CAPITOLO 71

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Era accaduto tutto in così pochi secondi che capii che l'onda mi avesse inghiottita solo quando mi sentii sprofondare nell'oceano.

A quella realizzazione, un sussulto al cuore mi fece reagire. Iniziai ad agitare le braccia nell'acqua torbida, ma tutti i miei sensi erano offuscati da quelle acque in tempesta. Vista, udito e tatto erano fuori uso, lasciando il mio corpo in balia delle onde, che rendevano vani tutti i miei tentativi di sbracciarmi alla cieca. Presto, troppo presto, l'esofago iniziò a bruciarmi e il respiro a mancarmi. Lo sterno mi pesava sui polmoni e la testa mi sbatteva violentemente, mentre il sangue pulsava rapido. Non avrei resistito ancora per molto. Tentai delle ultime bracciate irregolari, che risultarono solo come meri spasmi, poi la tempesta mi inghiottì definitivamente.

*

Il rumore delle onde che si infrangevano sulla sabbia, fu la prima cosa che riuscii a percepire. Poi l'aspro odore della salsedine, accompagnato dalla ruvida sabbia sul volto.

Tossii, sputando acqua.

Solo allora aprii gli occhi, ma li strizzai alla vista del sole all'orizzonte: era l'alba.

Per quanto tempo ero svenuta?

Rimasi a fissare l'acqua, ancora mossa, sperando di avvistare una nave all'orizzonte, ma nulla.
Dopo lunghi minuti di attesa vana, con dei movimenti ancora incerti e traballanti, mi feci carico del mio peso, alzandomi.
Non mi ci volle molto a capire la pessima situazione nella quale ero finita: sola, senza mantello e con solo un pugnale a vagare su Chaot.

Era inutile illudersi e credere di uscirne indenni, ma speravo almeno di rimanere in vita.
Con uno sguardo nostalgico mi volsi un'ultima volta verso l'oceano, nella speranza che, diversamente da me, la nave non fosse affondata, arenandosi da qualche parte, ma che avesse resistito alla tempesta.

Una morsa mi strinse il cuore.
Che ne era stato di Gideon? Era lì con me, sul pontile. Non era nelle condizioni di resistere all'acqua salmastra.
E Dollarus e la sua ciurma? Dovevano essere sopravvissuti, per forza.

Poi nella mia mente comparve l'immagine di Rubyo e di come si era lasciato abbindolare dalle belle parole di Coline. Quell'arpia! Da quando era arrivata non aveva fatto altro che mettere zizzania, creare discordia. Perfino Rubyo, sempre sicuro e determinato, era diventato incerto e titubante. La possibilità che quelle potessero essere state le mie ultime parole, me le fece rimpiangere. Non ero andata nella loro cabina per discutere. Volevo chiarire. Volevo chiarire quel malinteso, quella scena che aveva assunto sfaccettature intime, sbagliate.

《No, no, no, no! Non è andata così!》

L'impotenza, l'impossibilità di ritornare indietro a quel momento e cambiare tutto, era insopportabile.

Un fruscio mi costrinse a nascondermi dietro ad un tronco secco. Due figure comparvero sulla spiaggia, aggirandosi sogghignanti e disarmate, per poi scomparire nell'acqua pochi attimi dopo. Uscii allo scoperto solo quando fui sicura di essere nuovamente sola. Gli unici che conoscevo, ad essere così indifferenti, erano i Rasseln. Non ero riuscita a vedere nessun marchio, ma ero certa che si trattasse di loro. Che in un qualche modo avessero saputo del nostro arrivo, e ora stessero cercando le nostre tracce?

Non avrei potuto lasciare neppure degli indizi per Gideon e Rubyo, per essere ritrovata o almeno per far sapere che ero viva. Dovevo agire con prudenza. Ogni mossa mi sarebbe potuta risultare fatale.

Feci per avanzare, ma le mie gambe sembravano di pietra. Ero immobilizzata, con i piedi infossati nella sabbia: avevo paura. Troppa paura. Non riuscivo a pensare razionalmente. Finchè non mi venne un'idea. Era tanto folle come lo stesso ritrovarsi in quel luogo, sola e quasi disarmata. Cercare di nascondersi non sarebbe servito a nulla, se non mettermi ancor di più in evidenzia, facendomi passare come una facile preda. Al contrario, camminare liberamente nella città, proprio come i Rasseln, mi avrebbe reso minacciosa. E così feci: mi addentrai nel cuore di Chaot, circondata da esseri di ogni tipo, camminando a testa alta e a passo blando, come se nulla potesse scalfirmi. Dentro però, ero un vetro già in frantumi.

La città era un ammasso asfissiante di case, l'una addossata all'altra in modo assolutamente casuale e disordinato. Cavi e piccole arcatelle in legno collegavano una facciata ad un'altra, rendendo il paesaggio ancor più claustrofobico. Le viuzze in selce erano così strette e zigzaganti, che di notte sarebbero state impraticabili. Sulla mia sinistra comparvero, incastonate tra i muri di due case, delle scale in legno marcito. Seguii con lo sguardo il loro percorso, ma scomparivano poco dopo. Decisi ugualmente di prenderle, nella speranza di avere una visuale migliore dall'alto, ma mi accorsi ben presto di sbagliare.

Mi ritrovai in un lugubre ammasso di bancarelle e tendoni. La folla era numerosissima, ma spaventosamente silenziosa. Gli unici rumori udibili erano il fievole strusciare dei vestiti, i netti colpi di mannaie sulla carne, delle catene cigolanti e il tintinnio delle monete. Tutti, come ipnotizzati, sembravano tanto immersi nei loro acquisti, da non accorgersi neppure della persona accanto.

Non osai aprir bocca. In quel luogo così tetro, pure respirare mi sarebbe sembrato troppo rumoroso.

Continuai a camminare a passo deciso, come se sapessi esattamente la mia meta, gettando lo sguardo sulla mercanzia. Venni scossa da un conato di vomito quando, grazie a dei cartellini, riconobbi intestini umani, occhi di Kelpie ed orecchie di Ayrae.

Deglutii a fatica il groppone amaro, che mi fece bruciare l'esofago. Degli occhi felini mi guardarono infastiditi. Cercai di ignorarli, fingendomi superiore, ma ben presto mi ritrovai divorata da dozzine di sguardi. Capii in fretta di essere stata troppo rumorosa, ma fortunatamente non abbastanza al punto di scatenarli contro di me. Man mano ognuno di loro tornò a girarsi, intento ad osservare le bancarelle, richiamando così anche la mia attenzione.

Quel che vidi, questa volta, fu ancor più spaventoso: corpi scheletrici e sfigurati, legati a delle pesanti catene come cani da caccia e bestie da macello, tutti segnati dallo stesso marchio a fuoco.

I Reietti, ai quali anche io appartenevo.

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