❥ 𝕷a Sirenetta

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Il grande salotto aveva le dimensioni di un intero appartamento per comuni mortali. Luci basse, smorzate ad arte, creavano un'atmosfera soft che si amalgamava perfettamente alla docile selezione musicale in sottofondo. Suonava Tom Waits al nostro ingresso, me lo ricordo perché Bobbi non smetteva di canticchiare quel motivetto tristissimo mentre consegnavamo i cappotti alla guardarobiera all'ingresso.

I hope that I don't fall in love with you.

Ricordo di aver pensato che quel tipo ne doveva avere di problemi. Ma ne avevo uno anche io in quel momento: era bello grosso e si faceva chiamare Ansia dagli amici.

Probabilmente dipendeva dal fatto che mi sentissi un pesce fuor d'acqua proprio nella serata che aveva tutto il potenziale per essere la più importante della mia vita, quella della svolta, della rivalsa. Il tutto condito dalle aspettative dei più alti in grado del mio merdoso istituto e dalla disillusione dei miei compagni che nella piscina chiusa andavano a farci le peggio loscherie.

Dovevo concentrarmi solo su quello. Sulle immagini, nitide e concrete, che quel trip storto mi aveva regalato nel parchetto; sui commenti da smentire di tutti i coglioncelli all'assemblea di scuola; sulla possibilità di redenzione di un simbolo dell'abbandono di un quartiere che poteva risorgere grazie a me, una ragazza con una madre svalvolata, a me che arrancavo nella vita tra gente che mi aveva additato come troia e gente che troia mi ci aveva fatto sentire.

Era la mia cazzo di occasione di riscatto. E ne avvertivo tutto il peso sulle spalle.

Come se non bastasse, mi sentivo scomoda in quella specie di divisa da collegiale che Bobbi aveva tanto insistito per farmi indossare, per dare l'idea "a quei vecchi decrepiti" che la scuola per me fosse così importante da essere nei miei pensieri anche nella scelta dell'outfit.

Ma potevo concentrarmi su una sola cosa per volta, e in quel momento era il turno di respirare regolarmente, non di pensare.

Mi aspettavo un ricevimento tenuto in una qualche hall di albergo di lusso o un rinfresco in un prestigioso ristorante, perciò ero rimasta vagamente sorpresa quando la macchina di Bobbi, dopo aver percorso più di qualche chilometro fuori città, aveva imboccato una lunga strada privata in mezzo al nulla, fino a varcare un sontuoso e solitario cancello in ferro battuto. 

«Un po' fuori mano.» commentai all'ennesima buca che mi fece sobbalzare dal sediolino, tradendo la mia apprensione.

«Tranquilla, Pulce.» mi sorrise Bobbi di sbieco senza distogliere lo sguardo dalla strada sterrata. «Alla bella gente le serate convenzionali non piacciono, non sono come quelle a cui sei abituata tu, bambina. Anche la location deve essere altrettanto particolare.»

E lo era, particolare.

Si trattava di un'enorme palazzina di caccia neoclassica, proprietà di un magnate dell'industria tessile che aveva trasferito di recente i suoi stabilimenti nell'est europeo. Bobbi mi informò che solo pochi giorni prima si era aggiudicato un prestigioso appalto e per questo era in vena di festeggiamenti.

L'ambiente, all'interno, era un tributo all'eleganza e alla decadenza di una generazione abortita e annoiata, interessata solamente alle apparenze. Mi guardavo attorno, incantata da tutto quello sfarzo, realizzando solo in quel momento che non solo, contro ogni pronostico, il gala esisteva veramente, ma era così che era fatto: un ostentato tripudio di ricchezza, irrorata di champagne.

Uomini. Ce ne erano tantissimi. Manager e imprenditori dagli smoking impeccabili, tempie brizzolate e rughe profonde sul viso quando sorridevano. La maggior parte sembrava tra i quaranta e i sessant'anni. E tra le donne presenti era semplice individuare le loro mogli: distinte, ma dallo sguardo altero, si muovevano come se galleggiassero in un liquido vischioso e marcescente con cui non volevano avere a che fare direttamente. Erano quelle che potevano essere mia madre, solo che tenevano i segni del tempo nascosti dietro il luccichio di gioielli vistosi e i corpi maturi avvolti in sedicenti abiti da sera e pellicce.

E, se non bastava, San Botox faceva il resto.

Poi c'erano le ragazze. Erano loro che attiravano maggiormente l'attenzione, perlopiù per il contrasto grottesco della loro immagine a braccetto con persone che potevano avere il doppio dei loro anni. Ce n'era una per ogni ogni gusto: snelle, formose, minute, alte, biondine, more, addirittura un'asiatica. Tutte però in vestitini attillati, scollati, che lasciavano ben poco all'immaginazione, tacchi vertiginosi, labbra lucide di gloss e occhi ardenti e sguardi vuoti. Seni alti e sodi trasbordavano e si contrapponevano in maniera evidente a quelli siliconati che invece le attempate esibivano con meno disinvoltura.

Accompagnatrici, pensai immediatamente, portate lì per fare la figura di chi si può permettere il top del noleggio e per allietare il dopo-festa. In fondo, bastava pagare per quel genere di intrattenimento.

Di certo la loro presenza era avallata da un motivo ben diverso da quello che avevo io: loro erano lì per non far sfigurare i loro clienti, a farsi sfruttare in una gara a chi portava con sé la carne più avvenente.

L'unica cosa che ci accomunava, era la volontà di far aprire i portafogli a quei ricchi spocchiosi che rappresentavano la classe dirigenziale, ma, a differenza loro, io lo avrei fatto stretta nel mio vestiario che non regalava spazio a forme procaci e concentrata verso un obiettivo di utilità per tutti, non per un mero tornaconto personale.

Eppure, non potei fare a meno di notare che spesso le stesse occhiate sprezzanti che le mogli riservavano alle escort, queste ultime le riversavano su di me.

Mi mettevano ancora di più in soggezione. Non ero così ingenua da credere all'esistenza della solidarietà femminile o, che so, agli unicorni, ma di certo non mi aspettavo che delle bambole come quelle, che sembravano uscite da chissà quale catalogo delle fantasie maschili, potessero guardarmi in quella maniera. Come se si sentissero minacciate in qualche modo dalla mia presenza. Proprio da me, che al loro confronto non ero nient'altro che un incastro scomposto di ossa e di tendini che non avrebbe mai potuto minimamente competere con la loro bellezza in nessuna realtà parallela tra milioni di multiversi.

Ciò che mi fu immediatamente chiaro, era che mi trovavo in un regno di ipocrisia, ed era stato da stupide pensare anche solo un attimo che non fosse così.

Bobbi, dopo essersi guardato intorno, come prima cosa accorse a omaggiare il padrone di casa: un Napoleone in trionfo che dispensava sorrisi e strette di mano davanti allo spazio che conduceva a un gigantesco patio simile a un lussurreggiante giardino d'inverno. Teneva banco in mezzo a un gruppetto di cari amici, a giudicare dall'evidente affiatamento, tra i quali spiccava una venere bionda fasciata da un lungo abito rosso, ma, non appena si accorse del nostro arrivo, si congedò gentilmente dai suoi ospiti e si avvicinò per accoglierci.

«Dottor Galletti, grazie mille per l'invito. A lei e alla sua signora porto i saluti di Ursula, che purtroppo in questi giorni è indisposta. Ahimè.» esordì Bobbi, gioviale.

«Roberto, carissimo. Il piacere di averla qui è soprattutto mio, e la capisco, anzi, congratulazioni! L'arrivo di un erede è sempre un lieto evento!»

«No, dottore, no, non è quello. Non ancora, almeno. Ci stiamo lavorando ma, come vede, tarda ad arrivare.»

«Non si butti giù, suvvia! Lei è estremamente giovane, la sua signora altrettanto. Mica come queste megere qui. Sa, dopo una certa età dicono tutte di essere diventate cagionevoli di salute, ma alla fine campano sempre tanto quanto basta per seppellirci e godere dell'eredità.» ribattè il tizio, ridacchiando.

«Interessante teoria! Anche se non ci tengo a verificarla nel breve termine.»

Risero, come due preadolescenti che si raccontano la barzelletta sulla prostituta greca Mika Teladogratis. Patetici. Poi Bobbi, grazie al cielo, ritornò sul pezzo.
«Lei è Baccini, la studentessa che le dicevo. Una ragazza che veramente merita di essere tenuta in considerazione, mi creda.» mi cinse con un braccio, stringendomi appena le dita attorno alla spalla, come in una silenziosa esortazione a prendere parola.

Galletti mi squadrò da testa a piedi, soffermando lo sguardo sulla porzione di gambe nude tra l'orlo della gonnellina a pieghe e le francesine nuove. «Mi piacerebbe davvero molto approfondire, più tardi.» mi strizzò l'occhio, rivolgendomi un sorriso sporco di malizia. «Bobbi mi ha parlato del progetto, anche se il maledetto conflitto nella ex Jugoslavia continua a rendere l'economia incerta.»

«Ci mancherebbe, Dottor Galletti, è una serata di piacere, non una riunione di lavoro.»

«Esatto, questo è lo spirito. A questo punto, miei cari, non mi resta che darvi il benvenuto a questa mia umile festicciola.» scandì fingendo modestia. «Dove spero possiate trascorrere una serata memorabile.» mi scoccò un altro dei suoi occhiolini spastici, che quasi credetti si trattasse di un tic, poi io e Bobbi scivolammo di lato per permettere alla fila di postulanti di avanzare a loro volta verso il Re Sole.

Ma non riuscimmo a sgomberare del tutto il campo, che venimmo nuovamente fermati da un personaggio dallo sguardo vagamente languido, nonostante fosse ben avviato alla settantina.

«Commendator Guerra, buonasera. Ormai le occasioni in cui ho il piacere di incontrarti si riducono a queste. Abbiamo avuto una piacevole chiacchierata con tua moglie qualche giorno fa, su quel progetto.» esordì Bobbi, afferando nel contempo una coppia di flûte ricolmi di bollicine dorate dal vassoio di un cameriere di passaggio.

«Ah, Monica. Lei a fare la bella vita e io a sgobbare in azienda, respirando PVC.» ribatté l'altro con una smorfia. «Quella non vede l'ora di atterrarmi, Bobbi, te lo dico io, così sarebbe libera di prendersene uno più giovane con cui sperperare i miei soldi.»

«Male comune!» ironizzò Bobbi con un'alzata di spalle, ma il commendatore aveva già posato lo sguardo su di me, e non casualmente. «Lei è Baccini.» si affrettò a precisare il mio accompagnatore, in risposta alla sua tacita domanda. «È la studentessa dell'Alberghiero di cui ti dicevo.»

Ma con quanta cazzo di gente ha parlato di me, pensai.

«È un vero piacere, signorina. Bobbi si sta comportando bene?»

Confesso che rimasi senza una risposta pronta, così mormorai un «Sì, certo.» a mezza voce.

«Ma quanti anni hai? Diciotto, diciannove?» mi esaminò, gli occhi ridotti a due fessure.

«No, veramente diciassette, signore.»

Lui fece un passo indietro e mi squadrò con maggiore attenzione. Mi mise ancora di più a disagio - cosa che nemmeno pensavo possibile visti i livelli già stratosferici raggiunti - ma io lo conoscevo quel tipo di sguardo. Era quello di un lupo famelico. Significava "ti voglio". Significava "adesso ti prendo, Cappuccetto Rosso".

«Non è da tutte, alla tua età, buttare via una serata libera per stare con dei vecchi come noi. Questo mascalzone di Bobbi ti avrà trascinata qui, mentre magari tu preferivi startene per fatti tuoi con il tuo ragazzino.»

La sua insinuazione fu a metà fra il tono curioso da nonni e quello bavoso da uomini di mondo. Quel tono vagamente sprezzante con cui accentuò la parola ragazzino, ino, ino, lo lessi come un modo subdolo per sottolineare il fatto che io fossi una ragazzina, ina, ina.

«Non ho il ragazzo, non è un problema essere qui.»

«Meglio, meglio, altro che problema. La libertà è sempre da considerare la più preziosa delle risorse. Una studentessa... e bravo il nostro Bobbi.» commentò assestandogli una vigorosa pacca sulla spalla, manco avesse portato il Papa al suo cospetto. Poi si rivolse a me, la voce zuccherina, falsa. «E sentiamo, signorina, come vai a scuola?»

«A piedi.» provai a sdrammatizzare senza nemmeno sforzarmi a nascondere una nota acida nella voce. La conversazione mi pesava soprattutto per i suoi sguardi insistenti.

«Come puoi vedere, la nostra Pulce è una bambina cattiva.» intervenne Bobbi, sogghignando. Anziché smorzare i toni, sembrava divertirsi a gettare benzina sul fuoco.

Il commendatore si avvicinò un po'. Si protese verso di me con le mani affondate nel completo scuro di Armani inclinando leggermente la testa.
«Oh, mi piacciono le bambine cattive.» sorrise malevolo, mettendo in mostra i denti appena ingialliti dal vizio del sigaro. Si credeva attraente, forse, ma a me faceva soltanto schifo. Soprattutto per il modo in cui mi guardava, come se fossi nuda, come se avesse voluto soltanto affondare la mano nella mia camicetta castigata e pescare un capezzolo, stringermi il seno e sbattermi fino a farmi perdere i sensi.

Deglutii a quella battuta simpatica come la merda e strinsi i pugni per resistere all'impulso di mollargli un calcio nelle palle e fargliela vedere io chi era la bambina cattiva. Non vedevo l'ora di trascinare quel bastardo di Bobbi nel primo bagno e chiedergli chiaramente a che gioco stesse giocando e se ci fosse altra gente come il vecchio pervertito Guerra che mi considerava una specie di accompagnatrice male in arnese.

Ma Bobbi, come se avesse letto nei miei pensieri, finalmente aprì la bocca per alleggerire un attimo la tensione, anziché per darle solo aria.
«Non fare quella faccia, Pulce, era solo una battuta. A volte queste occasioni sono così tremendamente formali che non si vede l'ora di incontrare qualcuno di più intimo e scambiare a mezza voce un paio di frasi spiritose, tutto qui. Un po' sopra le righe, forse, ma Anselmo sta valutando se fornirci una somma discreta per il progetto, quindi a lui è concesso, no?»

«Già, il progetto...» rimarcò Guerra, accennando un sorriso che mi piacque anche meno delle sue allusioni.

«È solo uno stupido gioco tra maschi adulti, non fare la permalosa proprio con chi può dimostrarsi generoso con te.» più che un consiglio, quello di Bobbi suonò alle mie orecchie come un avvertimento, seguito però da un lieve bacio sulla tempia che mi destabilizzò come un cucchiaino di miele dopo una medicina amara. Poi si affrettò a virare la conversazione, chiedendo a Guerra dove fosse l' "Onorevole".

«Hai provato già a guardare vicino al buffet? Lo sai quanto ama ingozzarsi, quella palla di lardo.»

«Ah, quindi non è ancora di là?»

«Se non è a rimpinzarsi di cibo, sarà di là sicuramente. Personalmente, l'ho perso di vista tre scotch fa.» Guerra prese un sorso dalla coppa di champagne buttando fugacemente gli occhi per la sala, poi tornò su Bobbi più serio. «Ancora non hai risolto la tua rogna?»

«Spero di farlo stasera. Pulce, qui, ha molto a cuore il progetto, lo hai visto anche tu, e ti garantisco che sa essere persuasiva quando vuole.»

«Buon per te... Pulce.» e ci lasciò.

Bobbi mandò giù un altro bicchiere e la sua espressione si fece dolce. Mi prese addirittura per mano e mi trascinò tra la gente fino a raggiungere il buffet. Ostriche, caviale, gamberetti, chele di aragosta, polpi interi fritti e fatti a pezzetti, bicchierini ripieni di salse di ogni colore e consistenza.
«Che cos'è?» gli domandai quando ne prese uno giallo.

«Spuma di mare.» rispose, facendomi immediatamente pensare alla storia della Sirenetta. Poi intinse l'indice nella crema e, senza darmi nemmeno il tempo di accorgermene, me lo portò sulle labbra. «Assaggia.»

Ne approfittò del mio restare completamente interdetta per infilarmi in bocca il dito sporco di quella crema densa e dall'odore pungente.

«Allora, com'è?»

«Fa schifo.» risposi ancora più seccata da quel gesto e dalle occhiate rapaci della gente che catalizzò su di me. «Portami dove ti posso parlare.» spinsi tra i denti.

«Non dirmi che sei ancora incazzata per quella battuta idiota della bambina cattiva.» sbuffò lui posando di nuovo sul tavolo quel surrogato di frullato di pesce.

«È importante, B. Per favore.»

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