1. Leah

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Devo distogliere lo sguardo e smetterla di fissarlo come una maniaca psicopatica.

Perché non riesco a smettere? Forse è l'effetto dell'erba. O forse il problema è che Axel è talmente bello da diventare cibo per i miei occhi e da trasformare il mio cervello in una roba inutile.
La sua lunga figura si staglia davanti a me con l'eleganza di un gatto, i miei occhi vagano sulla sua maglietta e sui jeans, senza tralasciare il corpo che c'è sotto.

Ho la sensazione che qua dentro la temperatura sia salita di dieci gradi.

Giro la testa e cerco di distrarmi guardando fuori. In auto si sente solo la vocina di Emily che canticchia una stupida canzone che passa in radio, con Ricky che, concentrato alla guida, tiene una mano sulla sua coscia, accarezzandola con delicatezza.

Mi volto di nuovo verso Axel.

Cavolo, è proprio una calamita per me.

Apre gli occhi di scatto e incrocia i miei. Mi aspetto che dica qualcosa, una qualsiasi delle sue stupide pungenti frecciatine, invece mi rivolge solo uno di quei suoi mezzi sorrisi e apre il finestrino. Mi osserva per qualche secondo sotto il ciuffo di capelli che gli scende morbido sulla fronte e copre i suoi occhi smeraldo screziati d'oro, poi allunga un braccio fuori e fa ondeggiare la mano accarezzando il vento con le dita affusolate.
«Tra quanto arriviamo? Non ne posso più di stare in questa dannata macchina.»

«Le cose belle si fanno aspettare.» replica Ricky lanciandogli un'occhiata complice attraverso lo specchietto retrovisore. «Non essere impaziente, siamo quasi arrivati.»

Con un movimento rapido, Axel scivola verso di me e si sporge verso il cruscotto, allungandosi tra i due sedili. La maglietta gli si alza appena, scoprendogli il fianco, e il tatuaggio che c'è sopra fa capolino dalla cintura dei jeans. Ormai inizio a sospettare che lo faccia apposta per essere guardato.

Prende gli occhiali da sole e li indossa, oscurando completamente il suo sguardo, si appoggia con le spalle allo schienale e ricomincia a fare quello che gli riesce meglio in assoluto: ignorarmi.

«Oh! Finalmente siamo arrivati.» cinguetta Emily non appena prendiamo lo svincolo per Torre delle Stelle: sorpassata la collinetta, dal parabrezza non si vede altro che l'azzurro del mare e del cielo che si fondono all'orizzonte. A questo punto, sono io che mi sporgo verso il centro dei due sedili per guardare meglio, e Axel, per farmi spazio, alza il braccio facendolo atterrare dietro la mia schiena.

È tutto casuale, Leah.
Datti una cavolo di calmata, santo cielo.

Lasciamo Emily all'ingresso di un residence a cinquecento metri dal mare. Ad aspettarla ci sono due sue amiche: Anna e Serena, alias la bionda con le gambe chilometriche e la pelle dorata dall'abbronzatura. Alla nostra vista inizia a sbracciarsi mentre Ricky è ancora intento a parcheggiare. Scendono tutti e mi limito a imitarli controvoglia.

Gli istanti che seguono sono tutto un "ciao-che bello che siete qui-come è andato il viaggio", le tre amiche si abbracciano e si baciano le guance come se non si vedessero da un secolo, e non da appena una settimana. A volte il genere femminile è imbarazzante.

Non appena Axel scende dalla macchina, Serena gli salta al collo e gli stampa un bacio sulle labbra. Le braccia di lui esitano a quella manifestazione eccessiva di entusiasmo, ma poi finiscono per cingere i fianchi della bella bionda.

«Lei è la mia sorellina, Leah.» esclama dopo un po' Ricky, probabilmente notando un pizzico di disagio da parte mia.

«Ciao Leah, è un vero piacere! Ricky ci ha parlato così tanto di te che mi sembra già di conoscerti» miagola Serena, facendo ondeggiare i lunghi capelli lisci color miele al vento.
Poi fa convogliare di nuovo tutta la sua attenzione su Axel, rivolgendogli un sorriso mellifluo. «Che ne dici di venire a fare un bagno in piscina da noi prima di raggiungere gli altri? Posso accompagnarti io, dopo...» agita suadente le sue folte ciglia, fissandolo come se fosse il più appetitoso dei pasticcini.

«Hai davanti a te ben due settimane per consumare il mio amico, Sere, ora dobbiamo andare a sistemarci. Ci becchiamo stasera. Sono sicuro che riuscirai a sopravvivere nel frattempo.» la rimbalza Ricky, tra le risatine di tutti, a cui Serena risponde con una linguaccia, facendo bella mostra del piercing che ha sulla lingua.

Risaliamo in macchina e ci dirigiamo finalmente soli alla nostra Casa del Mare. È in collina, poco lontana dal centro, in una zona verde costellata di piccole villette indipendenti. Mi rendo conto che è proprio come la ricordavo, e quella familiarità mi fa quasi commuovere.

Il battente si apre cigolando e, ovviamente, c'è un po' di polvere qua e là, tipica dei luoghi vecchi e dimenticati, ma nulla che non si possa sistemare nell'arco di un paio d'ore. Non appena varcata la soglia, Ricky lascia per terra i nostri borsoni e apre le due finestre che ornano le pareti dell'ambiente unico che accoglie sulla destra l'angolo cottura e a sinistra il divano, comodo nonostante sia un po' sgangherato, posizionato di fronte a un televisore.

«Eccoci qui.» la voce di mio fratello sfila nel silenzio, perdendosi tra la polvere a mezz'aria, tagliata dalle lame di luce del pomeriggio che si infiltra tra le imposte.

Prendo un bel respiro, vagando ancora con lo sguardo.

Niente. Oltre a teli bianchi e impolverati, mobili abbandonati e pareti rovinate, in questa casa non c'è niente.

Eppure... eppure c'è tutto.

C'è ancora nell'aria lo sfrigolio che producevano le padelle, con mamma che canticchiava intenta a cucinare mille cose insieme; ci siamo io e Ricky seduti sul tappeto con i libri di favole tutti intorno; c'è persino papà che ci rimproverava di aver rotto uno dei vasi di mamma, ma che poi ci aiutò a occultare le prove e se ne prese la colpa. Se annuso bene, riesco ancora a sentire l'odore dei fiori caduti sul pavimento, tra i cocci del vaso.

«Dove mi sistemo?» chiede Axel guardando Ricky inespressivo, ridestandomi dai miei ricordi.

«Leah ha la sua stanza, tu puoi prendere la mia.»

«Oh, vuoi dire che non dormiremo insieme? Così mi spezzi il cuore...» lo prende in giro Axel fingendosi triste.

«Saranno nottate difficili per te, bello mio. Dovrai fare a meno della mia virilità» apre la porta della camera matrimoniale, quella che un tempo era dei nostri genitori.

Al centro della stanza, torreggia il grande letto in ferro battuto, con la biancheria immacolata che fa da contrasto alle pareti turchese petrolio. In un lampo, mentre sfioro con i polpastrelli il legno scuro del comò, tutto si tinge di un alone opaco che mi trascina indietro e mi si riempiono gli occhi di lacrime perché vedere questa camera così terribilmente vuota rende reale per l'ennesima volta la loro mancanza lancinante.

Un soffio d'aria calda mi carezza i polsi e corrugo la fronte, tentando di capire da dove arriva.

«E adesso, il pezzo forte» sento la voce entusiasta di Ricky provenire dal corridoio, così scrollo le spalle e lancio un'ultima occhiata malinconica a quello che un tempo era l'angolo più intimo e privato della nostra famiglia prima di chiudere la porta alle mie spalle e raggiungere i ragazzi in fondo al corridoio.

Lì, trovo già spalancata la porta finestra, unico accesso al piccolo giardino sul retro. Quando la mamma era in vita era circondato di cespugli fioriti. Adesso che non c'è più lei a prendersene cura, si è ridotto ad essere uno spoglio fazzoletto di erba, eppure resta lo stesso uno dei miei posti preferiti. Al centro di due alberi di ciliegie, campeggia un gazebo di legno un po' consumato, con sotto il tavolo e le sedie dove cenavamo tutte le sere insieme.

«Chissà se le lanterne funzionano ancora» chiede Ricky prendendo uno dei fili che penzolano dal soffitto della struttura di legno.

«Da quella parte c'è una rimessa, dentro dovrebbero ancora esserci un paio di lettini per il sole. Perché non li tirate fuori, ragazzi?» chiedo distogliendo la loro attenzione dal groviglio di fili che stanno esaminando.

«Pensi di prendere il sole nuda?» mi prende alla sprovvista Axel, in tono provocatorio.

«C... Cosa??» balbetto.

«Se così non fosse, non capisco perché dobbiamo affaticarci tanto a prendere dei lettini impolverati da mettere qui in giardino» replica con aria innocente.

Interviene Ricky: «Oh, Axel, amico mio... a te manca la fantasia. Vuoi mettere che potresti distenderti a guardare le stelle di notte, con una birra ghiacciata da un lato e un po' di fumo nell'altra? Su, dammi una mano.» e, mentre si avvicinano alla piccola casupola di legno, Axel si volta e mi lancia un'occhiata indecifrabile da sopra la spalla.

Rientro in casa e mi dirigo verso la mia cameretta, più piccola di quanto la ricordassi. Faccio arieggiare e inizio a sistemare le mie cose svuotando lo zaino. Con la coda dell'occhio, scorgo la mia immagine riflessa nel grande specchio accanto all'armadio e realizzo che la casa è rimasta proprio quella di un tempo, mentre io, invece, mi sento una persona completamente diversa. La mia vita è stata stravolta da quando sono venuta qui l'ultima volta, come se qualcuno l'avesse centrifugata in lavatrice.

Mi accorgo che si sono fatte le otto di sera solo quando ho finito di rassettare tutta la casa e il mio stomaco comincia a brontolare. La mia camera da letto è posizionata perfettamente di fronte a quella di mio fratello, che adesso è occupata da Axel, quindi potrei definirla la sua. Ha la porta aperta e quindi, passando, lo vedo: se ne sta a torso nudo sul letto, con una penna tra i denti e un quaderno tra le mani, aperto a metà. Ha ancora le converse ai piedi, che penzolano dal materasso.
È più magro di quanto lo immaginassi da vestito e gli si intravedono gli addominali incresparsi sotto la pelle.

Busso alla porta aperta e attiro la sua attenzione schiarendomi la voce.
«Stai scrivendo?» il mio tono suona più stridulo di quanto avrei voluto.

«Metto in ordine i pensieri.» soffia fuori, pur non centrando la mia domanda e senza alzare lo sguardo dal quadernetto. Resta steso sul materasso, offuscandomi la mente e facendomi palpitare il cuore con la sua bellezza. Come suo solito, mi parla come se fosse la cosa più naturale del mondo, ignaro di infiammare il mio corpo con ogni singolo movimento del suo.

«Ci saremo dovuti fermare al supermercato o qualcosa di simile. Il frigo è vuoto e lo stomaco inizia a brontolarmi... tu non hai fame?» cerco di riprendermi e di dare un senso alla mia presenza nella sua stanza.

«A dire il vero, abbiamo appuntamento con le ragazze in centro. Ricky ha detto che avremmo mangiato fuori stasera.» Appena pronuncia queste parole mi sovviene che mio fratello ha accennato qualcosa in merito, ma devo essermi distratta un bel po'. «Ci vediamo con loro tra un'ora, in un posto che si chiama La Cantina, o forse La Casetta... qualcosa del genere.»

«La Cantinetta» lo correggo, divertita dalla sua smorfia di concentrazione «Okay, allora io vado a fare una doccia.»

«Vuoi compagnia?» chiede quando ho già girato le spalle, ma faccio finta di non aver sentito, nonostante il mio cervello stia già elaborando immagini vietate ai minori.

Mi sta chiaramente provocando e probabilmente si diverte a prendermi in giro.

La Cantinetta è uno di quei posti che da fuori non sapresti dire se è un ristorante, un bar o un'enoteca, in cui servono vini di ogni genere insieme a stuzzicherie preparate con i prodotti tipici del posto. Solo alla quarta bottiglia aperta al nostro tavolo, finalmente si scioglie il mio insensato nervosismo di stasera.

Di sicuro non avere Axel seduto di fronte a me avrebbe giovato un bel po'.

Ha il calice in mano e smette di sorridere solo quando lo porta alla bocca per sorseggiare il rosso che c'è dentro, increspando impercettibilmente le labbra al centro. E, maledetta me, non riesco a scollare gli occhi, deglutendo a vuoto, rapita da quel movimento che sembra studiato al millimetro, così dannatamente sensuale.

Col braccio, cinge le spalle di Serena, per la quale sembra essere davvero indispensabile bisbigliare al suo orecchio ogni singolo, maledetto minuto e sfiorargli il collo con le labbra.

Per gran parte del tempo, ho immaginato che si strozzasse con qualcosa.

A parte questo, la serata è stata piacevole. Chiacchiere spensierate sul futuro, sui viaggi, sui programmi per le prossime due settimane di vacanza che abbiamo tanto atteso e, verso mezzanotte, usciamo dal locale alticci, diretti al porticciolo turistico, il piccolo e modesto cuore della movida di questo posto. Serena se ne sta per tutto il tempo avvolta attorno al bicipite di Axel, camminando perfettamente sui suoi tacchi alti, che rendono il suo linguaggio del corpo ancora più allusivo. Non è difficile capire perché Axel sia così ammaliato da lei, bella e aggraziata com'è.

Passeggiando per le viuzze, scopro che il centro del paese non è cambiato molto: c'è qualche negozietto di abbigliamento in più e hanno aperto un franchising di biancheria intima, ma la vecchia gelateria è rimasta immutata, così come la folla che si accalca al suo ingresso.
Io e il resto del gruppetto iniziamo a scendere la stradina ciottolosa, che conduce alla banchina. All'ingresso c'è il bar dove va in scena la vita notturna di tutti i ragazzi che vengono qui a villeggiare. C'è il pienone stasera e il tasso alcolico sembra davvero elevato.

Regna un'atmosfera gioviale, la rilassatezza della tipica serata estiva, e le stelle che puntellano il cielo sbrilluccicose donano al contesto una luce magica e incantata, quasi d'altri tempi. Tira una brezza leggera, che rinfresca l'aria salmastra e mi infreddolisce le spalle nude, facendomi maledire di non aver portato almeno un golfino con me. I brividi di freddo mi costringono a tenere strette le braccia attorno al busto per trovare un po' di sollievo.

«Birretta?» propone Ricky al suo amico, che di risposta fa una smorfietta, come per dire massìperchéno accompagnata da una lieve alzata di spalle.

Si allontanano insieme lasciandomi da sola con le ragazze, tra cui mi sento letteralmente un pesce fuor d'acqua.
Quando propongono un selfie da postare sui loro social, dentro di me sto urlando, ma, per non fare la figura dell'asociale che sono, accetto mio malgrado. Serena mi cinge una mano in vita e fa una linguaccia al click della fotocamera del cellulare. Sembra una barbie, nonostante sia alquanto brilla, come tutti noi.

«Ma quanto ci mettono? Ragazze, perché non iniziamo a incamminarci noi? Sono certa che i vostri superuomini non si perderanno» sbuffa Anna con aria scocciata dopo almeno dieci minuti che stiamo aspettando, con le braccia incrociate al petto che sottolineano ancora di più quanto sia spazientita. Ma proprio in quell'istante i riccioli biondi di mio fratello fanno capolino dall'ingresso del bar, con due bottiglie di tolleranza liquida in mano. A seguire, ci sono Axel e un altro ragazzo con cui stanno parlando. Ha un'aria familiare, ma solo quando si avvicina di più lo riconosco.

È Federico, uno dei bambini con cui giocavamo insieme d'estate durante la nostra infanzia. Lui e suo fratello trascorrevano qui le vacanze con i loro genitori e, poiché nostri coetanei, nonché vicini di casa, ci avevamo fatto amicizia. Fede ha la mia età, mentre suo fratello Carlo è più grande di tipo cinque anni e mi ricordo che ci faceva un sacco di dispetti quando eravamo piccoli.

Chiaramente è molto cambiato, ma i suoi occhi azzurri e le fossette sono inconfondibili sotto il ciuffo schiarito dal sole. È diventato proprio un bel ragazzo, quasi al pari di Axel, ma privo di quel suo fascino magnetico. Non appena il suo sguardo incrocia il mio, gli spunta un enorme sorriso e mi viene incontro con entusiasmo.

«Non ci credo... sei davvero tu? Non sei cambiata per niente, Leah! Ti ricordi di me?»

«Beh, di sicuro le tette non le sono cambiate» mi prende in giro mio fratello, provocando qualche risolino a quella battuta. Lo incenerisco con lo sguardo, ma lui finge di non essersene accorto e si porta la bottiglia alle labbra.

«Certo che mi ricordo di te» rispondo ricambiando timidamente il suo abbraccio un pelino troppo confidenziale. «Come potrei dimenticare le nostre palle di fango e le fortezze di sabbia?»

Ci incamminiamo verso la banchina tutti insieme. Fede mi racconta che lui e suo fratello sono lì già da una settimana e che ci resteranno ancora fino alla fine dell'estate. È appassionato di fotografia, per questo ha un vecchio modello Canon al collo. «Ma scatto tutto in bianco e nero» precisa frettoloso e un po' imbarazzato quando gli chiedo qualche dettaglio in merito.

Quando siamo quasi arrivati al muretto dove ci aspettano suo fratello e un amico, Fede rallenta, fino a fermarsi del tutto. Quando mi volto verso di lui perplessa, cambia espressione, si massaggia la nuca e sembra tentennare. «Sai, mi dispiace tanto per tua madre. I miei me lo hanno detto... Avevo pensato di contattarti ma, non avevo neanche il tuo numero.»

Riesco solo a mimare con le labbra un flebile «Grazie», fingendo che il nodo che mi si è formato in gola non esista.

Fingere. In questo sto diventando brava.

Ad attenderci, ci sono Carlo – il fratello di Fede – ed Edoardo, un ragazzo bruno col piercing al sopracciglio e il pizzetto. È uno skipper e lavora per una ricca famiglia che ha uno yacht ormeggiato in porto, che ci viene solo nel fine settimana, a quanto mi dicono.

«Uao.» è il commento che riesce a elaborare l'argutissima Serena «qualche volta allora potresti portarci a fare il bagno in una delle calette a largo. Sarebbe davvero una figata.»

«Sì! Potremo portare da bere e magari cenare a bordo. Il mio Instagram impazzirebbe.» aggiunge Anna entusiasta sedendosi accanto al ragazzo.

Edo con voce pacata acconsente.  «Certamente, sarebbe davvero uno sballo. E conosco un paio di posti dove l'acqua è spettacolare e si può anche pescare.»

I nostri nuovi (o ritrovati) amici sono ragazzi simpatici e allegri. Parliamo tutta la sera, di musica, dei progetti del futuro e raccontano aneddoti così divertenti che in alcuni casi mi hanno spinto a ridere fino alle lacrime, fino al punto di percepire gli addominali indolenziti. Edo ci parla del suo lavoro e della barca a vela, che ha due alberi e un tender per raggiungere le calette. Ascolto interessata e rapita dal suo entusiasmo, e quando Fede mi mostra qualche fotografia sembrano brillargli gli occhi di orgoglio. È un'imbarcazione così grande che non è difficile capire come mai Edo non abbia difficoltà a viverci sopra per tutto il periodo estivo.

«Ragazzi miei, si è fatta una certa ora e noi siamo davvero a pezzi. Non credo che sentirete la nostra mancanza se andiamo via un po' prima, giusto?» nonostante la domanda di mio fratello suoni retorica, mi guarda comunque di sottecchi, in attesa di un mio cenno di approvazione. O almeno credo. «Prendo la macchina, magari qualcuno di voi bravi ragazzi può dare un passaggio ad Axel e Leah più tardi.»

«Nessun problema, andate tranquilli e... buonanotte!» risponde Carlo capendo l'antifona, con gli occhi iniettati di sangue per quanto ha fumato, biascicando leggermente la voce.

«Okay, buonanotte.» gli sorrido e mi stringo le braccia al petto perché inizio davvero a gelare.

Mi sarebbe davvero piaciuto tornare a casa adesso, ma non voglio fare la guastafeste di Ricky, che si allontana con la sua ragazza dai capelli rossi, sorreggendola mentre barcolla un pochino sui suoi tacchi alti.

«Dai, andiamo a fare un giro.» piagnucola Serena qualche minuto dopo. Mi volto nella sua direzione e la vedo tirare Axel per un braccio nel tentativo, vagamente infantile, di farlo alzare dal muretto.

«Ti va una birra?» mi chiede quasi sottovoce Federico con una leggera gomitata, distogliendo la mia attenzione morbosa dalla scena. Nonostante mi giri parecchio la testa, decido di accompagnarlo al bar. Magari posso prendere una sambuca per riscaldarmi un pochino ed evitare di sentire le pietose implorazioni di Barbie Serena.

«Okay.» metto la borsa a tracolla e spengo il mozzicone dello spinello che mi aveva passato tra l'asfalto e la punta della mia converse bianca.

Riusciamo a farci largo tra la calca. Sono le due del mattino, eppure c'è ancora un casino di gente nonostante la musica chill out abbia il volume ridotto rispetto a quando siamo arrivati.

Camminiamo uno a fianco all'altra verso la banchina, è un miracolo riuscire ad essere usciti da lì dentro senza far traboccare i bicchierini che abbiamo in mano.

«Esci con qualcuno?» mi chiede di punto in bianco Fede, con lo sguardo timido fisso a terra.

«No, al momento no.» rispondo in uno slancio di sincerità, colta alla sprovvista dalla sua domanda, e subito mi domando se invece avrei fatto meglio a dire una bugia.

«Bene... cioè voglio dire... mi fa piacere... anche se è strano che una ragazza carina come te non sia già impegnata.» commenta guardandomi di sottecchi.

Tornati al muretto noto con delusione che Axel è sparito, come anche Serena, ovviamente. Controllo il cellulare e non ci sono messaggi: avrebbe potuto almeno degnarsi di avvisare.

«Tutto okay?» gli occhi azzurri di Fede volano su di me. «Sembra quasi che tu abbia visto un fantasma.»

«Solo un po' di freddo» mi sforzo di far apparire un piccolo sorriso a mascherare la delusione.

«Qui c'è una felpa» si intromette Carlo, indicando... la felpa grigia di Axel appoggiata sul muretto, al posto che prima occupava lui.

Come mai l'ha lasciata lì?

La afferro e mentre la infilo il suo profumo mi riempie i polmoni. È davvero grande, arriva a coprirmi anche gli shorts di jeans, ma è calda e sa di lui.

Non potevo chiedere di meglio.

Mi sporgo oltre il muretto e guardo il mare, calmo e luccicante sotto la luce del cielo stellato, sorseggio un altro goccio della mia sambuca e mi godo il tepore del tessuto spesso sulla pelle infreddolita. E click! Mentre ero distratta, Fede ha preso la sua macchina e mi ha scattato una fotografia, guadagnandosi la mia occhiata interrogativa.

«Da bravo fotografo devo saper cogliere gli attimi, spero non ti dispiaccia.» replica alla mia silenziosa richiesta di spiegazioni e gli do un piccolo buffetto su braccio facendogli una smorfia.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro