Capitolo 43

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25 febbraio 1916, ore 09:20 del mattino, Fort Douaumont...

"Verdun deve essere tenuta a qualsiasi prezzo! La parola d'ordine è Ils ne passeront pas! Non passeranno! Verdun diventa il simbolo della Francia, dell'onore, e della follia della guerra. Adesso, compagni, difendiamo la nostra patria!" Urlò in conclusione il sergente Nicolas Fournier, con attorno i soldati che combattevano per la bella Francia. Per la sua libertà.

Un boato di incoraggiamento si intensificò nell'aria, portando i soldati ad urlare e ad acclamare il sergente che, vista la confusione, si era concesso di parlare agli uomini a cuore aperto, un cuore che batteva per la propria terra che veniva bombardata dai tedeschi. Esattamente venti minuti prima, il primo colpo di cannone era stato rivolto verso il muro di cinta del fronte, facendo esplodere parte di esso e creando una voragine che sembrava provocata da un meteorite. Nell'aria risuonavano gli spari dei compagni che difendevano l'entrata principale, mentre il sergente e gli altri erano all'interno del forte, in attesa della loro mossa.

Come Leonard stesso gli aveva consigliato, aveva ordinato che dei barili d'olio bollente fossero collocati nei sotterranei, dove due uomini erano già appostati lì. Altri tre erano dietro l'edificio, accucciati nella vegetazione che forniva loro una giusta copertura per non essere scoperti, ma erano armati fino ai denti.

Non potevano permettersi di perdere quel forte. Perché, se succedeva, significava che i tedeschi avrebbero avanzato verso Verdun e, ogni passo in più, li avrebbe avvicinati alla vittoria. I francesi erano conosciuti per essere gente tosta, gente che non mollava e che, anche se erano in minoranza rispetto al nemico, provava a respingerlo con le unghie e con i denti. Fournier credeva profondamente in una cosa: la sua Francia sarebbe stata libera dal nemico e avrebbe dato qualsiasi cosa, anche la sua vita.

Nel mentre i soldati si disperdevano sotto ordine del generale Joffre, Nicolas passò in rassegna in tutti i posti dove i suoi uomini dovevano stare. Dall'alto, intanto, si udivano le granate lanciate dagli aerei tedeschi. Queste cadevano giuste vicino al forte, alle varie torrette, colpendo anche alcuni tiratori, e sul tetto dell'edificio. Fournier stesso schivò, con fortuna, l'esplosione che lo mirò proprio sulla testa, superando il corridoio. Un'alta voragine si aprì sul soffitto, facendo entrare il fumo e i raggi di un pallido sole, nascosto da delle nuvole ingrigite. Anche il clima si stava ribellando a ciò che doveva subire quella terra.

Parte del corridoio venne ostruita dai pezzi di soffitto caduti, dalle tegole del tetto e dai mobili che venivano schiacciati sotto il caos dell'esplosione. Fournier annaspò, imbracciando sempre il fucile d'assalto e avanzando con una camminata lenta e accurata, quasi come se avesse paura che il nemico potesse spuntargli così davanti, all'improvviso. Ad arrivare, però, fu qualcosa di metallico. Un rumore di qualcosa che veniva rovesciata dalla terrazza del secondo piano del forte, dove c'era lui. Quando Nicolas notò cos'era, fece appena in tempo a sgranare gli occhi e a lanciarsi, con tutto il peso del corpo, verso la sala delle riunioni, alla sua sinistra. In quel momento, la granata esplose, provocando quello che sembrava, a tutti gli effetti, un tremolio. L'esplosione aveva causato un'altra voragine, ma stavolta più grande, verso la parete. Ora, Nicolas Fournier, poteva vedere il caos alleggiare sotto di lui, a colpi di proiettili, mitragliatrici, cannoni e ancora granate.

La terra esplodeva sotto i piedi dei soldati francesi, facendoli cadere a terra, mentre alcuni rimasero stesi e privi di vita. Con orrore, Fournier vide che i tedeschi si erano ricaricati dei potenti proiettili Shrapnel, quelli che esplodevano senza neanche toccare la terra e che, se colpivano un nemico, potevano essere capaci di sfigurarlo a vita, se non si veniva uccisi prima. La sirena d'allarme risuonò per l'interno forte, riportandolo per un attimo alla realtà e, con essa, una voce giunse alle sue orecchie.

"Sergente!" Urlò un soldato francese, salendo le scale esterne a tutta velocità per raggiungerlo. Una volta entrato, fece attenzione a non essere visibile tramite la voragine sulla parete, e guardò il superiore. "Avanzano, Signore! A grandi falcate anche! Stiamo morendo come mosche!" Urlò quasi il soldato, con il volto sporco di terra e impresso in esso anche l'espressione della paura.

"Contegno, soldato, e dimmi... quanti ne hai visti?" Chiese Fournier, riparandosi dietro la parete ancora intatta, avvertendo la sensazione di essere sotto tiro. Pochi secondi dopo, infatti, si udirono dei proiettili venire sparati a raffica contro la sua posizione.

"Non li ho contati, Signore, ma penso una cinquantina." Buttò lì il soldato, troppo preso dal panico generale per fare i conti mentali di ciò che aveva visto. Lì sotto era un vero e proprio inferno.

"Una cinquantina in tutto? Cosa vuoi che sia, siamo in maggioranza!" Esclamò a voce alta il sergente, facendo fare capolino con la testa di sotto per osservare la situazione. Avvertendo nuovamente un tedesco mirarlo con un fucile di precisione, si nascose di nuovo. Cavolo, ma dove era appostato?

"No, Signore. Sono una cinquantina, ma dalla entrata principale. Ce ne sono altri, da dietro." Illustrò meglio il soldato, sentendo delle gocce di sudore scendergli dalla fronte.

Nicolas sgranò gli occhi, stringendo le labbra in una linea dritta. "Merde!" Sussurrò, guardando in alto, come se fosse una preghiera, anziché un'esclamazione poco colorata. "Dov'è finito il tenente Putnam? Perché non è qui?" Chiese istintivamente, pensando che fosse di sotto. Ma se guardava meglio, non riusciva proprio a scorgerlo.

"Non è ancora rientrato, sergente. È uscito ieri sera, ma poi non si è più visto." Rispose il soldato, rimanendo nascosto nella parte opposta della parete colpita.

Di bene in meglio. Pensò ironicamente Fournier. Il loro piano iniziale era totalmente naufragato. Non solo non avevano avvertito il generale Joffre, ma la mente di quella brillante idea non era neanche presente al forte, specialmente ora che erano sotto attacco. La mente di Nicolas viaggiò ad un ritmo incontrollato, con il suono dei proiettili che venivano sparati al piano di sotto come sottofondo.

E se ci ha tradito? In fondo, questa, non è la sua patria. Quel pensiero amaro era troppo doloroso per sembrare reale. Aveva riposto in Leonard una fiducia disarmante, lo vedeva come una spalla in più per aiutarli a vincere quella guerra, a difendere il loro territorio. Era impossibile credere al fatto che avesse tradito, non solo i francesi, ma anche i marines che l'avevano inviato dall'America per aiutarli!

No, non ci credo. Altrimenti, perché salvarlo quella volta nel bosco? No, dev'essere successo qualcosa. Concluse infine, raggiungendo un pensiero logico e pensando al da farsi. Cosa avrebbe fatto il tenente stesso, in quella situazione? Avrebbe continuato con il suo piano.

"Vai nei sotterranei e dì agli altri due soldati che troverai lì, di tenersi pronti. Se vedete i nemici che avanzano dall'entrata sotterranea, aprite il fuoco. Senza esitazione, soldato." Ordinò Nicolas, assumendosi un nuovo incarico: tenere occupato il nemico, fin quando era possibile.

"Agli ordini, sergente!" Esclamò il soldato, deglutendo. "Ma ci sarebbe un'altra cosa, Signore." Tentò di prendere nuovamente la parola, anche se conveniva che non era il caso di comunicazioni private.

"Che c'è, soldato? Di così urgente? Adesso?" Chiese Fournier, visibilmente spazientito, con la mano che reggeva il fucile che li tremava, così come gli occhi.

Il soldato si fece coraggio e prese un gran respiro. "Riguarda quella ragazza che avete riportato da Saint Rémy... la signorina Kovic." Iniziò, sentendosi un poco a disagio a riferirgli ciò che doveva. In assenza del tenente, però, li sembrava la cosa più giusta. Con lo sguardo un poco intristito, si assicurò che il sergente capisse parola per parola.

All'udire il cognome di Raissa, Nicolas attizzò le orecchie. "Ebbene?" Chiese, invitando così il soldato a continuare. La ragazza era partita prima del pasto serale, ieri sera, insieme al tenente generale Lovett. Ricordava che era abbastanza contrariata perché Leonard non era ancora tornato e ci teneva a salutarlo, ma poi era partita sotto suo consiglio e con la promessa che li avrebbe mandato il suo tenente, non appena i tedeschi fossero stati respinti. Man mano che il soldato parlava, però, Fournier sentì il cuore farsi inevitabilmente più pesante e lo sguardo sempre più assente.

****

Pressi di Spincourt, il giorno prima, ore 19:50...

C'erano volute diverse ore per attraversare i vari sentieri dei boschi circostanti e giungere in quella che era, a tutti gli effetti, la base dell'esercito tedesco. Dietro di lui, i soldati Marshall e Fontaine, li guardavano le spalle, nascondendosi alla perfezione nella vegetazione quando c'era quel troppo silenzio che lasciava pensare, che lasciava indurre nella mente dei soldati che qualcuno li stava osservando. Attraversando il bosco e uscendo sulla città distrutta di Loison, ad esempio, avevano incontrato solo due tedeschi, entrambe in perlustrazione del luogo. Fin troppo impegnati nel loro incarico per accorgersi di due francesi che gli arrivavano alle spalle, stordendoli con un colpo alla nuca grazie al manico del fucile.

Usciti in seguito da Voudoncourt, dei canti in lingua tedesca e il fischio di un treno, li avevano dato un bel benvenuto. Suoni che arrivavano direttamente da Spincourt, a pochi passi da loro.

"Giù!" Sussurrò Marshall, camminando avanti ai due per fargli strada attraverso una vegetazione non troppo alta, ma abbastanza ingannevole con la sera che portava una fitta oscurità. Questo concedeva ai tre anche il privilegio di avanzare in modo lento e silenzioso, senza farsi vedere. "Via libera! Andiamo!" Accordò di nuovo Marshall, facendo un cenno ai due.

Leonard quasi strisciava per quanto camminava basso e lento. Impugnando il fucile d'assalto con il mirino, il tenente cercò di sforzare la vista anche nei punti scuri dalla loro posizione. Riusciva a scorgere un camion, non molto lontano da lì, e il suono di qualcosa che veniva versato a terra. E passi pesanti.

"Aspettate!" Sussurrò ai due francesi, verificando che il suo dubbio fosse fondato. Ghignò appena quando si accorse che, in effetti, c'era qualcuno. Il suo udito non lo tradiva mai. "Vado avanti, voi guardatemi le spalle." Ordinò loro, cogliendo l'occasione per avanzare senza occhi o orecchie indiscrete.

"Sì, Signore. Prudente, mi raccomando." Rispose Fontaine, guardandosi attorno insieme al compagno Marshall, ispezionando così l'aerea attorno a loro.

Leonard, intanto, proseguì verso la figura avvolta dall'oscurità, chinata a terra come se stesse cercando qualcosa. No, il tenente si corresse di colpo. Non stava cercando ma versando nel terreno una sostanza che puzzava terribilmente. Assomigliava tanto al tanfo che si respirava nel garage di Maurice, a Riverdale.

Benzina.

Piegando leggermente le caviglie e accovacciandosi sempre di più, Leonard avanzò ancora verso la figura, fino a quando poté distinguere i particolari dell'individuo. Com'era vestito, il taglio dei capelli e persino il colore. Neri, corti a spazzola. Sembravano appena tagliati per quanto erano perfetti. Uno strano profumo, più gradevole, andò a contrastare il tanfo della benzina che si respirava.

Trattenendo il respiro per non farsi scoprire, Leonard abbassò lo sguardo verso quella che era una fossa piena di cadaveri. Senza volerlo, abbassò la guardia, quando, oltre al terribile odore di benzina, si aggiunse quello di sangue e morte. I cadaveri, alcuni in putrefazione, erano tutti ammassati tra loro come sacchi di iuta. Chi aveva espressioni di dolore dipinte in volto, chi gli occhi sgranati, chi invece rivolti verso il cielo... solo uno aveva gli occhi chiusi, l'espressione serena come se dormisse. Il cuore del tenente perse un battito, nel riconoscere a malapena, quello che era a tutti gli effetti il cadavere di suo fratello maggiore. Samuel Putnam, ex marines, era lì. Abbassò la guardia definitivamente, senza volerlo, e indugiò con lo sguardo su di lui, per verificare che non fosse un errore. No, non lo era affatto. L'ex brigadiere generale era proprio lì, sotto di lui, in mezzo ad altri cadaveri senza nome. Lo stress accumulato andò ad accompagnarsi ad una nausea improvvisa e potente che lo colpì in petto e che lo portò, malgrado il contesto, a voltarsi e vomitare, cercando di non far rumore.

"Leonard." La voce di Cameron gli arrivò lontana, quasi impercettibile. "Leonard?" La seconda volta, però, il tenente la sentì.

Respirando a fatica, Leonard impugnò il fucile che teneva stretto al petto e, voltandosi di scatto, lo puntò al tedesco che per lunghi mesi aveva creduto un alleato, un amico, un superiore degno di essere chiamato tale.

"Sta calmo! Non sono armato." Lo rassicurò, alzando le mani al cielo in segno di resa. "Abbassa l'arma."

"Dov'è mia sorella?" Chiese Leonard, ritrovando la voce e concentrandosi, con lo sguardo, su Cameron che aveva sotto tiro.

Il tedesco sospirò. "Abbassa il fucile, parleremo meglio." Provò a convincerlo, immaginando però che, da quello sguardo, non ne avrebbe mai ricavato una risposta positiva. Almeno non così facilmente.

Infatti, il tenente continuò a puntare l'arma contro di lui. "Dov'è mia sorella?" Chiese di nuovo, scandendo bene le parole per farle arrivare più dirette, con il sottile velo della minaccia nella voce bassa.

"Sta bene, non preoccuparti." Disse, abbassando lo sguardo. Non l'avrebbe biasimato se avesse premuto il grilletto, questo lo sapeva bene. Ma voleva evitare di far accorrere mezzo esercito lì, in suo aiuto, ben sapendo che il cognato non ne sarebbe uscito vivo.

Leonard, dal canto suo, assimilò quelle parole con tranquillità. Come Fournier stesso gli aveva detto, neanche lui dubitava che sua sorella fosse al sicuro, gli occhi lucidi e la voglia matta di sparare al nulla, erano dovuti a tutt'altra cosa. Lo sguardo vuoto, senza volerlo, andò a sbattere contro il corpo senza vita di suo fratello, in una fossa senza croci o fiori. "Perché?" Chiese, senza formulare una vera domanda. Forse avrebbe voluto chiedere al cognato del perché quella messa in scena, per tutto quel tempo. Perché non gli aveva detto nulla? Come era morto suo fratello? Perché sua sorella non era corsa da lui a Fort Douaumont? Troppe domande aveva in serbo, ed era sicuro che non sarebbe bastata una sola notte per tutte le risposte.

Cameron rialzò lo sguardo su Leonard, volendo essere il più sincero possibile. Abbassò le braccia, non avendo affatto paura dell'arma tremolante che il cognato li puntava contro. "Avrebbero ucciso Amelia. Dovevo farlo, Leonard."

Lo sguardo del marines saettò su di lui come un fulmine. "Cosa? Sei stato tu?"

"Sì. E lo rifarei, se fosse necessario." Ammise sinceramente, con lo sguardo serio.

"Ma che stai dicendo? Uccideresti colui che è stato un tuo compagno di squadra? Ammesso e concesso che tu dia valore a certe cose!" Esclamò rabbioso Leonard, respingendo il folle desiderio di far fuoco sul tedesco.

"Certo che do valore a queste cose!" Rispose Cameron, mantenendo un tono basso e avvicinandosi di qualche passo al cognato. "Ma do valore anche ad altro. Non avrei mai permesso che a tua sorella togliessero un solo capello. Avrei ucciso chiunque avrebbe provato a toccarla! Perché questo le ho giurato, il giorno del nostro matrimonio, di prendermi sempre cura di lei. Nel bene e nel male. Ha pianto sul mio petto ed io l'ho consolata come potevo. Pensi che non mi senta in colpa per averglielo ucciso sotto gli occhi?!" Concluse, alzando di poco la voce, nei limiti che la ragione li consentisse. La villa era a pochi passi da lì, l'interno di Spincourt brulicava di tedeschi armati fino ai denti, di sentinelle pronte e dare l'allarme. E non doveva farsi scoprire.

Sentendo quelle parole, Leonard abbassò il fucile, avvertendo un crollo interno farsi sempre più potente, come una scossa elettrica. Respirò lentamente, sentendo la rabbia scomparire poco a poco, per lasciar spazio alla tristezza, ad un lutto interno che era giusto che portasse. Per rispetto, per il bene che aveva voluto al fratello. Era meglio crederlo morto affogato, con i resti del Lusitania, che lì, in una fossa piena di cadaveri. "Doveva esserci un altro modo." Mormorò il tenente, quasi più a sé stesso che al suo interlocutore.

"Credimi, ho provato anche io a trovarlo. Ma non c'era. Sarai orgoglioso, però, nel sapere che è morto con la fierezza negli occhi, senza mai implorare pietà, come se fosse morto sul campo di battaglia. L'ha fatto per salvare vostra sorella. Merita tutti li onori possibili. Io avrei fatto lo stesso per la mia." Ammise Cameron, sinceramente meravigliato per come si era comportato Samuel, poco prima che li venisse ordinato di ucciderlo. Non l'aveva mai sentito supplicare, pregare... l'unica preghiera, forse, l'aveva fatta per Amelia. Era morto per un bene superiore e Cameron stesso, da uomo e soldato, si sentiva quasi in difetto a calpestare quella terra, a guardarlo in quella fossa. Avrebbe voluto costruirgli lui stesso una bara come conveniva ad un marines di un così alto livello di coraggio e orgoglio. Ma le circostanze glielo impedivano. Sua moglie, però, non si era arresa e, come sempre, era passata da un estremo all'altro.

"Sono fiero di lui." Commentò Leonard, osservando suo fratello per un istante e avvertendo gli occhi farsi lucidi e la vista sfocarsi di colpo. "Che cosa stai facendo qui?" Chiese a Cameron, volendo cambiare discorso.

"Tua sorella. Lei... non riesce a dormire pensando che suo fratello è qui, a pochi passi, che giace in una fossa piena di cadaveri che non hanno avuto neanche un fiore o una degna sepoltura." Rispose il tedesco, finendo di versare la benzina sui cadaveri nella fossa.

"E quindi?" Chiese il marines, osservandolo con sguardo allarmato e interrogativo.

"E quindi non vorrebbe dargli un'umiliazione del genere. Ci è stato ordinato di non toccarli, di lasciarli a marcire qui, ma Samuel merita rispetto. Amelia è del parere che sia meglio cremarlo, che lasciare la sua carne ai vermi." Riferì, ricordando bene di essere stato dapprima contrario a quel trattamento ma poi, alla luce di quello che era successo, aveva accettato di recarsi lui stesso alla fossa e di bruciare i cadaveri. Tutti meritavano rispetto, di essere ricordati come eroi e vittime della guerra.

Leonard annuì, rilassando i muscoli del viso. La stanchezza e la sconfitta interna si impossessarono di lui. "Come sta, Cameron?" Chiese, sentendo il bisogno di ricevere quella preziosa informazione, la sola che l'aveva spinto fino lì nel territorio nemico.

"Si sforza di stare bene, di farsi coraggio. La porterò in salvo da qui, non temere." Le rivelò, volendo rassicurare l'uomo come meglio poteva.

"Dove?"

"A Berlino. Il mio capo, se così si può chiamare, mi ha ufficialmente congedato. Partiamo domani. Troverò il modo di farti avere una lettera." Spiegò, contando mentalmente le ore rimanenti alla partenza. Una volta che avrebbe messo piede in Germania le cose sarebbero cambiate, lo sentiva.

"Perché ubbidisci a quell'uomo? Perché non vieni con me a Fort Douaumont e spieghi tutto al brigadiere generale Lovett?" Chiese Leonard, come se fosse la cosa più semplice del mondo.

Cameron scosse la testa, sospirando. "Sarei considerato un traditore, Leonard. Avrei un regolare processo ma non mi crederebbero. Ho troppi scheletri nell'armadio e, se qualcosa andasse storto, ci andrebbe di mezzo anche Amelia, giacché è mia moglie. La crederebbero mia complice e il sacrificio di Samuel sarebbe stato vano. Lasciamo tutto così, è meglio. Quando questa assurda battaglia finirà, troverò il modo di contattarti." Lo rassicurò ancora, frenando quel barlume di follia che alleggiava nella sua testa. No, era troppo pericoloso passare dall'altra parte, ora come ora. E, cosa ancor più importante, non c'era solo la sua vita in pericolo.

Soppesando le parole del cognato, Leonard non poté far altro che trovarsi d'accordo con la sua linea di pensiero. In effetti, sarebbe stato difficile spiegare ai superiori le motivazioni che avevano spinto Cameron a tradire i marines. Ed Roges, per molto meno, si era beccato una pallottola alla testa ed era morto in mare. E la sua fidanzata? Era stata creduta una pazza che delirava. Sì, suo cognato aveva ragione. Era pericoloso. Sia per lui che per Amelia.

"Puoi mandarle un messaggio, da parte mia?" Chiese, guardando Cameron negli occhi.

"Ma certo."

"Dille che le voglio bene, anche se penso che lo sa già. Arriverà il giorno in cui ci rincontreremo. E sarà bellissimo! Diglielo. Digli che suo fratello tenterà di restare in vita, anche per lei." Disse, mentre rievocava mentalmente tutti i ricordi della propria infanzia e adolescenza passati con i suoi due fratelli. Entrambi a pochi passi da lui, sebbene in modalità diverse, ed entrambi non poteva abbracciarli. Ma l'avrebbe fatto con la mente, con il pensiero e con il cuore. Sempre.

Cameron gli diede un abbraccio fraterno. "Andrà bene, Leonard! Andrà bene." Gli disse il tedesco, battendo sulla spalla del cognato come incoraggiamento.

"Andrà bene." Ripeté Leonard, sinceramente motivato. Quando sciolsero il loro abbraccio, i due si guardarono un breve istante. Annuirono all'unisono ed entrambi presero strade differenti.

Mentre Leonard tornava nel posto dove c'erano Marshall e Fontaine, si girò un'ultima volta. Proprio quando un fumo grigio iniziò ad alzarsi da sopra la folla e con due vampate di fuoco, delle lingue rosse presero ad inghiottire quei cadaveri senza vita, dando loro la pace che meritavano. Spinto da un senso di rispetto, Leonard fece sbatté i tacchi dei proprio stivali nel fango, portando la mano alla testa, e facendo un impeccabile saluto militare, con le lacrime agli occhi.

Riposa in pace, fratello.

"Signore? Va tutto bene?" Chiese Fontaine, scambiandosi uno sguardo interrogativo con Marshall.

"Sì, soldato." Rispose Leonard, rompendo il gesto con gli occhi pieni di lacrime. L'oscurità, però, l'avrebbe aiutato a nasconderle. "Torniamo al forte."




Wolf's note:

Quanti stanno stappando lo Champagne per il ritorno degli aggiornamenti? Io sono tra voi, sappiatelo! Ho un senso di felicità nel tornare ad aggiornare, a leggere.... nel tornare a muovere il braccio insomma!

Siamo, anche con la storia, quasi alla fine. E posso dirvi che non ci saranno più di tre o quattro capitoli, epilogo incluso. Quindi... *passa i fazzoletti ai lettori*.... vi serviranno!<3 Non so voi, però, ma nell'ultima scena in questo capitolo mi è scappata una lacrima. 

Ora... cosa avrà riferito il soldato al nostro sergente riguardo a Raissa? Leonard tornerà in tempo al forte? Tutto questo... nel prossimo capitolo! E prepariamoci anche psicologicamente... io in primis!

Comunque, il prossimo capitolo, è previsto per Lunedì 22 Giugno! *distribuisce confezioni di fazzoletti a più non posso*

emh.. emh...

Ringrazio tutti i lettori che sono giunti fino a qui! A prestissimo con un nuovo capitolo!

Un abbraccio (con entrambe le braccia stavolta),

Wolfqueens Roarlion.


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