❥ 𝕮rudelia 𝕯emon

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Qualche giorno dopo, Bobbi venne a prendermi alla fermata del bus più lontana possibile dalla mia scuola. I finestrini dal vetro oscurato erano tutti chiusi, l'abitacolo riscaldato e c'era quell'odore di Abre Magique appena comprato da sua moglie che ancora lo credeva la realizzazione del suo personalissimo "felici e contenti".

Invece, al maritino, piaceva farselo succhiare.

Aprii la portiera senza tanti formalismi: avevo un sonno inenarrabile e le chiappe ghiacciate visto che sembravo vestita da mia madre, con un abito blu scuro che mi arrivava al ginocchio e accollato come la tunica di una suora. Purtroppo, nonostante pizzicasse addosso per il tessuto dozzinale con cui era confezionato, era stata comunque l'unica cosa decente che avevo trovato per andare in pellegrinaggio da una dei membri della Fondazione, che Bobbi definì "di spicco", per parlare del progetto.

Mugugnai a malapena un saluto. Ce l'avevo un po' con lui per avermi fatto fare tutta quella strada inutile a piedi, che mi erano parsi cento chilometri in quelle scarpe scomodissime che indossavo, quando invece sarebbe potuto venire fuori scuola a prendermi. Ma ovviamente non dissi nulla, lui mi inibiva: aveva sempre quell'espressione scocciata di uno che aveva qualcosa di terribilmente importante da fare e che aveva dovuto rimandare per soccorrere me.

«Il marito di Monica è un industriale della plastica, uno di quei figli di puttana che hanno talmente tanti soldi che si sentono Dio. È un personaggio inavvicinabile, ma la cosa gioca a nostro vantaggio perché per le questioni di poco conto come la beneficenza lascia ampio margine di manovra a sua moglie.»

«Questioni di poco conto?» lo interruppi bruscamente, una vaga incredulità mista ad acido disappunto mi baluginò negli occhi. «È questo che pensi del progetto?»

«Mi dispiace dover essere io a stracciare il tuo libro di favole, Cappuccetto Rosso» le palpebre gli si arricciarono in un'espressione mista di rabbia e disprezzo, «ma nella vita vera a nessuno frega un cazzo se a pochi chilometri dal proprio giardino ben curato, lontano dalla piscina e dalla villa arredata da un architetto feng shui, c'è gente che vive in una discarica a cielo aperto. È sufficiente che la puzza non arrivi fino a lì, per loro. Quindi sì, finanziare il progetto, per Monica e per quelli come lei, è una questione di importanza inferiore a quale colore scegliere per la prossima manicure, nell'ordine delle cose.» Fu la prima volta che mi alzò la voce contro, la prima volta che quel velo di distaccata pacatezza che di solito lo contraddistingueva si discostò abbastanza da lasciar intravedere cosa c'era sotto.

E ricordo nitidamente come mi sentii in quel momento: mortificata.

Per colpa della mia ingratitudine e della mia diffidenza avevo offeso l'unica persona che, in fin dei conti, stava rendendo tutto possibile, l'unica persona che ci teneva a me, ai miei sogni, e che credeva nelle mie speranze.

«Scusa, io...»

«Oh, ci vorrà molto più di una parola vuota di cinque lettere per farti perdonare, Pulce.» distolse lo sguardo dalla strada solo per posarlo su di me mezzo secondo. Avrebbe dovuto sorridere almeno, o il suo tono risultare ironico. Ma non fu così, venne tutto fuori più come un grugnito soffocato, a malapena comprensibile, udibile, che un attimo dopo però lasciò il posto alla sua solita compostezza. «Ad ogni modo, Monica Guerra è una donna molto umorale, che spesso si fa incantare dalla prima impressione. Perciò se te la giochi bene e riesci a entrare nelle sue grazie, è fatta. E se io non credessi in te e nel tuo progetto, stai pur certa che non me ne starei qui, a sprecare il mio tempo ad accompagnarti.»

Fece una pausa piuttosto lunga, nella quale cercò di recuperare la calma e di rallentare il respiro. «Non ho mai preteso niente da te, Pulce, niente. Quindi smettila di stare sempre sulla difensiva con me e fidati, per una buona volta.»

Mi lasciò fluttuare confusa in mezzo ai miei pensieri, fin quando la sua berlina tirata a lucido non arrivò nei pressi della nostra destinazione: un'enorme orchestra di geometrie bianche e ampie vetrate che vantava un giardino che era il doppio, cinto da alte siepi potate alla perfezione. Il cancello automatico si schiuse e lo stradello ci condusse fino a un ampio garage, dove sostavano diverse vetture sportive e dall'aria molto costosa. Sembrava più un box della 24 Ore di Le Mans che un garage e potrei giurare che occupasse l'intera area al di sotto della villa.

Mentre camminavo, continuavo a dondolare nei miei pensieri: il trono della mia mente era conteso tra la voglia di scappare e quella di vedere concretizzarsi tutte le scene che mi erano balenate alla mente nel mio sballo solitario su quella panchina, con il pessimismo a mordermi le caviglie, che aspettava ancora avvisaglie di quello che dava per scontato, ovvero che fosse tutta una montatura orchestrata per indorarmi il cazzo di Bobbi.

Ci accolse in casa una donna filippina che si limitò a invitarci a entrare con un sorriso di cortesia stampato in faccia. Ci fece strada fino a un salone arredato con molto gusto, tra mobili d'epoca e quadri di valore a tappezzare le pareti. Oltre l'ampia vetrata, al riparo di un gazebo riscaldato, la possibile finanziatrice ci aspettava mollemente adagiata su una acapulco, con un bicchiere in mano e degli occhiali da sole che emanavano prepotentemente il messaggio: "non te li potrai mai permettere".

Lei e Bobbi si persero subito in elaborati convenevoli fatti di sorrisi e moine affettate, che ebbero il potere di farmi sentire ancora più estranea e fuori luogo in mezzo a tutta quella opulenza. Nel vederli parlare tra loro dell'ultima asta a cui avevano partecipato o delle condizioni di salute prima del padre di Ursula, poi di Ursula stessa, ignorando completamente la mia presenza, mi domandai se per caso anche la matrona potesse fare parte della macchinazione di Bobbi per continuare a darmelo.

Fiducia. Dovevo fidarmi di lui.

Continuavo a ripetermelo, ma ero troppo abituata a vivere in mezzo a gente che ti avrebbe fatto lo sgambetto pur di vederti nel fango, per poterci riuscire così in fretta.

«Lei è la signorina Baccini di cui ti ho parlato al telefono.»

Quando sentii il mio nome e rinvenni, mi trovai improvvisamente sotto i riflettori dell'attenzione della donna, come se fino a quel momento fossi stata del tutto invisibile ai suoi occhi. Snudò la dentatura sbiancata di fresco e con un gesto aggraziato della mano si tirò via gli occhiali scuri, portandosi alla bocca una delle due asticelle, senza smettere di squadrarmi con curiosità.

Fu solo allora, tolte le lenti scure, che la riconobbi, nonostante quelle note stucchevoli di profumo pregiato da incantatrice di serpenti avrebbero dovuto allertarmi già da prima.

Era senza ombra di dubbio lo stesso profumo che avevo trovato addosso a Luca l'ultima volta che ci eravamo visti, solo che, mentre fino a quel momento era stato solo una nota di sottofondo al mio disagio, improvvisamente divenne intollerabile. Mi intossicò, mi diede la nausea.

Era lei.
E Luca era la sua puttana.

Fui letteralmente ipnotizzata da questa scoperta e le tenni incollati gli occhi addosso tutto il tempo, mentre con un gesto meccanico le strinsi la mano. Sotto tutti quegli strati di fondotinta, smalto rosso e una quantità spropositata di gioielli ad abbellirla, era impossibile darle un'età precisa. Già solo le due enormi sfere di silicone che erano in bella mostra sul suo petto sarebbero bastate a convogliare su di loro tutta l'attenzione e a distrarre chiunque dal domandarsi quanti anni avesse.

La padrona di casa ci fece accomodare su uno degli imponenti divani del salotto e ordinò alla domestica di portare dell'acqua fresca per me e un bicchiere del solito per Bobbi, cosa che mi punse di un fastidio che neanche riuscii a interpretare.

Quando venni interpellata, comunque, feci bene la mia parte, anzi, quando fu il momento di perorare la causa del beneficio per il quartiere, aggiunsi alcune considerazioni molto accorate sulla fine che facevano molti dei miei coetanei, compresa la terribile piaga della prostituzione minorile. Non mi sfuggì l'occhiata interrogativa di Bobbi, per quel mio divagare dal canovaccio, ma questo, credo, non inficiò sul risultato.

La stagionata mangiaragazzi stirò un sorriso neutro. Ci fissammo per un po': l'arrapata di mezza età e la studentessa che predicava bene ma razzolava piuttosto male, in un ben poco stimolante round di Jenga psicologico, in cui il mio obiettivo era comunicarle che già sapevo quanto fosse marcia a portarsi a letto uno che poteva essere suo nipote, approfittando della condizione di povertà in cui vessava. Aveva la possibilità di comprarsi la candidatura a un posto in paradiso, se avesse deciso di darci i suoi soldi.

Alla fine parlò, perché non è nella natura umana, specialmente in quella di chi ama l'autorità, un silenzio che si protragga per un tempo superiore alla manciata di minuti. Riempire i vuoti, per gente come quella, significava avere la meglio in una conversazione, ripristinare l'ordine gerarchico prestabilito.

«Siamo già partner della Fondazione, come forse anche la signorina Baccini saprà. Di conseguenza, finanziamo già progetti di ricaduta sociale. In linea di massima il nostro sforzo termina qui.» disse in maniera fintamente desolata, «Ma sia io che mio marito abbiamo molto a cuore il futuro dei ragazzi, credo che toglierli dalla strada sia il minimo che persone con le nostre disponibilità economiche possano fare. Ne parlerò con lui, quindi. In genere non è molto propenso a questo tipo di esborsi supplementari, tu lo sai Bobbi, ma, magari, per una causa così importante potrebbe anche fare un'eccezione, chissà. Non posso garantirlo, ma gli accennerò della sua purezza d'animo e del suo slancio, signorina, che non dovrebbero mai essere soppressi, ma anzi, supportati.»

Alzò il bicchiere ormai vuoto come le sue chiacchiere e subito accorse la filippina a versarle altra Belvedere, con l'aria di chi teme di essere in ritardo rispetto al segnale ricevuto.

«Bobbi, caro, al nostro rendez-vous della prossima settimana spero di portarti buone notizie.» aggiunse dopo un piccolo sorso, sventolò la mano inanellata per aria, come se stesse scacciando una mosca, assumendo la postura di chi non ti vuole più tra le palle, ma che, per etichetta, non può dirtelo apertamente.

Ci congedammo in fretta, senza una risposta definitiva e con l'atroce consapevolezza a pesarmi nel petto che l'intera realizzazione del progetto dipendeva dalla volubilità della ricca signora a cui Luca si era venduto.

Ma i soldi non si rifiutano mai, no? Specialmente se servivano a una buona causa, poco importava che venissero dalle tasche di una che aveva bisogno di adolescenti disperati per arrivare all'orgasmo, chè mica poteva comprarsi un vibratore come tutte le normali ultracinquantenni con l'ormone imbizzarrito. E semmai lei e il suo facoltoso marito avessero deciso per chissà quale assurdo tornaconto personale di darci i loro soldi sporchi, io avrei dovuto solo ringraziarli per la loro solidarietà, il loro compassionevole aiuto con il quale si dimostravano dei così bravi cristiani. Bravi e disposti a investire anche in piena recessione, anche in mezzo alla crisi. Quelli che, insomma, i loro soldi nemmeno sapevano quanti fossero, avevano smesso di contarli perché avrebbero potuto bastare loro almeno per altre tre vite dopo quella.

La sorte mi rideva in faccia ancora una volta. Stronza.

Tutta quella fiera di ipocrisia malcelata, ogni singola parola di quella donna e il suo schifosissimo profumo da scopata con Luca continuarono a intossicarmi anche dopo. Anche mentre, ancora nel garage della villa, me ne stavo a cavalcioni sopra Bobbi e le sue mani mi spingevano verso il basso, verso l'erezione che non aveva saputo controllare neanche quella volta.

Al buio di quell'antro di cemento, dentro la sua macchina da uomo rispettabile, pugnalata dai suoi colpi di bacino sempre più incalzanti, non riuscivo proprio a togliermi da dosso quella sensazione che era la vita stessa che mi stava fottendo.

Rimase lì, non riuscirono a dissiparla neanche le sue parole oscene all'orecchio su quanto ero stata brava, su quanto ero brava, su quante cose avremmo fatto insieme, su quante cose mi avrebbe fatto lui che ancora non avevamo fatto.

Rimase lì, in un posto indefinito tra lo sterno e lo stomaco, nonostante il suo desiderio incontrollabile, pieno di ansimi e gemiti, la bocca sul mio collo, la sua mano intrufolata sotto il vestito scadente da suora a stringermi il seno fino a farmi male. Neanche me lo aveva tolto, continuava a pizzicarmi quella merda di stoffa blu.

Rimase lì, anche quando Bobbi mi artigliò per le natiche per spostarmi di lato, anche quando mi urlò di prenderglielo in bocca o sarebbe successo un casino. Non sia mai che la sua macchina facesse la fine di quel muro sporco della piscina.

Obbedii, facendomi travolgere dalla sua eiaculazione con colonna sonora di mugolii che andavano spegnendosi.
«Bimba, che favola...»

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