XXII. L'invasore: Un asso nella manica

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Gli stivali affondavano nel terreno molle e viscoso sotto i due viandanti ammantati da un'eterea, grigia nebbiolina che offuscava in parte la vista. Sicuri nel passo, avanzavano ambedue con un barile tra le braccia, silenti mentre l'atmosfera pesante che li attorniava minacciava di vessare la loro tempra.

Lavy, però, i fili azzurri e finissimi che componevano la sua chioma cascante dal tricorno, sembrava non subire affatto lo scarso afflusso d'ossigeno in quella zona umida. Tantomeno il suo compagno dallo sguardo inflessibile e il naso adunco, Charles Vane.

Il retro della prigione del forte, situato all'estremo ovest dell'isola, si presentava come un fetido pantano composto da nient'altro che fango e fitte fila di cespugli e arbusti misti a salici piangenti, che delimitavano il sentiero stretto su cui i due capitani si ostentavano a proseguire. Il terreno era limaccioso e le calzature ci affondavano di qualche centimetro a ogni passo in più, come fosse un sordido e subdolo tranello che trascinava man mano gli ignari malcapitati verso l'inferno. Era quello che pensava Lavy, almeno, mentre nella sua mente raffioravano le storie raccontate da sua madre quando era piccola su strane sabbie che inghiottivano chiunque finisse al loro interno.

Certo, sapeva bene che non si trovava su delle sabbie mobili, ma ricordare quegli aneddoti in un certo senso riusciva a donarle una certa sicurezza. Erano simbolo di un lato di lei che teneva celato nelle profondità del suo animo, e non apparteneva a nessun altro. Almeno, non ancora. Si chiedeva se un giorno avrebbe potuto condividere certe cose senza paura di essere giudicata o derisa.

Dietro di loro non c'era altro che il mare, difatti avevano usato una scialuppa per giungere allo sbocco che dava su quella palude interna, piena di vegetazione, nella quale sarebbe stato fin troppo facile nascondersi e tendere un agguato.

"Siamo quasi arrivati." Lavy decise di rompere il silenzio fino ad allora interrotto solo dal verso di qualche grillo o cicala. Non ottenne altro che un rude verso di assenso dal compagno di traversata. "Ti facevo un tipo burbero, ma di certo non taciturno. Che c'è, quando non ti puoi vantare non sai cosa dire e quindi taci?" cercò di ironizzare la guerriera.

Vane sbuffò. "Stavo solo riflettendo, invece che andare in paranoia come te solo perché chi mi affianca non parla." rispose per le rime, in un ghigno appena accennato.

"Ah, sì? Addirittura pensavi... e sentiamo, cosa occupava la tua mente acuta di preciso?" domandò Lavy, sprezzante.

"A dire il vero, tu."

Le sopracciglia azzurre della piratessa furono aggrottate così tanto che la sua fronte si riempì di tante rughe quante se ne sarebbero contate su quella di un vecchio decrepito.

"Io?" quasi rigurgitò la parola.

Accorgendosi del malinteso, l'altro schioccò la lingua con fare annoiato.

"Sempre a fraintendere, eh? Non farti strane idee, stavo solo pensando a come hai orchestrato tutto questo piano in così poco tempo. Onestamente, hai sorpreso perfino me. Non ti facevo capace di tanta astuzia." Vane non era affatto tipo da elargire complimenti con facilità, e questo Lavy lo aveva già intuito da subito.

Era cinico, orientato verso i suoi obiettivi con concretezza, e odiava le perdite di tempo con tutto sé stesso. Per questo, il modo in cui la ragazza era riuscita a sfruttare le abilità di Jack e Anne, oltre a quelle di Kidd, e al contempo a mettere alla prova la lealtà di quest'ultimo ponendolo a tu per tu con Ned Low, erano tutte azioni che agli occhi del capitano della Roger le conferivano attributi apprezzabili.

Inoltre, era riuscita a far sì che proprio Low si muovesse nel modo che a lei faceva più comodo, e l'aveva fatto intuendo che tipo di persona fosse, stuzzicando così i suoi interessi. Forse Charles iniziava a stimarla. Sicuramente, la concezione che aveva di lei era migliorata almeno di un po'.

"Non mi conosci, eppure mi hai subito bollata come una sprovveduta. Non ti conviene sottovalutare gli altri così, capitano Vane. Potrebbero stupirti, e non sempre in positivo come ora." Lavy lo provocò di proposito, gettando enfasi sull'appellativo, un sorrisetto vincente a incurvarle le labbra all'insù.

Non poteva negare che in un certo senso quel riconoscimento da parte dell'alleato l'aveva lusingata in piccola misura, anche se non l'avrebbe mai ammesso. E in più si divertiva a istigarlo un po'.

Charles sminuì la provocazione con un'altro schiocco della lingua.

"Non che tu mi avessi dato modo di pensare il contrario, con tutte quelle scenate e quegli inutili discorsi etici. Mi stavo chiedendo da dove fosse sbucata una come te e perché stessi in mezzo a gente come noi." affermò, fissandola di sottecchi, le braccia vigorose a sorreggere il pesante barile senza dar segno di cedimento, così come per la ragazza al suo fianco. "E un pizzico di curiosità ammetto che mi è rimasta. Per caso c'entra tua madre? Sei venuta fin quaggiù a causa sua?"

"Indovinato." pensò Lavy, stentando a nascondere un velo di sofferenza nel suo sguardo rivolto verso gli stivali sporchi di fango, sotto il barile.

Eppure, sebbene non avesse nessuna intenzione di aprirsi, c'era qualcosa nel tono di Vane, forse dovuto al sincero interesse, o forse a una sorta di inconscio compatimento, che le dava voglia di spiegargli tutto. Sia per mostrarsi forte e sotterrare con orgoglio quella crepa che lui aveva in parte localizzato, sia come tacito ringraziamento proprio per averla notata. Ma, alla fine, decise di rifugiarsi ancora nel suo ermetismo.

"In ogni caso non sono affari tuoi, non credi? Io non sono Ginny." concluse. E Vane accettò la cosa con un grugnito indifferente che Lavy si era andato a cercare, ma che tutto sommato considerava il giusto epilogo per quella conversazione.

Non era ancora il momento di parlare, e di certo non era in compagnia della persona giusta per farlo, a discapito del rispetto ritrovato tra i due.

"Piuttosto, il nostro asso nella manica è pronto? Non vorrei che le cose andassero a rotoli per colpa sua." L'uomo virò sulla questione più concreta.

"Si è appostato dove gli ho indicato prima del nostro arrivo, puoi stare tranquillo. Lui non sbaglia mai." rassicurò l'altra.

"Sarà meglio. Non vorrei dovergli far pesare il fatto di averci piantati in asso per essersi unito a te solo perché gli hai fatto gli occhi dolci."

Lavy sbuffò. "Quindi sapevi effettivamente della sua esistenza?" borbottò. "E tanto per essere chiari, non gli ho fatto gli occhi dolci, si è unito a me perché l'ho valorizzato. Dovresti pensare a farlo più spesso anche tu a bordo del tuo equipaggio..."

"E che diavolo vorrebbe dire? Cosa siamo, un gruppo di scolaretti?" bofonchiò il pirata. "I miei uomini sanno anche da soli di avere un valore, altrimenti non sarebbero a bordo della mia nave."

"Sì, ma a quanto pare non tutti. Non hai una visione d'insieme, sono i fatti a parlare."

Vane alzò gli occhi al cielo. "I deboli rimangono indietro, ha sempre funzionato così dappertutto. Tu puoi permetterti di fare certi discorsi solo perché non lo sei. Non fare tanto la saccente superiore."

"Ti sbagli." disse Lavy. "Proprio perché so cavarmela, voglio vivere come credo e dimostrare che il mio metodo non è inferiore a quello degli altri. Ci ho messo un po' a capirlo, ma forse questo è ciò che mi spinge a rimanere una piratessa, nonostante tutto. Oltre alla vendetta."

E all'orgoglio, avrebbe voluto aggiungere.

La volontà di poter tornare dai suoi cari, da Susan, e mostrare che non era diventata un mostro corrotto dal mondo, ma una persona forte. Perlomeno, quello era il suo desiderio, ma la verità era che continuava a considerare sporco un lato di sé che non sarebbe mai più tornato come prima. D'altronde, uccideva con una tale facilità... Sentiva il suo cuore frantumarsi al solo pensiero dell'espressione della sua amica se avesse scorto nella sua anima.

"E comunque, i presunti deboli che a tuo avviso mi accollerei non si sono dimostrati tali, fino ad ora." concluse il discorso con un mezzo broncio.

"Già, fino ad ora." le fece eco Charles, con un sorriso complice che lei non poté fare a meno di ricambiare, dopo un sospiro esasperato.

Giunsero alle mura del forte, spesse ma sbiadite dal tempo e le intemperie che negli anni in cui erano rimaste incustodite, in quella zona desolata, le avevano usurate. L'accoppiata piazzò i barili ricolmi di polvere da sparo presso le pareti, con estrema cautela. Vane diede tre colpetti in fila sulla parete, come a dare un segnale a chi era dall'altra parte, e poi si allontanarono.

Fu allora che il fruscio nella vegetazione su entrambi i lati che li circondavano si intensificò.

"Alla fine, vi siete decisi..." Lavy guardò in cagnesco, con un pizzico di sbeffeggiante ironia, la figura di Ned Low spuntare dai salici alla sua sinistra, seguito da almeno dieci uomini che si piazzarono tutti di fronte a loro, davanti ai barili.

"Aspettavate da molto?" Sarcastico, Vane tese i muscoli, schioccando le nocche e chiudendo le dita a pugno con una tensione dirompente.

"La fretta è cattiva consigliera, caro capitano Vane." sibilò Low, gli occhi due rubini scintillanti sotto al sole cocente, che schermavano le sue iridi turchesi, opache nell'ombra.

"Capitano Sabers!" Low passò a squadrare l'altra, a braccia aperte in tutta la sua teatralità. "Sai, non ero sicuro se davvero tu volessi consegnarmi Vane come d'accordo, quindi mi perdonerai se mi sono un po' organizzato..." Il ghigno si allargò, aumentando di riflesso la malizia sul suo viso. "Dunque, vedi, te la farò semplice: se pensavi anche vagamente di fottermi, adesso morirai insieme a lui."

Lavy poggiò una mano sul suo tricorno, scrutando da sotto di esso con un sorriso sghembo l'uomo che la fronteggiava.

"Penso che invece non accadrà nulla di tutto questo, sai?"

Low non ebbe quasi il tempo di aggrottare le verdi sopracciglia, che la donna alzò un braccio al cielo. Subito dopo, due proiettili in successione provenienti dal fitto della vegetazione a ovest centrarono i barili accostati alla parete, pochi metri dietro di lui.

Un istante dopo, il boato prorompente che ne conseguì assordò i presenti, e le fiamme tinsero l'aria di scarlatto e oro.

Nick posizionò il fucile in verticale al terreno, lasciando che la canna si posasse sul suo petto con delicatezza. Sospirò e, dopo aver deglutito, si permise di rilassarsi. Era riuscito nel compito che Lavy, il suo capitano, gli aveva affidato.

Si sentiva fiero di sé stesso. Di esserle utile con la sua abliità. Forse un pizzico di orgogliosa sfrontatezza iniziava a colmargli il petto e riscaldarlo con una sensazione, un flusso frenetico, che non aveva mai provato in vita sua.

"È andata..." sussurrò, sollevato.

La parete della prigione era stata sicuramente distrutta da quell'esplosione, se quello era davvero il punto debole segnalato da Jack e Anne. Ora bisognava solo assaltare il forte dall'interno e conquistarlo.

Charles Vane e Lavy dovevano già essere dentro con delle forcine per aprire la cella e poi farsi strada sfruttando il fattore sorpresa verso il portone principale, dove le loro ciurme al completo sommate a quelle di Hornigold e Jennings li attendevano per sferrare l'attacco finale.

Solo che, quando scrutò tra le fronde che lo coprivano per valutare la situazione, il cuore sobbalzò nel suo torace, pulsandogli a ritmo accelerato nella gola. Nell'esplosione cinque uomini di Low erano morti.

Ma lui era ancora in piedi, accovacciato su sé stesso a tossire, insieme ad altri cinque dei suoi.

La cosa che lo sconvolse di più, però, non fu quella, quanto vedere solo Vane penetrare rapido nella voragine creata tra le mura del forte, mentre Lavy avanzava a passo lento ma deciso in una precisa direzione.

Camminava dritta verso Ned Low, le mani strette attorno all'elsa delle sue sciabole.

Senza pensarci due volte, imbracciò di nuovo il moschetto. Non sapeva cosa volesse fare esattamente, ma di certo Lavy dava per scontato il suo aiuto in quella situazione di svantaggio numerico.

E lui l'avrebbe sempre coperta, fossero stati anche da soli contro cento uomini.

Quando Low smise di tossire e si rimise in piedi, la pesantezza che avvertiva alla testa per lo scoppio ravvicinato a cui era scampato per un pelo gettandosi in avanti non era nulla, paragonata alla furia che gonfiava i muscoli delle sue braccia.

I bicipiti tesi a formare due possenti colline vibravano mentre stringeva i pugni nel vuoto, affondando le unghie nei palmi nudi. Gli occhi erano arrossati dal furore, e i canini sporgevano quasi come quelli di un lupo feroce messo alle strette.

Due pallottole a bruciapelo perforarono le sue orecchie col loro suono, a cui seguì l'impatto di altrettanti corpi senza vita sul terreno, un foro aperto in ciascuna delle loro fronti.

"Cercate quel cane che si nasconde tra le piante, uccidetelo come un verme!" gridò di getto, ancora in preda alla confusione.

I suoi uomini, tra cui il quartiermastro Perez, mugolarono versi d'assenso e presero a correre a zig zag verso ovest, nel cuore della palude, le braccia a coprire testa e cuore.

Mentre Low si riassestava, cercando di avvicinarsi all'entrata aperta nelle segrete del forte per raggiungere l'ormai lontano Vane, sentì una presenza schiacciante incombere alle sue spalle. Una che gli fece sgranare le palpebre di scatto.

"Ehi." La voce femminile dietro di lui pareva il ruggito di una tigre pronta al balzo.

Si voltò, e vide la figura dritta, statuaria, della donna con il volto semi celato dal tricorno e le dita tamburellanti attorno alle impugnature delle sue letali armi nei foderi. Il suo ghigno sadico era un puro monito, il segnale che a stento riuscisse a contenere la furia albergante in lei. Gli occhi erano due sfere fiammeggianti immerse nel vuoto nero e totale che la avviluppava.

"Sabers..." Quasi ringhiò il suo appellativo.

"Adesso mi hai davvero stancata, sadico bastardo." mormorò lei. "Saresti dovuto morire nell'esplosione, ma tanto meglio, un po' speravo non accadesse... Sei esattamente dove ti voglio." Estrasse le sciabole in una volta sola con un repentino, affilato sciabordio. "Ora dimmi dov'è Boyd Lafonte."

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