Prologo

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Rileggo la lista per controllare per un'ultima volta di aver preso tutto:

• Crema solare
• Dentifricio
• Analgesici
• Preservativi

Preservativi?

«Ricky!» il mio grido a squarciagola prorompe da dentro la mia stanza. Chiamatemi pure fissata, ma odio quando le mie liste vengono profanate, e sembra che questo sia l'ultimo passatempo di mio fratello: darmi sui nervi.

Faccio un bel respiro e appallottolo tra le mani il foglietto già spiegazzato, prima di lanciarlo verso il cestino accanto alla scrivania con un gesto atletico, manco fossi Michael Jordan.

Ovviamente, non faccio canestro, nel caso ve lo steste chiedendo.

Ma non mi scompongo, sono arrivata alla conclusione che questi banali accadimenti, simpatici quanto un calcio negli stinchi, siano solo il modo beffardo del destino di ricordarmi che no, una gioia mai.

Oggi, però, è diverso. Oggi si parte per le vacanze dopo tanto, tanto tempo e non permetterò a niente e nessuno di rovinarmi l'umore.

Guardo l'enorme zaino da campeggio svettare sul mio letto: ci sono volute tutta la mia forza e un paio di mosse di wrestling viste in tv per riuscire a chiuderlo, visto che il bastardo non voleva proprio saperne di tenersi tutta la mia roba dentro.

Ma, alla fine, eccolo lì, sconfitto: giace sul materasso, come la carcassa di una belva feroce, la prova concreta che sta per succedere, non sto sognando, si parte davvero.

Sono trascorsi tre anni da quando io e Ricky abbiamo messo per l'ultima volta piede in quella casa, anche se sembra passata una vita intera.
Ma, stavolta, sarà tutto diverso.
Lei non ci sarà.

Lei non c'è più.

Ed ecco come le mie intenzioni di non farmi rovinare l'umore vanno bellamente a farsi benedire in meno di sessanta secondi. Sbatto le palpebre per ricacciare le lacrime, maledicendomi silenziosamente per essermi abbandonata a pensieri così tristi. Un anno e mezzo di terapia con lo strizzacervelli e ancora non riesco a darmi una regolata, sono proprio una causa persa.

Avevo sedici anni quando mia madre è morta e il mio mondo è crollato.

Non lo dico per giustificarmi, è solo un dato di fatto.

Ricky si trovò appena maggiorenne a essere l'unico adulto di casa e a doversi prendere cura di me, tra le altre cose. E chi ha avuto la (s)fortuna di conoscere mio fratello, già può immaginare quale genere di disastro apocalittico si delineava nelle nostre vite.

Non sapeva neanche da dove iniziare. La maturità di Ricky oggi è paragonabile a quella di un Peter Pan ai tempi dell'asilo (nido), figuratevi cosa poteva essere a diciannove anni.
Comunque, era pur sempre tutto ciò che rimaneva della mia famiglia, con i suoi riccioli biondo scuro sparati qua e là e un'adorabile faccia da schiaffi.

A modo suo, Ricky si è impegnato, su questo non ci piove. Posso dire che tutto quello che so sulla vita l'ho appreso da lui, e non mi sono mai interrogata se fosse un esempio giusto o sbagliato per me. È sempre stato l'unico modello disponibile e quindi l'ho seguito, con tutto l'amore e la stima di cui ero capace, cercando di rendergli il compito meno arduo possibile.

Io non sono una testa calda, anzi. Sono una di quelle tipe con i piedi ben piantati per terra. Assennata, precisa, ragiono con la mia testa, ma rispetto le idee altrui, sono mezza maniaca dell'ordine, anche se cerco di non darlo a vedere.

Ah, e sono vergine.

Non c'è un vero e proprio motivo per il quale a diciannove anni suonati non sono ancora andata a letto con nessuno. È solo che, quando ne ho avuto l'occasione, non me la sono sentita e, per quanto non creda più alle favole, sono fermamente convinta che sia una di quelle esperienze che devi vivere con una certa sicurezza dentro di te. Voglio sentirmi pronta, quando sarà il momento giusto, lo capirò.

Ho avuto un ragazzo, siamo stati insieme per quasi un anno, si chiamava Ivan ed era un mio compagno di classe. Mi è stato accanto in quella situazione dolorosa per tutto il tempo, e dopo un po' era riuscito a superare la sua timidezza e a confessarmi di essere innamorato di me.

Povero Ivan, se ci ripenso. Era sempre paziente e comprensivo, non mi faceva pressioni di alcun genere, neanche quando dopo ore di preliminari e petting abbastanza spinto, mi tiravo indietro dall'andare fino in fondo. Mi ritraevo, accampando la mia solita scusa del non sentirmi pronta, e delle volte lo lasciavo talmente eccitato che sembrava fargli male. Ooops.

Gli volevo bene, certo, ci ero affezionata come ci si affeziona all'idea di una coperta calda quando fuori nevica. La sua presenza era rassicurante, lui così dolce e accondiscendente, eppure...

...eppure non sono mai riuscita a sentirmi realmente me stessa con lui.

C'era qualcosa nel suo sguardo che mi faceva sentire giudicata, probabilmente per il mio modo di vivere alla giornata, senza una reale programmazione del futuro. Ivan aveva cercato di adattarsi, si è sforzato con tutto sé stesso, ma non ci è mai riuscito, e alla fine abbiamo deciso semplicemente di non vederci più.

La cosa di gran lunga peggiore, però, erano le angherie che subiva da Ricky e Axel.
Non facevano altro che prendersene gioco, da bulletti quali erano, vedendolo così diverso da loro, con le sue camicie stirate e i mocassini ai piedi.
«Mia sorella non te la darà mai, sei troppo sfigato.» lo schernì Ricky l'ultimo giorno che lo aveva visto, senza accorgersi dei pugni stretti del ragazzo e delle sue lacrime agli occhi mentre usciva per l'ultima volta dal nostro appartamento.

Forse non sono mai riuscita a lasciarmi completamente andare perché soffro di una qualche forma di sindrome dell'abbandono, chissà.
Dovremo chiederlo al caro, vecchio Doc.

D'altronde, la perdita di mia madre non era stata la prima volta che io e mio fratello venivamo abbandonati.
È stata solo diversa.

Qualche anno prima, infatti, non appena scoperto il male incurabile e il calvario che avrebbe dovuto affrontare, mio padre ha volontariamente deciso di andarsene, è sparito nel nulla e non l'abbiamo più rivisto né sentito, lasciando Ricky arrabbiato e me piena di domande.

Mio fratello è un ragazzo molto difficile da leggere. All'apparenza sembra sempre allegro e spensierato: la sua maschera è il suo sorriso, bellissimo e strafottente, e non si concede di togliersela neanche nei momenti più bui, dando l'impressione che nulla possa scalfirlo, che nulla possa farlo soffrire.

Non ha mai pianto, lui.

E anche se questo sembra grottesco agli occhi di tutti quelli che lo conoscono, per me è sempre stata una qualità da ammirare. Quella sua ostentata e sfacciata sicurezza mi ha avvolta e cullata quando tutto mi sembrava perduto, ed è stata il mio spiraglio di luce in fondo al tunnel, quello che ti lascia intendere che c'è speranza di uscirne.

«Allora, Leah, sei pronta?» fa capolino nella mia stanza. Allungo il braccio indicando soddisfatta il grosso zaino da campeggio, riempito fino all'orlo.
«Wow, viaggi leggera» sospira sarcastico corrugando la fronte. «Spero che ci sia spazio nel bagagliaio di Axel per questo bestione.»

Ed ecco l'altra novità: Axel in vacanza con noi.

Noi tre, da soli.

Axel è il migliore amico di mio fratello.
Lo so, sembra il classico cliché detto così, e anche loro odiano questa etichetta.
Ma voi come li definireste due che sono l'uno l'ombra dell'altro?

Non riesco neanche a ricordare un momento della mia vita in cui Axel non fosse già una presenza costante, avrò avuto circa dieci anni la prima volta che l'ho visto. Come dimenticarla: un ragazzetto gracilino, che se ne stava in silenzio appollaiato sul divano del mio salotto, a tirarsi le pellicine dalle ginocchia sbucciate, mentre, dalla stanza accanto, la voce di mio padre tuonava su Ricky.

Nonostante la giovane età e l'aspetto acerbo e innocente, i due si erano cacciati nei guai già talmente tante volte che mio padre era ormai esasperato. Quella fu anche peggio del solito, perché l'avevano combinata proprio grossa: avevano venduto degli integratori vitaminici a dei ragazzi dell'ultimo anno, spacciandoli per ecstasy. Qualcuno doveva aver mangiato la foglia, ed era andato dritto dritto a denunciarli dal preside.
Si guadagnarono una bella espulsione e, nel caso di mio fratello, una giusta dose di botte.

«Ciao», lo salutai timidamente alzando la manina, cercando di ignorare gli improperi di mio padre che provenivano dall'altra stanza.
Axel non rispose, si limitò ad alzare lo sguardo, esaminandomi rapidamente da sotto il ciuffo arruffato che gli ricadeva sulla fronte.

«Cosa avete combinato?» lo incalzai sempre più incuriosita. «Papà è arrabbiato. Anche il tuo lo è?»

Silenzio. Ricordo ancora quella sensazione, probabilmente non mi era mai successo prima di quel momento di essere completamente ignorata da qualcuno.

Corsi in bagno e tornai qualche istante dopo con una scatolina tra le mani. Mi avvicinai a lui, che per la prima volta alzò lo sguardo su di me, mostrandomi gli smeraldi scintillanti sul suo volto. Estrassi un cerotto dalla confezione e, senza dire una parola, glielo misi sul ginocchio, da cui iniziava a uscire fiacco un rivolo di sangue.
«Con questo guarirai» gli dissi, e gli posai un bacino proprio sopra, dove lo avevo appiccicato. Sulle prime, si irrigidì, guardandomi come se fossi una sorta di esperimento da laboratorio, ma poi la linea piatta della sua bocca si incurvò verso l'alto.
«Grazie, infermiera.»

Riflettendoci su, forse è stato allora che ho perso la testa per lui, chissà. Non riesco a piazzare questo fatto su un punto preciso della linea del tempo.

Axel, Axel, Axel.

Axel è un bel problema.
E con questo intendo dire che è proprio bellissimo, ed è per questo che è un problema.

Non storcete il naso!
La ragazza che ha una cotta per l'amico del fratello, wow che originale.

Non sono io. Tutte hanno una cotta per Axel. Il suo fascino magnetico attira sguardi da parte del sesso femminile di qualsiasi età, aspetto o status sociale. Dalla bambina che vende limonata all'angolo, fino alla prof. di religione zitella, nessuna gli resiste.

Gli zigomi alti e marcati, la mascella che sembra scolpita nel marmo, i folti capelli castano chiaro col ciuffo ribelle e sbarazzino, il pomo d'Adamo sporgente. Ma soprattutto quei suoi maledetti, inquieti occhi verdi che hanno il potere di trafiggerti.

È più forte di me. Ogni volta che lo vedo inizio a fremere, le palpitazioni aumentano, le pupille si dilatano. È la solita reazione involontaria e incontrollabile del mio corpo alla presenza di quel ragazzo, che invece ha tutta l'aria di essere indifferente a tutto ciò che lo circonda, imperscrutabile.

Non mi hanno mai portata in vacanza con loro, questa sarà la prima volta, e dovrò ricorrere a tutte le strategie affinate in questi anni per riuscire a non guardarlo imbambolata per tutto il tempo, a così stretto contatto.

«È arrivato, non dimenticare qualcosa di più pesante per la sera. Sicuramente faremo le ore piccole!» la voce di Ricky si propaga dall'altra stanza, ridestandomi da quei pensieri poco... casti.

Dopo poco, usciamo di casa, e ci scambiamo un'occhiata mentre Ricky gira la chiave nella toppa per chiudere la porta. «Che l'estate abbia inizio» proclama con una certa solennità mentre si abbassa sul naso i suoi Rayban neri.

«Vedo che hai fatto lavare la macchina per l'occasione, mi sento onorato.» chiude il bagagliaio della Volvo nera di Axel e apre la portiera posteriore. «Leah, siedi tu davanti, dobbiamo fermarci a prendere un'amica.»

Un'amica.
Ma non dovevamo essere solo noi tre?

«Chi?» il tono stridulo della mia voce tradisce il mio disappunto.

«Emily.» risponde Axel non appena mi accomodo sul sedile accanto al suo, facendomi sobbalzare. «È la fortunata che si sta scopando tuo fratello da ben quattro mesi. Ringraziando il cielo sarà con noi solo per il viaggio. Non sopporterei la sua vocina acuta appena sveglio» aggiunge con tono fintamente polemico.

«Le sue qualità sono altre, solo che tu non le scoprirai mai.» commenta Ricky dal sedile posteriore e la sua risata copre il rumore del motore che si accende.

Durante il viaggio parliamo per tutto il tempo del più e del meno, i ragazzi si lasciano andare a risate e commenti e su quanto sarà uno sballo l'estate, fanno programmi sul da farsi non appena arrivati e Ricky annovera tutti posti in cui vuole portare Emily a far l'amore con lui.
Di tanto in tanto tocchiamo anche argomenti seri, come la crisi economica e la difficoltà a richiedere la borsa di studio all'università.

Io cerco di tenere gli occhi sulla strada, accenno qualche parola della canzone che passano alla radio, cercando di ignorare le farfalle nello stomaco. Axel guida con disinvoltura, ignaro del mio enorme grumo di imbarazzo che stenta a sciogliersi.

Mi godo il panorama fuori dal finestrino, con il vento che mi accarezza i lunghi capelli biondi scompigliandomeli. Ancora non riesco a crederci che tra qualche ora saremo nella nostra Casa del Mare, come l'ho sempre chiamata io.

Apparteneva ai miei nonni e, durante l'infanzia, quando la famiglia era ancora unita, ci abbiamo trascorso quasi tutte le estati. Ripercorro mentalmente il cancelletto basso con accanto i fichi d'India, il vialetto ciottoloso che dal piccolo cortile porta all'interno della casetta, la mia stanza che d'estate si riempie di sole sin dalle prime luci dell'alba.
Cerco di ricordare ogni dettaglio. Chissà se il mare ha ancora lo stesso odore, chissà se i grilli cantano ancora la sera nel piccolo giardino sul retro.

«Tutto bene, Leah?» la voce calda di Axel interrompe i miei pensieri, tinti con i colori sfumati della nostalgia.

«Sì, tutto bene.»

Perché me lo chiede?

«Sembri un po'... a disagio. Sicura di star bene?»

«Sì, certo. Benone.»

Sto solo controllando la voglia di saltarti addosso, tranquillo, è routine.

Tengo premute insieme le gambe mentre inizio ad andare a fuoco, un vero e proprio casino ormonale. Le sue labbra prendono una piega maliziosa, come se mi avesse colto in flagrante a sognare a occhi aperti su di lui.

Allunga una mano verso le mie ginocchia, le sfiora appena, perché in realtà era diretto al cruscotto, ma quel lieve contatto provoca immediatamente la comparsa di una granulosa pelle d'oca sulla mia pelle. L'accenno di sorriso sulle sue labbra è la dimostrazione ufficiale che se ne è accorto. E ne sembra anche odiosamente compiaciuto.

Dal cruscotto estrae un borsello rettangolare di cuoio e me lo fa atterrare in grembo.

«Credo che tu debba tenere questo nascosto da qualche parte, nel caso in cui ci fermino per qualche controllo.»

Apro la zip incuriosita, ma non c'è bisogno di guardare al suo interno per capire che cosa contiene: il profumo inebriante della marijuana, satura immediatamente l'aria dell'abitacolo e per un attimo mi chiedo se non lo sentano anche le auto che passano in senso contrario, nella corsia opposta.

«Hai fatto proprio una bella scorta.» esclama Ricky sporgendosi tra i sedili quasi in contemplazione del prezioso carico. La bocca di Axel si incurva impercettibilmente su un lato, in un'espressione tipica dei bambini beccati con le mani nella marmellata.

Adorabile. Maledettamente adorabile.

Infilo il borsello sotto la maglietta, dalla parte della schiena, fermandolo con la cintura dei pantaloncini.

Dopo poco, Axel accosta l'auto davanti a una deliziosa villetta bianca.
Seduta sul suo trolley rigido, intenta ad armeggiare con il  cellulare, ci sta aspettando Emily, con i suoi bellissimi capelli ramati sciolti sulle spalle e un vestito prendisole leggero che le scopre le lunghe gambe chiare.
Non appena vede la macchina, alza lo sguardo e sorride mostrando il bianco della sua dentatura perfetta.

Ricky si precipita fuori dall'auto, la bacia con trasporto e poi, non senza difficoltà, la aiuta a sistemare la valigia nel bagagliaio.
«Uao, hai portato la chitarra!» esclama lei con voce civettuola. «Non vedo l'ora di sentirti cantare qualcosa davanti a un bel falò, sotto le stelle.»

Axel fa segno di vomitare e Ricky, di risposta, gli alza il dito medio.

Il viaggio prosegue piacevole, con in sottofondo la coppietta che tuba sul sedile posteriore e Axel che li rimbecca di tanto in tanto.

Trascorsa qualche ora, svincoliamo per una sosta alla stazione di servizio.
Prendiamo un caffè al volo in autogrill, cosa di cui mi pento ogni santa volta, perché il suo saporaccio è di sicuro un promemoria divino su quanto la vita può fare davvero schifo.

Ricky e la rossa stanno tutto il tempo appiccicati e, anche se non è la prima volta che vedo mio fratello in "certi atteggiamenti", non posso negare che condividere con Axel il ruolo di terzo incomodo mi metta un po' a disagio, date le circostanze.

«Noi dobbiamo proprio andare in bagno» statuisce d'un tratto Ricky in tono malizioso, cinge Emily per la vita e la stringe a sé mentre si allontanano.
I risolini da ninfetta che emette lei, sono a dir poco imbarazzanti, ma niente in confronto al ritrovarmi da sola con Axel.

«Vieni con me.» mi dice all'improvviso, facendo mancare un battito al mio cuore e mi afferra la mano, tirandomi con sé verso l'uscita. Facciamo il giro del piccolo edificio, fino a raggiungere un angolino appartato, visibile solo dalla corsia dei camion.

Axel si siede sul marciapiede e mi fa segno di imitarlo, battendo la mano accanto a lui. «Siediti, Leah. Non mordo senza permesso.» Un sorrisetto impertinente gioca sulle sue labbra che sembrano disegnate.

Obbedisco, del tutto rapita da ogni singolo movimento di quel ragazzo, che sembra così sicuro di sé e di quello che sta facendo da non lasciarmi spazio a nessuna protesta.

Mi siedo, le nostre gambe si sfiorano e mi concentro a ricordare se è mai successo prima di essergli stata così vicino.

Con un movimento lesto e senza preavviso, Axel allunga un braccio dietro la mia schiena mentre i suoi occhi incatenano i miei, fissi, immobili, proprio come resto io. Afferra piano l'orlo della maglietta, al suo tocco sussulto come se avessi avuto un brivido di freddo.
Ferma la mano all'altezza della cintura dei miei shorts di jeans, mi guarda così intensamente che sembra volermi rubare l'anima.

Non ho neanche il tempo di chiedermi che cosa stia succedendo, che sfila via il piccolo borsello e mi rivolge quel mezzo sorriso che sembra dire "Ehi, ma cosa credevi?", un attimo prima di tornare al suo posto.

Abbasso lo sguardo, con la vana speranza di non essere arrossita, anche se sento il calore bruciarmi le guance.

«Spero che se la stiano spassando per bene, non sopporto più tutte quelle moine sdolcinate nella mia macchina.» sbuffa, prende le cartine dal piccolo borsello e si porta il filtro alla bocca, tenendoselo tra le labbra.

«Non credevo ci tenesse così tanto da portarla in vacanza con noi... avrebbe potuto almeno parlarmene» mi lamento, cercando di distrarmi dalla scena di Axel che lecca la cartina e chiude uno spinello piccolo e sottile.

«Figurati! Emily è qui solo perché deve raggiungere le sue amiche, che, guarda caso, hanno affittato un appartamento proprio dove siamo diretti noi.» mi informa, alzando per un attimo le sopracciglia, poi sbuffa una nuvoletta di fumo e mi passa la canna.

«Mi sa che non potrai più guidare dopo questa» trattengo insieme al fumo, una risatina divertita, immaginando Axel che rimbecca Ricky per la sua guida un po' troppo sportiva.

«No, ma fa tutto parte del mio piano per evitare che mi scopino in macchina» ghigna. Poi, volgendo lo sguardo verso l'angolo del muro aggiunge «E poi stare dietro con te avrà di sicuro i suoi vantaggi, magari potresti permettermi di fare un pisolino sulla tua spalla.» ammicca.

Ammicca? Sta ammiccando?

Apro la bocca per ribattere qualcosa, qualsiasi cosa, ma non ne ho il tempo: da dietro l'angolo spuntano Ricky ed Emily, che camminano verso di noi tenendosi per mano.

«Maledetti! Avete fumato senza di me» borbotta Ricky fingendosi offeso.

«Già, e ora ti tocca pure guidare.»
Axel si alza in piedi stiracchiandosi la schiena e la maglietta gli si alza leggermente, mostrando l'elastico dei boxer che fuoriesce dai suoi jeans neri.

Scuoto la testa.
No, così non va proprio bene.

Ci rimettiamo in marcia, e come annunciato, io e Axel siamo seduti insieme dietro, con la differenza però, che lui non si è minimamente avvicinato. Tutt'altro: se ne sta buttato dalla parte opposta, granitico, con la testa appoggiata al finestrino e gli occhi chiusi.

Ne approfitto delle sue palpebre serrate per godermi ogni tratto di quei lineamenti perfetti, la mascella, il naso dritto, le sopracciglia e soprattutto le sue labbra, appena dischiuse, percorrendone i contorni più e più volte, con lo sguardo leggermente annebbiato dal fumo.

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