XX. L'invasore: Punto debole

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L'interno della prigione del forte di Nassau era buio, tanto da rendere complicato distinguere cosa ci fosse con esattezza al di là delle sbarre. Tutto era umido, freddo e spoglio. La muffa infestava gli angoli più nascosti del soffitto dove i filamenti delle ragnatele si intersecavano tra loro a formare schemi tanto simmetrici quanto inquietanti. Non era raro udire lo squittio di qualche roditore nei paraggi, né il fruscio delle ali appartenenti a degli insetti infestanti.

Una timida, fioca luce penetrava da una finestrella sbarrata in alto, e illuminava in parte alcuni stralci di stanza. Ma tanto bastava a Anne Bonny, rannicchiata a gambe incrociate nella sua cella, a captare ciò che le serviva nelle vicinanze. Era stato semplice notare l'ombra sfocata di qualche uomo di Low che nei passati due giorni avevano portato del cibo a lei e Jack. E lo sarebbe stato ancora di più afferrare le loro braccia quando avevano allungato le ciotole oltre le sbarre, e schiantarli più e più volte sul ferro arrugginito fino a far perdere loro i sensi.

Ma non erano lì per quello. Non era il motivo per cui si erano fatti catturare in quel finto negoziato, circa quarantotto ore prima.

Dopo tutto quel tempo passato a setacciare le pareti intorno a loro, nel piccolo spazio di quella zona sotterranea del forte composta quasi solo dalla loro cella, Jack credeva di essere riuscito a trovare un punto dove i colpi nel muro che sferrava facevano cedere regolarmente del pietrisco dalla parete. Ma non era ancora sicuro che quello fosse un punto abbastanza delicato da essere perforato con poca polvere da sparo. Sebbene più volte avesse bussato sulla superficie, accertandosi che l'interno fosse vuoto, e quindi non portante. E, in più, avesse notato una lunga crepa obliqua distendersi tra i due angoli opposti di quella zona, simbolo di fragilità strutturale.

Le mura esterne del forte però erano ben spesse e molte zone avrebbero resistito anche a dei colpi di cannone potenziati. Ogni volta Jack ripeteva che voleva essere certo. Non voleva che il frastuono che avrebbe provocato l'esplosione fosse stato inutile.

Finché l'invasore credeva di poterli usare per ingannare Vane, andava bene. Serviva loro un po' di tempo.

"Jack, hai finito di picchiettare la parete? Tra poco sarai tu a buttarla giù senza bisogno degli esplosivi." si lamentò Anne dopo un quarto d'ora buono di leggeri calci e pugni sferrati dal compagno.

La matassa di capelli crespi che le giungeva fino ai fianchi copriva quasi del tutto il suo volto inacidito.

L'altro le rivolse un breve grugnito di esasperazione. "Non lamentarti, cara Anne... sai com'è, voglio-"

"Essere sicuro, ho capito." bofonchiò la giovane. "mi sta venendo l'emicrania tra te e il pensiero di non aver spezzato tutti i denti a quel sacco di merda di Low. Siediti per cinque minuti, forza."

Jack sospirò e assentì, distendendo i muscoli, e accomodandosi con le schiena sulle sbarre, di fronte a Anne. Gli occhi della ragazza erano più luminosi del solito, circondati dal buio che dominava la stanza. Erano lame taglienti piene di insidie celate che attiravano l'uomo, come se ogni volta che li incontrava fosse la prima.

"Tanto mi sa che più di così non posso esserne certo. Credo di aver trovato il punto che Lavy ci ha indicato, dopotutto. Sono contento che l'informazione fosse vera. Ora dobbiamo solo aspettare il suo emissario." disse, senza distogliere lo sguardo da quello imperturbabile di Anne.

Lei era dominata dal dubbio. "Chissà quando si deciderà a venire, poi. Sempre che ci riesca. Spero che abbia un buon piano per infiltrarsi, perché Low non è tanto stupido da lasciare che qualcuno girovaghi per il forte a suo piacimento."

Ma era anche vero che quella persona a cui sarebbe toccato raggiungerli, per farsi indicare il punto in cui piazzare gli esplosivi dall'esterno, le era sembrata capace e piena di risorse fin da quando aveva piazzato gli occhi sulla sua magra sagoma. Kidd non era per nulla da sottovalutare. E, dopo aver ascoltato il piano che aveva messo a punto in così poco, Anne pensava lo stesso di Lavy Thomson. Forse quella ragazza stava finalmente iniziando a ragionare come gli squali che la circondavano.

O forse stava diventando qualcosa di ancora più pericoloso, pieno di una ferocia superiore a qualunque altra, una rabbia che doveva per forza derivare dall'odio.

"Di sicuro Low starà pensando a quale pretesto trovare per affrontare Vane, ora come ora. Attende che esca allo scoperto, dopo averci catturati. Forse la mancata reazione inizia a insospettirlo, più tempo passa e maggiore è la probabilità che cerchi di usarci in modi più diretti per condurlo da lui. E sono sicuro che questi modi non ci piacerebbero." affermò Jack, pensieroso.

"Deve solo provare ad allungare un dito su di me, stavolta glielo stacco a morsi e glielo infilo nel culo." ringhiò Anne, in tono selvaggio ma sempre sommesso.

"C'è mancato poco che non iniziassi un duello mortale con lui al negoziato, potevi controllarti meglio." la rimproverò con un ghigno scherzoso l'altro.

Anne fece spallucce. "Beh, io ci ho provato. Se l'avessi ammazzato, non ci sarebbe stato bisogno di nessun piano."

"Ma tutto il resto dei suoi uomini ci avrebbero uccisi pochi minuti dopo."

"Dubito. Non ho mai perso in vita mia, in nessun contesto. E tu lo sai." ammiccò verso di lui, con uno sguardo ricolmo di eloquenza. Un pensiero languido le si introdusse in testa, spingendola a scavare con più irruenza e prepotenza nelle iridi del complice, cercando di imprimere quel desiderio anche dentro di lui.

"Non mi sembra il momento, Anne... diamine, la tua capacità di cambiare umore nel giro di due parole è pari solo alla tua testardaggine." farfugliò Jack, ironico, alzando il collo a contemplare il nero totale in cui era immerso il soffitto, il suo pomo d'adamo pronunciato messo in maggiore mostra da quel gesto.

"Non fingere che la cosa non ti piaccia." lo schernì lei, liberandolo finalmente da quella tensione e tornando a guardare il basso, nella direzione opposta rispetto all'uomo.

L'atmosfera si alleggerì in fretta, come spesso succedeva tra loro. Quando erano insieme vigeva un continuo bilanciamento tra le forti passioni e i cambi d'umore repentini di Anne, e la stabilità mentale ed emotiva di Jack, in un susseguirsi altalenante di tensione e serenità. Si sentivano a loro agio, in quella loro sfera personale.

Si donavano a vicenda una mutua sicurezza che consideravano rara, ed era solo la loro.

L'uomo dalla chioma bianca e la katana nel fodero legato alla cintura in vita procedeva col suo solito passo cadenzato, eppur leggero, lungo il sentiero ghiaioso e isolato il cui perimetro era percorso da ciottoli ed erbacce sporadiche.

La scogliera nera si innalzava dal mare a circa trenta metri a est rispetto alla sua posizione, e le onde quel giorno caratterizzate da un lieve stato di schiumante turbolenza si infrangevano su di essa, levigandone la superficie.

Danny Flicker si era recato di rado nella zona all'estremo ovest dell'isola, se non nel periodo in cui soffriva in maggior misura la povertà, e la frequentava per giocare d'azzardo nei bordelli più fuori mano con gente ancora più rozza e disperata degli avventori della Steady Dock Inn.

Al di là della scogliera, infatti, il paesaggio diventava più selvatico, inospitale. Per questo era spesso e volentieri sede della feccia della peggior specie: dai barboni che si accampavano nei pressi delle insenature naturali piene di umidità e salsedine, ai pirati che intendevano sfogare le loro pulsioni peggiori lontani da occhi indiscreti.

Lui però non si sentiva affatto spaventato. D'altronde, il fondo sentiva già di averlo toccato, e l'aveva fatto proprio prima dell'arrivo improvviso di quella ragazza, piombata nella sua vita come un proiettile sparato a bruciapelo. La situazione di schiavitù da cui Lavy l'aveva liberato era stata solo il culmine del continuo squallore in cui aveva vissuto da quando aveva raggiunto Nassau. Dopo aver lasciato la persona che gli aveva insegnato tutto.

Lo spadaccino strinse più forte la katana penzolante al suo fianco per appena un attimo, prima di fermarsi, davanti alla sua destinazione.

Il sentiero terminava con una piccola salita, e si apriva in una piazzola dove l'erba diveniva più incolta e dominante. Oltre una staccionata lungo la quale steli ribelli si abbarbicavano come vipere, sorgeva la struttura modesta di una taverna, bassa e rettangolare, interamente in pietra, con finestre di legno aperte da cui fuoriusciva di continuo del leggiadro vapore. La porta d'ingresso era dietro l'angolo del muro su cui era posato lo sguardo di Flicker, che invece equivaleva alla facciata laterale.

Era lì che avrebbe incontrato chi cercava. O almeno così gli era stato riferito da Charles Vane e Lavy.

Due uomini, infatti, sedevano su dei bassi barili poggiati lì vicino. Flicker li studiò a fondo, per valutare il loro aspetto.

Uno dei due indossava degli occhialini rotondi di quelli di piccole dimensioni. I suoi capelli erano color nocciola, corti e tirati verso sinistra, con una sfumatura che comprendeva tutta la parte laterale del cranio e la nuca.

L'altro, invece, con un sorriso trasognato un po' ambiguo stampato sul volto, vantava una lunghissima chioma di capelli corvini e lisci come seta a incorniciare un paio di occhi blu elettrico, simili a saette. La camicia scura era sbottonata, lasciando così intravedere la pienezza degli ampi pettorali.

Il quartiermastro della Susan aggrottò la fronte con aria interrogativa. "Dall'aspetto sembrano le persone di cui mi ha parlato Lavy. Le conoscenze del capitano Vane."

Gli era stato detto che probabilmente li avrebbe trovati a bighellonare nei pressi di quella locanda, e in effetti il profilo di nullafacenti sembrava corrispondere a loro. Ma era anche probabile che possedessero ciò di cui Lavy e Vane avevano bisogno per conquistare il forte.

Dopo un'ultima occhiata al singolare duo, il corsaro si avvicinò. Subito l'uomo con gli occhialini alzò lo sguardo, puntando gli occhi seri su di lui, mentre l'altro si limitò a rimanere calmo, illeggibile.

"Serve qualcosa?" domandò il primo, una volta che Danny si fu fermato.

"Mi è stato detto che da queste parti avrei trovato due persone in grado di procurarmi dell'esplosivo, barili di polvere da sparo." Il compagno di Lavy esordì con il suo tono flemmatico, sempre pacato ed equilibrato.

Il pirata dalla lunga chioma nera alzò un sopracciglio con aria interessata. "E chi te l'avrebbe detto, di grazia?"

"Il capitano Charles Vane." ribatté senza esitazione Flicker. "Mi ha detto anche di riferirvi che troverete il pagamento equivalente ai due barili sulla Roger, quando vorrete passare."

Lo stupiva il fatto che i due non si fossero scomposti affatto. Vane doveva essere sicuro di ottenere il loro aiuto, forse per conoscenze pregresse. Non aveva mai visto quei due uomini, ma aveva ragione di credere che avessero già un nome nelle Indie Occidentali.

Le spirali elettriche dell'uomo che gli aveva posto la domanda si accesero ancor più di curiosità rispetto a prima, mentre un sorriso caldo si allargava sul viso accentuandone la sua mascella prominente, il naso dritto e gli zigomi appena pronunciati. Il suo sguardo possedeva un profondo magnetismo che avrebbe rubato l'occhio di chiunque avesse indugiato su di esso. Attraente come la luna piena nel cuore della notte.

"Oh? Quindi, alla fine Charles ha deciso di ricorrere a noi per scacciare quel tipo. Pensavamo di intervenire, ma eravamo curiosi di vedere come avrebbe agito da solo." affermò, la voce chiara, solo appena graffiata da un accenno di aggressività passiva.

"Non è solo." rispose d'istinto Flicker. "C'è il capitano Sabers con lui, Lavy Thomson." Il suo tono tradiva una certa fierezza mentre la menzionava davanti ai due.

"Thomson, eh? Sì, ho sentito ciò che ha fatto di recente al galoppino di Lafonte." La voce dell'individuo con gli occhialini irruppe nella sua glacialità. "È una figura particolare, potrebbe interessare al nostro capitano."

Flicker non riusciva a smettere di aggrottare la fronte. La curiosità a quel punto iniziava a divampare in lui, voleva saperne assolutamente di più su quelle persone che conoscevano la nomea di Lavy, ma che lui non aveva mai visto, né sentito nominare, per sua mancanza di informazioni.

Kidd sembrava poter essere utile da quel punto di vista, si ritrovò a pensare.

"Il vostro capitano? E di chi si tratta, se posso chiedere? Inoltre, non sarebbe male conoscere anche i vostri nomi." Si mostrò deciso dinanzi ai due. Non voleva sfigurare mentre parlava per conto di Lavy.

L'uomo dagli occhi elettrici si alzò, mostrando il suo fisico definito ma slanciato, sul metro e ottanta.

"Ebbene, il mio nome è Samuel Bellamy, mentre l'affascinante simpaticone nonché campione di barzellette da taverna qui a fianco è Stede Bonnet." si presentò, mentre l'altro alzava gli occhi al cielo per l'appellativo goliardico che gli aveva dedicato.

"Siamo uomini del capitano Marshall D. Teach. Ma forse tu lo conosci per il soprannome legato alla sua barba nera." concluse Bellamy.

Flicker trasalì. Persino lui era a conoscenza della fama di quel capitano, quel demone addirittura tra i pirati, da come ne aveva sentito parlare. Si diceva contasse una flotta personale di trenta navi. Non l'avrebbe stupito se quei due, Samuel Bellamy e Stede Bonnet, possedessero entrambi un proprio galeone.

"Se il mio compare qui ha deciso di graziarci chiudendo la bocca, allora possiamo accordarci." Stede, sistemandosi gli occhialini, si rivolse all'ospite, ignorando intanto la plateale espressione ferita che Bellamy gli stava rivolgendo. "Non sarebbe la prima volta che collaboriamo con Charles, quindi possiamo procurarvi i barili di polvere da sparo. Ma ci serve una quota anche dal tuo capitano, Lavy Thomson, visto che sei arrivato tu in persona a fare richiesta."

Bonnet aveva tutta l'aria di un contabile, pensò Flicker. Non sarebbe stato male averne uno a bordo per gestire meglio partizione dei bottini e cassa della ciurma. Davanti ai due pirati, pensando a ciò di cui facevano parte e all'influenza che avevano, sentiva chiaramente quanto ancora piccola fosse la realtà che rappresentavano lui e la ciurma di cui era parte.

I pirati di Sabers erano ancora una cometa, che bruciava in modo vivido ma rischiava di spegnersi nell'oblio del vuoto al minimo passo falso. Era quella, la realtà.

"L'offerta sembra buona, riferirò sia al mio capitano che a Vane." Sapeva che non potevano permettersi di tergiversare, con la situazione a Nassau, e lo sapevano anche i due negoziatori. Sebbene paressero calmi riguardo la questione.

Forse i domini di Teach nei mari erano abbastanza grandi da ignorare una piccola rivolta a Nassau, e da lasciare che fossero altri a occuparsene.

"Io me ne devo andare." disse Bellamy, d'un tratto. "Domattina partirò per il Regno Unito, c'è una faccenduola che devo svolgere là. Ma Stede qui sarà felice di aiutare te e il tuo affascinante capitano, caro Danny Flicker." Canticchiando allegramente, si alzò e si diresse verso l'ingresso della locanda, dietro l'angolo. "Mi sa che vado prima a bere un po' di buon rum e poi parto, ci si vede!"

Stede sospirò per la sua frivolezza, mentre Danny lo fissò con una punta di stupore, pensando che sembrasse un po' fuori dal mondo nei suoi modi eccentrici.

"Ecco, ha scaricato di nuovo tutto su di me..." borbottò Stede, aggiustando ancora le piccole lenti rotonde sul naso lungo e stretto.

"Quindi, abbiamo un accordo?" chiese conferma lo spadaccino, tornando a guardarlo quando Bellamy smise di rubare l'occhio con la sua sola sagoma appariscente.

Stede gli rivolse un cenno di assenso e un mezzo sorriso da cui traspariva un lieve calore che lo prese alla sprovvista.

"Puoi dire a Charles e al capitano Sabers che avranno i loro esplosivi, dopo che avranno pagato. Per me è stato un piacere, Danny Flicker." Gli strinse la mano con forza. "Di' a Thomson che al mio capitano farebbe piacere conoscerla, un giorno. I nemici di gente come Low e Lafonte sono nostri amici."

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