CAPITOLO 19 - STO TORNANDO DA TE STRISCIANDO

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Continuammo a ridere anche durante il tragitto di ritorno, con lui che mi prendeva in giro per alcuni miei passi sulla pista da ballo, e io che facevo altrettanto. Arrivammo finalmente davanti il portone di casa mia, ma io non volevo che la serata volgesse al termine; non mi sentivo così bene da anni.

«Dai, sali! Non ho per niente voglia di andare a dormire. Vediamoci un film o ascoltiamo un altro po' di musica. Se mi metto a letto con tutta questa euforia rischio di ribaltare il materasso» dissi per persuaderlo, rigirandomi intorno all'indice l'anello del portachiavi che produsse un suono metallico.

Gli occhi di Luke rilucevano di divertimento e del mio stesso desiderio di non far terminare ancora quella notte.

«Dai, fai strada, topino ubriacone!»

Inserii le chiavi nella toppa e, una volta richiuso il portone, ci dirigemmo verso il mio appartamento salendo le due rampe di scale. Giunti a destinazione, andammo diretti in camera, dove ci togliemmo i cappotti, gettandoli sopra il piumone color panna, insieme ai nostri corpi.

«Posso mettere qualche brano? Stare in quel locale con della buona musica dal vivo mi ha caricata troppo» gli chiesi, sporgendomi per afferrare il pc dalla scrivania e accenderlo, prima ancora del suo consenso.

«Va bene, basta che non dobbiamo ballare di nuovo, perché i miei giorni da John Travolta sono finiti. E guai a te se dici in giro che ho ballato! Sappi che negherò fino alla morte!» mi ammonì in modo burbero, ma allo stesso tempo con un leggero sorriso in volto, probabilmente a causa dei ricordi dei nostri balli a dir poco imbarazzanti.

Alzai gli occhi al cielo, tornando ad armeggiare con il mio portatile. «Che esagerato! Ma come vuoi tu, e pensare che con quei piedini così aggraziati ero convinta avessi fatto danza classica da piccolo.» Mi arrivò una cuscinata dritta in faccia proprio nell'attimo in cui si accese lo schermo che avevo tra le mani. Rimasi sbigottita da tale affronto.

«Non ti azzardare mai più, scimmietta, o quel cuscino te lo faccio finire in gola, mi sono spiegata?» Lo guardai con la migliore faccia cattiva che mi venisse in quel momento, puntandogli un dito contro, ma dovevo essere stata davvero poco convincente, dato che lui si mise a ridere.

«D'accordo, topino permaloso. Senti, non è che avresti una birra?»

«Sì, dammi un attimo che te la vado a prendere» acconsentii, facendo partire una delle mie Playlist, di cui la prima traccia era "Unholy Confessions" degli Avenged Sevenfold.

Mentre il brano iniziava a diffondersi per la stanza a volume basso mi alzai per andare a soddisfare la sua richiesta. Neppure a dirlo, al mio ritorno lui stava fumando alla sua solita postazione. Gli passai la bottiglia verde della Heineken già stappata, per poi andarmi ad accomodare sul letto con la mia, iniziando a sorseggiarla. Smisi di far scorrere sul mio palato quel liquido ambrato quasi immediatamente, sostituito dal flusso dei miei pensieri che avevano iniziato a dirottare verso i ricordi della discussione avuta con i miei genitori; probabilmente l'effetto dell'alcool stava scemando.

«Ehi, Luke... cosa c'è di sbagliato in me? Perché non vado bene così come sono?»

O forse no, visto che i miei pensieri fluivano liberamente passando per le mie labbra.

Lui non parlò, si limitò a guardarmi da lontano per qualche secondo. Spense la sigaretta nel suo posacenere tascabile e poggiò sulla scrivania la bottiglia che aveva nell'altra mano, venendosi a sedere vicino a me. Avevo iniziato a giocherellare con l'etichetta della mia birra, ma lui me la tolse mettendola da parte, sostituendo il freddo della superficie in vetro con quella calda e morbida della sua mano, la quale andò ad intrecciare la mia, accarezzandone il dorso dolcemente con il pollice. Io glielo lasciai fare senza protestare, perché in quel momento di tristezza alcoolica un po' di contatto umano non mi faceva per nulla schifo.

Dopo un silenzio che sembrò non avere mai fine, finalmente si decise a parlare.
«Non c'è nulla di sbagliato in te, Ollie. Tu sei solo diversa da come i tuoi genitori vorrebbero che fossi, ma questo non vuol dire che tu non vada bene. So che può suonare come una frase fatta questa, ma devi ricordare che ognuno di noi lotta costantemente con il desiderio di accettazione e la paura di non soddisfare le aspettative altrui. Io stesso ammetto di avere problemi in questi termini, anche se mi ripeto tutti i giorni che me ne sbatto di quello che pensa la gente di me. Per lo più come pensiero funziona, ma non quando penso ai miei genitori e ai miei nonni. In quei casi mi sento in grande difficoltà anche io.»

«Ti mancano?» domandai fievole, osservandolo di sottecchi.

I suoi occhi erano lontani dai miei, persi in un mondo fatto di ricordi mai costruiti e solo immaginati, ma quella domanda lo ridestò, portandolo a concentrarsi sulle nostre mani unite e su quel suo cadenzato movimento che sembrava entrarmi sotto pelle.

«Ti sembrerà strano, ma... sì, mi mancano ogni giorno! Anche se non li ricordo assolutamente perché ero troppo piccolo quando sono morti. Però mi capita spesso di chiedermi se sarebbero fieri di me e tutte quelle stronzate là, se mi conoscessero ora. E nella mia testa balena sempre un no grosso come una casa. Ma quelli che più so di deludere, anche se a differenza dei tuoi genitori non me lo fanno pesare, sono i miei nonni. Loro sono tutto per me, e so di non essere stato all'altezza delle loro aspettative.»

Quel ragazzo era l'emblema della dicotomia. Da un lato aveva una sicurezza di sé, un coraggio, e una capacità di vivere la sua vita come meglio credeva, infischiandosene degli altri, che me lo facevano quasi invidiare, ma dall'altro lato mostrava una fragilità e una sensibilità che talvolta erano più spiccate delle mie.

«Io non credo che tu li abbia delusi. Per quel poco che mi hai parlato di loro sembrano persone fantastiche, che ti hanno insegnato a sognare e a perseguire ciò in cui credi. E te lo dico nonostante la maggior parte delle volte ti comporti come un pazzo schizzato dalle mille personalità. Ma ritengo che anche quello sia un modo, anche se ribadisco un po' inquietante, di esprimere chi sei. Quindi finché continuerai a essere semplicemente te stesso non sarai mai una delusione per loro. Ma non gli racconterei se fossi in te che fai lo stalker nel tempo libero, quella non è una cosa che rende felici le nonnine.»

Luke finalmente aveva deciso di concedermi i suoi occhi, dopo quel mio monologo che esaltava sia le sue qualità che la sua innegabile follia e ne parve sinceramente colpito e, come di consueto, anche divertito. Ormai ero praticamente il suo clown personale.

«Credo che questa sia la cosa più carina che tu mi abbia mai detto, topino, a eccezion fatta della parte del pazzo schizzato dalle personalità multiple.»

Non mi ero accorta che mentre ci stavamo scambiando i nostri pensieri in sottofondo fosse partita "Do I Wanna Know" degli Arctic Monkeys e mentre sentivo il pezzo che recitava:

"That the nights were mainly made for say things that you can't say tomorrow day"

Pensai che calzasse a pennello con quella nostra situazione, visto che davvero per noi le notti sembravano essere state create principalmente per dire cose che non si direbbero il giorno dopo.

«Prego, è solo quello che penso, sciocca scimmietta con disturbi della personalità!» lo blandii, incurvando gli angoli della bocca verso l'alto.

Lui abbassò per un secondo lo sguardo, celando l'imbarazzo provato per quel mio complimento bizzarro, per poi riposarlo con una lenta risalita su di me. Solo che non so cosa successe in quell'attimo in cui i nostri occhi si trovarono a collimare, forse furono i dannati Arctic Monkeys, che con le parole di quella canzone stavano dicendo cose che noi non osavamo neppure pronunciare, sta di fatto che il divertimento di pocanzi scomparve dai nostri volti, rimanendo a fissarci senza che questa volta uno dei due volesse abbandonare il molo che era diventato l'altro.

Sapevo di dover distogliere i miei occhi dai suoi, sapevo che non dovevo lasciarmi sprofondare in quelle pozze nere come la notte che mi avrebbero fatto perdere la via del ritorno.

Ma quando sulle prime quattro parole del ritornello lui si avvicinò e posò le sue labbra sulle mie, quelle quattro dannate parole "Crawling back to you" divennero una verità, perché io mi sentii davvero di stare tornando da lui strisciando. Perché quelle labbra avevano un sapore di casa che io non sapevo di conoscere. Perché il suo profumo mi parve così familiare e allo stesso tempo così nuovo. Mi stava portando alla deriva e mi riconduceva ad un porto sicuro allo stesso tempo.

Quel bacio era qualcosa che non mi aspettavo.

Mi sembrò di essere tornata al faro, in balia di una tempesta che sembrava volermi far sprofondare sotto le onde imperiose delle sue mani, che stavano passando tra i miei capelli per poi discendere inesorabili lungo tutta la mia schiena facendomi rabbrividire. Il vento impietoso di quella burrasca dei sensi si innalzò ulteriormente quando il suo classico odore dolciastro giunse alle mie narici, ottenebrandomi la mente molto più di qualunque droga al mondo. Il mulinare frenetico delle nostre lingue mi fece sprofondare del tutto in quelle acque che portavano il suo nome, e più quel bacio si prolungava e diveniva profondo, più io perdevo un brandello di me in lui. Mi aggrappai al suo corpo per paura di non riuscire più a ritrovarmi, di non riuscire più a tornare in superficie dopo essermi smarrita in lui. Le nostre labbra rallentarono quel viaggio verso terre inesplorate, fino a fermarsi del tutto, lasciandoci occhi negli occhi ansanti.

Avevo la testa completamente sottosopra, le mie mani erano ancora strette intorno alla sua maglietta e percepivo sotto di esse il calore del suo corpo che si irradiava fino al mio. Neppure lui sembrava intenzionato o anche solo capace di staccarsi da me, e continuava a tenermi avvinta a sé. I suoi occhi neri come una notte senza stelle continuavano a fissarmi in silenzio, e fu in quel momento che compresi perché avessi odiato così tanto guardarlo dritto in faccia sin dal primo momento: quelle sue tormaline nere sapevano incatenarti e trascinarti nel loro mondo di silenzi e parole non dette. Mi aveva lasciato scorgerne un frammento di quel suo universo interiore in quei pochi minuti, ed io già sentivo di averci lasciato una parte di me che non avrei più potuto riavere indietro. Eravamo bloccati come sotto una campana di vetro, dove il tempo aveva smesso di scorrere. Ma, purtroppo, come tutte le cose, quel nostro momento si infranse in mille pezzi quando lui si decise a parlare.

«Devo andare!»

Due parole, non disse altro, a differenza mia che invece non riuscii a tirar fuori neppure una sillaba e continuavo a fissarlo inebetita mentre prendeva il suo giubbotto e si dirigeva alla porta. Si fermò per un attimo sullo stipite, voltandosi per guardarmi un'ultima volta. Sembrò intenzionato a voler aggiungere qualcosa, ma optò per passarsi una mano sul viso confuso ed esasperato al tempo stesso, per poi tornare sui suoi passi.

Io ero del tutto in trans, non riuscivo a capire che accidenti fosse appena successo. Mi riscossi solo quando udii il tonfo sordo della porta di casa che veniva chiusa, e tutto mi piombò addosso.

"Oddio, l'ho baciato! Oddio, e la cosa non mi ha fatto per nulla schifo! Oddio, non ho mai provato nulla di simile in vita mia! Oddio, perché lui è fuggito in quel modo neppure avesse fatto irruzione la DIGOS per perquisirlo? Io di certo non indossavo un passamontagna!"

La testa mi pulsava a tal punto da credere che mi sarebbe scoppiata da un momento all'altro. Mi lasciai cadere di schiena sul letto esausta e ancora incredula per ciò che era appena avvenuto. Quel bacio era stato una rivelazione, una scoperta di qualcosa a cui non osavo né tanto meno volevo dare un nome ma, sicuramente, era stato qualcosa.

Coprendomi gli occhi con un braccio, nel tentativo vano di tenere il resto del mondo lontano e non vedere in faccia la realtà dei fatti, mi chiesi se un bicchiere d'alcool in più, potesse farmi dimenticare anche di quel bacio.

Il fatidico bacio è finalmente arrivato! Così la smetterete di minacciarmi ogni volta ahahah :D Sappiate che questa scena per me è stata difficilissima da scrivere. Io sono un animo anti-romantico, quindi ogni volta che mi sono trovata a scrivere di cose simili, dovete immaginarmi mentre sbatto ripetutamente la testa davanti al pc sulla mia scrivania e mi domando: "Perché, perché devo scrivere di queste scemenze, ora mi sale il diabete e poi sto male!" :D Infatti non ho potuto rinunciare alla mia ironia con i pensieri di Ollie alla fine ;) Prima di salutarvi, vi avviso che il prossimo capitolo sarà in compagnia di Meghan... io inizio già a ridere pensando a quello che le dirà dopo che Ollie avrà vuotato il sacco, ma cosa più importante, vi propongo qui una nuova filastrocca di un genio della poesia a cui probabilmente questa sera dovrò fare una seduta di psicoterapia dopo che averà letto questo capitolo... perdonami @sepmgg e grazie per questa tua splendida opera che si intitola: "L'ODIO AL MARIANGELO":

C'era una volta una ragazza

che se la vedevi non sembrava pazza

Si chiamava JJLane dei palazzi

e leggeva storie sui bonazzi

Un giorno decise di scrivere una storia

E così ci mandò i cervelli in aria

Perché in questa storia vi è un MARIANGELO

E una strafiga che ci azzeccano spiegatemelo.

Ma la scrittrice è molto sadica

e si sente anche simpatica.

All'inizio io l'ho letto e mi sono divertita

ma ragazzi adesso mi sono pentita.

Lui è brutto e fa arrampicata

ha trovato una bella addormentata.

Ollie è bella ed intrigante,

e lo trova anche interessante.

Di questa storia io sono l'unica salva,

spero che il MARIANGELO dal tetto salta.

Lui è scimmia, pinguino e panda

ora io mi faccio una domanda.

Di tutti i belli e procaci,

proprio al MARIANGELO piaci?

Io Ollie ti do un consiglio,

trova subito un nascondiglio.

Salvati da questa tragedia immane,

ci pensa JJLane a lanciargli le banane.

AHAHAHAHAH Scusate ma è tutto il pomeriggio che più la leggo e più rido!:D E ora i saluti! Oggi passiamo all'Ungherese... incrociamo tutti le dita...

 HOGY  A KöVETKEZő PIZSAMA!  

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