XV. L'invasore: Un tutt'uno

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La bambina continuava ad agitare con foga il ramoscello di legno che stringeva nella mano destra, il vento che faceva turbinare ie ciocche liscissime attorno alle guanciotte arrossate per lo sforzo, le gambe tremanti e gli occhi due fornaci scolpite in una maschera di tenacia.

Attorno a lei, l'erbetta incolta ricopriva il suolo, e delle piccole betulle componevano il perimetro della zona nell'entroterra di Fionnphort.

Di fronte, nei pressi di una capanna in pietra e legno, una donna dai tratti pressoché identici ai suoi la attendeva con un gran sorriso sornione che non abbandonava mai il suo volto tagliente.

La leggera canottiera grigiastra mostrava due braccia affusolate ma toniche, le gambe apparivano lunghe e dalle curve pronunciate persino nel suo pantalone largo color guscio d'uovo con cintura in cuoio stretta in vita.

"Coraggio, Lavy, prova ancora a colpirmi." Il suo perenne sogghigno incendiava l'animo furioso della piccola e al contempo faceva sbocciare in lei una fervente ammirazione, che la spingeva a continuare ad avvicinarsi all'avversaria, a studiarne i movimenti e cercare la sua approvazione.

Però, fino a quel momento non l'aveva colpita nemmeno una volta, nonostante fosse disarmata.

"Arrivo, mamma! Ah!" Lavy si fiondò verso di lei. Ma non senza criterio, di questo Ginny Thomson se ne accorse all'istante.

Col tempo, man mano che la disarmava, sgambettava e che schivava con facilità i suoi assalti, i movimenti della ragazzina erano mutati, evolvendosi per gradi. Quasi d'istinto.

Le corse diventavano più larghe, così da tentare di attirarla verso una direzione e sbilanciarne il baricentro, per poi sgusciare sotto il suo braccio, sfruttando la statura minuscola che la giovane guerriera possedeva. I movimenti del braccio che impugnava la spada finta divenivano sempre più esplosivi e imprevedibili, grazie all'elasticità delle sue articolazioni infantili.

Lavy stava acquisendo una conoscenza sempre maggiore del suo corpo, riusciva a compiere le mosse migliori per le specifiche situazioni ricorrendo alla sua memoria fisica. Questo però Ginny lo sapeva bene: d'altronde era lei che la stava conducendo a quei risultati. Era lei che la stava plasmando.

Vide sua figlia compiere un giro un po' troppo largo, forse per inconscio timore nei suoi confronti, così allungò una falcata con la gamba destra e si avvicinò vertiginosamente, tanto che la bimba fu costretta a modificare i suoi piani a metà dell'opera.

Come in precedenza, tentò di approfittare del fatto che Ginny avesse il corpo proteso verso una direzione, abbassò le ginocchia e si inserì sotto le sue braccia a testa bassa, per sbucare alla sua sinistra. Vedeva il fianco scoperto: l'avrebbe colpita, finalmente.

"Ci siamo! Ci siamo!" ruggì dentro di sé, euforica. Poteva colpire sua madre per la prima volta.

La giovane emise un urlo gutturale di battaglia con la sua voce nasale, afferrando il ramoscello a due mani e caricando il dorso all'indietro per rilasciare il tondo a tutta forza contro le costole della sfidante.

Il ramoscello era ad appena un secondo dall'impattare la canottiera grigiastra. Quando, d'un tratto, il mondo si capovolse, e Lavy si ritrovò a fissare il cielo, schiena a terra.

Era accaduto in una frazione di secondo.

Il ginocchio sinistro di Ginny si era piegato di scatto verso di lei, con agilità superba, il suo poderoso busto era stato ruotato in un baleno e le braccia si erano strette attorno a lei come i tentacoli di una piovra. Così, mentre la mano sinistra bloccava con una presa salda il polso di Lavy che reggeva il legnetto, quella destra la spingeva sulla caviglia tesa della donna, che completava il lavoro facendola cadere con uno sgambetto.

Lavy avvertì la morbidezza degli steli contro le sua braccia e la schiena parzialmente scoperta, poiché nella caduta la maglia a giromaniche si era sollevata appena sopra la sua pancia. I suoi occhi erano sia increduli che ammirati, mentre osservavano il viso ironico di sua madre dal basso.

"M-ma come hai fatto? Uffa! Stavolta ti avevo quasi colpita!" si lamentò, mettendo un piccolo broncio mentre si tirava a sedere, a braccia conserte.

Certe volte i movimenti di sua madre le sembravano quasi eterei, talmente che erano perfetti. Pareva che fosse un tutt'uno con l'aria stessa. No, con tutto il circondario. Come se per muoversi scandisse il flusso stesso della sua essenza e lo sincronizzasse con ogni cosa nei dintorni.

Era quello che significava essere davvero forti? Apparire tanto inafferrabili quanto l'aria o l'acqua?

A Lavy veniva in mente solo una parola per descriverla: invincibile.

Ginny le sorrise e giocherellò con le dita sul suo mento tondeggiante.

"Su, su!" sghignazzò, sedendosi dietro di lei e abbracciandola con calore. Il suo tepore invase subito Lavy, inondandola di gioia pura, nonostante il clima umido di fine estate. "Non te la prendere, Lavy, a dire il vero stavolta ci sei andata davvero vicina. Sei un piccolo portento, sai? Certo, per raggiungermi forse ti occorreranno ancora degli anni..." ridacchiò nuovamente.

"Io invece dico che alla prossima ti becco, e poi lo racconto a tutto il villaggio e diventerò io la più forte di tutti!" Lavy espresse goffamente le sue elevate ambizioni, tanto da strappare un verso a metà tra l'intenerito e il divertito nella madre.

"Tu continua a provare, piccola. Sarò il tuo orizzonte da raggiungere finché lo vorrai. Ma ricorda che per quanto una cosa sembri lontana, una volta arrivata a essa ti accorgerai di aver perso di vista il resto, se non avrai fatto attenzione durante il percorso. Magari cose ancora più grandi e distanti. Non fossilizzarti mai su un solo obiettivo, vivi ogni cosa nel suo intero. Non privarti di nulla."

Lavy osservò dal basso i capelli increspati dall'umidità di Ginny pioverle lungo le guance come alghe negli abissi.

La porzione di cielo sopra di lei sembrava la superficie del mare vista dagli abissi. Le ciocche di Ginny lasciavano intravedere uno spicchio di sole che rendeva opaca la figura ingombrante della donna in penombra.

Invincibile. Irraggiungibile.

La sua sola presenza la spingeva a migliorarsi, a volerla rendere fiera. E superarla, un giorno lontano. Sapeva bene che non poteva essere oggi, né domani, né tra un anno. Ma questo la rendeva solo più carica.

"Se ci sono cose ancora più grandi e forti di te, allora quanto c'è da vedere nel mondo?!" Gli occhi della bambina si fecero enormi.

Ginny inarcò le sopracciglia, sporgendo la mandibola in avanti in un'ostentata espressione riflessiva. Poi, strinse un po' più forte la giovane sotto di lei, e poggiò il mento sulla sua testa.

"Il mondo è pieno di cose, Lavy. Cose belle, che ti faranno sorridere, ma soprattutto cose brutte, che ti paralizzeranno, impedendoti di proseguire per la paura. Io vorrei che tu le vedessi tutte, così da avvicinarti alla verità che le racchiude."

"E sarebbe?" domandò la bambina, le labbra sporte in avanti a formare una o curiosa.

La donna osservò il cielo, mentre le sue dita sfioravano prima i capelli di Lavy, poi i ciuffi d'erba sotto di loro, spiegazzandoli appena, prima che tornassero alla loro posizione originale.

"Ogni cosa è un tutt'uno." Le parole di Ginny risuonarono nelle orecchie di Lavy, vibranti come il clangore di mille lame su un campo di battaglia. "Una volta che saprai cosa significa, non avrai più paura e nulla potrà scalfirti."

"Tutti per uno..." Lavy non sembrò aver capito bene, ma per qualche ragione il tono della madre le rimase marchiato nella testa.

E, nel frattempo, non sapeva bene perché, la sua memoria correlava quelle parole ai movimenti eterei che la piratessa riusciva a compiere quando si allenavano. così perfetti da sembrare guidati da una melodia udibile solo a lei. Ma voleva sentirla, quella melodia. Voleva riuscire a farlo a sua volta.

L'altra rise, e le scosse il corpicino con affetto.

"Non ci pensare, Lavy. Visto che mi hai chiesto di allenarci insieme, per ora pensa solo a quello, e a scoprire quant'è grande il mondo, se continuerai a volerlo. Un giorno sono sicura che capirai ciò che intendo. Sarebbe bello se allora pensassi un po' a me..."

La sua calda risata pose fine alla conversazione. Madre e figlia rimasero abbracciate per un tempo che secondo la loro concezione parve indefinito. Osservarono insieme il cielo, la capanna isolata in cui vivevano, l'erba e le nuvole bianche e fumose.

Lavy non sapeva proprio dire in che modo, ma in quel momento le sembrava davvero che ci fosse una connessione tra tutte quelle cose e loro due. Che ogni elemento fosse simile all'altro, nella sua diversità. Parte di uno schema comune e invisibile, forse.

Di un tutt'uno.

"Lavy, vedo la spiaggia, attracchiamo!"

La voce di Nick Stevenson, in equilibrio sul sartiame a tribordo, destò il giovane capitano dalle reminescenze che l'avevano gettata in un limbo stagnante di riflessione.

Spesso le capitava di perdersi a riflettere. Era una sua prerogativa da sempre, anche quando viveva in Scozia e il sorriso albergava ancora sul suo volto spensierato.

Poteva sembrare una persona impulsiva, e spesso in effetti lo era, ma in realtà ogni sua azione, ogni decisione presa di getto, non erano che il risultato di rimuginazioni che creavano in lei un certo assetto mentale, una predisposizione a riversare il proprio istinto su qualcosa invece che su un'altra.

Sua madre era sempre stata diversa.

Lei le cose le faceva e basta, prendeva decisioni in un lampo, fidandosi della sua lettura del momento. Anche durante gli allenamenti che ricordava era così.

Si adattava così velocemente ai cambiamenti da apparire in sincronia con ogni cosa si trovasse nel suo raggio d'azione.

"Perfetto, Nick, avviciniamoci e gettiamo l'ancora! Tutti ai loro posti!" Lavy si riprese del tutto dalla fase di stasi e prese a camminare concitata lungo tutto il ponte, da poppa a prua e viceversa, dando direttive precise ai suoi uomini.

L'occhio le cadde, in prossimità dell'albero di mezzana, sull'esile figura di Kidd, accanto al parapetto.

Durante il resto del viaggio, dopo il salvataggio dal naufragio, aveva spesso intrapreso altri scontri d'addestramento con Flicker, usando spade di legno racimolate dagli alloggi nella stiva, e molte volte attorno a loro si erano creati gruppetti di corsari ammaliati dalla loro abilità.

C'era qualcosa di sopraffino nei loro movimenti, qualcosa che a Lavy ricordava vagamente quelli di Ginny. Nonostante non arrivassero al livello di etereità e fluidità che lei ricordava. O forse idealizzava.

L'abilità di quei due combattenti era a ogni modo qualcosa di cui poteva fare tesoro nel suo equipaggio, così come la vista acuta di Nick e il morale alto scaturito dal carattere estroverso di Hector.

Però, mentre degli ultimi di due e di Flicker poteva affermare di fidarsi, non le era chiarissimo quali fossero le intenzioni del nuovo arrivo dai tratti somatici femminei che in quel momento ricambiava il suo sguardo con quegli ipnotici occhi acqua marina.

Il vento scostava la treccia violacea davanti a un occhio, conferendo al suo viso un certo fascino accentuato dall'espressione riflessiva. Sembrava avesse sempre qualcosa per la mente, qualcosa che sfuggiva a chi ne osservava il viso. La sua stessa essenza era un enigma che Lavy si sentiva spinta a decifrare.

Decise che, una volta sbarcati a Nassau, avrebbe trovato un modo per sfilare quella sua maschera tenebrosa.

Se voleva creare una ciurma davvero buona, la prima prerogativa che si aspettava da ognuno, e che lei stessa intendeva rispecchiare, era la trasparenza. Per questo avrebbe innanzitutto compreso chi era e cosa voleva davvero Kidd.

La Susan si fermò a poco più di trenta iarde dalla riva, e furono calate le scialuppe per raggiungere la terraferma a gruppi da cinque.

Così si organizzò anche la Ranger di Charles Vane. Anne poté finalmente separarsi da Lavy e tornare all'equipaggio di cui faceva parte, e soprattutto da Jack.

Lavy la vide scambiarsi un rapido cenno di affetto con lui una volta approdati sul bagnasciuga, e fu colta da uno strano pizzicore interno, qualcosa che aveva provato anche in precedenza, alla loro vista. Le tornarono in mente le parole di Anne durante il viaggio, quando le aveva parlato del suo rapporto con Rackham.

"Il nostro legame, la nostra fiducia, proprio perché è vera ci rende più forti di ogni cosa, di ogni minaccia o intrusione esterna. Ma sai, allo stesso tempo non ci vieta di apprezzare la bellezza, ovunque sia. Di condividerla."

Non le aveva ancora capite fino in fondo, ma in un certo senso la affascinavano. Sebbene provasse disagio a pensare di legarsi a qualcuno, di avvicinarsi troppo oltre la zona limite, quando vedeva quei due l'aura che li circondava le sembrava splendente, libera. Era qualcosa di bello.

Lavy scosse la testa e allungò la gamba oltre la scialuppa, seguita da Nick, e fu proprio allora che notò qualcosa di strano.

Sulla spiaggia, a osservare l'orizzonte da cui erano provenute le quattro navi dei pirati, c'era un uomo dai capelli lunghi e crespi color grigio chiaro. Un biondo scolorito dall'età. Gli occhi celestini e slavati erano scavati da solchi che gli conferivano un'aria solenne, sotto il lieve spirare del vento proveniente da est.

"Hornigold? Che diamine ci fai qui? A furia di tenere il culo sulla sedia nel forte ti si è raggrinzito?" esordì Vane, che superò a larghe falcate Lavy.

Ma l'espressione vacua negli occhi dell'anziano capitano fecero morire all'istante il ghigno sul suo volto. Sia Vane che Lavy capirono subito che qualcosa non andava. Un orribile presentimento scavò nello stomaco di entrambi.

"Che è successo, Ben?" chiese senza fronzoli Vane. "Perché non sei al forte?"

Benjamin Hornigold puntò gli occhi in quelli turchesi dell'altro. Poi verso Lavy, la quale lesse subito in essi un timore che quasi la scompose.

"Il forte... è stato invaso." rivelò infine Hornigold. "Il capitano Ned Low l'ha conquistato in una sola notte, e si è autoproclamato leader dei pirati di Nassau."

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