4. È proprio quello l'Inferno? (PARTE 1)

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Vivere o morire?
La mente dell'uomo è un gioco di domino, e ogni cosa che passa per la sua testa è una tessera.
Per vivere ogni uomo diventa servo della complessità della vita di tutti i giorni. Ogni giorno si costruisce delle abitudini. Abitudini che deteriorano la sua vita e ovattano il tempo; rendendolo una inutile sequenza ordinata di ore, minuti, secondi e così via.

Ma cosa succede se questo ordine viene sconvolto?
Una domanda così sciocca. Cosa potrebbe mai accadere se l'uomo è partecipe della tanta natura meravigliosa che c'è nel mondo? La natura è il filo invisibile che lega l'uomo alla vita, che nella sua grandezza dilata e esalta i pensieri e le abitudini di ogni essere umano.

Infatti Emma, quando aveva tredici anni, veniva a godersi ogni domenica la tranquillità del bosco insieme a sua madre e suo fratello.
Dopotutto cosa sarebbe mai potuto accadere?
Era tutto così bello!

I filetti corti sotto la pelle morbida. Il suolo umido di rugiada calpestato dai piedi bagnati.
Emma gironzolava a piedi scalzi sull'erba. Le sue scarpe giacevano a pochi metri da lei. Ogni tanto si fermava in mezzo al verde, con una gamba avanti all'altra e crack! Così divertente premere e squarciare le foglie secche cadute a terra! Una curva si dipinse sul suo volto da parte a parte.

Alzò la testa. Di fronte a lei vi era una quercia dal fusto largo e possente, alta quanto due cassonetti dell'immondizia messi uno sopra l'altro. I raggi del sole filtravano oltre il reticolato di rami ondulati e fronde, e si allungavano attorno a lei. Un odore di muschio e legno le si insinuò nelle narici. Emma arricciò il naso e fece tre passi avanti.

Il sentore del legno si fece più forte. Passò la mano sulla superficie dura e rugosa del tronco. Le dita scheletriche si infilavano nelle scanalature e le unghie premevano sulle creste della corteccia, come se volessero conficcarsi in essa. Gli occhi le brillarono. Smise di tastare l'albero e si attorcigliò tra le dita una ciocca di capelli.

Chissà cosa c'era oltre quel tappeto di foglie autunnali e quel tronco che dominava il panorama...
Non poteva allontanarsi troppo dal suo fratellino e da sua madre, né tantomeno mettersi in pericolo. Ma la curiosità era troppo forte e non poté resistere un minuto di più.

Si rimise le scarpe. Un lungo e spesso ramo pendeva verso terra, allora Emma si aggrappò ad esso con una mano, mentre sull'altro lato del tronco si avvinghiò con un braccio e una gamba. Diede un calcio al terreno per darsi una spinta ed ecco che poggiò anche l'altro piede sull'albero.

Dopo aver superato circa cinque metri di tronco, vide tra le foglie una distesa piatta di prato e in lontananza una foresta di abeti. Emma gettò lo sguardo dietro di lei. Il prato era così lontano, eppure sentiva un'esaltazione meravigliosa. Il tempo sembrava essersi fermato. Una forza sconosciuta le aveva rapito l'anima: le sembrava di volare nonostante fosse immobile, tutto ciò che aveva intorno sembrava essere sospeso in un equilibrio incantato. E poi tutta l'immensità del bosco che solo il cielo sopra il suo capo poteva superare, e le nuvole leggere, e la luna sottile come un'unghia che era spettatrice di tanta meraviglia.

Tuttavia tra quegli alberi lontani si intravedeva un puntino scintillante. Correva verso la direzione della ragazzina. Si faceva sempre più vicino. Chissà cos'era...
Emma sgranò gli occhi. La ragazzina si strinse più forte alla quercia e spostò con attenzione quell'ammasso di fronde.

Il puntino scintillante era un uomo divorato dal fuoco.

Il calore gli premeva le braccia e le gambe e gli soffocava l'organismo. Il viso dai tratti spigolosi si era trasformato in una maschera di fiamme e aggressività. Quel mostro bollente fremeva tra le cosce, gli strappava i vestiti, prudeva in ogni centimetro dell'epidermide e nei piedi.
Doveva ammazzare quel mostro.
Ogni passo che pestava sul terreno era una coltellata; una coltellata che doveva sezionare, disintegrare, dissipare quel fuoco.
Correre, correre, correre!
Con tutte le sue forze, finché non fosse rimasto esausto a terra, finché non avesse messo a morte quel fuoco che lo tormentava.
Il tempo sembrava interminabile. Quel fremito, quel dannato fremito. Sembrava un insieme di mille mani che con le loro dita formicolanti pizzicavano, grattavano, torturavano all'impazzata quel corpo stanco.
No, no, no.
"Avanti, dai, continua!" si ripeteva in testa.
Ma ad ogni passo i suoi occhi sembravano sciogliersi. La vita lo stava abbandonando. E come in un puzzle il mondo cadde a pezzi, lasciando posto al buio pesto. Tutto sembrava fondersi come se avessero versato un bicchiere d'acqua su una tela di acquerelli. Il tremito del fuoco abbandonò il suo corpo. Le palpebre pian piano si chiusero. Dalla bocca usciva solo un piccolo filo d'aria. Il nodo in gola si sciolse. I piedi si muovevano sempre più lentamente e le gambe vacillavano.

L'uomo inarcò la schiena e cadde in una nuvola di polvere e cenere davanti alla quercia.
Il male era troppo forte
e non riuscì a contrastarlo.

Emma cominciò a respirare affannosamente.
Chi era? Chi diamine era quell'uomo?
E se fosse venuto lì per ucciderla?
Aprì la bocca. Delle goccioline di sudore cominciarono a rigarle la fronte. Girò la testa verso il basso e questa volta vide tutto mosso, la terra pareva lontana e impossibile da raggiungere. Scese dall'albero tutta tremante. Un mare di domande le annebbiava la vista, ma almeno una cosa era certa: doveva tornare da sua madre e suo fratello.

Si rimise le scarpe. Dopo aver corso per tutto il prato giunse davanti a sua madre Melanie e a suo fratello James, seduti su una tovaglia bianca e rossa. Melanie aveva un libro poggiato sulle gambe e raccontava una storia a James, il quale sorrideva spensierato.

Emma trasse un passo indietro. Non poteva turbare quella famiglia felice raccontando ciò che le era successo.

E se fosse stata una semplice allucinazione?
I suoi occhi non erano macchine fotografiche. Erano un insieme di meccanismi che catturavano la realtà e la elaboravano con la fantasia, producendo pensieri innaturali. Talmente innaturali da essere pericolosi e turbanti.

Emma piano piano ricominciò a espandere il torace e a respirare più liberamente. Non avrebbe confessato a nessuno ciò che aveva visto; doveva solo eliminare qualsiasi immagine negativa. Doveva credere che quella visione fosse stata soltanto un'allucinazione.

Fece un sorriso: «Sono tornata»

Un'ora dopo la famigliola era al centro del prato, sotto quel cielo macchiato di nuvole e ferito dal volo di qualche piccione. Mamma e figlio dormivano abbracciati, mentre Emma stava a gambe incrociate sulla tovaglia; e con una mano si grattava la testa.

Il bosco era sommerso dal silenzio, non si sentiva più nemmeno il cinguettio degli uccelli, nascosti tra le fronde dei cipressi. Quel silenzio faceva affogare la ragazzina nella sua irrequietezza, che continuava a grattarsi la testa.
E come neve scaglie di forfora le cadevano addosso finendo sulla manica della giacca.

Emma pensava ancora a quell'uomo.
Come poteva tenere per sé quell'orrore?
Percepiva il nero di quel petrolio diffondersi nella sua mente e smembrarle qualsiasi ricordo o pensiero felice. Avrebbe potuto chiamare sua madre; oppure correre verso quell'uomo; oppure urlargli: "Vieni da me! Voglio salvarti! Vieni da me!"
Oppure, se ne avesse avuto la capacità, avrebbe voluto strappare quelle fiamme e buttarle a terra come carta straccia.

E invece... e invece, per quanto fosse penetrante quella visione, si era fatta trasportare dalle onde dell'indifferenza sulle sabbie della codardia. Era rimasta immobile su quell'albero, mentre quelle onde l'avevano sommersa dalla testa ai piedi e mille bollicine le avevano formicolato davanti agli occhi. Una cupa sensazione di freddo, come se qualcuno avesse spento con un interruttore il sole e il corpo della ragazza fosse interamente coperto di ghiaccio.

Emma smise di torturare i capelli e alzò lo sguardo. Gli alberi si innalzavano altissimi fino a sfiorare le nuvole. Il cielo era di una tinta azzurrina simile a quella delle pareti degli ospedali. Il sole stava nascosto tra gli alberi, come se avesse paura di spandere la sua luce sul terreno. Tutto era malato, scolorito e fuso come se qualcuno avesse accartocciato il paesaggio e poi lo avesse riappiccicato con lo scotch.
"Lo spirito
gronda
di dolore"
Un eco le perforò le orecchie da parte a parte.
La voce era talmente rauca da graffiarle e ferirle l'anima di un rosso scuro. Aprì la bocca per urlare ma non emise alcun suono. Vide nero.
Cos'era stato?
Il ricordo dell'uomo di fuoco mutò in realtà,
e la realtà stava disegnando con il suo inchiostro cremisi lo scarabocchio di un incubo senza fine.
La testa rivolta verso il basso. Gli occhi sbarrati. La bocca aperta. Il respiro affannato. Il calore le pervase la schiena e il sudore cominciò a scendere dalla fronte. Le goccioline caddero a terra una a una, il volto di Emma grondava. Inspirava, espirava. Il vuoto dentro di sé. Si sentì debole e fragile come un pezzo di carta, con poche forbiciate chiunque l'avrebbe fatta fuori.
"Il tormento
è nei suoi occhi"
Una, due, tre... altre goccioline caddero a terra. I palmi delle mani erano schiacciati contro la testa. Le labbra sottili socchiuse. Le narici dilatate. Le ciglia nere che vibravano. Il volto esangue.
"Una vita
muore"
Aiuto. Non ce la faceva più, ma per non urlare si morse la punta della lingua. Un' ombra si levò in alto su di lei. Il cuore batteva come un tamburo contro il petto. La ragazzina percepiva un alito caldo e un'orribile voce sussurrarle ancora:
"Una vita
muore."
La cosa più terrificante erano sua madre e suo fratello che dormivano tranquilli e sereni. Ma non sentivano anche loro quella voce? Non sentivano anche loro quel forte calore?

Improvvisamente Emma alzò la testa e si girò di scatto. Nulla di sospetto. Nessuna presenza. Nessuna persona. Niente di niente.
"Il tormento
è nei suoi occhi"
Eppure quell'eco la tormentava ancora. Inarcò le sopracciglia. Strinse le mani a pugno conficcando le unghie nella carne.
Com'era possibile? Ancora?!

Emma si scosse il braccio facendo cadere la forfora e si alzò da terra.
"Inutile che scappi"
Camminava lungo il perimetro del prato lentamente, come se stesse seguendo una processione.
"La spugna
del male
ti assorbe"
Un'espressione stralunata le plasmò il viso.
I piedi pestavano sul terreno, come un soldato in marcia. Doveva scacciare quel dannato eco, doveva sanare la sua anima ferita e confusa.
"L'anima
arde
di dolore"

Il soffio del vento disperse le foglie degli alberi su tutto il prato e dissolse quell'eco misterioso nel nulla.

Gli occhi vitrei come quelli delle bambole, le sopracciglia simili ad ali di gabbiano, le labbra sottili chiuse in una linea orizzontale restavano immobili. La ragazzina si fermò e crollò sul prato. Sentiva sotto la pelle l'erba bagnata. Si tolse le scarpe. Le dita dei piedi erano gommose e bianche come se le avesse immerse nella varechina.

Si sdraiò sull'erba e si addormentò.

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