CAPITOLO 59

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Passammo una settimana in viaggio, in cui la sensazione di fame e sonno furono completamente sovrastate dall'angoscia.

Dopo dieci giorni però, eravamo solo a metà strada e lo sconforto si era impossessato di ogni minuto delle nostre giornate.

«Mi sono riposata abbastanza.» Dissi irrequieta, alzandomi dall'erba umida per la recente pioggia.

«Siamo fermi solo da venti minuti, e non hai chiuso occhio. Questo non è riposare Lyra.» Rubyo non accennò a muoversi.

«Mentre noi pensiamo a riposare Gideon potrebbe essere-》

Al pensiero, non riuscii a terminare la frase. Mi illudevo credendo che, se non lo avessi detto, non sarebbe avvenuto.

«Se non riposassimo non saremmo in grado di combattere, e questo lo sai anche tu.»

Strinsi i pugni lungo i fianchi. Aveva ragione, lo sapevo benissimo, eppure il mio corpo non voleva saperne di stare fermo.

«Proprio tu non puoi biasimarmi!» Mi sfogai ingiustamente su di lui. «Ti sei comportato allo stesso modo quando credevi che quella morta fossi io.» Rubyo si rabbuiò, zittendosi e dandomi inevitabilmente ragione. «Raggiungiamo almeno Kayl, lì ci fermeremo e riposeremo.» Aggiunsi poi, più pacata.

Rubyo esitò un attimo, ma alla fine cedette, capendo che il mio fosse un buon compromesso. Così proseguimmo per qualche altra ora, fino a raggiungere Kayl.

Quella era una la città più a sud del Regno, ricca di artigiani che lavoravano i prodotti provenienti da Wessar e Nallen. Ma corruzione e malavita erano oramai intrinseche in tutto il Regno e, perfino a Kayl, non mancavano gli strozzini o carichi irregolari provenienti da Chaot.

Approfittando di quella relativa pace, affittammo una camera in un ostello per tutta la giornata, pronti a ripartire la notte quando il traffico sarebbe stato inferiore. Oramai non ci importava più della discrezione, eravamo diretti di nostra spontanea volontà al Palazzo Imperiale. Attirare l'attenzione di qualche guardia non avrebbe fatto altro che facilitarci il compito.

«Tieni. È ancora caldo.»

Rubyo mi offrì una pagnotta appena sfornata, ma io scossi la testa.

«Non ho fame.»

«Sento il brontolio da qui.» Disse, cercando di sdrammatizzare.

«Non riesco a mangiare nulla.» Insistetti.

Un'espressione compassionevole comparve sul volto di Rubyo che, con delicatezza, mi accarezzò la testa.

«Almeno stenditi e riposa... »

Questa volta non mi opposi. Non potevo fare nient'altro, e dormire sarebbe stato un buon modo per affievolire l'ansia, seppur momentaneamente.

Bastarono pochi secondi prima che crollassi e altrettanti prima che mi svegliassi. Ma in realtà si era già fatta sera. Il sonno accumulato però, era così tanto che mi era sembrato di aver chiuso gli occhi solo per qualche secondo.

Ancora seduta sul letto, cercai Rubyo con lo sguardo. Era in un angolo della stanza, in modo da avere la visione complessiva di tutta la camera, la finestra e la porta d'ingresso. Se ne stava seduto su una scomoda sedia in legno, piegato in due su se stesso, con la spada infoderata stretta in pugno tra le braccia incrociate.

«C'è ancora tempo prima del tramonto. Riposa un altro po'.»

La voce roca di Rubyo lasciò la sua bocca, senza però che lui aprisse mai gli occhi.

«A volte mi spaventi.» Scherzai, girandomi dal lato opposto.

«Deformazione professionale.» Rispose lui con il mio stesso tono giocoso.

Poi ci fu silenzio e la mia palpebra divenne nuovamente pesante.

Delle urla assordanti.

Un'oppressione asfissiante sul petto.

Il buio che lentamente si schiariva, rendendo più vicini i suoni.

Poi lì, raggomitolato nell'angolo della cella, lo vidi: Gideon. Era debole e infreddolito, ricoperto di sangue e ferite aperte. Le caviglie erano costrette da una pesante catena, che aveva smesso di cigolare nello stesso momento in cui Gideon si era lasciato cadere a terra, esanime.

Lo chiamai ripetutamente, ma la voce risultava ovattata come sott'acqua. Fissai per qualche secondo il suo sguardo vuoto e spento. Presa dallo sconforto non resistetti più e mi buttai al suo collo. Lo scossi, ma non ebbe alcun effetto.

Ritentai. Nulla.

Disperata mi lasciai cadere tra le sue braccia, imbrattandomi le mani del suo sangue: aveva la schiena mutilata da tre lunghe righe oblique.

Mi allontanai di scatto: conoscevo quelle ferite.

Mi inorridii alla nuova visione.

Ora, davanti ai miei occhi, nello stesso punto dove prima c'era il corpo di Gideon, si trovava il mio. Un altro, sdoppiato. Era il mio esatto riflesso, ma posizione e ferite erano le stesse di Gideon.

Scattai in piedi con un sussulto affannato. La fronte mi sudava terribilmente e i capelli erano appiccicati alla nuca.

Scostai le coperte. Guardai Rubyo.

Dormiva ancora, non si era mosso di un millimetro.

Mi incupii.

Gli corsi in contro, chiamandolo. Lo scossi quando lo raggiunsi.

Niente.

Mi fermai in silenzio: aveva smesso di respirare.

Con un altro sussulto boccheggiai, stravolta, scattando a sedere sul letto. Mi toccai in fretta, con le mani tremanti, il viso: era sudato e i capelli erano appiccicati alla nuca.

Con un gesto sicuro, ma debole, li allontanai infastidita. Cercai immediatamente Rubyo con lo sguardo.

Era scattato nella mia direzione, con gli occhi sbarrati e le braccia tese verso di me. Mi strinse le spalle e solo allora ebbi la certezza di non stare più sognando. Lo tirai a me, abbracciandolo.

«Sei vivo.» La mia voce era sottile.

Lui non disse nulla, si limitò solo ad accarezzarmi la testa.

Lui era vivo, ma non potevo dire la stessa cosa di Gideon.

Mi staccai bruscamente dall'abbraccio e mi alzai così velocemente dal letto che per un momento pensai che la terra mi stesse cedendo sotto i piedi.

«Ci siamo riposati abbastanza. È tardi.»

Mi legai al volo la cintura con le armi attorno alla vita e uscii dalla camera.

Fermai il passo solo fuori dall'ostello.

Con i gomiti, debole, mi appoggiai alla ringhiera del gazebo esterno, ispirando grandi boccate di aria fresca.

La sera era da poco calata, ma il buio aveva già avvolto le case. In quel momento sentii la porta dell'ostello aprirsi alle mie spalle. Mi girai convinta che fosse Rubyo ma, al suo posto, ritrovai due uomini.

Erano pelati, ma con una lunga barba nera. Avevano la pelle olivastra e coperta di cicatrici. Spostai lentamente gli occhi più in basso: erano ricoperti di armi.

Rabbrividii quando il mio sguardo si fermò nel loro.

Non c'erano dubbi. Erano dei sicari.

Questi smisero subito di parlare, finché uno di loro non disse: «È lei. È la Ladra Rossa.»

Con orrore notai che nella fretta mi ero completamente dimenticata il mantello.

Con un salto scavalcai la ringhiera alle mie spalle, iniziando a correre per le strade di Kayl.

Fortunatamente non avevo dimenticato anche le armi.

Continuai a correre, senza mai voltarmi indietro. Ma ogni cosa mi parve essere a mio svantaggio: il buio, il silenzio, il rumore dei miei passi sulla ghiaia, le strade non familiari.

Non avevo altra alternativa che continuare a correre senza sapere dove stessi andando.

E così feci, finché una mano non spuntò da un vicolo, tirandomi a sé e tappandomi la bocca in modo da non farmi urlare.

Con uno scatto istintivo pestai il piede di chi mi teneva stretta, per poi sferrare una gomitata in pieno stomaco. Sentii un mugugno di dolore, ma la morsa non si allentò.

«Favilla, sono io.»

In un istante abbandonai ogni tentativo di ribellione, rilassando i muscoli.

Non potevo crederci.

Gideon!

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