CAPITOLO 9 - IL METODO DI NONNA

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«Fammi capire bene, tu quindi sei salita su una scala al secondo piano su di un tetto?»

«È la centesima volta che te lo ripeto! Sì! Sono salita su quella dannatissima scala, su quel dannatissimo tetto in piena notte, per ficcarmi nella camera dello stesso stalker dell'altro ieri, a vedere serie tv!»

Cambio di serata, ma come avrete già intuito, solita situazione: io che facevo il resoconto a Meghan della notte trascorsa. E, ovviamente, lei non perse l'occasione per farmi notare l'insensatezza delle mie azioni.

«Ma tu soffri di vertigini! Talvolta non ti vuoi affacciare neppure dal balcone di casa mia che è al terzo piano!» sbottò ancora incredula la mia amica.

E come darle torto? Per certi versi lo ero io stessa.

Mi presi l'attaccatura del naso con due dita, sfinita da quella conversazione. «Lo so, è per quello che l'ho fatto, d'accordo? Volevo sfidare le mie paure. E poi guarda che, se tutto questo casino è successo, è tutta colpa tua!»

«Mia? E che diamine c'entro io con te che decidi di darti al parkour?» domandò sconcertata, aggrottando la fronte.

«C'entri eccome, mia cara! Chi è che mi aveva detto di vivere un po' più pericolosamente? Prima di salire su quel maledetto arnese mi sono venute in mente le tue parole e mi sono lasciata trasportare dal momento» dissi, cercando di giocare con lei allo scarica barile.

Ok, era vero, la povera Meg non era esattamente responsabile delle mie continue perdite di lucidità, ma io dovevo pur trovare una motivazione a cui aggrapparmi per queste situazioni assurde in cui ero andata a cacciarmi nelle ultime 48 ore.

«Certo che ti ho detto così, ma sono sicurissima di non aver fatto uscire dalla mia bocca frasi del tipo: "attenta alla tua vita Ollie", o "unisciti alla lega dei guardiani della notte sui tetti", di questo ne sono più che sicura» mi rammentò, giustamente, lei, sottolineando la stupidità della motivazione appena addotta.

Alzai le mani al cielo, arresa al dovermi prendere le mie responsabilità. «Va bene, lo ammetto! Sono stata solo io a volerlo fare per provare nuovamente un qualunque tipo di brivido. Sei contenta, ora?»

Tanto era inutile nascondere la testa sotto la sabbia. Mi ero comportata da irresponsabile perché avevo voluto comportarmi come tale. Ero stanca di celarmi dietro una facciata da ragazza tranquilla che non mi apparteneva.

«Ma guarda, io onestamente non ho nulla da recriminarti. Tutt'altro! Questa soap opera si sta facendo sempre più avvincente. Non vedo l'ora che arrivi la prossima puntata!» Era talmente eccitata dalla cosa che aveva iniziato a saltellare come una bambinetta sulla sua sedia girevole.

Ora ci mancava solo che cominciasse a farci dei giri sopra. Ah, no, ecco! Avevo parlato troppo presto; aveva iniziato a fare giro giro tondo con la sedia, ottimo!

«Meg, per piacere, calmati! Io ribadisco che continuo a sperare in un'interruzione del programma, ma ormai sto iniziando a capire che devo tenere la mia boccaccia chiusa. Temo che se dovesse continuare così la prossima volta me lo vedrò sbucare dalla finestra.»

«Possibile, visto che la tua scimmietta ha un fisico niente male a cui l'altra volta avevi dimenticato di fare riferimento.» E quella disgraziata osò anche farmi l'occhiolino mentre affermava ciò.

In quel preciso istante avrei voluto assolutamente rivedere la nostra regola, secondo cui, andava detto sempre tutto, e dico tutto, quello che succedeva e si pensava all'altra, specialmente quando si trattava di ragazzi.

«Non ne avevo fatto menzione nel mio precedente interrogatorio, perché obiettivamente a vederlo così sembrava solo magrolino e basta!» mi giustificai stizzita per quel suo appunto.

«Ah giusto, perché questa volta gliel' hai dato una bella tastatina al tipo, ed anche più di una.» Mi misi le mani tra i capelli, cominciandomeli a tirare per l'esasperazione.

«Io non l'ho tastato! Non sono mica una maniaca! Mi sono dovuta aggrappare a lui per una questione di incolumità» le ricordai prontamente.

"Meglio chiarire subito la situazione."

«Ma io non ho mica detto che hai fatto male. Non si compra mai a scatola chiusa. Che poi succedono le tragedie del tipo: "quello è un gran figo, mi piace, ci esco, ci mettiamo insieme" e, nel momento clou di scartare il regalo, ti ritrovi con un pugno di mosche in mano.»

"Scaricatori di porto di tutto il mondo, io ve lo dico, cambiate professione o venite ad imparare dalle migliori su come si parla!"

La fulminai con lo sguardo. «Io non voglio né tastare, né scartare un bel niente di quel tipo, Meg! Non lo ripeterò un'altra volta, quindi ascoltami: avrà anche un bel fisico, ma è oggettivamente e indiscutibilmente brutto! Fine della storia! Non c'è chimica! Nada, nisba, niet!» asserii convinta con un tono che non ammetteva repliche.

Dovevo pur arginare in qualche modo quella conversazione che mi stava decisamente sfuggendo di mano.

«Senti un po', a tal proposito, ma questo tipo non ce l'ha un profilo Facebook con una cavolo di foto? Ho già stalkerato i profili di Matt, Andrew, Ry, e anche quello del nuovo acquisto Henry, che avevo visto aggiungerti in questi giorni, ma su quello di Luke c'è solo un'immagine strana, di un dipinto forse, con due tizi sott'acqua, o che ne so io.»

Non era un dipinto. Era l'immagine della copertina dell'album dei Pendulum, "Immersion", ma starlo a spiegare a Meg sarebbe stato come parlare all'aria quando si trattava di gruppi non propriamente commerciali, quindi lasciai perdere.

«No, non ci sono proprio foto sue su Facebook. E anche se la sua pagina fosse pubblica non troveresti niente. Ogni tanto posta qualche canzone e nulla di più, direi che non è un animale molto social il ragazzo.» La faccia di Meghan sembrava quella di una persona in carenza di ossigeno, appena sentite pronunciare quelle mie parole.

Spalancò la bocca, facendosi aria con la mano, nel tentativo di riprendere fiato. «E io come faccio a soddisfare le mie necessità quotidiane da stalker del web? Non si fa! Una cosa del genere è inammissibile!» esclamò assolutamente indignata da quella scoperta, facendo invece scoppiare me a ridere.

«Dovrai fartene una ragione, cara mia, e fidarti delle mie parole: È INGUARDABILE!» Scandii bene quella parola, anche se un filino offensiva verso il povero Luke, ma a me servivano per far smettere di fantasticare una volta per tutte la mia amica su di noi due.

Nonostante lo smacco ricevuto si ricompose al volo, tornando alla carica. «Comunque, quando ho visto la foto di Henry, ho subito pensato che potesse essere il tuo tipo.»

Sospirai trasognante al ricordo di quegli occhi stupendi che mi avevano letteralmente stregata, e di quel ragazzo bellissimo e simpatico che era da poco entrato nella mia vita. «Lascia stare, guarda, non me ne parlare. Ma perché quelli che mi piacciono o sono già presi, o sono gay, dannazione!»

«Perché le altre ragazze non sono delle fesse e si accalappiano il meglio delle portate, mentre noi ci dobbiamo accontentare di un misero antipasto, e anche perché la sfiga ci perseguita.»

"Bello schifo! Neppure il dolce o la frutta mi posso prendere, solo un antipasto se mi va di lusso."

«Se continuo così quando vorrò un figlio dovrò ricorrere all'inseminazione artificiale, te lo dico io» dissi, rassegnata all'idea di vivere da sola a 80 anni in una casa piena di gatti.

«Ah no, ferma lì! Ne abbiamo già parlato. Se in un futuro ci troveremo ancora sole come due cani, e saremo rassegnate all'idea di metter su famiglia senza un compagno, si ricorre al "Metodo di Nonna"!» controbatté perentoria la mia amica.

Arrivati a questo punto io ve lo dico: allacciate le cinture e tenetevi forte, perché questa era una spiegazione che vi lascerà senza parole.
Il cosiddetto "metodo di nonna" nacque da una conversazione che io ebbi per l'appunto con mia nonna, poco dopo la brusca rottura con il mio ex. Ci trovavamo a casa sua a prendere un caffè insieme. Va detto che con mia nonna io avevo sempre avuto un rapporto molto particolare. Le potevo dire di tutto e lei non si scandalizzava mai, anzi, come in quel caso, fu lei a scandalizzare me. Nonostante fosse una donna d'altri tempi, aveva una concezione estremamente aperta nella libertà di parlare del sesso. Così, mentre io le esprimevo la mia intenzione di chiudere del tutto con il mondo maschile, e che se in un futuro lontano avessi deciso di continuare la mia discendenza, mettendo al mondo dei figli, mi sarei data all'inseminazione artificiale, lei semplicemente mi diede questa risposta:

"Ollie, non essere sciocca bambina mia! Vuoi davvero sorbirti 9 mesi di gravidanza ed un parto senza esserti divertita neppure un po'?"

Io vi garantisco che in quel momento non riuscii a cogliere il senso di quel suo "divertita", ma poi, purtroppo, proseguendo con il suo discorso, mi fu tutto estremamente chiaro.

"Dai retta a me. Una sera ti trovi un bel giovanotto, ti diverti con lui, non gli dici nulla, ed il gioco è fatto!"

Rimasi senza parole per un'ora credo. Quando lo raccontai a Meg rise talmente tanto che per poco non cadde dal letto di camera mia e, da quel momento, decidemmo che le regole e i consigli di mia nonna andavano semplicemente accettati come la verità assoluta.

«Quella donna è una sorpresa continua, a 80 anni è ancora indomabile» asserii ridendo al solo pensarla.

«No, tua nonna semplicemente ha capito tutto dalla vita. Ci vuole la carne! Nonna Sandra una di noi!» esclamò alzando entrambe le braccia in aria per osannare ancora di più quella folle donna.

La mia amica adorava mia nonna almeno quanto me da quando l'aveva conosciuta tantissimi anni prima. Ci rifugiavamo sempre da lei dopo la scuola, dove trovavamo ad attenderci una tazza di tè o caffè e dei biscotti appena sfornati. Restavamo con lei un paio d'ore, voleva sempre che le raccontassimo cosa ci fosse successo a lezione, come andava con i ragazzi, le nostre piccole avventure, dalla nostra prima volta al mare da sole, alla prima volta che eravamo andate a ballare. Le si illuminavano quei suoi anziani occhi color whisky, che intravedevo dietro un paio di spesse lenti, a quei nostri incontri. Probabilmente con le nostre storie tornava indietro nel tempo, rivivendo in modo diverso la sua giovinezza.

Mi rispecchiavo in quello sguardo. Era casa per me, un rifugio sicuro da cui correre nei giorni di tempesta. Se per tutta la mia famiglia io ero un tipo strano che non riuscivano a comprendere, per mia nonna ero un libro aperto, sapeva leggere il mio bisogno di libertà, comprendeva che il mio non conformarmi agli schemi non era una semplice ribellione, ma il desiderio innato e profondo di scoprire me stessa e riempire la mia vita di qualcosa di più che non fosse un semplice susseguirsi di eventi.

Era stata una fotografa. Prima di sposarsi aveva girato il paese con la sua fedele Rolleiflex che, come amava raccontarmi quando ero piccola, mentre sfogliavo tra le sue braccia album di foto di posti mai ancora visitati, aveva comprato dopo aver fatto per anni i lavori più disparati. Erano le mie favole della buonanotte quelle: i racconti dei suoi viaggi e delle sue avventure. E io sognavo già a 5 anni, mentre mi addormentavo con le mani ancora aggrappate a una foto in bianco e nero, di poter riempire in futuro un album pieno di ricordi come aveva fatto lei. Negli anni mi ero appassionata anche io alla fotografia, tuttavia, anche quello, i miei genitori e fratelli lo ritenevano un passatempo futile, che mi avrebbe solo deconcentrata dallo studio. Potevo riportare tutti i buoni voti che volevo, ma in quell'ambiente io non mi sentivo e non ero mai abbastanza. E alla fine avevo ceduto. Avevo riposto la mia Canon EOS 700 D in un cassetto, o per meglio dire sotto il letto in una scatola, e non l'avevo più toccata per oltre un anno.

La voce della mia amica mi riscosse da quei pensieri che mi attanagliavano nel profondo ogni volta che venivano alla luce. «Ehi, Ollie, dolcezza, a che stai pensando?»

Meg mi conosceva come le sue tasche, si rendeva sempre conto di quando qualcosa non andava; avrei anche potuto mentirle, ma tanto lei sapeva già perfettamente la verità.

«Niente. Pensavo al rinizio della settimana che mi aspetta.»

Sospirò mestamente, fissandomi dritta negli occhi con quelle sue giade attente. «Senti, Ollie, lo so che ne abbiamo parlato tante volte e che mi hai anche ripetuto di lasciar perdere, ma io, in quanto tua amica, ho il dovere di dirti anche le cose che non vuoi sentirti dire. Perché non provi a riprendere in mano la macchina fotografica, anche solo per una volta? Poi se ti senti a disagio, o che so io, la rimetti al suo posto. Se lo fai non ti rompo più, ma almeno provarci una volta sola!» mi pregò con voce supplice. Come avevo appena detto, potevo raccontarle tutte le balle del mondo, ma lei non ci sarebbe mai cascata.

«Meg, davvero, no! E non ho voglia di parlarne. Dovresti già essere felice che ho iniziato ad uscire, ad arrampicarmi sui tetti, e a frequentare delinquenti. Mi sembra un enorme passo avanti.»

Cercai in qualche modo di deviare la sua attenzione. Preferivo che tornasse a prendermi in giro sulle mie disgrazie, piuttosto che continuare a parlare della fotografia, il che era tutto un dire.

«Questo senz'altro e, ad essere sincera, spero tanto che l'uomo scimmia torni a farti visita.»

«Perché? Così ti divertirai ancora con le mie avventure, o per meglio dire, disavventure rocambolesche in cui quel tizio mi condurrà?» domandai sarcastica.

«No, cioè anche, ma soprattutto perché quel ragazzo ti sfida e ti spinge oltre i tuoi limiti. Mi piace. Lascia stare ora l'aspetto fisico, o che sia un bel po' fuori di testa. Mi piace quello che vedo quando mi parli di lui e delle tue serate. Sorridi davvero, ti vedo che sei elettrizzata, hai quella luce negli occhi che scorsi in te quando tornasti dal tuo primo concerto, quello dei Radiohead il primo anno di università, a cui eri andata senza averlo detto a nessuno. E mi piace vederti così. Ti preferisco ovviamente in vita e non con il collo spezzato per una caduta dal secondo piano di qualche palazzo, ma se riesci a conciliare le due cose sarebbe perfetto.»

Riflettei sulle sue parole. Non potevo negare che in quei giorni mi sentivo più leggera, più viva. Ma allo stesso tempo avevo la sensazione che stessi facendo un salto nel buio ogni volta che mi avvicinavo a Luke, o che ci fosse qualcosa che mi stesse sfuggendo in tutta quella situazione, e la cosa mi metteva non poco a disagio. Forse potevo continuare a vedere lui e tutti gli altri ragazzi, ma dovevo stare in campana. Mi piaceva il rischio, ma non quando non sapevo neppure quali fossero le conseguenze delle mie azioni.

Ripercorsi mentalmente per un attimo gli eventi della serata precedente e, ingenuamente, pensai che in fondo uno che ti regalava un cornetto alla crema non poteva essere un cattivo ragazzo.

Di norma non aggiorno a quest'ora, ma in questi giorni sarò un po' impegnata in alcuni momenti e siccome il capitolo era pronto, perché farvi aspettare?!? Ed eccoci qui con una nuova folle conversazione tra Ollie e Meg! Spero anche questa volta di avervi divertito, e che vi sia piaciuto questo scorcio sul passato di Ollie, iniziando così a conoscere qualcosa in più su questa stramba ragazza e anche sulla sua pazza nonna! Chi non la vorrebbe una nonna così?!? ;) 

Vi ringrazio come sempre tutti per il tempo che dedicate  a questa storia e alle mille risate che mi fate fare con i vostri commenti! Ormai questo racconto non sarebbe più lo stesso senza le vostre battute! :D  E siccome a me la monotonia e la banalità non piacciono, ho deciso di essere più internazionale oggi, quindi...

TO THE NEXT PYJAMAS!!! ;)

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