Capitolo 21 - Ricatto Perverso

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«Credevo fossi uno a cui piace solo guardare» lo provocai e Jonathan, mantenendo lo sguardo diretto alle mie spalle, lasciò aprire le sue labbra in un sorriso evitando appositamente di rispondermi. Decisi così di stuzzicarlo. «Oppure ti sei lasciato trasportare troppo dalla gelosia?» 

Finalmente abbassò gli occhi su di me. «Sei fuori strada, Vivienne.» 

Sorrisi per niente offesa dalla sua ammissione. Mi fissò per sentire la mia risposta che non tardò ad arrivare: gettai una lunga occhiata alle sue spalle, incuriosendolo per poi distanziarmi dalle sue braccia. «Allora non ti scoccia se adesso mi congiungo a un tipo niente male.» Alzò un sopracciglio, per poi osservarmi mentre con una certa lentezza lo sorpassavo divertita. Mi fermò, trattenendomi per un braccio e alzai gli occhi su di lui soddisfatta. Mi gettò un'occhiata carica di disappunto prima di riportarmi con delicatezza davanti a lui. «E non eri per niente geloso, eh?» Mi fulminò con uno sguardo e me la risi sotto i baffi mentre lui, furbamente, evitò di negare o confermare. Evitai d'insistere contenta di aver raggiunto il mio traguardo. Piuttosto preferii concentrarmi su un argomento che m'interessava maggiormente. «Sei scappato via presto stamattina.» 

La sua espressione tornò immediatamente seria. «Non sono scappato, avevo solo del lavoro da sbrigare.» Non gli credetti ma decisi di lasciar perdere per evitare di essere sottoposta a indesiderate domande. Soprattutto sulla mia crisi della notte appena passata, perché ancora me ne vergognavo. Non era da me perdere il controllo delle mie emozioni in quella maniera e pensare che era dovuto succedere proprio alla sua presenza non mi fu di nessun conforto. «Sono passato nel pomeriggio per vedere come stavi, ma non c'eri.» 

Alzai gli occhi su di lui perplessa dalla sua preoccupazione e ci fissammo in silenzio. Mi accorsi solo dopo che non stavamo nemmeno più ballando ed eravamo fermi in mezzo alla pista a seguire con estrema attenzione l'uno le parole dell'altro. «Ero da mio fratello, ecco perché non mi hai trovata.» 

Mi osservò con attenzione e non saprei dire che cosa colse dal tono che avevo usato, ma mi lesse dentro. «E non è andata bene, deduco.» 

Esitai a confermare la sua constatazione ma bastò la mia espressione per fargli intuire che avesse colto nel segno.

Non era un caso se avevo deciso di tirare fuori il discorso di Arthur: ero del tutto intenzionata a sondare il terreno che li riguardava entrambi. Non mi ero di certo scordata che Jonathan mi aveva taciuto parecchie cose, anche se più di tanto non gliene facevo una colpa: la maggior parte delle omissioni riguardavano mio fratello e nei fatti sarebbe stato più corretto che fosse stato quest'ultimo a parlarmene.

«Jonathan» m'immersi nei suoi occhi e ritornai alla notte prima, non riuscendo a fare a meno di pensare al modo in cui aveva saputo starmi vicino senza dire neanche una parola e a come io stessa mi ero lasciata andare con lui. Così, senza un apparente logica, decisi di fare una pazzia esponendomi più del previsto. «Volevo ringraziarti per quello che hai fatto. Io...» 

Capì subito a cosa mi stessi riferendo e non riuscì a ignorare la tempesta emotiva che si scatenò nei suoi occhi. Aprii la bocca per dire qualcosa, quando un tizio ci venne addosso, rovesciando il suo drink sulla sottoscritta. Imprecai e Jonathan lo spintonò per allontanarlo. Spostai lo sguardo verso la zona soppalcata e mi paralizzai nel notare una particolare persona intenta a osservarci.

«Ehi, stai bene?» mi chiese.

Annuii distrattamente senza distogliere lo sguardo dall'uomo che non smetteva di fare lo stesso, dissi a Jonathan che facevo un salto alla toilette e senza appurarmi se mi stesse seguendo o meno, mi diressi di gran passo verso il luogo dove sapevo che lo avrei trovato. Dire che ero nervosa era poco ma lo stesso avanzai tra la folla e quando alla fine lo raggiunsi, notai che non si fosse spostato di una virgola. Mi fissò indifferente, come se stesse studiando ogni mia mossa e quando mi sorrise, persi le staffe. «Che cavolo stai facendo?»

«Mi sto divertendo come tutte le altre centinaia di persone qua dentro» ribatté James per nulla intimorito dal mio attacco. Il suo farsi beffe di me mi inalberò, poi decisi di non stare al gioco e provai a dargli le spalle, fingendo di credergli, ma la sua voce mi fermò. «È per lui che hai chiuso con me?» 

Mi voltai esterrefatta dalla sua domanda e infatti, per pochi secondi, la sua uscita mi tolse l'uso della parola. Tornai ad avvicinarmi a lui e parlai decisa, perché non ci fossero fraintendimenti. «Io non ho chiuso proprio un bel niente, perché non c'era niente da chiudere. Non ha significato nulla, James.» 

Sorrise beffardo, irritandomi. «Per te, forse, poi sembri voler solo convincere te stessa... perché non è assolutamente vero che non hai provato niente e lo sai.» 

Le sue parole non mi toccarono minimamente. «Pensa pure quello che vuoi.» 

Gli diedi le spalle ma mi raggiunse, parandomisi davanti. «Posso dimostrartelo.»

«Sei ubriaco. Ti consiglio di fermarti qui.»

«Io non avrei problemi a proporti una sveltina come si deve nei bagni o nel retro del locale e scommetto che, se non fossi io, non ci metteresti neanche due secondi ad accettare: questo a dimostrare il fatto che quella coinvolta sei tu, non io.» 

Lo guardai cercando di seguire il suo ragionamento contorto e mi sentii in trappola sotto il suo sguardo fin troppo sfacciato e sicuro di sé. Pazzamente mi trovai ad ammettere che, probabilmente, avesse ragione: la vecchia me non avrebbe rifiutato nessuna proposta di alcun genere ma mi trovai a dissentire ancora una volta, perché era proprio con lui che non volevo più avere niente a che fare. 

Era così difficile da capire? A parte che mi aveva appena mancato di rispetto ma direi che oggi era una cosa piuttosto comune tra coloro che mi circondavano.

«Fatti una vita e lasciami in pace, James.» 

La sua espressione si fece offesa. Prima che potessi sorpassarlo mi afferrò per un braccio. «Dovresti solo ringraziarmi, Vivienne.» 

Una scossa mi attraversò e alzai lo sguardo su di lui. Sentii il mio battito accelerare, così come il mio respiro e James mi fissò confuso cercando di capire che cosa mi stesse succedendo. Mi tolsi dalla sua presa in un gesto secco e me ne andai una volta per tutte.

Quando raggiunsi il bagno, mi ci chiusi all'interno prendendo un profondo respiro. Mi bagnai i polsi e mi sciacquai il vestito dal drink di cui era imbevuto, per poi fermarmi a guardarmi allo specchio come se in realtà non mi vedessi davvero. Una fitta mi colpii alla tempia e chiusi gli occhi, appoggiandomi al lavandino. Mi soffermai sulla sua frase senza senso e me la ripetei diverse volte confusa dall'effetto che mi suscitava: dovresti solo ringraziarmi. Dovresti solo ringraziarmi... 

Mi lasciai avvolgere dalle sensazioni che mi provocò e non saprei dire se fu merito di tutto l'alcol in corpo o della tensione che mi aveva presa, ma ricordai. Mi ricordai che cos'era successo e fu più devastante del previsto.

Il pomeriggio subito dopo il funerale mi trovai a dare la caccia all'unica persona con cui era rimasto ancora tutto in sospeso. Uscendo di casa, mi fermai in un telefono pubblico per chiamare il numero presente sul volantino e, dopo aver chiesto di lui, mi fu dato appuntamento a un incrocio tra due strade della città. Mi ci recai senza esitazione. Peccato che quando si presentò all'appuntamento, non mi trovò. Da una posizione nascosta, seguii ogni suo mossa per poi, dopo diversi minuti di attesa, vederlo salire in auto scocciato.

Salii sul taxi che avevo chiamato e lo feci seguire per le strade della città, sperando di non dare nell'occhio. Si fermò in diversi posti prima di arrivare a quella che intuii dovesse essere casa sua perché, dopo aver parcheggiato, chiuse l'auto e si accese una sigaretta. L'osservai immobile per la paura che finisse per accorgersi di me. Era una pazzia e probabilmente la morte dei miei genitori mi aveva resa più paranoica del previsto ma se non mi ero mai fidata di nessuno, avevo avuto le mie ragioni.

Non capii che cosa stesse aspettando e quando finalmente si mosse per entrare nell'edificio, trassi un profondo respiro e pagai la mia corsa. Forse avrei dovuto seguire questo piano di notte, almeno con il buio sarebbe stato minore il rischio che potesse accorgersi che lo stessi stalkerando ma ormai non potevo più tornare indietro. Il danno era fatto, così con cautela e studiando attentamente la zona circostante, avanzai verso l'ingresso per leggere i nomi dei condomini. Con il cuore a mille scorsi lo su di essi il più in fretta possibile. Del sudore freddo mi imperlò la pelle per l'agitazione e stavo per perdere le speranze di scoprire qualsiasi cosa che mi potesse essere utile, quando mi soffermai su un nome in particolare. Per un secondo credetti di aver letto male e, fissandolo, sentii sparire la terra sotto i miei piedi. Il battito del mio cuore si fermò e finii in uno stato di shock a causa di quelle poche lettere. Lessi e rilessi quel cognome fino a quando credetti di aver perso la ragione: Crawford. La vista mi si appannò e il panico mi colse perché se anche non ci fosse stato scritto il suo nome, tutto mi avrebbe portato a credere che non potesse essere una coincidenza.

Mi portai una mano al volto sconvolta: era lui e sentii mancarmi il respiro. Indietreggiai, temendo di svenire da un momento all'altro e a passo svelto ripercorsi la strada per ritornare all'inizio della via e fuggire da lì il più in fretta possibile ma non feci in tempo a muovere pochi passi che dalla viuzza che affiancava il palazzo sbucò James con uno sguardo a dir poco minaccioso. M'immobilizzai terrorizzata ma dopo, neanche pochi secondi, sentii la rabbia scorrermi nelle vene in maniera indicibile. Fece qualche passo nella mia direzione e dovetti ragionare in fretta: dubitavo che volesse solo parlare, ora che lo avevo scoperto, e perciò l'unica soluzione logica che mi venne in mente fu quella di scappare. Intuì subito le mie intenzioni e m'intimò di non muovermi ma se lo poteva scordare, in un attimo corsi nella prima direzione disponibile e opposta alla sua: dovevo solo allontanarmi da lì. Corsi fino a perdere il fiato, cercando di mantenermi su strade frequentate ma quando fui costretta a incastrarmi nelle viuzze interne, mi sentii persa soprattutto perché lui era in vantaggio conoscendo la zona a differenza di me e infatti mi fu addosso. Mi trascinò in un vicolo deserto e mi sbatté contro un muro, una smorfia comparve sul mio volto per il colpo ma lo stesso continuai a fissarlo con determinazione. Notai che aveva il respiro accelerato e mi scrutò in silenzio senza mollare la presa su di me. «Non dovevi seguirmi.» Corrugai le sopracciglia e, notando il mio sguardo accusatorio, cercò di giustificarsi. «Non volevo che lo scoprissi così, devi credermi.» 

Una risata amara mi sfuggì dalle labbra e lui si tese in risposta. «Sei un vigliacco, me lo avresti mai detto?» Non disse niente, facendomi innervosire ancora di più. «Lo sapevi fin dall'inizio?» distolse lo sguardo e mi sentii male. «Sapevi chi ero fin dall'inizio, eh? Rispondi, avanti!» sentii le lacrime agli occhi e mi fissò apaticamente. Sentii la nausea salirmi dalle viscere. «Mi fai schifo», gli sbattei in faccia con odio. «Sei un psicopatico, ecco cosa sei.» 

Qualcosa cambiò nel suo sguardo e con furia mi si parò davanti, tirando un pugno a un pelo dal mio viso. Sussultai. «Lo sono tanto quanto te, ti ho già detto che siamo simili e ho potuto apprendere che non sei cambiata affatto.» Desiderai con tutta me stessa di spaccargli la faccia ma m'imprigionò i polsi tra le sue mani. «Non voglio farti del male, voglio solo rimediare e voglio che tu mi permetta di farlo, stando al tuo fianco.» Gli scoppiai praticamente a ridere in faccia e non gli piacque per niente, si avvicinò a un centimetro dal mio volto e mi ritrovai completamente intrappolata tra le sue grinfie e con le sue dita attorno al mio collo. «Lo farai se tieni a coloro che ami.» 

Gli gettai un'occhiata carica d'odio. «Non voglio avere niente a che fare con te, dimmi cosa vuoi per sparire dalla faccia della terra e lo avrai.» 

Mi fissò in silenzio, facendomi credere che stesse meditando sulle mie parole ma quello che aggiunse dopo mi bloccò il respiro. «Non voglio niente, Vivienne.» Il sarcasmo con cui pronunciò il mio nome, mi fece saltare i nervi. «Voglio semplicemente te, o meglio noi, come ai vecchi tempi»

Aveva perso la ragione e ne ebbi la certezza. «Tu sei pazzo.» 

La sua espressione mutò e capii che non adorava molto sentirselo dire, ma lo stesso cercò di rimanere calmo. «Se vuoi che non ti tocchi, allora non lo farò, ma voglio stare al tuo fianco.»

«Te lo puoi scordare, mi sono rifatta un'altra vita...»

«Certo, come no.» Rise. «Hai solo trovato un degno sostituto.» Mi trattenni dallo sputargli in faccia. «Senti non c'è stato un attimo in cui non abbia pensato a te e a quello che ho fatto, ma tu lo sai...»

«No, sei tu che non lo sai e non potrai mai capire.» Afferrai il suo braccio con forza perché mi togliesse le mani di dosso ma non riuscii a spostarlo di un millimetro. «Ti sei approfittato di me e sei rientrato nella mia vita, mentendomi.»

«Non essere ridicola, lo volevi tanto quanto me e ti è persino piaciuto.» Un sorriso di scherno comparve sulle sue labbra. «Hai fatto tutto da sola, io non ti ho obbligato a fare proprio un bel niente.» Mi sarei voluta prendere a schiaffi per essermi cacciata in questa situazione. «Non ci potevo credere quando ti ho trovata, ho sempre creduto che fossi...»

«Falla finita!» urlai nel vicolo deserto. «Non voglio sentire più neanche una parola da te.» Lo spintonai. «E ora lasciami andare.» 

Mi guardò, per poi scuotere la testa e mi sentii morire. «Non ti lascio andare, non così almeno.» Cercai di comprendere la sua frase enigmatica senza riuscirci. «Sei scesa nello scantinato e questo mi stupisce.» Mi tesi. «Non hai più paura, Vivienne?», chiese. «Perché io sì, ma la soluzione ce l'ho proprio davanti.» 

Sgranai gli occhi e m'immersi in un passato con cui non volevo più avere niente a che fare. «Io non ti posso aiutare», dissi sprezzante. Lo fissai negli occhi per fargli capire che fossi sincera e per ricercare quei lineamenti che avevo perso nella mia memoria senza trovarli. 

Annullò la distanza tra di noi e a un soffio da me, pronunciò la mia condanna. «Questo lo credi tu.» Si appoggiò contro il mio corpo e mi sollevò il volto verso di lui. Con le dita mi scostò i capelli dal viso, posizionandoli dietro alle orecchie e percorrendo la linea morbida delle mie labbra con i polpastrelli. Provai a scostarmi ma non me lo permise. «Siamo stati bene insieme.» 

Avrei voluto urlare dall'esasperazione, ma temevo la sua reazione. «Credi che dopo aver scoperto chi sei, succederà di nuovo? Beh, te lo puoi scordare.» Mi fissò senza dire nulla, per poi sospirare affranto. Lo fissai e gli chiesi sofferente l'unica domanda di cui temevo la risposta. «C'entri qualcosa con la morte di Spencer?» 

La sua espressione s'indurì. «Mi credi in grado di fare del male alle persone?» 

«Assolutamente, perché sei stato in grado di farne a me.» 

Sussultò come se lo avessi schiaffeggiato e indietreggiò interdetto. Approfittai della sua distrazione per fuggire con uno scatto rapido verso la salvezza ma fu solo un'illusione perché, in pochi secondi, mi afferrò con forza e urlai dallo spavento ma fu rapido a tapparmi la bocca con una mano. «Questo è stato parecchio stupido ma se non hai intenzione di accettare la mia offerta con le buone, dovrò farlo con le cattive.» Lo sentii maneggiare con la cintura dei pantaloni e mi impanicai, mi scalmanai, ma mi bloccò le gambe e il busto con il suo corpo. «Un giorno mi ringrazierai e aspetterò con ansia fino a quel momento, ma per adesso...» mi sollevò il vestito sui fianchi e lo guardai, sembrò quasi godere del panico che lesse nei miei occhi e sentii il cuore finirmi dritto in gola mentre la respirazione si faceva accelerata. Gli presi a pugni il petto per provare a impedirgli di portare a termine il suo intento ma era troppo forte. Mi sentii sola e vulnerabile e alcune lacrime sfuggirono dai miei occhi che lui prontamente raccolse soddisfatto. Puntò i suoi occhi lussuriosi nei miei e lo guardai schifata ma consapevole di non avere più una via d'uscita e quando entrò prepotentemente dentro di me, persi contatto con la realtà per qualche secondo ma avrei desiderato con tutta me stessa che fossero molti di più. Si fece strada dentro di me più e più volte, gemendo mentre non emisi un fiato, aspettando solo che questo scempio terminasse. Mi leccò e morse il collo, per poi sussurrarmi all'orecchio. «Lo so che lo vuoi, non puoi farne a meno.» Portò il suo volto davanti al mio per baciarmi ma mi scostai e lui prontamente me lo afferrò per impossessarsi anche della mia bocca, privandomi di tutto. Gli morsi la lingua e lui si sottrasse, sorridendo beffardo, mentre un po' di sangue gli colava tra le labbra ma questo di certo non lo fermò, anzi sembrò eccitarlo ancora di più e infatti dopo altri colpi venne, fuoriuscendo dall'involucro a cui mi aveva ridotta.

Appena riacquistai possesso delle mie facoltà, sentii le mie gambe tremare e temetti che non mi avrebbero retta. Lo guardai scostarsi i capelli dalla fronte e sospirare soddisfatto mentre io se avessi avuto una pistola a portata di mano molto probabilmente, non avrei esitato a piantargli una pallottola tra gli occhi. 

Si frugò nelle tasche e tirò fuori una siringa, lo fissai allucinata ma non feci in tempo a dire nulla che, afferrandomi per una spalla, mi punse nel collo. Vi portai sopra una mano e lo guardai sconvolta senza sapere che cosa aspettarmi. «Tornerò a prenderti e quando ti sarai rimessa, parleremo da persone civili.» Scivolai a terra, sentendo le forze mancarmi e la vista cominciò ad annebbiarsi. «Non ricorderai niente per qualche giorno ma quando lo farai spero che tu riesca a ragionare con più lucidità. Tu sei la mia soluzione, così come io sono la tua e prima lo capisci, meglio sarà per tutti.» Sentii gli occhi e il respiro farsi pesanti, si piegò sulle ginocchia e mi accarezzò il volto, sussurrandomi: «Va a dormire, Vivienne.» 

Chiusi gli occhi con l'ultima immagine del suo volto impressa nella mente e con un odio nell'animo che niente e nessuno avrebbe mai potuto placare.

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