VIII. Il Tesoro Spagnolo: Segui il cuore

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"Mamma, vorrei tanto raggiungere il cielo!" 

La mano piccola era protesa verso l'infinita distesa azzurra che si espandeva fin dove l'occhio poteva arrivare, sopra il braccio affusolato che copriva metà del viso appartenente alla bambina. 

Distesa sulla sponda rocciosa che dava sull'oceano, solamente uno dei suoi occhioni blu era visibile dall'alto, rapito dallo spettacolo immenso e limpido del firmamento.

Le onde si infrangevano sugli scogli neri, producendo una lieve schiuma che trascinava con sé la brezza marina che le accarezzava le guance tonde. 

Attorno, l'aria era fresca e salmastra in quella giornata mite a Fionnphort. Il raggruppamento di alberi che si dipanava oltre il sentiero parallelo alla costa pietrosa oscillava allo spirare del vento, le chiome verdi erano schiarite dalla luce flebile che precipitava dal sole.

"Ma cosa dici, Lavy? È impossibile toccare il cielo!" rise la donna accanto a sua figlia, seduta sulla roccia con un'espressione beata. I suoi tratti somatici erano molto simili a quelli della bambina dallo sguardo innocente, eppur determinato.

Lavy si tirò a sedere e la guardò con un broncio ad aumentare ulteriormente il volume delle guance piene e un po' arrossate. "Ma io ci voglio provare, mi piace il cielo e voglio raggiungerlo! Non dirmi che non posso senza che nemmeno ci provo." mugugnò con la sua dialettica semplice e il tono nasale.

L'altra la scrutò con un'occhiata interessata per qualche istante, prima di sorriderle con dolcezza e scompigliarle i liscissimi capelli. 

"Vedi, piccola, esistono cose che per quanto le desideriamo, per quanto ci sforziamo di ottenerle, non possiamo raggiungere. Le persone hanno limiti anche se spesso fanno fatica ad accettarlo, ma va bene così..." Il volto della donna si fece più radioso mentre la piccola lo ammirava dal basso, a occhi spalancati. "... io penso che sia proprio questo ciò che rende gli umani così affascinanti. Il fatto che continuino a provare, nonostante tutto, finché qualcuno di speciale non riesce in un'impresa che sembrava impossibile. Chissà, magari un giorno potremo davvero solcare i cieli, oltre ai mari." 

"Con le navi volanti? Sarebbe bellissimo!" esclamò Lavy, al settimo cielo per quella sfrenata fantasia, causando una risata di gusto della madre.

"Qualcosa del genere, chi può dirlo!" sghignazzò. "Finché ci saranno persone come te, determinate a impegnarsi per i realizzare i propri obiettivi, si potrà immaginare di tutto, e magari qualcosa potrà divenire realtà, tra le mille fantasie. " 

Lavy annuì, senza comprendere del tutto le sue parole, ma col petto colmo di calore che l'armoniosa donna di nome Ginny, sua madre, era in grado di trasmetterle. Così, in uno scatto affettuoso, la abbracciò affondando il petto nel tessuto sottile della sua camicetta, all'altezza della pancia.

"Ti voglio bene, mamma."

"Anch'io, Lavy." Ginny la accarezzò con dolcezza, fissando a sua volta il cielo con ardore. "Non smettere di rincorrere i tuoi obiettivi. Segui il cuore."

I piedi di Lavy sfrecciavano con velocità sempre maggiore, incrementando la quantità di vento che le passava attraverso tutti i pori della pelle a ogni secondo che correva a ritmo forsennato verso l'imbarcazione in procinto di ribaltarsi.
Il legno dello scafo emetteva un cigolio acuto e sinistro, premonitore di morte.

Correva per salvare quel ragazzo. O forse per sé stessa, per l'istinto innato che le aveva suggerito di aiutarlo quando nessun altro si era mosso.
Prima ancora di pensare, le sue gambe stavano già avanzando verso la riva.

Il corpo aveva anticipato la mente stessa, in quello scatto disperato in grembo al pericolo.

Giunse nei pressi dello scafo tra gli sguardi attoniti dei lavoratori attorno al perimetro della spiaggia, l'ombra nera e immensa della nave era proiettata su di lei e avanzava sempre più, scurendo il mare alle sue spalle.
Il giovane dai capelli d'un tenue rosato era privo di sensi, probabilmente urtato dalla folla in fuga nel momento in cui il pericolo si era palesato.
Non c'era tempo, doveva muoversi, aveva poco più di una manciata di secondi per tirarlo via di lì prima che venisse schiacciato dalla parete lignea del parapetto.

Lavy trasse un profondo respiro e issò il ragazzo con entrambe le braccia, fino a caricarselo sulla spalla destra con grande prestanza. Digrignò i denti quando mise un piede in fallo su una roccia sporgente a causa della mole della vittima.

"Merda, pesa più del previsto..." pensò. Per apparire tanto gracile, sia il dorso che la schiena del ragazzo erano piuttosto duri, si rese conto. Il contatto ravvicinato con il suo corpo e il fiato che dalle sue labbra le sfiorava il collo la fecero irrigidire per un attimo, ma si costrinse a ricomporsi. Doveva andarsene di lì se voleva salvare lui, e anche sé stessa.

"Lavy, cazzo, va' via di là! Sei impazzita?!" le urlò Anne da lontano. "Matta scatenata..." sussurrò, poi, mettendosi a correre a sua volta verso di lei.

La piratessa dalla chioma azzurra riuscì a ritrovare a stento l'equilibrio, ma era tardi: lo scafo era a meno di un metro e mezzo da lei. Non sarebbe riuscita a sfuggire alla morte saltando all'indietro, a meno che non avesse lasciato cadere il ragazzino.

Sentì il sudore freddo imperlarle la schiena, mentre in appena una frazione di secondo la sua mente vagliava tutte le possibilità d'azione che aveva. Gli occhi strabuzzati quasi in maniera irreale per lo stress mentale e il dolore pulsante alla caviglia.

Ruotando repentinamente il busto, gettò con tutte le forze il corpo esanime del giovane all'indietro, facendolo atterrare fuori dalla portata dello scafo, sulla sabbia. Dopodiché, si gettò con le energie che le rimanevano nella stessa direzione, sperando di farcela, i denti stretti per il gesto disperato.

Non sarebbe riuscita a salvarsi. Sentiva già incombere il legno rinforzato su di lei.
Era la fine, sarebbe morta in quel modo stupido, per salvare un perfetto sconosciuto a causa del suo istinto. Dei suoi ideali innati.

Un braccio le si strinse attorno alla vita e una marea di capelli rossi le inondò il volto, mescolandosi a quelli blu che le ricadevano oltre le guance fin quasi a raggiungere la sabbia.
Per un attimo non vide altro che due grandi sfere verdi e delle lentiggini, poi il beige della spiaggia. Il tonfo dello scafo le assordò i timpani, rendendola sorda per alcuni secondi.

Ma il suo corpo perlomeno era illeso, accanto a quello ansimante e in ginocchio di Anne.

"Sei diventata completamente pazza?! Volevi farti ammazzare?" la piratessa della ciurma di Vane era in preda all'affanno, ancora scossa e tremante per l'adrenalina del momento. Non appena aveva visto Lavy correre verso la carena, una profonda paura le aveva assalito lo stomaco e istintivamente aveva sentito l'impulso di correre verso di lei per salvarla. 

L'altra la guardò in cagnesco, tentando a fatica di rimettersi in piedi, le ginocchia e le mani entrambe poggiate sulla sabbia e il fiatone che le manteneva le labbra spalancate. "E cosa avrei dovuto fare, me lo spieghi?" ribatté a tentoni.

"Di sicuro non gettarti sotto uno scafo sul punto di ribaltarsi per salvare un mozzo." ringhiò Anne, riuscendo finalmente a rialzarsi. 

Lavy la imitò, seppur con gran fatica. "Quindi è così che fate voi? Lasciate morire i membri del vostro equipaggio, i vostri compagni? Ti ringrazio per avermi aiutata, ma non credo che quel ragazzo meritasse di morire schiacciato da una tonnellata di legno. Nessuno dovrebbe essere abbandonato in quel modo." lo scintillio che riluceva dalle iridi della giovane donna mentre pronunciava quelle parole stordì per un attimo Anne. In esse vide un'immensa convinzione, una ferocia avvolgente e contagiosa. Qualcosa che quasi costringeva ad ascoltare ciò che diceva e a seguirla. 

Quelli erano gli occhi di un leader.

Anne si accorse di provare un vago calore sulle guance. "Fa' un po' come ti pare, ma la prossima volta non verrò certo io a salvarti ancora il culo." le rivolse di scatto le spalle e si incamminò verso Jack e gli altri, dall'altro lato della spiaggia.

Mentre la sua schiena affusolata si allontanava, Lavy la osservò per qualche secondo con aria accigliata. Le aveva salvato di nuovo la vita, era già la seconda volta, contando la notte in cui aveva avvisato Sanders del guaio in cui si era cacciata, in modo che giungesse a tirarla fuori da quella nave degli orrori. Da quell'incubo. Perché ancora appariva come tale nella sua mente, quando ci ripensava.

Volse un'ultima volta lo sguardo al ragazzo dai capelli di ciliegio, che stava per essere soccorso da alcuni uomini accorsi sul posto.

Il suo viso era delicato per un maschio, nonostante la sua mascella fosse piuttosto squadrata. Naso e labbra però erano piccoli e graziosi, sormontati dai lunghi e fluenti ciuffi che cascavano come ruscelli di petali di rosa fino alla base del collo.

"Com'è che si chiama?" chiese Lavy a uno dei corsari.

"Uhm... Nick Stevenson... o Stinson, se non sbaglio." rispose l'uomo corpulento e massiccio. "È scozzese, questo è certo. Non è un tipo che si fa notare, comunque." 

"Capisco." Lavy lo guardò ancora un istante, prima di imitare Anne e raggiungere Flicker e Hector, intenti nel frattempo a legare di nuovo le cime attorno ad altri tronchi, stavolta accertandosi in anticipo che fossero abbastanza spessi.

"Hai fatto un bel casino, capitano!" la accolse Hector con una grassa risata. 

"Tutto bene? Sei corsa così, all'improvviso, mi hai lasciato senza parole." disse Danny, un'aria costernata e vagamente apprensiva sul volto. 

Lavy si sistemò veloce accanto a lui, aiutandolo con calma e precisione nel nodo che stava compiendo intorno all'albero di palma. I suoi occhi erano rivolti al suolo, le palpebre dischiuse che mettevano in risalto le delicate ciglia azzurrine, mentre le braccia esili lavoravano con destrezza. Quella che aveva fruttato in anni di coltivazione del suo sogno, da ragazzina. Forse, rifletté, quella parte di lei non era mai davvero sparita. Forse sarebbe sempre rimasta una ragazza entusiasta e sognatrice. L'importante era che quel lato sotto al velo d'apatia che la ricopriva, anch'esso ormai parte di lei, lo notassero solamente le persone giuste. 

Quelle delle quali avrebbe scelto di fidarsi.

"La verità... è che il mio corpo si è mosso da solo." rivelò. "Ho provato terrore e colpa al pensiero di vedere quel ragazzo morire. Rifiuto verso l'inevitabilità del fatto che stesse per accadere. Volevo impedirlo, oppormi. E prima che me ne accorgessi stavo già scattando verso la corvetta." Lavy si imbarazzò per aver esternato quel suo stato d'animo alla leggera, ma allo stesso tempo si sentiva tranquilla perché ad ascoltarla c'era quell'uomo pacato e fedele dagli occhi pazienti, il suo quartiermastro e amico. "È... stupido, vero? Fiondarsi verso le cose più grandi di noi, verso immensi pericoli." chiese, titubante.

Flicker abbassò la testa per poi tornare a fissarla. Il suo sguardo era riflessivo, assorto nei pensieri che gli affollavano la mente in maniera schematica.

"Non è stupido." replicò, poi. "Però, cerca di ricordare che la cattiva sorte si accanisce sui più fragili, perché non hanno la forza per riprendersi dai loro problemi. Tu sei forte, ma non per questo sei obbligata ad aiutare ogni persona in difficoltà, anche a costo di esporti ai pericoli. E tantomeno lo sei perché hai subito chissà quale sventura in passato. È nobile, però come ambizione è fin troppo grande. A volte bisogna accettare le decisioni che il destino prende al posto nostro." 

Lavy aggrottò le sopracciglia, fissando Danny con trasporto. Gli rivolse un mezzo sorriso complice con una punta di divertimento e malizia a colorarle gli occhi. 

"Mi sa che ho proprio bisogno di uno come te al mio fianco, Flick." gli sferrò una pacca amichevole sulla spalla. "Sono felice di averti salvato quella volta. Da buona pazza che soccorre chi è colpito dalla sventura." scherzò, rivolgendogli un occhiolino. 

Flicker sorrise a sua volta, rispondendo con un ghigno sprezzante. Gli piaceva il lato leggero del suo capitano.

In quel momento, notò il ragazzo che era stato salvato da Lavy zoppicare fino all'orlo opposto della spiaggia insieme ad altri due uomini. Si era ristabilito e stava guardando nella loro direzione.

"Com'era che si chiamava, quel giovane?" chiese alla compagna al suo fianco.

Lavy si massaggiò il mento, scrutando con un accennato interesse l'oggetto della conversazione. 

"Nick Stevenson, credo. Non uno che si fa notare." ridacchiò. "Almeno, non sempre."

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