❥ 𝕴l Gatto e la Volpe

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Forme e colori si confondevano tra loro oltre la finestra un po' appannata dell'aula, in un'unica macchia indistinta di strada, alberi spogli e muri imbrattati di tag senza un minimo senso artistico. La mia unica fortuna, paradossalmente, era la voce gracchiante della Shifano, un sottofondo troppo di merda per un pisolino, quando a me sarebbe bastato solo sbattere le palpebre una volta di più per cadere in profondissima fase rem. Infatti, nonostante fossero passate più di ventiquattr'ore dalla mia notte in bianco, mi sembrava di non essere riuscita ancora a recuperare nemmeno una briciola di sonno perduto e mi sentivo arzilla quanto uno zombie all'alba dei morti viventi.

«Baccini.» il verso simile a quello di un gatto agonizzante mi ridestò.

Ops.
Avevo sbattuto le palpebre quella famosa volta di troppo, alla fine.

«Baccini, non te la faccio passare liscia, stavolta. Adesso vediamo se con una bella nota sul registro ti passa la voglia di sogn...»

Il suo sproloquio venne provvidenzialmente interrotto dallo sbattere impetuoso della porta contro il muro.

Evidentemente a Gino, il bidello con un occhio di vetro e l'altro sempre puntato su qualche sedere femminile, piacevano le entrate a effetto, di quelle che ti fanno prefigurare all'istante un edificio in fiamme o una retata della polizia. Poi realizzavi che mica lo sapeva, Gino, se c'erano metanfetamine nel tuo astuccio delle penne o qualche grammo di erba nascosto nella biancheria intima.

E allora ti tranquillizzavi, al massimo poteva essere divampato un incendio.

Ma era già tanto aver scampato l'ennesima nota sul registro, non si poteva chiedere troppo a quella stronza della dea fortuna: non era un incendio. Era un'assemblea di istituto straordinaria e immediata, indetta dal preside in persona.

L'aula magna brulicava di adolescenti entusiasti; urletti e chiacchiericcio indistinto erano le uniche cose che mi tenevano sveglia perché personalmente sprizzavo apatia da tutti i pori a voler sentire l'ennesimo annuncio su quale importante catena di ristorazione o alberghiera era così kamikaze da aver scelto noi come lavoratori per la stagione estiva. Perfino tra gli schiavi, eravamo piazzati parecchio male.

Una ragazza di terza prese posto accanto a me, e provò ad attaccare bottone, ma non la ascoltai minimamente. Ostentai il mio mutismo e le riservai un'occhiataccia, che però lei ignorò.
«Tu sei Pulce, vero?»

Annuii appena, con la fossetta sulla guancia sinistra accentuata dalla smorfia di fastidio. Non la degnai di uno sguardo, finsi che nemmeno fosse lì, convinta che fosse qualche brutto scherzo da parte di Fava, dato che conoscevo la squinzia di vista e sapevo che militava nel suo entourage.

«Mi hanno detto che sei un'amichetta di Luca.»

Al solo sentire pronunciare quella frase, scattai la testa su di lei, come se la vedessi per la prima volta. Era una di quelle tipe anonime che per darsi un tono si ossigenavano i capelli e si mettevano le extencion e la camicetta di una strategica taglia più piccola. Già mi stavano sul cazzo le assemblee, mi stava sul cazzo essere fermata dalle cheerleader di Luca per parlare di Luca, e ora mi stava moderatamente sul cazzo pure lei nello specifico.

«Anche se io, boh, me l'hanno detto alcune di classe mia, non è che l'ho pensato io.» aggiunse squadrandomi dalla testa ai piedi con un'occhiata eloquente. «Ci sta che con Luca non c'entri un cazzo, anzi, magari è anche probabile.»

«Oh, grazie. Adesso che mi hai svoltato la giornata, puoi anche andare a farti fottere.»

«Ma è vero che adesso gli piace il cazzo?»

«Ma a chi?»

«A Luca! Come "a chi"!? Anche a testa non sei proprio una scheggia, cocca. La cugina della Vale sta in un giro un po' così, non so se mi spiego, e dice che Luca s'è ritirato da scuola e che adesso fa i pompini a tempo pieno. È vero?»

«Povera stella, teme la concorrenza. Scommetto che, tra i due litiganti, sarai sempre tu la più brava a farli.» risposi secca, tranciando il discorso in partenza.

Finalmente il preside fece la sua apparizione sul piccolo palchetto sgangherato dell'aula magna, mettendo fine ai patimenti dell'intera platea. Mannoni lo seguiva come un cucciolo al guinzaglio con stretto tra le mani l'unico microfono dell'istituto, cimelio di provenienza antebellica. Non appena inserito il jack, emise, puntuale, il solito fischio spaccatimpani.

«Cinque fottuti anni che sono qui e non hai ancora imparato! Prima ficchi il jack e poi accendi!» raschiò la gola urlando un tipo di quinta, condendo tutto con una bestemmia.

Il chiasso scemò lentamente in mormorii, sospiri, chiacchiere sommesse, sussurri di gente che si passava opinioni su quale sarebbe stato il fantomatico argomento del giorno che aveva reso così urgente quella convocazione. Al di sopra del brusio indecifrabile e pressante, il preside prese la parola per primo.

«Ci scusiamo per aver interrotto così bruscamente le lezioni, ma abbiamo un annuncio importante da fare, che coinvolge il nostro istituto in prima linea e ci riempie di orgoglio. Non più tardi di mezz'ora fa, presso la Provincia, è stato emesso il nullaosta a un progetto di riqualificazione dell'ex piscina comunale, che abbiamo intenzione di trasformare da area simbolo del degrado suburbano a una vera e propria risorsa della nostra comunità in primis, ma anche e soprattutto della nostra scuola. Perchè proprio voi, studenti di questo istituto, sarete quelli che maggiormente ne beneficeranno. Il progetto, infatti, si intitola "Alimentazione e Movimento": il suo scopo non è solo quello di promuovere l'attività fisica e sportiva all'interno della struttura una volta avvenuta la sua bonifica, ma anche di educare a un'alimentazione equilibrata e a una dieta sana, che sono senz'ombra di dubbio i capisaldi del nostro istituto.»

Tronfio come il Duce dopo una delle vittorie negli scatoloni di sabbia africani, il Preside si dilungò parlandoci di abnegazione, sacrificio ed equilibrio tra pensiero e azione, che avevano partorito quel progetto così nobile.

Non so dire se rimasi più scioccata o più scocciata per quella infinita litania, perchè in fondo, lui di meriti ne aveva zero completo; al massimo, forse, se c'era qualcuno che poteva prendersi qualche vaghissimo merito, era quel losco di Mannoni, lì di fianco. Ma a ben vedere, l'unica con qualche merito, foss'anche aver scopato appiccicata al muro della cucina di Bobbi, ero io.

I meriti, a quello pensavo io, mentre invece in quelle menti ingolfate dei miei compagni di scuola iniziava a farsi strada l'immagine della ex piscina comunale e di tutte le bravate di cui era stata teatro. Come mille punture di spillo, mi arrivavano alle orecchie bisbigli che raccontavano di esplosioni di mitraglie di petardi, cumuli di immondizia dati alle fiamme, rendez-vous di piccole gang locali e - giuro non ne ero a conoscenza - lotte tra cani. Poi le risatine sulla possibilità di vandalizzare una struttura del genere con illegali bagni notturni in piscina, o quella di utilizzare le cabine per cambiarsi come luogo in cui consumare stupefacenti o veloci amplessi.

Risate del cazzo.

Iniziai a pensare che quella favola che mi ero raccontata ammancava della cosa più importante: del realismo. Perché poco importava quanto impegno veniva profuso nella realizzazione dell'opera, quel luogo sarebbe comunque rimasto preda di chi era nato e cresciuto nel degrado e che avrebbe inesorabilmente trascinato di nuovo nel degrado tutto quello sforzo visionario.

Poi iniziò a parlare Mannoni, accese il suo dispenser di frasi zuccherose sulle opportunità e sui sacrifici che vengono ripagati. Fu preso abbondantemente per il culo, ipotizzando che la ristrutturazione sarebbe stata fatta dalla Mannoni Muratori, imbiancata dalla Mannoni Verniciatori, e dotata di impianti della ElettroMannoni e Termoidraulica Mannoni.

«Sì, ma te credi che la ristrutturino veramente? Sei proprio scemo di guerra.» sentii bisbigliare a qualche posto di distanza alla mia destra. Evidentemente non ero l'unica disillusa autoctona di quel luogo, ma quella considerazione mi fece storcere la bocca e mi infervorò ancora di più a voler dimostrare il contrario.

Mannoni saettò diverse volte con gli occhi per la sala, poi quando sembrava avviato molto bene verso la fine del supplizio, finì dritto dritto per farmi fare pensieri omicidi.

«Tuttavia, cari studenti, occorre dire che non avremmo potuto iniziare questo percorso senza l'intuizione di una vostra compagna, una ragazza che magari appare schiva, ma che ha tenuto ben al centro l'amore per questo istituto. Baccini! Venga sul palco!»

«Schiva? Schifa, volevi dire!» ironizzò qualcuno un paio di file dietro di me.

Mi alzai controvoglia dopo varie e imbarazzanti insistenze, dirigendomi sul palco vestita come il porco mio solito, aspetto abbondantemente sottolineato da sghignazzi e battutine, nel frattempo che cercavo di non morire di vergogna per quella carnevalata.

Come una scolaretta con addosso i panni dismessi del fratello maggiore, me ne stetti lì, al centro del palco, pensando a come "presentarmi" e a cosa dire del progetto che non avessero già sbrodolato i due pezzi grossi. Pensai di dire qualcosa ad effetto, magari, ma poi guardai tutte quelle facce completamente disinteressate e mi limitai a fare il compitino.

«Penso che sia un dovere di tutti noi puntare al meglio, e cioè fornire per una buona volta il quartiere di un servizio funzionante. Cioè, mi è parsa una buona idea. Ecco tutto.»

Mancava l'inchino, ma quello che peggiorò definitivamente il mio stato d'animo fu il preside che mise il dito nella piaga della mia ansia per il finanziamento.
«La Fondazione ha stanziato una somma pari a circa settanta milioni di lire, riducendo la parte che dovremo coprire con sponsor e donazioni. Invito caldamente tutti voi, ragazzi, a contattare aziende o persone disposte a contribuire a questo nobile progetto. E ovviamente, Baccini, ci auguriamo che lei possa fare di tutto, attraverso i canali che abilmente è riuscita ad aprire, per non far sfumare le speranze.»

Essere disposta a tutto, fare di tutto.

Scesi i pochi gradini del palco mentre l'assemblea veniva tolta e tutti tornavano pigramente alle classi. Un tizio, tanto per fare il simpatico, mi disse «Pù, consiglio di marketing: pompini nei cessi a diecimila lire per i primini, ci fai il progetto e ti compri pure lo Stadio di San Siro.»

«Ma fottiti, morto di figa.» risposi, scattando.

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