla fine, posso già anticiparvi che ci sarà una sorpresa.... ma non voglio svelarvi troppo!
Vi ricordo, inoltre, che: potete seguire gli avvisi, aggiornamenti, quote sulle storie, foto, booktrailer, e molto altro... sulla mia pagina facebook: Le memorie di Wolfqueens Roarlion. Link cliccabile dalla mia pagina d'autrice qui su Wattpad.

A presto,

Wolfqueens Roarlion.


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