Cap. 1: Sei tu il mio Master?

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Un altro giorno come altri. Poteva sembrare questo quello che Ayaka, ancora una volta, stava affrontando. Ma non era così.
Quel giorno era il giorno del suo compleanno. Non aveva nessuno che lo festeggiasse - non che a lei dispiacesse, non le era mai piaciuto festeggiare in grande o con qualcun altro all'infuori della sua famiglia. La parte interessante di quel giorno non era però il compleanno in sé per sé, ma la consapevolezza che ora era maggiorenne. Ciò implicava che, finalmente, era pronta per partecipare alla Guerra del Santo Graal.
La ragazza, nata come maga, era stata preparata fin dalla giovinezza per questo evento. L'evento che, a detta di suo padre Hirogi Aise, sarebbe stato il più grande della sua intera vita.
Doveva combattere contro altri sei Master, maghi che avrebbero evocato, così come lei, un Servant, uno spirito d'un eroe molto potente il cui nome la storia lo ricorda e mai potrebbe dimenticarlo. Se l'avesse vinta avrebbe potuto esprimere un desiderio, qualsiasi esso fosse, al Graal.
L'anno in cui la ragazza avrebbe compiuto i diciotto anni si sarebbe tenuta nei paraggi la guerra tanto desiderata. Per tutta la vita lei si era preparata a questo momento, momento in cui avrebbe evocato il tanto famigerato Servant e in cui avrebbe ufficialmente preso parte alla guerra che, di lì a poco tempo, sarebbe cominciata.
Sebbene a scuola si comportò normalmente, ricevendo ogni tanto degli auguri da parte di qualche conoscente o di qualche amico, non vedeva l'ora di tornare a casa.
Passò tutta la durata della lezione a perdersi con la testa, fantasticando su chi avrebbe evocato.
I Servant da evocare erano sette, uno per ogni Master, e nonostante di eroi ce ne fossero a bizzeffe, poteva pensare a quale classe avrebbe evocato. Ognuno di questi sono evocati sotto una classe, le quali in totale sono sette.
Saber, Archer, Lancer, Rider, Caster, Assassin e Berserker. Erano queste le possibilità.
Tutte erano valide. Ma di certo il ruolo maggiore, la classe vincente, era interpretata dai Saber, cavalieri che solitamente si servono d'una spada.
Era facile per lei fantasticarci su ed anche se non era mai stata un'ottimista, lei sperava - no, pensava d'aver già in pugno l'evocazione sicura di un Saber. I suoi studi erano durati tutta la sua vita, si era anche procurata un catalizzatore, un oggetto capace di richiamare un certo spirito eroico. Il suo era la foglia di tiglio macchiata di sangue, era capace di far evocare il leggendario eroe celtico Siegfried.
Mentre i professori parlavano lei era presente in classe solo con il corpo. Con la mente era già arrivata a casa, mossa dalla frenesia del voler evocare il prima possibile il suo servo. Si chiedeva, per com'era sicura dell'evocazione di Siegfried, come questo potesse essere dal vivo. Dubitava fortemente che fosse come nei ritratti, preferiva affidarsi di più all'immaginazione.
Quanto sarebbe stato alto? Quanto sarebbe stato forte? Forse, se le fosse andata di fortuna, sarebbe anche stato affascinante.
L'attesa del piacere è essa stessa il piacere, così dicono. Ma Ayaka non credeva a questo detto; per quale motivo l'attesa sarebbe dovuta essere un piacere? Ciò che desiderava ardentemente era che le lezioni finissero il prima possibile, in modo tale da poter correre a casa.
Arrivate le quattro di pomeriggio fu finalmente libera di correre nella sua dimora. Prese la sua borsa, se la mise sulle spalle, salutò gli amici e corse a casa.
Nel rientro incontrò come solito Romanne Bestef, una sua cara amica d'infanzia. Lei aveva finito da tempo ormai la scuola, ma d'abitudine lei l'aspettava fuori casa allo stesso orario. Non si scambiavano mai poi tante parole, le giuste per salutarsi.
- Heylà, Aya!
Ayaka Aise, che in giorni normali si sarebbe fermata più volentieri a parlare assieme a lei, ora non aveva né tempo né voglia di parlare. Non voleva aspettare ancora troppo il momento tanto atteso.
- Ancora una volta sei qui ad aspettarmi?
- Non smetterò, è stata una promessa fin da quando siamo piccole dopotutto!
- Romanne, mi dispiace doverti interrompere, ma ora ho molto da sbrigare. Ho così tanto lavoro per casa da dover fare.
Usò questa come scusa per andarsene, aumentando la credibilità con il fatto che, mentre ne parlava, indietreggiava e si dirigeva verso la porta di casa.
- Ancora? Ogni giorno aumentano! Dovresti lasciare la scuola, così sarai libera proprio come me!
- A differenza tua voglio assicurarmi un lavoro. Senza studiare di certo non posso permettermelo.
Accennò un sorriso e salutò con la mano destra, mentre con la sinistra frugava tra il mazzo di chiavi che si portava dietro in cerca di quella che avrebbe aperto la porta di casa. La trovò e la infilò. L'amica ricambiò il saluto, che venne fermato dalla porta di Ayaka che si chiuse.
A casa non c'era nessuno, i suoi genitori erano molto spesso impegnati con il loro lavoro e l'orario per rientrare per entrambi non era mai prima delle 21. Ne aveva ancora di tempo per stare da sola.
Senza pensarci due volte corse in camera, non si fermò nemmeno a mangiare qualcosa per merenda. Era troppo impaziente per farlo.
La camera era rimasta intoccata da quando era uscita. Né la madre né il padre erano entrati, ed anche se fosse non avevano frugato né rovistato.
Da prima d'andare a scuola aveva già preparato tutto quello che serviva; un cerchio runico al centro della stanza ed al mezzo di questo il catalizzatore. L'aveva lasciato lì perché era sicuro che, in questo modo, sarebbe riuscita a convocare con più certezza l'eroe celtico.
Libri contenenti le giuste formule da pronunciare aperti sulla scrivania, erano circa tre o quattro, forse c'era anche un quinto che però era nascosto da quello che aveva poggiato sopra.
Abbassò le tapparelle per sicurezza e rimase con solo la luce interna a casa accesa, per non dare nell'occhio ai vicini ed ai passanti.
Il cerchio, che era già quasi completato, mancava ancora d'un pezzo, un'unica runa da disegnare per completarlo.
Prese il gesso sulla scrivania e si accovacciò, disegnando poi la runa mancante. Si alzò e diede una rapida occhiata all'insieme, sbirciò uno dei libri aperti per controllare che il disegno illustrativo coincidesse con quanto fatto da lei, e sospirò dal sollievo a vedere che non v'erano differenze.
Tutto era finalmente pronto. L'attimo che bramava più di ogni altra cosa era finalmente giunto.
Ayaka Aise si pose davanti al cerchio e tese il pugno chiuso verso il centro di questo. Chiuse anche gli occhi e fece un piccolo sospiro, per calmare i muscoli che erano tesi data l'eccitazione.
In silenzio ci rimase per qualche istante, poi, timidamente, mosse le labbra e pronunciò l'incantesimo.

- Alle leggende che scrissero la storia,
che costruirono civiltà,
che furono riconosciuti e rispettati
o a coloro che vennero derisi e calpestati.
A coloro che combatterono,
che siano loro nel torto o nella ragione,
dando la loro vita.
L'umanità ne chiede il supporto,
questi sono gli ultimi desideri.

Il cerchio s'accese, diventando d'un bianco splendente che illuminava la stanza più della luce stessa.

- In te incanalerò il cambiamento,
ed in me tu incarnerai la mia volontà.
A quelli che furono scritti nelle leggende,
che fossero eroi o che fossero malvagi,
che fossero uomini o che fossero Dei,
di re e di imperatori,
io chiedo il vostro aiuto.
A coloro che ascoltano la chiamata,
palesati, o eroe, o malvagio,
o uomo, o Dio,
o re, o imperatore!
Mostrati per dovere,
per desiderio,
per volontà!
Appari ed obbediscimi,
sottomettiti al mio volere
e conducimi al giusto,
alla vittoria, al mio desiderio.

La luce si fece più forte, tanto da quasi accecare Ayaka, che però non demordeva e continuava a pronunciarlo ugualmente.

- A te che sarai la mia unica barriera,
se accetti d'esser mio famiglio,
mostrati!

Al finire dell'incantesimo, l'intera camera venne avvolta da una forte luce, tanto da costringere la ragazza a coprirsi gli occhi. La luce portò un forte vento, come se all'interno della stanza stesse per arrivare un tornado, e fu così per abbondanti istanti che per lei parevano minuti su minuti interminabili. Gli oggetti cominciarono a volare, lasciandosi trascinare dalla forte brezza. Libri, appunti, venne trascinata anche la sedia e per poco non portava con sé la stessa futura Master.
D'improvviso entrambi si fermarono e tutto cadde a terra disordinatamente, procurando un forte rumore, un tonfo di qualcosa di pesante che cade.
Aprì un po' gli occhi e con stupore vide che il rituale aveva funzionato: al centro, infatti, v'era un uomo in armatura.
Era smilzo, presumibilmente la sua forza non derivava dal suo fisico ma dalle sue capacità. Il volto era coperto da un elmo chiuso, sugli occhi prendeva una forma allungata verso l'alto che da grigio com'era passava al nero ed infine al rosso.
In realtà tutto il corpo era coperto da quell'armatura, mani e piedi compresi. Alle mani non sembravano semplici guanti, quanto più una continuazione della stessa armatura che sul busto prendeva il rosso come colore principale.
Verso il bacino si divideva in due parti; una parte prendeva una forma come quella del retro d'un cappotto ( anche se comunque rigida ), mentre l'altra continuava e copriva come un pantalone le gambe fino ad arrivare i piedi, ai quali prendeva una forma simile a quella di uno stivale alto.
Entrambi passarono i primi momenti a scrutarsi l'un l'altro; Ayaka voleva assicurarsi che quello da lui evocato fosse un Saber - no, il Saber che lei desiderava. Ci stava credendo data la sua armatura e la spada che il misterioso servo aveva materializzato con sé.
Stanca di guardare soltanto, alla fine la giovane si decise e domandò:
- Chi sei?

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