CAPITOLO 2 - MA CHE DIAMINE...

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Ci avevo messo meno di 10 minuti a piedi a raggiungere la casa di Ry. Trovarla era stato estremamente facile, dal momento che si trovava vicino al forno che rimaneva aperto fino a tarda notte in centro e da cui qualunque studente faceva tappa fissa la mattina per concludere una bella serata con il classico cornetto. Poi diciamo anche che mi era bastato seguire la musica sparata a tutto volume che si sentiva fin dalla strada, per giungere al portone giusto.

Bussai ripetutamente, ma era praticamente impossibile che qualcuno potesse sentire qualcosa lì dentro. Sospirai. Stavo per riprovare, quando la porta si spalancò di colpo e un tipo ne uscì correndo verso l'altro lato della strada a testa bassa, chinandosi poi su se stesso per rimettere sul marciapiede.

"Ah, andiamo bene, andiamo proprio bene", pensai, osservando la scena con un mix di disgusto e pena.

"Regola numero 1, pivello: non si beve mai fino a dare di stomaco. A casa ci devi tornare con le tue gambe, basta sapersi fermare un bicchiere prima, ragazzino!"

Scossi la testa, finché una voce familiare non catturò la mia attenzione. «Ollie! Sei arrivata, finalmente!»

Mi voltai, ritrovandomi davanti il padrone di casa che mi stava raggiungendo dall'altro lato della stanza, con addosso un maglioncino nero e grigio a coste sopra un paio di blue jeans. Era un ragazzo alto poco più di me, capelli corti castano chiaro, con due occhi color mogano, non esattamente bello, ma direi nella media. Studiava fisioterapia e aveva un anno più di me. Come avevo detto ci eravamo conosciuti tramite amici, nello specifico tramite un ragazzo che frequentava la mia facoltà, e il quale era un suo ex coinquilino.

Non ci capitava di uscire spesso insieme, perché avevamo comitive diverse ai tempi, prima che io decidessi di rinchiudermi nel mio piccolo mondo, ma ogni tanto se lo beccavo in giro, come quel pomeriggio nella biblioteca della mia facoltà, mi invitava a una delle sue feste.

Fino ad allora avevo sempre declinato l'invito perché avevo altri programmi, o più semplicemente mi ero stancata di trovarmi con persone che non facevano per me, ma lui non se l'era mai presa per quei miei continui rifiuti, perseverando le volte successive.

Gli sorrisi quando mi si parò davanti. «Vedo che ci andate giù pesante a queste feste. Il tuo amico mi sa si è divertito troppo, poveretto!» Scherzai, indicando il tipo dall'altro lato che in quel momento si era seduto per terra con la testa tra le mani.

"Ah andiamo alla grande, bello!"

Ry lanciò uno sguardo oltre le mie spalle, scuotendo la testa e sghignazzando. «Non tutti reggono bene i fiumi d'alcool che ci sono in casa, o altri semplicemente esagerano. Spero non ti abbia spaventata.»

«Ma figurati, mi dispiace solo per lui che domani starà uno straccio» risposi unendomi al suo divertimento, per fargli capire che non c'erano problemi.

Non ero una che giudicava. A mio avviso ognuno poteva fare ciò che voleva nella sua vita, poi che io non volessi seguirne l'esempio era un altro conto. Ero sempre stata per la filosofia: "contento te contenti tutti", anche perché mi era sempre parso da ipocriti giudicare il comportamento altrui e non focalizzarsi sul proprio.

Riflettendoci in quel momento, e osservando la situazione, forse in tutta onestà dovevo ammettere che avevo rifiutato i vari inviti del ragazzo dirimpetto a me anche per questo: erano feste tipiche a cui un tempo andavo, e forse inconsciamente avevo temuto che rimettere piede in un ambiente simile mi avrebbe fatta solo pentire del mio patetico tentativo nell'ultimo anno di essere chi non ero; potevo già sentire la morsa del rimorso attanagliarmi il petto.

«Dai, ma che fai ancora qui sulla porta? Entra che si gela fuori!» Si fece da parte per lasciarmi libero l'ingresso.

Varcai la soglia, ritrovandomi in una sala-cucina molto grande. Se avessi dovuto definire quella casa con una parola avrei scelto "underground". C'erano bottiglie di ogni tipo e dimensione su tre mensole sospese sopra il divano a forma di L in pelle nero, la cui superficie era leggermente rovinata, ma d'altronde eravamo in una casa di studenti, già avere un divano simile era un lusso. Altre si stagliavano sopra il mobile dove era incassata la Tv a schermo piatto, come dei trofei di guerra conquistati dopo le innumerevoli feste che si dovevano essere svolte lì. Le pareti bianche erano ricoperte da varie scritte fatte a mano con la matita, anche se non riuscivo ancora a leggerle chiaramente da quella distanza. Il resto delle mura erano tappezzate con cartelli stradali, bandiere, e scorsi anche una transenna gialla ai piedi della scala che conduceva al piano di sopra.

"Una transenna?!? Ok, questa casa è decisamente caratteristica!"

«Wow! Che dire, avete una casa... davvero unica!» esclamai sorpresa, continuando a guardarmi intorno.

«Sì, ci divertiamo a riportare a casa diversi bottini dalle nostre scorribande notturne post serate. Ma vieni, ti faccio poggiare il cappotto che qui dentro si muore di caldo.»

Non aveva per nulla tutti i torti. Con una rapida occhiata in giro vidi che c'erano molte persone, probabilmente più di una ventina, e per quanto potesse essere una sala ampia si asfissiava un po'.

Superammo il divano e un tavolo lungo che probabilmente era stato addossato alla parete per fare spazio in vista della festa, stracolmo di bottiglie d'alcool di ogni tipo e cibo che andava dalla pasta fredda, alla pizza, panini, patatine, bruschette e chi più ne ha più ne metta. La cucina che si trovava proprio oltre il tavolo era piccolina ma funzionale, con una penisola e degli sgabelli in ferro simili a quelli dei bar. Anche lì bottiglie e bicchieri campeggiavano a perdita d'occhio.

Sì, quella era decisamente una delle feste a cui sarei andata un tempo.

Sulla destra della cucina c'era una scala che saliva in alto il cui accesso era bloccato dalla transenna che tanto mi aveva incuriosita. Alla sinistra invece un'altra rampa scendeva verso il basso. Proseguimmo oltre l'accesso che conduceva al piano inferiore, ed entrammo in una minuscola stanza che era una sorta di salottino-studio, con solo un divanetto e una scrivania.
Lì giacche e cappotti erano sparsi in ogni dove. Mi tolsi il piumino blu notte, passandolo al mio amico che lo posizionò sopra quello degli altri invitati.

«È molto grande per essere una casa per studenti, quanti siete a vivere qui?» chiesi incuriosita, riflettendo sul fatto che quell'appartamento avesse anche un piano superiore e uno inferiore.

«Siamo in 4, ma talvolta un nostro amico si ferma per certi periodi da noi e diventiamo 5. Questa diciamo che è la sua stanza quando viene.»

«Capito. Allora, dopo tutte le volte che ti ho dato buca cominciamo pure con questa festa!» dissi, aprendomi in un sorriso per fargli intendere che mi sentivo a mio agio e che non mi sarebbe servita una balia durante la serata, dato che conoscevo solo lui.

Per quanto avessi provato ad usare quella scusa con Meg, era una scemenza. Io sarei riuscita a parlare anche con un cinese nella sua lingua natia se fosse servito per fare conversazione.

«Bravissima, così si fa! Andiamo a prenderci qualcosa da bere!»

Ritornammo sui nostri passi, dirigendoci verso la cucina dove mi accomodai su uno dei 4 sgabelli, l'unico in realtà rimasto libero. Vicino a me era seduto un ragazzo biondo, capelli a spazzola, molto carino, ma non lo avevo visto benissimo in viso poiché era impegnato a fare conversazione con due ragazze al suo fianco, ciascuna seduta sui restanti posti. Una moretta tutta curve e l'altra rossa molto alta, chiara di carnagione e con il viso cosparso di lentiggini, anche se credo che molte fossero coperte dal fondotinta.

"Ah, amica, come ti capisco", pensai. Probabilmente non ne avevo tante quante lei, ma anche io me ne portavo dietro una buona dose, a causa della mia carnagione che definivo "color carta"; un vampiro mi faceva un baffo al confronto. Se quando andavo al mare non mettevo la protezione 50 ero una donna morta, o meglio, una donna ustionata. Quante estati passate con Meghan che appena uscivo dall'acqua mi sgridava affinché rimettessi subito la crema protettiva, in particolar modo dopo uno spiacevole incidente durante il quale mi ero dimenticata di usarla, finendo così per scottarmi a tal punto da non riuscire a stare neppure seduta.

"Meg!" presi il telefono per verificare se mi avesse cercata, e infatti trovai un suo messaggio.

"Oh, qua ci sono due fighi pazzeschi, ora che faccio? Mi si sono seduti entrambi vicino!"

Non avevo dubbi che ci stessero provando entrambi con la mia amica. Lei era bellissima! Anche in quello diciamo che eravamo due bellezze diverse: lei bassina con curve nei punti giusti che facevano rigirare i ragazzi tre volte, bionda, con un viso d'angelo contornato da labbra carnose e due occhi verdi che ti avrebbero stregato. Io alta, mora, ma zero curve nella parte superiore, madre natura mi aveva concesso solo un lato b decente e chiunque diceva avessi un viso particolare per via dei miei occhi ambrati e della loro forma particolare che mi faceva sembrare straniera. Insomma, ero un tipo. Ma non ditelo a Meg altrimenti mi avrebbe fatto una testa tanta su quanto fossi bella.

Risposi velocemente al messaggio, sorridendo:

"Io opto per la teoria di nonna: digli che hai un buono della Coop prendi 2 paghi 1 :P"

La risposta fu immediata:

"Ahahahah, Santa Nonna, lei ha capito tutto dalla vita! Divertiti mia piccola ribelle e vedi se anche da te fanno gli sconti 2x1, non si sa mai! P.S. ci accontentiamo anche di uno, eh! Non siamo avide! Ti voglio bene :*"

Risi tra me e me. Sì, ci servivano decisamente altre sedute da mia nonna per i suoi preziosi consigli sul mondo maschile. Fidatevi, quando trovavi una donna di 80 anni che parlava di sesso come nulla fosse, ti potevi solo inchinare al suo cospetto.

«Che c'è di così divertente?» La voce di Ry mi riscosse da quei ricordi, riportandomi al presente.

Alzai gli occhi dal cellulare, per poi metterlo via. «Nulla, la mia migliore amica che dice un sacco di scemenze.»

«Allora, è la tua prima esperienza nella DAMNED HOUSE, cosa ti posso offrire?» mi chiese, aprendo le braccia come ad abbracciare tutto il bancone in laminato grigio pieno di alcool di ogni genere.

Scandagliai le varie bottiglie presenti: di vino c'era solo del rosso e a me il rosso non andava molto, quindi andai sul classico, una volta adocchiata la bottiglia di gin.

«Un Gin Lemon, brav'uomo, per favore!»

«Subito, signorina!» Si mise immediatamente all'opera, prendendo lo shaker, il gin e la lemonsoda. Poi afferrò un tipico bicchiere da cocktail, che riempì con del ghiaccio, e infine procedette alla preparazione del drink.

«Ehi, Matt! Non credo di averti mai presentato Ollie, giusto?» proruppe il mio amico, rivolgendosi al ragazzo seduto accanto a me, il quale si voltò prontamente, squadrandomi da capo a piedi con quei suoi occhi blu intenso, per poi arricciare le labbra in un sorriso sghembo che era tutto un programma sui suoi pensieri.

«No, Ry, non mi hai mai fatto questo onore. Ciao, io sono Matteo, Matt per gli amici, e sono il suo bellissimo coinquilino», si presentò porgendomi la mano e continuando a scrutarmi farmelico.

"Ah, no, bello, stai sbagliando lato del bancone!" pensai, guardando le due tipe sedute vicino a lui che si erano accigliate seguendo la scena. "Da questo lato non si cucca proprio! Sarai anche carino, ma fidati qua non c'è storia, perdi tempo."

Strinsi la sua mano, nonostante i miei pensieri, stampandomi in volto uno stupido sorriso per educazione. «Piacere, Ollie!»

«Allora, che cosa studi, Ollie? E perché Ry non ti ha mai portata a nessuna delle nostre feste? Che facevi, amico, la nascondevi?»

«Studio Economia e, no, Ry non mi ha né nascosta, né sequestrata. Diciamo che avevo altri impegni: quando voi facevate baldoria qui, io la facevo altrove. Insomma abbiamo fatto il "gioco dell'uva": ognuno a casa sua.»

Non era propriamente vero, dal momento che il mio "fare baldoria" oramai consisteva nello starmene rintanata in casa, ma era meglio non rivelare certi segreti.

«Ora che sei venuta a una delle nostre feste sappi che non ne uscirai più, è un circolo vizioso. E poi non ci possiamo lasciar scappare una bella ragazza come te.» Rifece quel suo sorrisetto da provolone, che mi stava inducendo un desiderio innato di prenderlo a sberle.

"Ok, ora basta con queste scemenze! Se c'è una cosa che non sopporto, sono i complimenti per far colpo. No, ma davvero?!? Sul serio?!? C'è ancora qualche scema a cui dici che sei bella e ci casca pure? Ma non scherziamo proprio! Ok, via con la "castrazione verbale" e tanti saluti. Scusami, amico, ho problemi con il mondo maschile in generale, non ce l'ho con te in particolare."

«No, tranquillo, qui è pieno di belle ragazze, non vi mancherò di certo» replicai con tono soave, avvicinandomi a lui.

Le sue pupille si dilatarono ad ogni centimetro che percorrevo con il busto proteso nella sua direzione, come anche il suo sorriso, credendo ingenuamente di aver fatto colpo.

"Povero sciocco, non sa chi ha davanti."

Giunta a distanza di sicurezza, gli sussurrai con voce malefica, per non farmi sentire dalle altre due ragazze:
«Ti do un consiglio, Matt. Anche se ti ho appena conosciuto mi sei simpatico. Battutine del genere con me non attaccano e facendole, nel frattempo, stai perdendo la battaglia sull'altro fronte, quello che invece questa sera puoi vincere. Rifocalizzati sull'obiettivo o altrimenti vai in bianco» ammiccai nella direzione delle due tipe che intanto sorseggiavano i loro cocktail con aria sempre più cupa.

I suoi occhi guizzarono alle sue spalle, per poi tornare nei miei. «Mi sei simpatica, sai?!?»

«Anche tu, Matt! Ora però vai campione e porta a casa il premio!» detto ciò mi fece l'occhiolino e tornò a concentrarsi sulla moretta che scoppiava di gioia per essere tornata al centro delle sue attenzioni.

Sorrisi sollevata; in fin dei conti era un bravo ragazzo che sapeva stare allo scherzo, mi piacevano i tipi che non se la prendevano.

Mi girai verso il barman di casa che nel frattempo se la rideva per la scena a cui aveva assistito, porgendomi il mio drink.

Lo afferrai, portandomelo alle labbra per prenderne il primo lungo sorso. Era fresco, anche se un po' forte.

Alzai il bicchiere in segno di brindisi in direzione del mio barman personale per complimentarmi. «È ottimo!»

«Grazie, cara. E scusa Matt, lui ci prova con tutte» rivelò, portandosi una mano al lato della bocca e abbassando la voce per non farsi sentire dal suo coinquilino.

Mi limitai a ridere a quella sua affermazione, per poi dedicarmi al liquido contenuto nel bicchiere che ancora stringevo tra le mani. «Tranquillo, lo trovo molto simpatico. Si vede che è un tipo alla mano.»

Notai che intanto la rossa se ne era andata e Matt si stava alzando dallo sgabello per condurre la morettina al centro della pista da ballo improvvisata in mezzo alla sala. Si girò verso di me un attimo e mi fece l'occhiolino, indicando la ragazza che lo precedeva. Alzai il pollice, mimando con le labbra un "Vai Campione!". Buttò la testa all'indietro lasciandosi andare a una risata, per poi tornare a rifocalizzarsi sulla sua conquista.

«Credo che anche tu gli sia simpatica.»

«Fa bene, ha ottimi gusti allora!» scoppiammo a ridere insieme a quelle mie parole. Sì, quelle erano decisamente persone con cui mi trovavo a mio agio.

Ma mentre mi stavo iniziando a perdere in queste riflessioni, una voce alle mie spalle ruppe quel nostro attimo di ilarità. «Ehi, Ry, fammi un Long Island!»

Il proprietario di quella richiesta si era accomodato vicino a me, al posto lasciato vuoto dal don Giovanni di casa. Poggiò le braccia rivestite da una polo verde bottiglia, che faceva pendant con i suoi occhi, sul bancone della penisola, per poi passarsi una mano tra i capelli castani tagliati corti ai lati e più lunghi in alto, con l'intento di risistemare quel suo ciuffo un po' scompigliato che gli stava ricadendo davanti al viso incorniciato da un accenno di barba.

«Certo che se per una volta alzassi quel tuo culo, Andrew, e te lo facessi da solo, non ti farebbe per nulla male», berciò il ragazzo al di là della cucina, rivolto al mio nuovo compagno di sgabello.

"Andrew, Matt, Ry?!? Ma che diamine di nomi hanno in questa casa?!? Cioè, io e Ry almeno siamo giustificati dallo scempio dei nostri nomi anagrafici, ma loro?" rimuginai tra me e me.

«Naaa, e perdermi te che fai la brava massaia dietro i fornelli per una volta? Questo mai! Anzi, dove hai messo quel bel grembiulino rosa che ti abbiamo regalato per Natale con le presine abbinate?» Ry gli lanciò addosso uno strofinaccio, il quale però venne afferrato al volo dal suo bersaglio, che scoppiò a ridere mentre riponeva l'arma con cui stava per essere colpito sullo schienale dietro di sé.

«Ollie, questo coglione qui è il mio altro coinquilino, Andrea, ma tutti noi lo chiamiamo Andrew, così non si sente escluso, anche se puoi fare tranquillamente a meno di ricordarti il suo nome. Imbecille, questa è la mia amica Ollie, ci siamo conosciuti un anno fa tramite Tommaso, fanno la stessa università», ci presentò il mio amico.

«Ah, Economia, eh?!? Anche Luke, uno dei nostri coinquilini, fa la tua stessa facoltà. Io invece sono al terzo anno d'Ingegneria Chimica.»

«Luke?!?» chiesi, non riuscendo più a trattenere quella mia curiosità nei confronti dei loro nomi.

«Ah, sì, in realtà si chiama Luca, ma come avrai capito, ci piace storpiare un po' i nostri nomi con dei diminutivi.»

Perfetto, potevamo creare ufficialmente il "club dei ragazzi italiani con i nomi meno italiani" e io ne facevo anche parte, maledizione!

Ma mentre divagavo nella mia mente in merito alla faccenda dei nomi, i due esplosero in una risata roboante che mi lasciò basita.

«Scusa, Ollie, ci avrai presi per pazzi. È che quando Andrew ha detto che Luke studia Economia non ho retto. Diciamo piuttosto che è iscritto ad Economia, poi che studia è una parola grossa.» Si scambiarono uno sguardo di intesa, scuotendo entrambi la testa e ridacchiando sommessamente, sotto il mio sguardo perplesso.

Ok, a quanto pare questo Luke non era un grande studioso, ma non vedevo motivo per ridere come matti, anzi, mi faceva anche pena il ragazzo in questione e neppure lo avevo mai visto in vita mia.

«Luke è proprio un tipo, quando lo conoscerai capirai il perché del tutto» cercò di spiegarmi Andrew, cogliendo il mio sguardo attonito.

«Ok...» Non seppi davvero cos'altro aggiungere a quel punto, così cominciai a far vagare i miei occhi alla ricerca di qualcosa da fare, e fu in quel momento che, intercettando una delle scritte che mi avevano colpite all'inizio, decisi di dedicarmi alla lettura di qualcuna di esse. Alcune erano frasi di canzoni, altre citazioni di libri, altre ancora, onestamente, non sapevo a chi o a cosa attribuirle.

«È carina questa cosa dello scrivere sui muri. Dà un non so che alla casa, e immagino faccia anche da intrattenimento per gli ospiti che si metteranno a leggerle quando vengono qui per la prima volta» dissi mentre scorrevo con gli occhi, sulla parete davanti a me, il ritornello di "Kill Rock N' Roll" di una delle mie band preferite, i System of a Down.

«Sì, è una cosa che ha iniziato a fare Luke una sera. Prima l'aveva limitata alla sua camera, poi ha cominciato ad invadere anche la sala e alla fine ci siamo uniti a lui» mi spiegò con calma, Ry.

Stavo per domandargli da quanto tempo avessero iniziato quella pratica inusuale, ma le parole mi rimasero incastrate dietro le labbra semidischiuse a causa di un urlo dirompente che mi fece sobbalzare sullo sgabello per via dello spavento preso; per poco non mi venne un infarto. Chiunque fosse stato aveva appena superato con la voce anche la musica a tutto volume che si diffondeva nella stanza.

«EHI, È QUI LA FESTA?!?»

Alzai gli occhi verso la scala che conduceva al piano superiore, poiché quella voce mi parve provenire da lì, e infatti i miei sospetti vennero confermati quando vidi scendere un ragazzo a tutta velocità e saltare la transenna che bloccava l'ingresso a piedi uniti.

Per un attimo temetti che si sarebbe rotto l'osso del collo, invece la scimmietta, che aveva appena fatto la sua comparsa, sopravvisse al suo salto senza paracadute. Tutto quello che vidi furono un paio di spalle avvolte in una maglietta a maniche lunghe leggera di cotone color carbone e una massa di capelli ricci neri sulla testa, che una volta tornato in posizione eretta alzò le braccia al cielo per urlare ancora: «GIRO DELLA MORTEEEEE!»

"Ma che diamine..." pensai, osservando quella scena a occhi sgranati.

Tutti i presenti urlarono e strepitarono come pazzi. Io invece ero alquanto interdetta da quello che i miei occhi e le mie orecchie stavano captando, limitandomi a fissare la scena in silenzio.

Andrew scosse ripetutamente la testa ridacchiando, per poi avvicinarsi al mio orecchio e dirmi con semplicità: «Ti presentiamo Luke!»

«Ah...» Fu tutto ciò che riuscì a proferire, visto che ancora ero sotto shock e non riuscivo a collegare parole e fatti insieme.

Il tizio scimmia si voltò nella nostra direzione, per dirigersi a passo spedito verso la cucina oltre la penisola dove si trovava Ry. Prese 5 bicchierini da cicchetto e li cominciò a riempire fino all'orlo di ogni tipo di liquore presente sul bancone: gin, rum, vodka, vino e wisky. Completata l'opera mise le mani dietro la schiena, per farsele legare con uno strofinaccio dal mio amico. E mentre tutti urlavano "GIRO DELLA MORTE" in coro, lui cominciò a prendere suddetti bicchierini solo con le labbra e a tracannarli uno dietro l'altro senza fermarsi.

Io guardavo quella scena praticamente paralizzata. Ribadisco che non ero né una moralista né una perbenista, ma comprendete anche la situazione: un pazzo era salto giù dalle scale, neanche fosse parente di King Kong, urlando Dio solo sapeva che cosa e si era appena scolato 5 cicchetti a braccia legate in un secondo proprio davanti ai miei occhi, e comprendete anche che tutto ciò era avvenuto in meno di un minuto, di conseguenza il mio cervello stava ancora cercando di elaborare la situazione, quindi permettetemelo.

Finì l'ultimo bicchierino, gettandolo a terra; fortunatamente era di plastica. Si fece sciogliere le braccia e le alzò al cielo trionfante, mentre tutti gli invitati acclamavano il vincitore. Mi riscossi da quello stato di trance in cui ero caduta, serrando la mascella, che a quanto pare mi stava per cadere al suolo, e iniziando a scrutare attentamente il tizio che era riuscito a mandare in blackout i miei neuroni: matassa di ricci in testa che non avevano un inizio, una fine, un dove, e un come, occhi neri come due ossidiane che dire che erano inquietanti sarebbe stato un eufemismo, per non parlare del bel corredo di occhiaie che si portava appresso. E... be'... per il resto non c'era proprio nient'altro da aggiungere. Era oggettivamente brutto. Uno di quelli che se non avesse messo su questo spettacolino non avrei guardato neppure per tutto l'oro del mondo.

Si asciugò la bocca con un tovagliolo, per poi prendere una sigaretta dal pacchetto nella tasca posteriore dei jeans ed infilarla tra le labbra, accendendola. Prese un tiro profondo, buttando fuori il fumo nella mia direzione. Cominciai a muovere la mano per dissipare quella densa nuvola di nicotina.

Fortunatamente mi ero un po' ripresa e le mie sinapsi avevano deciso di tornare a collaborare, perché nel frattempo, Ry, stava procedendo con le presentazioni.

«Ehi, Luke, questa è Ollie, l'amica di Tommaso, quella che fa economia con lui e che ti ha prestato gli appunti di statistica.»

"Cooooooomeeeeee? Fermi tutti! Quando ho prestato degli appunti a questo tipo qua?" mi domandai nella mia testa, ma non ebbi il tempo di cercare nei meandri della mia memoria di anziana rincitrullita qualcosa che mi ricollegasse a questo tizio che lui puntò quei suoi occhi scuri su di me. E tanto meno ebbi il tempo di proferire parola, che suddetto squilibrato, alias il figlio illegittimo di King Kong, fece il giro della penisola per buttarsi ai miei piedi, facendo una sorta di ovazione con le mani neanche fossi una divinità scesa tra gli umani.

Di nuovo: "ma che diamine..."

Sì, avete capito bene, mi si era proprio gettato ai piedi mentre io ero rimasta seduta su quel dannato sgabello con lui in ginocchio dinanzi a me a porgermi i suoi maledetti ossequi e a venerarmi.

«Grazie, grazie, grazie, sei la mia salvatrice!» farneticò lo schizzato. E in tutto ciò ovviamente le persone intorno a noi non si potevano perdere questa meravigliosa ed esilarante scenetta con me povera vittima, che veniva importunata e venerata da uno sconosciuto con evidenti disturbi della personalità.

Finalmente la scimmietta, pardon Luke, si alzò in piedi, afferrandomi le mani in una presa salda, per portarsele al petto. Mi fissò intensamente con quei suoi cavolo di occhi neri come la notte che mi stavano facendo una paura del diavolo, e terminò il suo sproloquio con un: «Grazie, tu mi hai salvato!»

Io non sapendo più che fare balbettai un: «Pr...prego»

Mi sorrise radioso, e fu in quel momento che percepii uno strano odore dolciastro che non riuscivo a collegare a qualche fragranza a me nota. Liberò finalmente le mie mani dalle sue, voltandosi lentamente per prendere un bicchiere colmo di non so cosa gli avesse preparato Ry e, con passo tranquillo, si diresse come nulla fosse successo sull'altro lato della stanza, verso il divano, appoggiandosi di schiena contro il muro e iniziando a chiacchierare con il ragazzo biondo al suo fianco.

Io ero momentaneamente sotto shock, ma nel caos della mia testa cercai di fare mente locale e ricollegare i fatti assurdi appena accaduti con le informazioni a mia disposizione, e in un attimo trovai il filo conduttore: Tommaso. Lui mi aveva chiesto quegli appunti di statistica moltissimi mesi prima per un suo amico e io glieli avevo gentilmente prestati, non sapendo che poi sarebbero andati a finire nelle mani di una scimmietta urlatrice strafatta di crack.

Va bene essere riconoscenti, per carità del cielo, ma un semplice "grazie" senza tutta quella pantomima, sarebbe stata cosa gradita e giusta!

«Scusalo, Ollie. Luke è un tipo... un po' assurdo, ma ti assicuro che è simpatico! Diciamo solo che ama lasciare interdette le persone» cercò di tranquillizzarmi il povero Ry, che di certo non aveva colpe per avere un coinquilino squilibrato.

Mi ricomposi, sfoggiando un sorriso disteso. «Tranquillo mi ha solo colto di sorpresa.»

«Era fatto, non è vero?» domandò Andrew, ridendo sommessamente, mentre si portava alle labbra il suo Long Island.

«E quando mai non sta un po' fumato» rise di rimando il suo coinquilino.

"Aaah, andiamo bene! Ecco spiegato l'odore dolciastro e pungente! Perfetto, potevo aggiungere questa serata a uno degli eventi della mia vita: venire venerata come una divinità da un pazzo strafatto, fatto!"

Scossi la testa, cercando di cacciar via i pensieri e gli eventi appena accaduti e tornai a concentrarmi sul mio drink, sorseggiandolo nel tentativo di rilassarmi un po'. Ma proprio in quel momento partì una delle canzoni dei System of a Down, che mi lasciò piacevolmente sorpresa, anche se era un classico, Chop Suey. Iniziai a canticchiare solo con le labbra il ritornello: "I cry when angels deserve to die" ma, scrutando la stanza, incrociai lo sguardo di Luke dall'altro lato e mi resi conto che anche lui stava facendo la medesima cosa. Lo fissai accigliata per un secondo, ma distolsi immediatamente lo sguardo, tornando a bere dal mio bicchiere.

"Quel tipo mi inquieta! Non so se è solo per il gesto da folle appena compiuto, o sono quei suoi occhi che sembrano due pozzi senza fondo, ma sicuramente ha qualcosa che mi mette a disagio."

«Luke non vuole proprio mollare sul togliere questo genere di musica durante le feste, eh?!?» chiese sarcastico, il mio amico, mentre era intento a preparare un altro cocktail.

«No, è inutile cercare di fargli cambiare idea su questo, lo sai come è fatto» ribatté Andrew, tamburellando con le dita il ritmo della canzone sul piano scuro della penisola.

«Ah, almeno anche se non è sano di mente ha buoni gusti musicali» affermai, non riflettendo sul senso delle mie parole.

I due ragazzi ammutolirono di colpo, fissandomi con tanto d'occhi.

"Cavolo, cavolo, cavolo! Il filtro bocca cervello, quando dannazione mi ricorderò di tenerlo sempre inserito. Mannaggia a me e a quando madre natura ha deciso di farmi difettata, con un filtro che ogni tanto dimenticavo di tenere al suo posto per non far uscire qualunque genere di assurdità che affollasse la mia mente!"

Fortunatamente quello stesso silenzio venne interrotto da uno scroscio di risate da parte degli stessi ragazzi che lo avevano creato, facendomi così tirare un sospiro di sollievo.

«Oddio, Ollie, ma se riesci a reggere Luke e la sua musica del cavolo allora puoi essere nostra amica! Di norma le persone lo gestiscono per una sera, poi la maggior parte fuggono spaventate. Comunque glielo devo proprio dire che hai concordato con lui sulla musica, per una volta ha qualcuno che lo spalleggia.» Andrew sembrò sereno nell'affermare ciò, ridendosela tra sé e sé.

Forse pensava che sarei fuggita urlando dopo la scena che, come avevo deciso ribattezzarla nella mia testa, si chiamava "dell'altare della divinità e della scimmietta impazzita". Io obiettivamente ero più preoccupata che loro se la potessero essere presa perché avevo dato del fuori di testa al loro amico, ma a quanto pare non era un problema.

"Oh, be', meglio così!"

Mi accorsi in quel momento di aver finito il mio drink. «Ehi, Ry, dov'è il bagno?» chiesi, necessitando di un attimo di fuga; la mia sociopatia mi stava chiamando a gran voce dopo tutto quello che era successo.

«La porta a fianco a quella dove ti ho fatto lasciare il cappotto» mi indicò con un cenno del capo.

«Grazie!» risposi, alzandomi dalla mia postazione stabile e dirigendomi verso un angolo finalmente isolato e lontano da tutto e tutti.

Entrai nel bagno, facendo scattare con un rumore secco la chiave nella serratura della porta dietro di me e premendo l'interruttore della luce posto al suo fianco. Persi un respiro profondo, per cercare quietare il senso di disagio e stordimento causato dagli eventi di pocanzi. Estrassi il telefono dalla tasca dei miei jeans, controllando l'orario sul display illuminato: erano solo le 2. Credevo davvero fosse passato più tempo e di potermela già svignare da lì più in fretta possibile.

Obiettivamente, con quello che era appena accaduto, avrei potuto ricorrere alla mia ancora di salvezza e mandare l'S.O.S. in codice a Meg per andare via, ma poi lei avrebbe sicuramente voluto sapere quello che era successo, rovinandole così la serata.

"No, non posso! Non voglio che si preoccupi! Resterò un'altra mezz'ora, poi dirò che domani mattina ho da fare e devo svegliarmi presto. Ok, il piano può funzionare, niente di complicato."

Mi stavo divertendo con i ragazzi, non lo negavo, ma l'essere stata messa al centro dell'attenzione come poco prima mi aveva decisamente turbata; ultimamente necessitavo sempre più di tempo da passare da sola.

Mi sciacquai velocemente le mani, giusto per fare qualcosa, in uno dei due lavabi del mobiletto in legno del bagno, rimirando per un attimo il mio volto leggermente stanco nell'enorme specchio a muro postovi sopra. Tamponai le goccioline d'acqua rimaste con l'asciugamano rosso appeso a un gancio laterale, prima di far ritorno dagli altri. Ma non appena spalancai la porta, la quale fece una leggera resistenza, qualcosa di bagnato e appiccicoso mi si rovesciò addosso sulla maglietta.

"Ma che..." alzai lo sguardo verso l'ombra scura che vedevo torreggiare su di me, mentre la macchia sulla mia maglia si allargava sempre di più a ogni secondo che passava, scoprendo che quell'ombra apparteneva al pazzo squilibrato di prima, e che quel qualcosa di bagnato che mi era finito addosso era in realtà il suo cocktail, che emanava un forte odore di vodka.

«Merda, scusami! Stavo per entrare in bagno, ma te hai aperto di colpo la porta e non ti ho proprio vista... merda!»

"Su una cosa a quanto pare eravamo entrambi d'accordo, ovvero sul "merda"."

Guardai nuovamente il mio maglione grigio ormai fradicio e sospirai rassegnata; avrei decisamente fatto meglio a restarmene a casa con il mio pigiamone quella sera.

«Tranquillo, non l'hai fatto apposta, non ti preoccupare.» Riposizionai i miei occhi su di lui, rivolgendogli il sorriso più conciliante possibile, onde evitare inutili discussioni che di certo non volevo avere con la scimmietta idolatrice di divinità.

Peccato che a quanto pare le mie labbra inarcate falsamente all'insù non ebbero l'effetto da me sperato, visto che il folle in piedi davanti a me iniziò dapprima a guardami stranito, per poi passarsi una mano tra quel groviglio di capelli scuri, sospirando come se fosse lui quello esausto dalla situazione tra i due. Non mutai minimamente il mio sorriso forzato, sperando di concludere lì quello scambio di battute con lo squilibrato, ma a quel punto, come se non avesse fatto cose sufficientemente assurde quella sera, mi prese per un polso e iniziò a trascinarmi a passo spedito su per le scale del piano di sopra, ordinandomi di seguirlo con un lapidario: «Andiamo!»

Io rimasi interdetta come una cretina per l'ennesima volta durante quella cavolo di serata che sembrava non avere mai fine, lasciandomi tirare nella direzione da lui stabilita.

"Oddio, ma perché una volta che esco deve succedermi tutto questo? Quasi erano meglio gli amici noiosi che parlavano solo di università e della casa al mare, giuro! Li rivoglio indietro!" la mia mente ormai divagava nelle sue lande desolate, ancora sconvolta dagli eventi che si stavano susseguendo.

Finalmente tornai in me, tentando di opporre resistenza puntando i piedi, anche se con scarsi risultati, dal momento che il mio rapitore era decisamente più forte. «Aspetta! Ehi, dove stiamo andando?»

«Ti do una felpa pulita delle mie. Sei la mia salvatrice, non vorrei mai che fossi incazzata con me» disse, facendosi largo tra la folla per raggiungere il suo obiettivo.

«Non sono affatto incazzata con te» ribattei con il tono più calmo possibile, che avevo imparato a utilizzare nel corso degli anni.

«Oh, sì, che lo sei, te lo si legge in faccia!» mi rivolse un sorrisetto da "so tutto io" da sopra la spalla che mi stava istigando ad appiccarlo a testa in giù e a fustigarlo per giorni interi.

"Ma che cavolo vuole, questo qui? Non mi si legge proprio un bel niente in faccia, ma tra poco gli farò leggere le mie cinque dita sulla sua!"

Rivolsi uno sguardo supplice ai due ragazzi che conoscevo mentre sfilavamo velocemente davanti il bancone della cucina, ma loro si limitarono a fissarmi accigliati, spostando i loro occhi ripetutamente da me al loro coinquilino e viceversa.

Intanto, lo psicopatico, che a quanto pare soffriva anche di manie di grandezza, era riuscito nel suo intento di portarmi al piano di sopra. Appena misi piede oltre la soglia di quella stanza rimasi del tutto esterrefatta: un tetto a spiovente e un lucernario appesovi come un quadro a regalare uno scorcio del cielo stellato mi lasciarono senza fiato. Era una camera minuscola. Lo spazio era a malapena sufficiente per il letto, che in realtà era un semplice materasso buttato a terra e rivestito da lenzuola blu scure, e un tavolinetto nero basso postovi di lato. I muri erano completamente ricoperti di scritte, che lasciavano intravedere a malapena il bianco dell'intonaco tra l'una e l'altra, e infine il disegno di una sorta di angelo o demone di spalle, seduto su di una roccia, saliva fino al soffitto.

Io gli avevo dato per tutta la sera dello squilibrato, ma quella sembrava davvero la camera di un pazzo rinchiuso in qualche manicomio. Un forte odore dolciastro e pungente giunse alle mie narici, pizzicandole leggermente. Era lo stesso che avevo sentito provenire da lui poco prima, e questo mi fece rammentare il motivo per cui non sarei dovuto essere lì: erba.

Mentre continuavo a far vagare i miei occhi su quelle quattro mura, incuriosita dalle parole tracciatevi sopra, il ragazzo al mio fianco aveva preso dal mucchio di panni posti alla rinfusa sul letto una felpa blu scura a tinta unita con il cappuccio.

«Tieni! Cambiati la maglia. Io intanto torno di sotto. Tu scendi subito quando hai fatto e non toccare nulla!» mi intimò, lanciandomi la felpa e ridiscendendo di corsa le scale.

Giuro che io avrei voluto rispondergli a tono, ma quel ragazzo ti spiazzava! Andava ad una velocità tra pensiero e azione che era tutta sua; non riuscivo a stargli dietro neppure per poterlo insultare.

Frustrata dalla situazione e decisa a non restare neppure un secondo di più né in quella casa né in quella camera, mi cambiai alla velocità della luce e tornai subitanea al piano di sotto, non prima però di aver dato un'ultima occhiata al lucernario. Mi diressi a passo spedito verso la cucina dal mio amico per salutarlo.

"Basta! Io c'ho provato, e mi sono anche divertita fino ad un certo punto, ma a quanto pare non era davvero serata per uscire."

«Ollie, tutto bene? Ma che diamine è successo con Luke poco fa? Perché ti ha portato in camera sua?» Ry sembrava abbastanza sconvolto da ciò a cui aveva assistito. Gli avrei voluto dire che quella sconvolta sarei dovuta essere io, ma preferii glissare.

«Mi ha rovesciato il suo drink addosso mentre uscivo dal bagno, così mi ha portato di sopra per darmi una sua felpa. Immagino fosse un suo tentativo di scusarsi» spiegai sinteticamente.

Andrew strabuzzò gli occhi. «Che strano... di norma non permette a nessuno di andare in camera sua.»

«Ah, ma allora sono proprio fortunata questa sera. Sono la prescelta!» dissi con evidente sarcasmo, alzando gli occhi al cielo.

Cercai di calmare il nervosismo prendendo un respiro profondo e ricordando a me stessa che quei due ragazzi non c'entravano nulla con quanto appena accaduto. «Non importa, tanto stavo andando a casa che domani mi devo alzare prestissimo, purtroppo. Sono uscita giusto per fare qualcosa.»

«Se vuoi ti accompagno» si offrì prontamente, Ry.

«No, no, stai tranquillo! Abito a neppure 10 minuti a piedi da qui. Ci vediamo questi giorni, così ti restituisco anche la felpa del tuo coinquilino» detto ciò, diedi un bacio sulla guancia a Ry e ad Andrew, per poi apprestarmi a recuperare il mio cappotto nella stanza accanto, pronta finalmente a mettere un punto a quella serie di sfortunati eventi.

«Ehi, però la prossima settimana torni a una delle nostre feste e questa volta resti di più!» mi urlò Ry dalla cucina mentre mi dirigevo verso il portone d'ingresso.

«Contaci!» risposi con un sorriso e alzando il pollice della mano destra in alto.

"Contaci che non torno con quel matto in circolazione!" Questa fu in realtà la vera risposta che avrei voluto rifilargli.

Zigzagando tra la folla non scorsi né Matt né la brunetta tutte curve; buon per lui, a quanto pare il mio nuovo amico aveva fatto centro quella sera.

Mi feci largo a forza tra la calca di persone e finalmente riuscii ad uscire all'aria aperta. Tirai un sospiro di sollievo, non appena la fredda aria notturna di quei primi giorni di inverno mi investì in pieno viso, pensando di essere finalmente in salvo.

Ma se c'era una cosa che dovreste sapere di me, è che io e la sfiga andavamo a braccetto.

«Buonanotte, mia salvatrice!» Ed eccola nuovamente la voce che quella sera aveva deciso di perseguitarmi, facendomi impazzire.

Non lo sapevo più neppure io perché mi girassero, francamente, ma arrivata a quel punto avevo capito una sola cosa, ovvero che con quel ragazzo le reazioni devono essere immediate. Così tolsi il mio filtro bocca cervello e, incamminandomi lungo la via leggermente illuminata dai lampioni posti di lato, gli risposi senza voltarmi. «Buonanotte, scimmietta strafatta!»

Mi diressi verso casa con il suono alle mie spalle della sua risata, la quale riecheggiò beffarda in quella serata che si era tramutata in un vero e proprio cataclisma abbattutosi sulla mia vita.

"È proprio un cretino!"

Allora, per chi si trovasse a leggere questa storia qualche piccola delucidazione: il personaggio di Luke nasce con l'intento di ribaltare lo stereotipo classico del badboy, ovvero del "bello e dannato" come spiego nella presentazione del libro, perché parliamoci chiaro, se uno è bello non può essere anche dannato! Troppa roba! :D Pensate a Baudelaire, lui era il poeta maledetto per eccellenza e di certo, seppure scrivesse come un Dio, non era un gran figo! :D A parte gli scherzi, è un idea che nasce per creare un personaggio leggermente differente dal solito. Se ne avete voglia e tempo fatemi sapere cosa ne pensate! Buona giornata a tutti!

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