CAPITOLO 8 - MORIRO' E NON HO MAI MANGIATO 1KG DI GELATO PER CENA!

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Girai a destra per incamminarmi verso casa, ma appena svoltato l'angolo sentii qualcuno chiamarmi nell'oscurità.

«Ollie!»

Mi bloccai sul posto, iniziando a guardarmi intorno, ma senza riuscire a individuare nessuno. Stavo cominciando a credere di avere avuto un'allucinazione uditiva, quando invece sentii nuovamente quella stessa voce invocare ancora una volta il mio nome.

«Ollie, quassù! Guarda in alto!»

Alzai lo sguardo come la voce delle tenebre mi aveva richiesto e quello che mi trovai dinanzi agli occhi mi lasciò del tutto senza parole: dal tetto della casa dei miei amici scorsi una figura che sembrava appollaiata su un qualche genere di rientranza. Mi stavo davvero spaventando, fino a quando quella stessa sagoma della notte non si fece poco più avanti, lasciando che la luce dei lampioni della strada la illuminassero leggermente, consentendomi in tal modo di riconoscerla: era Luke!

Non avevo pensato a lui per tutta la serata e mi ero completamente dimenticata del fatto che non fosse presente.

Le cose erano due: o non era presente, oppure era davvero una scimmia che si arrampicava sui tetti dei palazzi! Il suo antenato King Kong sicuramente gli doveva aver dato lezioni.

Io non riuscivo ancora a proferire parola. Rimasi muta, con il naso puntato verso l'alto, a fissare la sua zazzera di capelli indomabili rischiarati dalle luci della città, continuandomi a domandare mentalmente come avesse fatto ad arrivare fin là su.

«Sali, dai, c'è una scala!»

«Che?» Non riuscii a trovare di meglio da dire. Ero impietrita sul posto, incapace di riuscire a muovere un solo muscolo a causa dello shock iniziale.

«La scala, Ollie! C'è una scala che ti porta qui, è proprio lì davanti a te» mi spiegò, indicandomi l'oggetto in questione. Effettivamente intravidi davvero una scala a pioli in ferro che, sbucando dal muro come se ne fosse parte integrante, saliva fin dove si trovava lui.

Mi riscossi finalmente dalla mia momentanea perdita di parola. «Ma tu sei matto! Io là sopra non ci salgo neanche per tutto l'oro del mondo!» Non ne capivo il motivo, ma entrambi stavamo bisbigliando, nonostante in giro non ci fosse anima viva.

«Dai scema, sali! Non ti va di proseguire la maratona di GOT che abbiamo interrotto?» mi spronò ridacchiando.

Non mi capacitavo di come facesse a starsene tutto tranquillo accovacciato sul tetto di una casa. In realtà non si trovava poi così in alto, perché la casa dei miei amici constava solo di due piani, ma ciò non toglieva che non era una cosa normale a cui assistere.

Pretendeva che mi arrampicassi su una dannata scala della morte per vedere una serie tv con lui? Ma non potevo utilizzare le porte di casa come ogni essere umano normale sulla faccia della Terra?

In quel preciso istante, però, non sapevo per quale motivo, ma mi sovvennero le parole di Meg: "Vivi un po' più pericolosamente".

Salire su quella scala sarebbe stata una cosa che avrei fatto un tempo, senza tutto il mio buon senso ritrovato nel corso degli anni? Onestamente, sì! Ma restava ugualmente il fatto che non era una scelta logica e sensata. Dovevo decidermi.

"Che faccio? Salto il fossato o non lo salto?"

«Dai, di che hai paura? Coraggio, l'ho fatto mille volte, non ti succederà nulla, stai tranquilla!»

Alzai nuovamente lo sguardo verso di lui. Sembrava così sereno, così tranquillo in quel suo rifugio segreto, come se nulla lo intimorisse. Lo invidiai, perché anche io avrei voluto sentirmi come lui: senza più le ombre dell'insicurezza ad addensare la mia mente, e la luce dell'accettazione a spazzarle via per prendere il loro posto; una sensazione che ormai non era altro che un pallido ricordo.

Senza starci a pensare troppo, prima di cambiare idea, mi diressi verso la scala, o per meglio dire, la causa della mia probabile e imminente morte, iniziando a salire sui pioli con le gambe e le braccia, percorrendoli uno dietro l'altro.

«Sbrigati, che si gela qua fuori!» mi esortò, sfregandosi le mani tra di loro.

Era nuovamente in giro di notte con soltanto una maglietta a maniche lunghe, quell'idiota. E si lamentava con me perché sentiva freddo? Non mi sarei sbrigata a morire soltanto perché sua maestà aveva problemi con i cappotti.

Gli lanciai un'occhiataccia, anche se dubito avesse potuto notarla, dal momento che ero immersa nelle tenebre. Ero ormai a più di metà del mio percorso, quando commisi il più grande errore della mia vita: guardai in basso.

Ecco una cosa che non avevo detto precedentemente: io soffrivo di vertigini. Non sempre, ma l'altezza molto spesso mi creava qualche problema. Francamente avevo deciso di salire proprio su quella scala diretta all'inferno anche per potermi sentire coraggiosa, cercando di abbattere una delle mie paure. Una grandissima cavolata, lo so, ora me ne rendevo perfettamente conto.

Mi si mozzò il respiro all'istante. Chiusi gli occhi per cercare di scacciare l'immagine che avevo visto poc'anzi, ma il buio della mia mente aumentò solo la percezione del fatto che mi trovassi sospesa molto in alto, così li riaprii, spostando la mia attenzione su di lui. Ormai mi ero del tutto fermata, rimanendo appesa lì senza più riuscire a muovere un solo arto.

«Oddio, morirò e non ho ancora mai mangiato 1kg di gelato per cena!» dissi a bruciapelo.

A quanto pare prima di morire si pensava davvero alle cose che non si erano ancora mai fatte, e per me il kg di gelato era in pole position. Le mie priorità nella vita erano decisamente discutibili e da rivedere!

«Ma che diamine vai farneticando?» chiese, iniziando a ridacchiare.

«No, davvero, non ho mai mangiato 1 kg di gelato intero, mezzo sì, ma mai 1kg tutto insieme!»

Luke era particolarmente divertito dal mio vaneggiamento premorte e scuoteva la testa cercando di trattenere le risate. «Allora è proprio una fortuna che tu non stia per morire, altrimenti ti mancherebbe un tassello fondamentale delle esperienze di vita. Coraggio, topino, non guardare in basso e continua a salire, ormai sei quasi arrivata.»

«Questo consiglio del non guardare in basso, sarebbe stato gradito qualche minuto fa. E comunque non è per nulla facile, non tutti siamo degli uomini scimmia come te!» ribattei piccata, senza tuttavia avanzare di un solo passo; la mia mente era in pieno movimento, ma il mio corpo non collaborava assolutamente.

«Giusto, tu sei più un topino, non una scimmietta!»

«In questo momento mi sento più un koala, a dire la verità.»

«Un koala?» domandò perplesso.

Ormai si stava perdendo anche lui nei miei farneticamenti, anche se, a dirla tutta, in quell'istante a me sembrava tutto più che logico e sensato.

«Sì, io sono un koala, e questa stupida scala è il mio albero, da cui non mi voglio separare per alcuna ragione al mondo. E poi lo sai che i koala dormono 23 ore su 24? A me piace un sacco dormire. Sì, mi sa che tu discendi dalle scimmie e io invece dai koala, è l'unica spiegazione plausibile» asserii convinta, mentre lui si lasciò andare in una fragorosa risata.

Se ci avesse sentito qualcuno e fosse uscito in quel momento, trovandosi quella scena davanti agli occhi, non sapevo assolutamente che diamine avrebbe potuto pensare.

«Va bene koala, ho una foglia di eucalipto! Forza, vieni qui e sarà tua! Dai che ormai ti mancano pochi passi e sei arrivata.»

Sembrava che mentre sproloquiavo sui koala il mio corpo, senza rendersene conto, si fosse riattivato ed ero giunta finalmente a solo due pioli di distanza dalla mia salvezza. Feci l'ultimo sforzo, cercando di non pensare al rumore del cuore che mi martellava nel petto, afferrando celere la mano che Luke mi stava tendendo per poi tirarmi su. Andai a sbattere contro il suo petto, aggrappandomi con forza alle sue spalle. Mai braccia mi parvero porto più sicuro in vita mia.

Avevo ancora il respiro accelerato per lo sforzo della salita e la paura folle che avevo provato, ma allo stesso tempo mi sentivo elettrizzata. L'adrenalina cominciò a scorrermi nelle vene; la sentivo formicolarmi sotto pelle e scaldarmi fin dentro le ossa, facendomi spuntare un sorriso folle sul volto.

Iniziai a guardarmi intorno: le case, i tetti dei palazzi, le luci in lontananza, che punteggiavano quella notte rischiarandola; era davvero stupendo! Ma lo spettacolo migliore di tutti si trovava proprio sopra la mia testa: stelle a perdita d'occhio. Quel meraviglioso quadro che si presentava davanti a me era solo intaccato da qualche nuvola in lontananza, ombre della pioggia che era caduta sulla città nel pomeriggio.

Ero talmente rapita da quello che stavo contemplando, che la voce di Luke mi parve lontana in quel momento, anche se si trovava a un millimetro da me. «Uhm, non per dire, ma mi stai stritolando. Molli la presa, per piacere? Oramai sei arrivata!»

"Ma che diavolo va blaterando? Ah, già, sono ancora incollata a lui, e probabilmente si sente avvolto nelle spire di un boa constrictor."

Ma ci si sarebbe dovuto abituare, perché non avrei mollato la presa finché non mi avesse portata sana e salva in casa. Non ero più appesa nel vuoto, ma eravamo ugualmente molto in alto e poggiati entrambi su una piccola rientranza in piano alla cui estremità s'intravedeva il lucernario aperto. No, decisamente la mia vita non era ancora del tutto fuori pericolo!

«Te l'ho detto: io sono un koala, e fino a quando non mi sento totalmente al sicuro non voglio mollare la presa!» obiettai, stringendo ancora più forte i lembi della sua maglietta.

Sbuffò spazientito. «Allora è il caso che ti mettiamo in sicurezza, così posso tornare a respirare. Dai, andiamo, che qua fuori sto congelando» così dicendo si liberò, senza non poche difficoltà, dalla mia stretta assassina e in pochi passi giungemmo al lucernario che dava sulla sua stanza.

Con un gesto fluido, Luke, si calò all'interno. Una volta toccato terra si girò verso di me e mi fece cenno di fare la medesima cosa. Mi accovacciai lentamente, con il terrore di poter scivolare da un momento all'altro, infilando le gambe all'interno una per volta. Sentii le sue mani scorrere sui miei jeans, incitandomi con quel tocco a proseguire. Con uno slancio delle braccia riuscii ad entrare. Fortunatamente lui mi prese al volo per la vita, perché mi ero data troppa spinta, credendo che avessi molti più metri da terra ad attendermi. Così facendo attenuò l'atterraggio, che altrimenti sarebbe riecheggiato per tutta la casa con un tonfo sordo dei miei piedi sul pavimento in legno scuro.

Mi ritrovai per la seconda volta nel giro di pochi minuti con le mie mani poggiate sulle sue spalle.
A una prima vista mi era sembrato magrolino, invece tastando di persona, a quanto pare, i muscoli non gli mancavano proprio per niente. La mia incolumità ringraziava decisamente per quella sorpresa inaspettata.

I nostri sguardi si incrociarono per una frazione di secondo, ma guardarlo continuava, come sempre, a procurarmi quella sensazione di disagio. Quegli occhi così scuri mi davano troppo l'idea che cercassero di scrutarmi e di entrarmi dentro in punta di piedi, per poi vagare in un mondo che io stessa avevo deciso di abbandonare per sempre. Luke era come un ladro, che si intrufolava di soppiatto senza che tu te ne rendessi conto, portandosi via qualcosa che tu avevi addirittura dimenticato di avere nei cassetti segreti della tua esistenza.
Mi staccai velocemente da lui, il quale, come nulla fosse, aveva preso il cordoncino per richiudere quello scorcio di mondo che dava sul cielo.

Lasciai i miei occhi vagare indisturbati in quella minuscola stanza, che tanto mi aveva incuriosito e affascinato al tempo stesso dal primo momento. L'inchiostro nero di quelle parole, che andava a coprire il bianco delle pareti, era come un canto ammaliatore che mi richiamavano a sé senza neppure rendermene conto. I miei piedi si mossero in automatico, e passo dopo passo, chinando la testa a causa del soffitto a spiovente, giunsi davanti ad una di quelle sirene tentatrici, iniziandola a leggere:

"Non vuoi capire che ogni Uccello che fende le vie dell'aria

È un universo di delizie, chiuso dai tuoi cinque sensi?"

La conoscevo. Come avrei non potuto? D'altronde era un passo dei poeti preferiti di mio nonno o, per meglio dire, dei suoi artisti preferiti. Non avevo molti ricordi di lui, poiché era morto quando ero ancora molto piccola, ma mia nonna mi aveva parlato così tanto di suo marito che talvolta mi era parso di conoscerlo davvero. Era un amante dell'arte, e per questo motivo in casa sua c'erano tutte le opere di Blake. Lui lo adorava non tanto come poeta, ma più come incisore. Io di conseguenza conoscevo quel verso solo perché mi era capitato di leggere più volte la sua raccolta di poesie, quando mi ero fermata da mia nonna nel corso degli anni.

«Uhm, certo che mettere sul muro dietro al proprio letto un passo del "Il Matrimonio del Cielo e dell'Inferno" di Blake è un tantino inquietante, anche se apprezzabilissima come scelta» affermai, continuando a rimirare quei versi, mentre Luke si era avvicinato lentamente alle mie spalle.

«Strano che tu la conosca. Di norma tutti ricordano Blake solo per la sua: "Tiger! Tiger! Burning bright in the forest of the night"» recitò quelle strofe con naturalezza, fermandosi al mio fianco con le mani dietro la schiena.

«Vero, perché è l'unica che ti facciano studiare a scuola. Ma io sono una sua grande fan. Anche se devo ammettere che non mi ricordo il titolo da cui proviene il verso che hai riscritto» ammisi, lanciandogli un'occhiata di sottecchi.

«"Memorabile Apparizione", anche se vi sono altri passi con lo stesso nome.»

Mossi il capo in segno di assenso, dirottando la mia attenzione sulla frase accanto, senza tuttavia riuscire a collocarla a qualche autore o gruppo musicale che conoscessi.

«Questa invece non so proprio di chi sia» rivelai, indicando l'oggetto dei miei dubbi, che recitava:

"La lunga teoria dei suoi amori sfilava monotona ai miei orecchi. Antichi ritratti di famiglia erano sparsi sul tavolo untuoso. L'agile forma di donna dalla pelle ambrata stesa sul letto ascoltava curiosamente, poggiata sui gomiti come una Sfinge: fuori gli orti verdissimi tra i muri rosseggianti: noi soli tre vivi nel silenzio meridiano."

«È un estratto di "La Notte" di Dino Campana, tratto dai suoi "Canti Orfici". Sono molto belli, dovresti leggerli. Lui è un poeta orfico del 1900 e di conseguenza il suo essere "poeta orfico" non c'entra un bel niente con la sua epoca. Un po' come Blake se ci pensi, anche lui etichettato come preromantico, quando invece di preromantico ha poco e nulla se non gli anni in cui è vissuto, essendo un poeta visionario. Sono due outsider dei loro tempi» mi spiegò pacato.

"Questo ragazzo è davvero un mistero! È praticamente un delinquente, assolutamente e inequivocabilmente fuori di testa, che ogni tanto si rinchiude in un mutismo selettivo senza ragione alcuna, e che a quanto pare ne sa più di me in materia di letteratura e poesia."

Mi voltai verso di lui, il quale continuava a mantenere gli occhi fisso dinanzi a sé. Il suo sguardo sembrava perso verso quelle parole appartenenti a un passato lontano. Mi chiesi cosa potesse passare nella mente di un soggetto simile, che cosa affollasse i suoi pensieri, che cose vedesse o leggesse lui in quelle parole che i miei occhi forse non erano in grado di captare. Poi però sentì l'allarme "sindrome da crocerossina" suonare in me, rammentandomi che tutto ciò non era affar mio. Mi ero già arrampicata su di una scala per lui senza alcun motivo logico, solo per poter provare nuovamente l'ebbrezza di un brivido, non mi sarei anche andata a schiantare contro un muro!

«Allora, questa maratona? La vogliamo riprendere sì o no? O il tuo era solo un tentativo di farmi fuori su quella scala in una gelida notte d'inverno?» Il mio solito sarcasmo lo ridestò dallo stato di trance in cui pareva essere caduto; sembrava quasi si fosse dimenticato che mi trovassi proprio al suo fianco per quanto era assorto.

«Giusto, GOT! Cominciamo!» E come nulla fosse successo si mise sul suo letto, che in realtà era un semplice materasso matrimoniale buttato a terra.

"Viva le doghe della Eminflex! Di certo lui non è uno dei loro clienti! Forse gli devo fare vedere qualche televendita, quelle in cui oltre al letto ti regalano anche le pentole, il ferro da stiro e il figlio del conduttore per un week-end."

Non avendo molte possibilità di scelta su dove sedermi, mi posizionai accanto a lui, ma a debita distanza. Meglio prendere tutte le misure di sicurezza con l'uomo della notte che sorveglia dall'alto dei tetti la città, alias Batman. Ormai ogni giorno riuscivo a coniargli nella mia mente un appellativo nuovo.

Una domanda però mi tormentava da quando ero tornata in me, o per meglio dire, sulla terra ferma, e non riuscii proprio a trattenerla.
«Posso sapere per quale motivo non sono potuta passare per le scale di casa come ogni persona normale a questo mondo? O perché semplicemente non mi hai chiamata quando ero di sotto, o ti sei unito a noi se eri già in casa?»

«Ero in casa, ma stavo riposando perché dopo devo andare a lavorare, anche se devo dire che con il casino che avete fatto è stato un po' complicato!» Mi accigliai a quella sua risposta.

"A lavorare? Ma a che ora? E comunque questo risponde solo a parte della mia domanda."

«D'accordo, ma non mi hai comunque risposto del tutto. Perché non potevi chiamarmi quando ero in casa?» insistetti, volendo vederci più chiaro.

«Senti, le domande e le persone mi infastidiscono. Mi sono simpatici i miei coinquilini, ma se avessi fatto una cosa simile mi avrebbero sfottuto, e francamente non avevo né la voglia né il tempo di stare a rispondere alle loro stronzate! Ero qua su e avevo voglia di rivedermi GOT. Ti ho sentita andare via, così ho pensato di ricambiare il favore, visto che ieri sera ti avevo rotto a casa tua, ma se non ti va basta dirmelo, non c'è nessun problema.» Per quanto quelle parole sembrassero taglienti, in realtà il suo tono di voce e il suo sguardo erano del tutto disinteressati, come se fare quella cosa non gli facesse né caldo né freddo.
Della serie: "se ti sta bene ok, altrimenti ciao quella è la porta e amici come prima."

«No, mi va di continuare la maratona, ero semplicemente curiosa.»

Ormai avevo scalato l'Everest per salire fino in camera sua, tanto valeva restare a quel punto!

Sentendo delle voci provenire da oltre la porta chiusa della sua stanza, mi sovvenne che avevo promesso a Ry di scrivergli quando sarei giunta a destinazione. Mi tolsi il piumino, estraendo il cellulare per poi digitare rapida il messaggio di conferma che il mio amico stava attendendo.

Sì, come no, ero arrivata a casa sua però, non la mia! Almeno era una mezza verità.

Sentii in diretta il suono del messaggio che veniva recapitato al piano di sotto. Luke mi guardò, inarcando un sopracciglio con fare interrogativo.

«Dovevo avvisare Ry quando arrivavo a casa» spiegai sintetica. A quelle parole mi rivolse un sorrisetto complice, come a farmi intendere che avrebbe mantenuto il mio segreto.

E ci credevo che l'avrebbe fatto! Era a causa sua e delle mie rotelle che non giravano correttamente ultimamente, se mi trovavo a raccontare una balla al suo coinquilino!

Avviò la puntata a cui eravamo rimasti quella mattina, cominciando così la nostra ennesima maratona notturna segreta. Ce ne restammo lì sdraiati per tutto il tempo, come la sera precedente, a commentare le puntate. Lui ogni tanto si accendeva una sigaretta, nulla di più, ma quel piacevole senso di quiete mi avvolse nuovamente. Non mi pose alcun tipo di domanda, e io feci altrettanto. Mi sentivo così rilassata che, dopo molto tempo, sentii le palpebre farsi pesanti. Mettiamoci anche che quel letto non avesse una testiera dove poggiare la schiena, e che quindi ero praticamente sdraiata sul materasso.

"Ed eccomi, mio amato Morfeo, sto arrivando da te!"

«Ehi, topino, non puoi dormire qui. Svegliati! Io devo andare a lavorare e tu a nanna.» La voce di Luke mi ridestò da quel semi intorpidimento che precede l'attimo in cui ci si addormenta. Sbattei più volte le palpebre e mi ritrovai il suo viso a qualche centimetro dal mio, che torreggiava su di me. In un attimo feci mente locale, ricollegando il motivo per cui mi trovassi lì.

Mi tirai su a sedere, allungando le braccia in alto per sgranchirmi la schiena ed emettendo un verso stridulo. «Che ore sono?» chiesi con la voce impastata dal sonno.

«Di nuovo le cinque. Orma ci stiamo facendo l'abitudine. Dai, forza, ti riaccompagno a casa, tanto io devo uscire per andare a lavoro.»

«Ti prego, dimmi che questa volta non dobbiamo usare una liana stile Tarzan per uscire di qui. Non ce la posso proprio fare!» lo pregai terrorizzata al solo pensiero di riutilizzare quella maledetta scala.

«No, tranquilla, a quest'ora dormono tutti. Basta che facciamo piano e sgattaioliamo fuori.» Tirai un sospiro di sollievo. Dubitavo fortemente che sarei riuscita a far sfoggio nuovamente delle mie doti atletiche alle 5 del mattino.

«Va bene, andiamo, sono veramente stanchissima» concordai, riprendendo il mio cappotto, mentre lui afferrava dal suo classico mucchio di panni sparsi un giubbotto di pelle nera e un paio di guanti di lana.

"A quanto pare il tizio non è totalmente contrario a coprirsi dalle intemperie. Bah, vallo a capire!"

Aprì silenziosamente la porta e intimò di aspettare, mentre lui andava per primo in avanscoperta. Una volta giunto a metà dei gradini da percorrere, mi fece cenno con due dita di seguirlo. Sgattaiolammo furtivamente per tutte le scale e per la sala come dei dannatissimi ladri, nonostante ci trovassimo in casa sua. Eravamo giunti alla porta quando Henry, che stava dormendo sul divano, si girò su un lato, mugugnando qualcosa di incomprensibile.

Ci pietrificammo all'istante, voltando in contemporanea la testa verso il soggetto che aveva interrotto la nostra fuga. Una volta accertatici che dormisse come un sasso, e che probabilmente parlava semplicemente nel sonno, Luke aprì il portone, sgusciando così fuori sulla strada. Tirai un sospiro di sollievo, non appena l'aria gelida delle prime luci dell'alba mi colpì in pieno, nonostante non stessi facendo nulla di male, ma l'essere così circospetto di Luke mi ci faceva sentire.

«Dai, andiamo!» disse, iniziando a dirigersi verso casa mia.

Il nostro ormai amico silenzio tornò a scendere su di noi, mentre le nostre scarpe incedevano sui sanpietrini delle vie. Chissà perché in certi momenti io e lui preferivamo non parlare, forse per non sottolineare l'assurdità di quegli incontri, e probabilmente era davvero meglio così, perché su alcune cose era meglio talvolta non porsi domande, specialmente quando già si era consapevoli che non esistessero risposte sensate.

Giunti davanti al famoso forno della città, "La Dolce Delizia", che sfornava cornetti caldi durante la notte, lui si arrestò di colpo.

«Aspetta qui!» Fu tutto ciò che mi disse, prima di scomparire oltre l'ingresso di quel paradiso di zuccheri.

Credevo fosse entrato per prendersi un cornetto, magari gli era venuta fame e voleva fare colazione e, invece, lo vidi uscire con un paio di chiavi in mano. Mi fece cenno con il capo di seguirlo dietro l'edificio, e lì trovai uno di quei piccoli furgoncini per le consegne bianco con le scritte del nome del panificio sui lati e sul retro.

«Dai, monta su, così ti lascio a casa e poi inizio il mio giro di consegne!» Sbloccò il mezzo di trasporto con il telecomando e aprì la portiera dal lato del conducente.

«Consegni le paste per "La Dolce Delizia"?»

So che era una domanda sciocca, dal momento che era tutto estremamente chiaro dalla sua frase e dai fatti appena accaduti, ma con Luke mi pareva in continuazione tutto talmente confuso che faticavo sempre a seguire la logica.

«Sì, ma solo durante il fine settimana. Forza sali, ho una consegna sul bar della via di casa tua, ci mettiamo un attimo!» rispose, prima di richiudere lo sportello con un tonfo secco.

Non me lo feci ripetere due volte, montando lesta sul lato del passeggero di quel piccolo furgoncino della Fiat. Gli interni erano semplici, neri, ed emanavano un forte odore di paste al cioccolato e crema che probabilmente proveniva dalle consegne posizionate sul retro.

«Non so come tu faccia a resistere a lavorare con questo odore che ti invade i sensi tutto il tempo. Io sarei svenuta per un attacco iperglicemico dopo essermi mangiata tutto il carico, invece di consegnarlo!»

«Dopo un po' ci si abitua, topino, o forse tu non ce l'avresti mai fatta, visto che sei un'ingorda» mi prese in giro, conoscendo ormai il mio segreto del gelato e il fatto che per me gli zuccheri riuscivano a invadere i miei pensieri anche in punto di morte. Decisi di lasciar correre per quella volta, senza stare a ribattere.

Inserì la chiave e la girò nel nottolino, mettendo così in moto il nostro mezzo di trasporto. Il viaggio durò il tempo di uno schiocco di dita: discendemmo una salita, per poi girare a sinistra, e dopo poco Luke fermò il veicolo davanti al portone di casa mia.

«Allora... grazie per il passaggio e per la serata, almeno ci siamo finiti a rivedere la prima serie. Ti direi a mai più rivederci, ma ormai conosco le tue manie da stalker e di arrampicatore sui tetti di notte. Certo che sei un tipo dai mille interessi bizzarri te!»

Ridacchiò per quella mia affermazione, che in realtà non era una battuta, ma la semplice constatazione dei fatti. «Non ne hai neppure idea, topino!»

"E non ne voglio conoscere altri, sinceramente, dei tuoi hobby bislacchi!"

Ero appena scesa dal furgoncino e stavo richiudendo la portiera, quando la voce di Luke mi bloccò. «Aspetta, Ollie! Al volo!»

Vidi solo un involucro bianco volarmi addosso dall'interno del veicolo, per poi cadermi tra le mani. Era una confezione di carta senza alcuna scritta. La esaminai confusa, per poi aprirla e lasciare in quel modo che le mie narici, e successivamente tutti i miei sensi, venissero invasi dal dolce profumo di un cornetto strapieno di crema chantilly. Alzai gli occhi sul mio Babbo Natale personale, elargendogli un sorriso che mi andava da guancia a guancia, mentre saltellavo sul posto come un'idiota.

«Sono felice di aver indovinato i tuoi gusti. Cerca di non fare troppe briciole in giro mentre te lo mangi, topino. Ci si vede!» mi salutò ridendo, per poi allungarsi oltre il sedile del conducente per chiudere il mio sportello che era rimasto aperto, visto che io ero stata troppo impegnata nell'afferrare al volo il mio dono e poi nel contemplarlo.

Riavviò il motore, per poi svanire lungo la via su cui mi aveva lasciata. Abbassai di nuovo lo sguardo sull'incarto che stringevo tra le dita, continuando a sorridere come un ebete.

"Uomini di tutto il mondo, io ve lo dico! Se volete fare una donna felice, lasciate stare borse, gioielli, vestiti e così via, a meno che non le vogliate regalare un brillocco di non so quanti carati che poi se va a finire male tra di voi si rivenderà. No, regalatele del cibo, fidatevi, non c'è assolutamente nulla di meglio al mondo!"

Ed eccomi qui come promesso con un capitolo dedicato alla nostra folle scimmietta! Finalmente conosciamo qualcosa in più su Luke, anche se io degli indizi sulla sua passione ve li avevo dati, sia nella sinossi, sia quando parlo in continuazioni di queste benedette scritte sui muri ;) Spero che questa ennesima avventura rocambolesca vi abbia divertito, ma anche incuriosito, perché ormai i due ragazzi cominceranno a conoscersi davvero. Come sempre se avete domande sono qui e...che altro dire... 

AL PROSSIMO PIGIAMA!!! 

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro