❥ 𝕴l Paese delle Meraviglie (chimiche)

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Qualche ora dopo, eravamo sdraiati per terra, ancora rincoglioniti dal trip e denudati dalla scopata che ci eravamo fatti.

Nonostante sapessi perfettamente che tutto era stato dettato dalla combinazione delle sostanze di cui ci eravamo ingozzati, ne avrei voluta un'altra.

Ne avrei volute altre mille.

Era stato tutto molto diverso dalla nostra prima volta e non potei fare a meno di attribuire quella differenza abissale alle pasticche.

Mentre la prima volta Luca era stato titubante e impreciso, ma premuroso e dolce perfino, in quella si lasciò andare a qualcosa di prepotentemente meccanico, quasi studiato, come se avesse seguito le istruzioni di montaggio Ikea per ottenere quello che desiderava.
Ma ciò nonostante, mi feci una goduta assurda, presa in mille modi da quello che si avviava a diventare un superbo macchinario sessuale, addizionato da carburante improprio, ma perfettamente atto all'uso.
Niente preliminari, niente carezze, niente parole dolci per avvolgere di tulle la bomboniera della sua prestazione erotica, solo nudo rapporto.

In purezza, avrebbe detto il nostro prof di cucina.

Ricordo che avevo ancora la sensazione di sentirlo dentro di me martellare riuscendo nella fantastica impresa di stimolare qualsiasi mia terminazione nervosa, mentre ce ne stavamo sdraiati tra scatole di medicinali e foglietti illustrativi stropicciati, a braccia e gambe larghe, con il cuore che rimbalzava tra le costole come una pallina del flipper impazzita e una risatina euforica, e a tratti isterica, che non riuscivo a mettere a tacere. Sentivo anche la sua, di risatina, che aveva un suono più basso e mascolino rispetto alla mia.

Ridevamo. Ridevamo. Ridevamo. Ridevamo. Ridevamo.

E allora dammene ancora. E ancora. E ancora. E ancora. E ancora.

«Pu', dai, pesca una confezione a caso, mi tira di nuovo.»

«Quel poco sangue che c'hai t'è scivolato tutto là.»

Altre capsule, una, due, tre. Feci rotolare la medicina per la depressione della vecchia Moira sulla lingua, ne tastavo la consistenza piacevole eppure insapore, giocandoci come una bambina con il suo lecca lecca. Finché non fu la lingua di Luca a intervenire e a farmela scivolare lungo la gola.

E allora lo sentii il sapore che aveva.
Il sapore della perdizione.

Avrebbe presto lasciato il posto a quello amaro del pentimento, ma in quel momento non me ne curai.

Ero sotto l'effetto perlomeno di una cazzo di droga, per non dire due, tre o sessantordici, no? Lui era nella mia stessa situazione se non peggio, no? Quindi perché non approfittarne?

Chiusi il palmo lungo la sua eccitazione. I muscoli di Luca si tesero uno ad uno, il petto gli si alzava e abbassava in ansiti di piacere, intanto che il suo collo era un groviglio di vene affusolate come quelle di una cartina geografica. Con dei movimenti, lenti, ma decisi mossi la mano su e giù regalandogli il preludio di una piccola carezza.

Non si fece trastullare per molto tempo, mi saltò addosso come se temesse che io potessi fuggire da un momento all'altro lasciandolo da solo con gli effetti collaterali. Piantò il naso in un punto tra la scapola e il collo e, quasi azzannandomi, mi penetrò con una stoccata rapida e violenta che mi fece per un attimo buttare indietro la testa per quel miscuglio promiscuo di piacere e dolore.

«Cazzo me ne frega, ho voglia di non capire un cazzo scopando.»

Quello mi penetrò la testa. Mi parve di sentire le mie ossa diventare fragili come cristallo, mi salì la paura di andare in frantumi mentre mi possedeva. Improvvisamente mi sentii un semplice esperimento chimico messo in atto da una persona mossa da una curiosità amorale.
Medicine, erezioni, penetrazioni, non erano frutto del contesto di cui facevo parte, ma del desiderio di esplorare l'intricato bosco dello stordimento, passando per la via del sesso.

Tutto quello che feci, a quel punto, fu aspettare la fine e l'inizio. La fine del suo coito dentro al mio corpo e l'inizio di una nuova incoscienza chimica.

Chissà che tra le tante pasticche ingurgitate ce ne fosse almeno una che i medici prescrivevano per i dolori del cuore. Ma immediatamente dubitai di quella speranza, dubitai anche di avercelo ancora un cuore, mi sembrava di avere al suo posto solo coriandoli di cenere.

Il suo corpo sopra al mio si spogliò anche di quell'aura magica da donatore di piacere, negli ultimi attimi divenne quasi fastidioso, quasi come un lavandino che gocciola insistentemente. Quando uscì da dentro di me, non aveva ancora finito, ma probabilmente la mia passività lo aveva stufato, riducendo il tutto a un mero sforzo fisico, più che a un qualcosa di divertente.

Usò la scusa del "non rischiare piccoli Lucapulce indesiderati" e mi chiese molto prosaicamente di masturbarlo. Lo feci controvoglia ma lo feci, poi mi alzai di scatto e mi rivestii altrettanto di fretta, dandogli le spalle, tra di noi il freddo di mezzo metro scarso di pavimento che scavalcava chilometri quadrati di lontananza mentale.

Era un abisso, e non di acque tranquille, ma di mulinelli letali e oscurità, a separarci in quel momento.

Mi girava terribilmente la testa e in camera c'era il cattivo odore dell'aria stantia, satura di fiato alcolico, sudore ormonale e sperma. Luca drizzò la schiena, seduto sul pavimento cercava di seguire i miei movimenti con lo sguardo, ma la sua attenzione si perdeva in fretta, all'inseguimento dei postumi delle pillole.

Non rideva più neanche lui.

«Ti è venuto dentro sabato? Il tipo, lì, come si chiama?»

Crack.

Lo sentii in modo chiarissimo il mio cuore congelarsi e frantumarsi nell'istante successivo.

Ci aveva pensato, allora. Aveva pensato a me che me la facevo con quel tizio al matrimonio. Lo guardai, ma aveva il solito sguardo indifferente, come se mi avesse chiesto che materie avevamo il giorno dopo.

Bobbi. Si chiamava Bobbi ed era il giorno del suo matrimonio. Aveva degli occhi da predatore e un sorriso che prometteva orgasmi come non mai.

«Non mi ricordo.» risposi.

«Meglio così.» sembrò sospirare, «Il brivido dello sconosciuto.»


• 𝐕𝐨𝐠𝐥𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐌𝐢𝐬𝐬𝐢𝐧𝐠 𝐌𝐨𝐦𝐞𝐧𝐭?
Allora corri nella mia raccolta "Le One Shot della Blonde".

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