Capitolo 42

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Il sergente Nicolas Fournier si fermò di fronte al neo-tenente Putnam, con le mani dietro la schiena, sospirando pesantemente. "La faccenda è più seria di quello che credi, Leonàrd." Dichiarò, dopo aver ascoltato per mezz'ora il racconto dell'amico. Non dubitava certamente delle parole di Raissa, ma ciò lo portava ad essere incastrato lui stesso in una posizione alquanto scomoda.

Leonard buttò sul letto l'asciugamano con la quale si stava asciugando le mani, prima di passarsene una tra i capelli cortissimi. "Lo so. Ed è per questo che te lo sto raccontando. Sei l'unica persona di cui mi fido."

"Non è solo questo." Gli fece presente il sergente. "Ma il fatto che tuo cognato si sia macchiato di alto tradimento nei confronti dei suoi stessi compagni. Sai bene qual è il nostro codice. Meriterebbe di essere fucilato, ad occhi aperti anche." Commentò, un poco cupo in volto. Si erano concessi il lusso di sbagliare e, presto o tardi, ne avrebbero pagato le conseguenze.

"Io credo che sia stato costretto." Pensò ad alta voce il tenente. Aveva passato le ultime ore a rileggere quelle righe sulla missiva che gli aveva lasciato. Erano state scritte in modo rapido, sbrigative, quasi come se stesse ingaggiando una lotta contro il tempo. Nelle sue tante ipotesi, aveva pensato che forse sua sorella era stata catturata dai tedeschi e, per liberarla, Cameron era stato portato a tradire i marines. Poteva aver senso, ma c'era sempre un punto che non lo convinceva. Perché non dirglielo a voce?

"Avanti, Putnam, non diciamo cavolate! Tuo cognato ha saputo fare bene il suo doppiogioco. Soltanto che non c'è solo la tua vita di mezzo, ma anche la nostra! Oh, merde!" Imprecò poco dopo, tra i denti. "Ed io sono nella posizione più scomoda del mondo. Se lo riferisco al generale Joffre, sarai condannato anche tu per favoreggiamento nei confronti di tuo cognato. E se non lo faccio, divento io il tuo complice." Aggiunse poi, mettendo sulla bilancia immaginaria le uniche opportunità che avevano. In ogni modo, sarebbe stato versato altro sangue.

Leonard fissò il suo superiore, visibilmente pensieroso. Anche lui era combattuto, lo poteva intuire. Lo scoppio di un cannone di prova, nel cortile di sotto, lo fece sgranare gli occhi di colpo. Il tenente guardò un attimo fuori dalla finestra, verso il sentiero che si apriva verso l'ignoto e una morte sicura. "Quante entrate ha il forte, sergente?" Chiese all'improvviso, ricordandosi di una importante lezione che aveva imparato ai tempi dell'università.

Nicolas osservò il compagno d'armi in modo interrogativo, facendo rapidamente due calcoli mentali. "Contando anche quelle sotterranee, direi tre. Perché?"

Ottimo!

"Perché potrei avere un'idea per rallentarli, guadagnare tempo, e far sembrare il tutto molto casuale." Rispose brevemente, mentre andava verso il muro e spiccò da esso la pianta del forte, quella di riserva visto che l'altra era completamente sparita. E preferì non immaginare altro. Posizionò la mappa sul letto, essendo in assenza di un tavolo, e fece cenno al sergente di avvicinarsi. "In serata, ordinerete a tre uomini di andare verso la seconda uscita, quella dietro l'edificio. Lì si accamperanno, fino a quando non udiranno qualcosa che ci possa far intuire un futuro attacco da parte del nemico, dopodiché qualcuno suonerà una sirena, anche un corno di segnalazione. In questo modo sapremo che qualcosa si sta muovendo e daremo noi l'allarme al generale Joffre. Dopodiché organizzeremo uno scudo di difesa. Chi sul muro di cinta, chi nei sotterranei, chi nel cortile, vedremo di respingerli." Spiegò Leonard, muovendo le dita per la mappa in direzione della seconda uscita, collocata dietro l'edificio del forte.

Fournier ascoltò con molta attenzione ogni minimo dettaglio, giungendo poi ad un'unica domanda. "E se attaccheranno proprio dai sotterranei?" Chiese, puntando il dito verso dove erano indicati sulla mappa.

"Qui ci saranno solo due uomini."

Nicolas alzò un sopracciglio, visibilmente preoccupato e bianco in volto. "Solo due? Volete farci ammazzare, tenente?"

"Affatto, sergente. Non saranno soli, ma avranno la compagnia di alcune giare d'olio bollente. Che faranno esplodere sul nemico, nel caso decidessero di attaccare da lì." Aggiunse il tenente, guardando poi il viso sempre più pallido del sergente.

"Bon Dieu! Certe volte mi fate paura." Commentò, riconoscendo quindi che poteva essere un buon piano, a tutti gli effetti. "Ma se esplodesse tutto, non correremo dei rischi anche noi?"

Leonard sospirò, annuendo. "Infatti, dobbiamo sperare che decidano di attaccare dalla seconda entrata. Della prima non mi preoccupo affatto." Disse in modo sincero. Correre dei rischi era inevitabile, ma doveva avere la piena fiducia del sergente. Altrimenti era come sparare al muro. "Dovete fidarvi di me, Signore, come sempre."

Nicolas guardò il compagno d'armi, soppesandone le parole e l'idea dell'attacco di difesa che aveva avuto. Tutto ciò poteva funzionare, poteva essere una svolta. E non dubitava sul fatto che Leonard Putnam fosse una persona leale, con dei valori e degli obblighi verso la propria patria. Non lo reputava affatto un traditore, altrimenti lui stesso non sarebbe stato lì, a servire la sua Francia. Ma Leonard l'avrebbe lasciato a marcire in quel bosco vicino Loison, per essere cibo per vermi. Si chinò appena sul tenente e gli diede una amichevole pacca sulla spalla, seguita lentamente da un sorriso di incoraggiamento. "Mi fido di voi, tenente. Difendeteci come potete."

Leonard ricambiò la pacca sulla spalla con un sorriso. "Bene! Il tempo che ci resta sarà un nostro prezioso alleato. Non sappiamo quando attaccheranno."

Fournier annuì, allontanandosi per andarsene. "Oui! Chiamerò subito alcuni uomini affinché possano prepararsi per accamparsi, e cercherò di prendere abbastanza olio per scaldarlo e posizionarlo nei sotterranei." Disse il francese, iniziando a conteggiare su quanta quantità ci sarebbe voluta per creare uno scoppio abbastanza vasto. "Un'altra cosa, Leonàrd."

"Dimmi."

"E Raissa? Non penserai di farla stare qui, durante l'attacco." Senza contare che, se la loro idea di difesa fosse naufragata, avrebbe corso dei rischi anche lei. E in guerra, il nemico, non era mai clemente.

Leonard annuì. "Sì, ci avevo già pensato. Lovett partirà per il quartier generale questa sera. Intendo chiedergli di portarla lì. Qui è diventato troppo pericoloso." Era certo che il brigadiere generale non gli avrebbe negato un favore, specialmente di quel valore. E poi sapeva di essere diventato il suo pupillo. Non gli avrebbe detto di no.

Nicolas strinse le labbra, formando una linea dritta. "Sai, quando l'ho accompagnata prima dal medico, mi ha fatto venire i brividi. Tutti quei lividi, Leonàrd! Dieu! Insomma... va bene il nemico, ma è solo una donna. Perché avventarsi su di lei in questo modo?!"

Anche Leonard fu assalito dai brividi, ma di rabbia. Se solo immaginava ciò che la sua Raissa aveva passato, gli veniva voglia di prendere un fucile e recarsi seduta stante a Spincourt, a far fuori quel verme tedesco con le proprie mani. Ripiegò la mappa del forte con pochi gesti rapidi, cercando di pensare ad altro. "E' la guerra. Ma quando lo prenderò, gli farò pentire di ciò che ha fatto." Con quell'attacco sperava anche di riuscire a stanare l'uomo che aveva ridotto Raissa in quella maniera. Gli avrebbe fatto implorare pietà, per poi ucciderlo con le sue stesse mani. L'idea della vendetta personale era allettante, ma aveva studiato nei marines a sufficienza, tanto da sapere che non sarebbe stata una esercitazione, ma una battaglia vera e propria. "Tu organizza gli uomini, io vado in avanscoperta."

Fournier sgranò gli occhi. "Che cosa? Dove pensi di andare?"

"Nicolas, mia sorella è ancora nelle loro mani."

"Ma c'è suo marito con lei. Io non mi preoccuperei." Ammise il sergente. Dopo aver ascoltato con attenzione il racconto fornito dalla donna tramite le labbra del suo sottoposto, era chiaro come il sole che Amelia Putnam non corresse alcun pericolo. Era, per metà, anche tedesca adesso.

"Devo tentare. Provare ad avvicinarmi." Ribatté deciso, pensando al da farsi e a quale sarebbe stata la sua prossima mossa.

Il sergente francese sospirò. Conosceva così bene il suo amico da sapere che, se aveva preso una decisione, nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea. "Porta almeno due uomini con te. Potresti insospettire qualcuno se ti avventuri in territorio nemico, da solo." Il consiglio di Fournier fu ben accetto da un cenno del capo. E quest'ultimo era lieto di sapere che l'americano aveva ancora della ragione e lucidità nella testa.

"Porterò Fontaine e Marshall." Rispose Leonard, facendo i nomi dei due uomini che erano nella squadra del sergente. Non erano i migliori, ma sarebbero stati sufficienti per guardargli le spalle. Non aveva ancora un piano in mente ma, una volta raggiunto Spincourt, avrebbe improvvisato. Doveva solo verificare che Amelia stesse bene e, magari, convincerla a mettersi in salvo. Quest'ultimo punto lo vedeva difficile, specialmente se accecata dall'amore del marito.

Il pensiero di sua sorella fu per un istante archiviato, quando, con la coda dell'occhio vide Fournier congedarsi andando verso la porta. Aprendola, vi trovò davanti Raissa. E Leonard riuscì a vederla bene, anche dalla postazione dov'era lui.

"Scusatemi. Non intendevo origliare la conversazione e solo che... mi ero appena svegliata nella tenda. Posso ripassare." Disse la donna, facendo per tornare indietro, ma Fournier la fermò con un gesto della mano, invitandola ad entrare.

"Affatto, mademoiselle. Entrate pure. Come vanno le ferite?" Chiese il sergente, realmente interessato alle condizioni di salute della sua ospite.

Raissa abbozzò un sorriso in direzione del giovane soldato francese. "Alcune guariranno. Altre, invece, temo di no." Ammise, riferendosi alla brutta esperienza passata sotto le grinfie di Wagner e non di certo a qualche livido che, con il passare del tempo, sarebbe completamente sparito.

Nicolas assentì con solenne tristezza, concordando con le parole della donna. Sembrava tremendamente saggia. "Può anche essere vero, mademoiselle Raissa, ma qui da noi si dice che i fiori più belli e più forti, rinascono anche nel fango." Le disse con tono saggio e lento, come se stesse dicendo messa.

Raissa abbassò lo sguardo, un poco imbarazzata e lusingata dalle parole del sergente, nonché tremendamente speranzosa. Quel breve riposo nella tenda le aveva fatto bene, anche se era circondata da uomini mezzi morti e doloranti. In un certo senso, però, l'avevano aiutata senza volerlo. Circondata da tutto ciò, le ricordava solamente che non era più una prigioniera, un bottino di guerra, ma una donna nuovamente libera. "Vi ringrazio, sergente, lo terrò a mente."

"Potresti andare a rifilare questa tattica di conquista con qualche altra donna, Fournier, o lo devi fare per forza con la mia?" Lo riprese Leonard, con una punta di ironia nella voce.

Nicolas rise, voltandosi verso il compagno d'armi. "Le donne che conosco non sono così sagge, mio caro Leonàrd. Devo ammettere che un po' ti invidio." Poi tornò nuovamente a guardare Raissa negli occhi. "Ma temo che sarebbe fiato sprecato." Concluse, congedandosi dai due con un gesto della mano, lasciandoli soli.

"Vieni." La invitò Leonard, con ancora un mezzo sorriso stampato sulle labbra.

Raissa avanzò verso di lui, abbracciandolo quando fu a pochi centimetri da lui. Con le idee più chiare dal riposo, ora, poteva dirsi finalmente completa. Era con l'uomo che amava, anche se erano in un clima non proprio romantico, ed era viva. A volte, una cosa semplice, poteva rivelarsi la più preziosa di tutte.

"Non hai dormito molto." Notò il tenente poco dopo, contando mentalmente che, da quando Fournier era tornato dalla tenda medica, erano passati, si e no, due ore, includendo il lungo racconto circa la sua famiglia e ciò che Raissa stessa gli aveva rivelato.

"Non volevo stare lontana da te. Era come se avessi paura di svegliarmi sola, in un letto dalle lenzuola sporche, e sentire di nuovo quei passi pesanti per il corridoio." Quei frammenti di ricordi, ancora freschi, laceravano ancora il suo cervello. E avrebbero continuato per un bel po'. Omise di dire a Leonard che, prima di abbandonare la tenda, il medico di campo gli aveva detto di essere sobbalzata più volte, nel sonno.

Leonard si staccò da lei, baciandole le labbra ancora un po' arrossate e gonfie. "Non ti succederà più nulla di male. Non lo permetterò." Le rivelò, preparandosi ad una bomba immaginaria che sarebbe scoppiata da lì a pochi minuti. "Ma dobbiamo separarci ancora."

Raissa si allontanò di colpo da lui, facendo due passi indietro e guardandolo con un sopracciglio alzato. "Perché?" Chiese, con un tono un po' allarmante.

Il tenente Putnam sospirò. "Perché Cameron mi ha fatto avere una lettera, prima di andarsene. C'era scritto che i tedeschi attaccheranno il forte. E con una battaglia in corso, tu non puoi stare qui." Le spiegò, volendo nasconderle il timore che provava al solo pensiero di poterla perdere di nuovo.

"Invece potrei aiutare voi tutti. Magari nella tenda medica." Provò ad opporsi, ben sapendo che sarebbe servito a poco.

"E' fuori discussione!" Esclamò Leonard, ringhiando quasi. Lo stress degli ultimi giorni iniziava a farsi sentire, senza contare che con quella lettera di Cameron, le cose non miglioravano per niente. Sapeva che ci sarebbe stato un attacco, ma non sapeva quando. Chiuse le palpebre per un attimo, provando a calmarsi. "Stammi a sentire, Raissa." Iniziò, riaprendo gli occhi e notando che la russa aveva già voltato il viso da un'altra parte, con un'espressione delusa ben visibile in volto. "È pericoloso. Il forte, ora, è come una bomba ad orologeria. È un tic-tac assordante! E quando esploderà, tu dovrai essere in salvo. Io ti raggiungerò non appena la difesa francese avrà sedato l'attacco del nemico." Cercò di rassicurarla con l'unica promessa che era in grado di fare, l'unica per la quale avrebbe davvero lottato.

Raissa pensò sulle parole del suo amato. In fondo, ragionava in modo razionale, come chiunque altro. Era l'idea di separarsi da lui, dopo ciò che aveva passato, che le piaceva un po' meno. "Giurami che tornerai sano e salvo." Disse seria, tornando a guardarlo negli occhi azzurri, così gentili, così buoni. Così diversi da quelli grigi e cupi, come le nuvole cariche di pioggia, che la minacciavano in sogno.

Lieto di essere sulla strada per farla ragionare, Leonard annuì, stringendola nuovamente a sé. "Te lo giuro. Tornerò sano e salvo. E come ti avevo già detto una volta, intendo mantenere un'altra promessa. Quando la guerra sarà finita, lascerò i marines." Le disse e non solo per farla tranquillizzare, ma per ridarle la speranza di un futuro insieme senza separazioni improvvise o timori e paure.

"E i tuoi demoni? Li hai esorcizzati?" Le chiese Raissa, ben sapendo qual era stata la ragione che l'aveva spinto ad arruolarsi nei marines e a percorrere, a tratti senza volerlo, la carriera militare del fratello maggiore.

Venne spontaneo, quindi, al giovane tenente sorridere. Un sorriso vero, sincero, e pieno di ottimismo per un futuro che avrebbe vissuto in tutta calma e serenità. "Ho passato gran parte della mia vita a chiedermi se ciò che facevo fosse giusto. Ho sperato che questa vita potesse darmi una risposta, se potesse mettere a tacere tutti i dubbi che mi sono nati da quel maledetto 7 maggio del 1915. Ma poi, una risposta, l'ho trovata." Tornando a guardarla negli occhi, Leonard non poté fare a meno di notare quanto fossero profondi e belli, con tutto che quello destro presentava ancora un livido violaceo. "Sei tu, Raissa. Sei sempre stata tu. Io non invidiavo la vita piena di gloria di mio fratello, piena di medaglie, di onori e meriti... ma li invidiavo l'amore che aveva trovato in te. Forse non te l'ho detto sempre... ma ti amo, Issa. E ad oggi, finalmente, posso dirlo. Ho scacciato tutti i miei demoni interiori. Grazie al tuo amore." Si dichiarò come mai aveva fatto prima di adesso. Neanche quando passavano le notti a Golden Falls, si era mai dichiarato in quel modo. Ma la paura che aveva avuto di perderla, il timore e la rabbia che aveva provato quando l'aveva vista con tutti quei lividi e mezza morta, li aveva fatto comprendere cosa contava davvero nella vita. Le giuste priorità.

Raissa, che aveva gli occhi lucidi a quella dichiarazione, le venne voglia di piangere di gioia. Ma si oppose, almeno stavolta. I suoi occhi le bruciavano ancora e doveva prendersi più cura di sé stessa, ora che sapeva che Leonard era vivo e non morto come Wagner le aveva detto. "Oh, Leo! Ti amo anche io!" Esclamò di rimando, sugellando la dichiarazione d'amore di entrambi con un bacio. Di quelli che si scambiavano quando erano soli, nella loro villa a Riverdale. Prima lento, quasi innocente, poi sempre più insistente e passionale. Leonard non si tirò indietro, avendo sentito la mancanza di quelle labbra come l'aria. Era come se avesse trattenuto il fiato per tutte quelle settimane, quei giorni, che era stato lì a combattere per i francesi.

A malincuore, Leonard si staccò dalle sue labbra. "Raissa, io.... Meglio che mi fermi, altrimenti temo di non potermi controllare." Le consigliò, sentendo montare dentro di lui un irrefrenabile desiderio di baciare ogni centimetro di quel corpo e di far l'amore con lei, su quel letto dietro di loro. Ma non poteva, non dopo quello che lei aveva passato. Senza contare che aveva del lavoro da fare.

Raissa annuì appena, allontanandosi da lui. Sentiva ancora dolore per tutto il corpo, ma non si vergognava ad ammettere che avrebbe voluto passare del tempo in sua compagnia, tra le sue braccia. "Va bene." Disse un poco delusa, sdraiandosi poi sul letto di Leonard. Improvvisamente si sentì nuovamente stanca. Gli eventi l'avevano scossa tanto fino a quel punto, da sentirsi completamente svuotata. Solo il suo Leo riusciva a farla sentire viva.

"Io devo andare a perlustrare un luogo per conto del generale. Tu dormi pure, se vuoi. Sarò di ritorno prima di sera, così che possa salutarti." Le disse, avviandosi verso la porta con grandi falcate.

"Non mi hai ancora detto dove pensi di mandarmi."

Quel particolare non le sarebbe piaciuto affatto. "Lovett andrà al quartier generale francese, questa sera, a Verdun. Andrai con lui. Quando avrò respinto i tedeschi dal forte, ti raggiungerò." Le illustrò il piano, uscendo quasi subito dopo per evitare le lamentele che avrebbero portato altre discussioni inutili.

Infatti, Raissa non ebbe il tempo di replicare e lo lasciò andare, guardando con gli occhi stretti a due fessure la porta che era chiusa. Sospirò pesantemente, ripetendosi che, in fondo, era solo per il suo bene. Si addormentò nel giro di pochi minuti, sperando di non avere incubi.




Wolf's note:

Avrei dovuto pubblicare i capitoli ieri sera, ma per qualche imprevisto ho dovuto rimandare ad oggi, chiedo venia! Inoltre, avrei anche dovuto pubblicare altri due capitoli, oltre a questi, ma la fine del prossimo non mi convinceva molto, sono onesta, e quindi ho preferito rivederlo meglio e aggiungerlo agli altri che pubblicherò la prossima settimana. In modo da darvi aggiornamenti belli corposi.

Ordunque... ci avviciniamo davvero alla fine. Tra bugie, speranze, e tradimenti... stiamo quasi per giungere alla battaglia di Verdun. Cercherò, in questa fase, di riprendere i fatti realmente accaduti nella battaglia. Se qualcosa vi suona nuovo o non proprio fedele, sarà solo ed esclusivamente per scopo di trama. 

Ora non ci resta di scoprire, nella prossima settimana, cosa succederà. Se tutto va bene, dovrei riuscire a pubblicare questa Domenica, ma non vi prometto nulla! <3

Colgo l'occasione per ringraziare tutti voi lettori che continuate questa avventura con me! <3 Davvero grazie mille!

*Nota bene: Per essere ulteriormente aggiornati sulle mie storie, vi invito a seguirmi su Instagram, al seguente link: https://www.instagram.com/wolfqueens_roarlion/

Inoltre, se avete Facebook vi ricordo la pagina dedicata alle mie storie (Le memorie di Wolfqueens) dove potete trovare news, aggiornamenti, avvisi, quote da condividere, booktrailer, e molto altro ancora! Vi aspetto numerosi! <3

A presto,

Wolfqueens Roarlion.


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