CAPITOLO 1 - SOCIOPATIA PORTAMI VIA

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Se avete mai avuto una relazione a distanza, saprete che Skype è la vostra salvezza! Tutte le coppie che sono costrette a subire la lontananza dalla loro dolce metà, accendono un cero ogni notte sotto l'altare della tecnologia moderna, e io lo sapevo bene, perché ero una di loro.

Diciamo che non era esattamente una relazione nel senso classico del termine, più un amore platonico che mi legava alla mia anima gemella da otto anni a questa parte.

Perché platonico? Semplicemente perché la sfortuna aveva voluto che io incontrassi l'amore della mia vita nelle vesti di una bellissima ragazza.

Vi starete domandando a questo punto se ci faccio o ci sono, ma permettetemi di spiegarvi come stanno le cose.

Sfortunatamente sono donna anche io e questo non sarebbe un problema, se la fortuna avesse deciso di assistermi e fossi stata lesbica, ma purtroppo nada de nada, etero fino al midollo, dannazione!

Quindi, quando incontrai per la prima volta, tra i corridoi di scuola, Meghan, e ci riconoscemmo reciprocamente come la metà della stessa mela, la scelta di diventare migliori amiche fu inevitabile, con la speranza, come diciamo sempre, che nella prossima vita ci vada meglio.

D'altronde, quando ti capita che camminando fianco a fianco con una perfetta sconosciuta i primi giorni delle superiori, entrambe scivoliate inesorabilmente di culo sul corridoio appena lavato perché nessuna delle due aveva visto il cartello di avvertimento grosso quanto un'insegna pubblicitaria, alla tua affermazione: "be' l'importante è scivolare con stile", quella stessa persona scoppi a ridere e ti tenda la mano per rialzarti, capisci subito che quell'incontro sarà solo l'inizio di un viaggio di disavventure da vivere insieme.

Va anche detto che con i nostri assurdi nomi sarebbe stato impossibile non instaurare un qualche tipo di legame: Meghan e Ollie. Il suo derivava semplicemente dal fatto di avere una madre americana, il mio nome in realtà sarebbe Olivia, ma per gli amici, e ormai anche per buona parte della mia famiglia, ero Ollie, perché onestamente Olivia era un nome che non si poteva sentire, senza offesa per la mia bisnonna materna da cui era stato preso in memoria, ma mi aveva sempre ricordato la tipa di braccio di ferro.

Ed eccoci qui, anni e anni dopo, con un bagaglio di avventure passato insieme e ancora un'infinità da viverne.

Eravamo nel mezzo della nostra classica convention per gli aggiornamenti settimanali. Con l'università avevamo preso purtroppo strade completamente differenti, che ci avevano portato in due città lontane: io in una piccola cittadina del centro Italia sul mare e lei in una grande metropoli del Nord, ma ciò non aveva intaccato minimamente la nostra amicizia, quello non sarebbe potuto mai succedere. Se Meghan non ci fosse più nella mia vita sarebbe come se mi strappassero una parte di me. Ci sosteniamo, ci spalleggiamo, se una delle due dice "Salta" l'altra chiede "Quanto in alto?", ci siamo e sempre ci saremo l'una per l'altra; questa è la mia unica certezza nella vita!

«Allora questa sera che combini, piccola ribelle?» alzai lo sguardo sullo schermo, incontrando i suoi grandi occhi verdi incorniciati da folte ciglia nere che mi osservavano dall'altro lato. La sua massa di ricci biondo scuro era momentaneamente domata da una coda di cavallo alta, mentre mi rivolgeva uno di quei suoi classici sorrisi genuini che mi facevano sentire a casa.

«I tempi della ribellione sono belli che morti, Meg! Ora la cosa più ribelle che faccio è andare a dormire a mezzanotte.»

Solo lei mi appellava ancora con quel nomignolo. Tutto nato dal fatto che ai suoi occhi fossi sempre stata un tipetto fuori dagli schemi. Durante gli anni delle superiori ero la classica ragazza alternativa in piena crisi adolescenziale: vestiti neri, borchie, catene, piercing, e chi più ne ha più ne metta; con tutta quella ferraglia addosso ci avrei potuto aprire una ferramenta.

Poi con gli anni mi ero calmata: fine della ribellione, via tutto l'arsenale, per il quale se mi avessero perquisita alla frontiera avrei rischiato l'arresto, e mi erano rimasti solo i gusti musicali e l'atteggiamento un po' provocatorio.

A ripensarci faceva particolarmente ridere vedere me e Meg insieme a quei tempi: io vestita in quel modo assurdo e lei invece tutta carina e femminile. Lei ballerine ai piedi, io rigorosamente Converse nere con teschi. Credo che le persone, che si fermavano ad osservarci quando andavamo in giro insieme, si domandassero come facessimo ad essere amiche, essendo il giorno e la notte. Ed era dannatamente vero, ma solo esteriormente, perché caratterialmente eravamo la copia carbone dell'altra.

«Spero tu voglia scherzare, Ollie! È sabato sera! Che cavolo fai il sabato sera rinchiusa in casa con quel pigiama antistupro che ha anche le orecchie sul cappuccio!»

"Ahia, mamma orsa oggi non mollerà. Ma io lotterò per difendere il mio diritto a rimanere in casa al caldo, e sottolineo la parola caldo, mentre fuori non voglio neppure sapere quanti gradi ci siano."

«Innanzitutto, non è assolutamente antistupro! Vuoi mettere quanti strati devi togliere prima di arrivare al mio corpo?!? Tutto ciò aumenta l'attesa e di conseguenza il desiderio.» Perorai la mia causa sfoggiando il mio pigiamone integrale color grigio a forma di gufo, corredato da occhi e orecchie sul cappuccio, mostrandoglielo in tutto il suo splendore da sotto la coperta con cui mi ero avvolta.

"Ve l'ho detto, ho seri problemi con il freddo."

«Ho capito, figlia mia, ma a vederti così gliela fai passare la voglia a qualunque uomo sulla faccia della terra anche solo di provarci a levarlo il primo strato, gli sembrerà un'impresa impossibile! E poi ti prego, ti prego! Un tutone intero?!? Almeno un due pezzi! Dagli una via di accesso a un povero uomo!» mi redarguì alzando gli occhi al cielo, esasperata.

"Oggi non molla. Devo ricorrere alle armi pesanti."

«Guarda che neanche tu mi pari vestita per andare ad un mega party, quindi hai poco da rimproverarmi. E poi fa bene alla pelle stare a casa a riposare al caldo sotto strati di coperte, e se ci metti di mezzo anche un po' di cioccolata ancora meglio. È risaputo che quella fa bene al cuore!»

"Prendi questo e porta a casa! Dai, Ollie, che stiamo vincendo!"

«Eh, no, mia cara, è qui che ti sbagli! Io sarò anche vestita come una profuga, ma tra un'ora mi cambio che c'è una festa qui nel mio studentato. E se proprio lo vuoi sapere, sai che cos'altro fa bene alla pelle?!? Ti do un indizio: inizia per "s" e finisce per "esso"!» Mi rivolse uno dei suoi sorrisi furbi, che sapeva mi avrebbero messa all'angolo.

"Cavolo, cavolo, cavolo! Sta giocando alla grande quella partita. Ok, ora rimani seria, Ollie! Non ridere... non ridere... non..."

«Ti odio, scema!» esclamai, buttando indietro la testa, tra una risata e l'altra, ormai incontenibile.

«Ma sta' zitta, lo so perfettamente quanto mi ami, non ci pensare minimamente di potermi ingannare! Dai, Ollie, non è possibile che passi un altro sabato sera rinchiusa in casa! Lo scorso fine settimana ti ho lasciata fare con quella storia della tesina per l'università che dovevi completare, ma questa non mollo. Basta a fare la sociopatica, esci, cavolo! Hai 21 anni, vai a divertirti, conosci gente... santo cielo, qualche anno fa ero io a doverti tenere e ora che sta succedendo? Guarda che non sono pronta per l'Apocalisse. Voglio vivere ancora molti anni, quindi vedi di alzare quel tuo bel culetto dal letto e uscire!» Sbuffai sonoramente, anche se aveva perfettamente ragione.

Ormai erano svariati mesi, direi dal rinizio dell'anno universitario, che non mi andava più di uscire come un tempo. Non che fossi mai stata il tipo da feste tutte le sere. Nel mio essere, come diceva Meg, "ribelle", ero sempre stata una studentessa modello, ma ciò non toglieva che il sabato ero fuori, a meno che non fossi davvero impegnata con gli studi; era il mio modo per staccare un po' la spina. In quel periodo invece non ne avevo più voglia. Trovavo tutto e tutti estremamente noiosi, nulla catturava il mio interesse. Non sapevo cosa mi fosse preso, o meglio, lo sapevo in parte, ma il problema rimaneva ugualmente: mi sentivo apatica.

Avevo smesso di frequentare i soliti amici dell'università proprio per quel motivo. Era da un anno a questa parte che stavo cercando di cambiare la mia immagine, di conseguenza avevo iniziato a socializzare con gente calma e tranquilla, ma io in ambienti simili, dove si parlava sempre e solo di studio, lezioni ed esami, anche quando teoricamente ci stavamo divertendo, non mi trovavo per niente. E pensare che avevo fatto tutto quello sforzo solo per i miei genitori. Al solo pensiero mi sentii sprofondare, così decisi di tornare a concentrarmi sulla conversazione con la mia solita aria scanzonata; tutto, pur di scacciar via quei pensieri non graditi.

«Ehi, la mia sociopatia non si tocca! Ho la tessera ormai, sono un membro onorario. E comunque non saprei che fare o dove andare.»

«Ma davvero? Chissà perché questa cosa mi puzza tanto di bugia, signorinella!» mi ammonì, inarcando un sopracciglio con fare dubbioso.

Mi conosceva troppo bene, era inutile tentare di fregarla, con lei non attaccava. Era in grado di leggere tutto di me e sapeva quando stavo mentendo.

«E va bene, è vero! Ry mi ha invitato ad una festa a casa sua 'sta sera. Gli ho detto che ci avrei pensato, ma ovviamente non andrò!» spiegai, sbuffando per l'essere stata scoperta.

Ry, o per meglio dire, Raimondo, lo avevo conosciuto tramite amici. Classiche situazioni universitarie insomma: andavi a prendere un caffè con alcuni compagni di corso e ti ritrovavi a conoscere nuove persone. Era un ragazzo molto simpatico e dovevo ammettere anche diverso dal gruppo che avevo frequentato nell'ultimo anno. La sua aria rilassata, il suo essere alla mano e prendermi in giro come se ci conoscessimo da una vita, mi facevano sentire a mio agio e mi ricordavano la vecchia me, forse anche la disgrazia che ci accumunava nel portare nomi d'altri tempi ci aveva legato immediatamente. Quando mi aveva chiesto di non chiamarlo con il suo nome di battesimo, ma semplicemente Ry, io non avevo potuto obiettare un bel niente; d'altronde gli avevo detto di fare la stessa cosa con il mio. Ma nonostante questa simpatia che nutrivo nei suoi confronti, non avevo voglia di andare alla sua festa.

«Coraggio, Ollie! Per quale motivo, no?!?» insisté la mia amica, incrociando le braccia al petto.

«Dai, Meg, conosco solo lui e non mi va di stare a fare da complemento d'arredo tutta la sera.»

«Certo, perché tu notoriamente sei un tipo timido che non interagisce con altre persone! Dai, che fosse la serata buona che conosci un tipo interessante e finalmente ti sblocchi un po'!»

"Sbloccarsi un po'" era il modo carino di Meghan per dirmi: "stai da sola da due anni, è ora che ti ributti nella mischia e ti trovi qualcuno"; pensiero che mi faceva letteralmente accapponare la pelle!

«Manco morta! Piuttosto che avere una relazione di nuovo, mi faccio sciogliere nell'acido muriatico!» ribattei sprezzante.

«Ma chi ti ha detto che ti devi trovare un ragazzo, puoi anche solo divertirti un pochino» accompagnò suddetta frase con un'alzata e abbassata ripetuta delle sue sopracciglia.

Questo era un problema della nostra amicizia: se una delle due stava per fare una scemenza, l'altra le illustrava tutte le eventuali implicazioni, ma poi la spingeva anche a farlo e ci si buttava con lei. Della serie: "oh, guarda, c'è un fossato pieno di fiamme!" e via con spinta e salto senza paracadute.

«Sfortunatamente per me sono anche nata brava ragazza, dannazione! Mai una gioia in questa vita!»

«E allora continua a farla, anche se a questo punto preferirei di no, non vorrei che mi ritornassi vergine dopo tutto questo tempo, sai che male! Ma almeno esci, interagisci con altri esseri umani che non sia io al di là di un computer! Sei bellissima, Ollie, e sicura di te. Ti prego, fammi rivedere un scorcio della luce che ti circonda di solito!» Mi guardò con il suo classico sguardo da cucciolo triste che mi implorava di darle un biscottino per renderla felice, e sapeva che io mi sarei amputata un braccio se solo l'avesse fatta contenta, mettendomi così all'angolo.

Fine del set, partita e match! Sconfitta totale! Aveva vinto lei.

«E va bene ... ci vado ... uff...» acconsentii sconsolata.

«Siiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!» Mi tolsi le cuffie, lanciandole sulla scrivania per evitare una perforazione del timpano, visto che con quell'urlo credo che Meg avesse appena abbattuto la barriera del suono.

«Ma che ti sei impazzita? Guarda che da Amplifon ci voglio passare a fare una visita verso gli 80 anni, non prima!» Lei rise di gusto, ma con una leggera nota di malinconia che solo io avrei saputo cogliere; la conoscevo talmente bene da distinguere ogni sfumatura dei suoi sorrisi. Da quello capii che fosse preoccupata per me e per il mio essermi isolata negli ultimi mesi, e io tutto avrei voluto tranne che crearle ansie o qualche pensiero di troppo.

«Che esagerata che sei! Dai, fatti carina e mettiti in tiro» mi spronò entusiasta.

«No! Che cavolo, almeno trattiamo sull'abbigliamento. È una festa in casa, non ho la benché minima intenzione di rivestirmi!» Le rivolsi uno sguardo truce che non ammetteva repliche.

Sospirò rassegnata, ma sapevo avrebbe ceduto, dal momento che non era lì con me per potermi costringere a mettermi qualche abitino o chissà quale altra trappola mortale per donne; l'avrei accontenta, ma alle mie condizioni!

«D'accordo! Ma almeno mettiti una maglia carina sopra i jeans, perché tanto lo so che ti metterai gli skins neri, mia amante dei colori. Tipo quella asimmetrica grigia che ti lascia una spalla scoperta e con quelle pietre su una parte del lato del girocollo. E ti prego, ti prego, truccati almeno un pochino» mi suppicò a mani giunte.

«Ehi, innanzitutto ho fatto passi da gigante con la gamma dei colori. Vorrei farti notare che dopo anni e anni di psicoterapia per questa mia fobia, adesso riesco ad indossare maglie blu, grigie, e ne ho anche una bianca!» asserii con estrema fierezza, dal momento che un tempo il mio armadio si riduceva esclusivamente ad un solo colore: il nero.

Si prese la testa tra le mani, ridacchiando per quella mia difesa dinanzi al banco d'accusa della moda. «Il bianco non è un colore, Ollie! Ma, sì, devo ammettere che sei notevolmente migliorata. Quel giorno che ti ho vista con quella maglia blu elettrico ho rischiato sia un infarto che di commuovermi contemporaneamente»

«Vedi, meno male che ci sei tu con me, io non so neanche che diamine sia il blu elettrico!» ridevo ormai senza ritegno.

Ma in fin dei conti avevo solo detto la verità: in fatto di abbigliamento femminile ero decisamente migliorata. Avevo addirittura dei vestitini nel mio guardaroba, che ovviamente Meg mi costringeva a mettermi quando uscivamo insieme la sera per qualche locale, altro enorme mio passo avanti, dato che, prima di conoscerla, odiavo andare a ballare. Ma con il tempo avevo compreso che, più che la musica, era la compagnia a fare la differenza, regalandoti una bella serata. Tuttavia, nonostante quegli evidenti miglioramenti, se così li volevamo chiamare, prediligevo ancora la comodità a vestiti succinti che mi potevano rendere più avvenente. Ero un'irrimediabile fedele al jeans e scarpe comode e questo non sarebbe mai cambiato; Meg d'altro canto era l'esperta di moda tra le due, quella che conosceva la differenza tra un rosa cipria e un rosa confetto, che per me già il fatto che ci fosse la parola rosa era più che sufficiente per farmi prendere un cappio per il collo.

«Dai, scrivi a Ry, avvertilo che vai e comincia a prepararti, tanto anche io devo iniziare.»

«Va bene, mammina! Tu vedi di non fare stragi di cuori questa sera, che dici tanto a me ma non mi sembra che tu abbia le mani legate da qualche manetta.»

Un modo nostro per dire che neppure lei era più fidanzata.

«Verissimo! Ma io non mi sono trasformata in un'algida donna di ghiaccio dopo la mia rottura, cioè, l'ho fatto, ma mi piace ancora sognare che là fuori ci sia qualcuno per me, qualcuno che mi voglia davvero, e nel frattempo me ne sto per conto mio e vivo del nostro amore platonico, Darling.»

Ah la mia dolce Meg, quando eravamo insieme potevamo parlare di sesso e uomini come due vecchie comari, ma sapevo che lei aveva un cuore d'oro e sognava qualcosa di più nel suo futuro: un ragazzo che sapesse amarla come meritava e nessuno più di lei era degno di trovare il suo lui, quello giusto davvero, quello che l'avrebbe fatta sorridere per il resto della sua vita.

«Non tocchiamo questo argomento, sarebbe una benedizione cambiare orientamento sessuale e finalmente abbandonare per sempre il mondo maschile.»

«Lo so, ma siamo due sfigate e ci tocca stare con questi quattro sfigati. Quindi bando alle ciance: cambiati, fatti bella e rimorchia, perché anche solo rimorchiare fa sentire meglio con se stesse, almeno ti fa pensare che non si è proprio da buttar via. E se trovi uno con cui divertirti un po' ti do la mia benedizione in anticipo.»

Roteai gli occhi esasperata dalla sua insistenza nel volermi trovare un ragazzo a tutti i costi. «Aspetta e spera, bellezza. Ci aggiorniamo domani o, se vuoi, anche durante la serata. E nel caso una delle due abbia bisogno di svignarsela, ricorda: "ho fatto bene a mettere le Converse".»

Era un nostro messaggio in codice per avvertire l'altra di chiamare, di modo da darle una scusa per dileguarsi. Quello era il messaggio di Meg per me, visto che lei e suddetta tipologia di scarpe vivevano su due mondi paralleli, mentre il mio era: "mi si è rotto il tacco", ovviamente il senso era perché io e i tacchi non ci incontravamo mai a meno che non fossi appunto insieme alla mia amica. I riferimenti alle scarpe erano voluti, proprio per intendere: "me la devo dare a gambe levate, aiutami!".

«Ovvio, buona serata e divertiti! Fai vedere a tutti chi è Ollie De Vinci!»

«Che scema, buona serata, Meg! Mi manchi!» Chiusi la chiamata con un filo di tristezza e nostalgia. Mi mancava la mia migliore amica, l'avrei voluta lì con me. Era l'unica che nell'ultimo periodo mi faceva ridere e sentire a mio agio.

Come già detto, avevo avuto una serie di problemi e non avevo più voglia di aprirmi con gli altri, o di stare in mezzo alle persone, specialmente perché mi sentivo sempre di dover mettere su una maschera da brava bambina che non mi apparteneva. Ma avevo fatto una promessa e io mantenevo sempre la parola data, quindi quella sera dovevo mettere da parte i miei problemi personali e sforzarmi per farla felice.

Presi il cellulare e scrissi al mio amico per avere l'indirizzo di casa sua. Fortunatamente scoprii essere vicinissima a dove vivevo io, il che implicava niente mezzi di trasporto e che potevo tornare quando volevo.

D'accordo, sarei andata, sarei rimasta una mezzora, poi tanti cari saluti a tutti e avrei ripreso il mio pigiamone, mi sarei ributtata sotto le coperte con una bella puntata di The Big Bang Theory e una tazza di latte caldo.

Sì, era indubbiamente un piano perfetto sotto tutti i punti di vista: avrei fatto felice sia Meg che me. Ma, nonostante ciò, non riuscivo a togliermi di dosso una brutta sensazione, senza capirne il motivo. Scrollai le spalle come per scacciare via quei pensieri incomprensibili e cominciai a cambiarmi.

"Coraggio mia amata sociopatia, si va a una festa questa sera!"

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