Udienza -parte seconda-

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Dopo la pausa, in cui molti dei presenti si chiesero quanto potesse calcare ancora la mano l'accusa, furono ascoltanti gli addetti alla sicurezza dell'hotel e alcuni altri poliziotti. Poi fu il turno del medico legale.

"Lei ha eseguito le due autopsie sul corpo della vittima" iniziò a interrogarlo Lucifero "Corretto?".

"Sì" annuì l'uomo, di mezza età e con una leggera barbetta bianca.

"Può spiegare alla corte la ragione di due diverse autopsie?".

"La prima subito dopo la morte, la seconda in seguito alla confessione".

"E come mai alla prima autopsia aveva appoggiato l'idea del suicidio? Quali differenze ha riscontrato?".

"C'erano tracce di narcotici nel sangue e nessun segno evidente sul corpo, perciò la posizione e il suo stato faceva pensare a un suicidio. Con la seconda autopsia però sono emerse echimosi riconducibili a una colluttazione e altri dettagli".

"Può essere più preciso?".

L'uomo mostrò un disegno, raffigurante i punti in cui erano state rilevate delle tracce e indicandole.

"Sulla tempia destra è emersa una chiara impronta della volata e del mirino dell'arma usata, segno che è stata premuta con forza. Sulle braccia ho rilevato segni di costrizione e sulle mani dei graffi, assieme a una chiara impronta sull'indice non appartenente alla vittima. È avidente che abbia lottato per difendersi ma, stordito dalle sostanze che aveva in corpo, non è riuscito ad avere la meglio".

"Può raccontare in che modo, secondo la ricostruzione effettuata dal team medico, autoptico e forense, Armand è stato ucciso?".

"Dalla quantità di narcotico trovato, la vittima non era totalmente lucida ed ha subito un'aggressione. Da come il corpo è stato trovato, e da dove sono state rilevate impronte e tracce, il decesso è avvenuto per opera di un singolo colpo di pistola alla tempia, pistola posta forzatamente nella mano della vittima, che nel frattempo era trattenuta, e a cui è stato fatto premere il grilletto. Non è stata la vittima a premere volutamente il grilletto ma è stata una mano diversa, di cui sono state trovate chiare impronte, a obbligarla in quel gesto".

"La mano di cui sono state rilevate le impronte sulla pistola e sulla mano di Armand di chi erano?".

"Dell'accusata qui presente".

"E chi invece tratteneva la vittima, stando alle prove rilevate?".

"Il suo complice, l'altro accusato".

Ci fu qualche istante di silenzio.

"Dalle prove risulta un'echinosi sulla tempia destra, dico bene?" riprese Lucifero, indicando il disegno che l'uomo aveva con sé.

"Sì, esatto".

"Questo, in caso di suicidio volontario, prevederebbe l'uso della mano destra per impugnare la pistola e uccidersi. Correggetemi se sbaglio".

"È corretto".

"La vittima era mancina. Avrebbe potuto suicidarsi con la mano sinistra e provocare quei segni?".

"No. Impossibile".

"Grazie. Non ho altre domande".

Si alzò l'avvocato della difesa, avvicinandosi al medico legale, mentre Lucifero tornava a sedersi e allungava lo sguardo verso gli accusati.

"Dunque lei sostiene che sia stata un'aggressione" iniziò la difesa.

"Sì, assolutamente".

"E, mi dica, la morte è stata istantanea?".

"Dall'angolazione del colpo, no. Il decesso è avvenuto qualche minuto più tardi, a seguito del massiccio dissanguamento".

"E, in caso di aggressione con intento omicida, perché lasciare in vita la vittima? Perché non usare altri colpi, assicurandosi di averla uccisa? Non è più probabile che si tratti di una colluttazione, di un litigio, finito nel modo sbagliato? E se fosse stato Armand con la pistola carica, pronto a colpire, e i miei clienti si fossero semplicemente difesi e fosse partito accidentalmente un colpo? Forse sotto l'effetto della droga...".

"Non ci sono referti che possano indicare un tale evento. Solo la vittima ha riportato ferite e la pistola era impugnata con la mano destra, inusuale per un mancino".

"Ricordo che era sotto l'effetto di droga e sostanze. Forse confuso, stordito, ha...".

"Obiezione" sbottò Lucifero "Questa tesi non ha senso. L'assumere sostanze non ti fa diventare improvvisamente destrimano!".

"Non può saperlo!".

"Vuole provare a drogarmi per verificarlo?" rispose il demone di rimando, giocherellando con una penna con due dita della mano sinistra.

"La verità..." riprese Lucifero "È che siamo davanti a due assassini dalla mente lucida, che hanno agito con premeditazione e violenza".

"E perché confessare?".

"Non lo so. Lo chieda a loro!".

"L'ho chiesto e mi è stato detto che è colpa vostra!".

"Mia?!".

"Sì! Hanno confessato dopo che voi siete andato a comprare i quadri. Che avete fatto? Li avete minacciati?".

"I suoi clienti hanno detto così?".

"No!".

"E allora le consiglio di non aggiungere altro, se non vuole vedere il numero esorbitante di legali che posso metterle contro!".

"Queste sono minacce!".

"E le sue illazioni insensate, con offese ingiustificate!".

"Voi siete il Diavolo!".

"Non sono io l'assassino qui!".

"Silenzio!" si udì finalmente la voce del giudice presente "Prendiamoci tutti una pausa e vediamo di abbassare i toni. Tutti quanti!".

Lucifero era rimasto estremamente calmo, nonostante le provocazioni. Uscì dall'aula con pragmatica flemma, raggiungendo il piccolo cortile interno per fumare. Con i cellulari ritirati all'ingresso, il gruppetto di persone convocate si ritrovò costretta a parlottare con il prossimo per passare il tempo.

"Caffè?" offrì il medico legale ad Azazel, porgendogli una tazzina dai distributori automatici.

"Grazie..." mormorò il receptionist, non molto convinto.

"Prima volta in tribunale?" ipotizzò il mortale.

"Per un conoscente sì" ammise il demone.

"Non è semplice. Conoscere la vittima e vedere certe immagini...".

"Se servono allo scopo...".

"Avete un eccellente avvocato. Non mi preoccuperei. E comunque siete libero di tornare a casa adesso, non serve che aspettiate la sentenza".

L'uomo camminò altrove, offrendo caffè ad altri convocati. Azazel osservava il suo capo che pareva stranamente tranquillo, con mille pensieri per la testa come sempre, ma per nulla agitato. Separato dal resto del gruppo, per necessità più che per desiderio, finì la sigaretta e fissò l'orologio appeso al muro. I due avvocati erano stati richiamati in aula, gli altri potevano tornare a casa, e scese di nuovo il silenzio.

A udienza finita, sentenza pronunciata, il Diavolo si sentì sollevato. Piena facoltà mentale, nessuno sconto di pena per incapacità di intenti, avrebbe potuto chiedere l'ergastolo senza mezzi termini. Era soddisfatto, dimostrare che i due assassini fossero strateghi e non folli era esattamente quel che voleva, e lasciò il tribunale con la solita aria spavalda e sicura, avvisando Azazel di quanto stabilito dal tribunale. Schivò i giornalisti, non essendo molto in vena di chiacchiere, e raggiunse il parcheggio. Solo una volta seduto nella propria auto si accorse di quanta tensione in realtà avesse dentro di sé. Rivedere quelle foto, ascoltare i racconti di poliziotti e medici, con così tanti dettagli sulla morte, avevano infierito su una ferita ancora ben lontana dall'essere sanata. Si ritrovò a pensare a quelle frasi: non è morto immediatamente. Suo figlio ha avuto alcuni minuti per realizzare la fine, in cui è rimasto lì disteso a soffrire, in un'agonia dolorosa e crudele.

Sapeva che doveva rientrare in albergo, sapeva che doveva accendere l'auto e partire, ma non ci riusciva. Se ne stava lì, mani sul volante e sguardo leggermente folle, quando suonò il telefono poggiato sul sedile anteriore del passeggero. Girò gli occhi, leggendo il nome di Astaroth, e capì che restarsene lì fermo non avrebbe risolto un granché.

"Dimmi, splendore" rispose, a mezza voce.

"Ho visto che mi cercavi, tesoro. Cosa ti serve?" rispose Astaroth, ridacchiando.

"Cercavo tuo figlio, a dir la verità. È nei paraggi?".

"A cosa ti serve il mio pupillo, meraviglia della natura?".

"Gli devo un favore e la cosa è quasi a buon fine. Me lo passi o vengo lì io a punirti per non averlo fatto?".

"Sarei tentato... ma te lo passo!".

Il giovane figlio di Astaroth era emozionato perché presto avrebbe avuto uno spazio tutto suo in hotel, dove poter vendere e realizzare le sue creazioni in oro e preziosi. La sua parte femminile amava realizzare gioielli e orologi e Lucifero aveva deciso di far nascere una linea dedicata all'hotel, sfruttando il fatto che molti degli ospiti erano piuttosto facoltosi. Il ragazzo avrebbe avuto uno spazio fra i negozi interni, dove vendere e creare su ordinazione, apponendo il logo del Kerigma. Era felice, era il suo sogno, anche se Astaroth non appoggiava molto l'idea. Il lato maschile del più  giovane degli Astarti si occupava di tatuaggi e aveva uno studio accanto alla galleria d'arte, dove usare i corpi come tele per dipingere. Il genitore appoggiava più quell'attività ma di certe questioni di famiglia a Lucifero poco importava: poteva portare i suoi gioielli in hotel, lo spazio per lui era pronto!

Parlare con quel ragazzo, così pieno di sogni e idee per il futuro, lo aveva depresso ulteriormente. Quanti sogni aveva ancora Ahriman da realizzare? E quanti era stato lui stesso a infrangere col suo giudizio? Volendo smetterla di pensarci, guidò fino al Krios. L'albergo in montagna era momentaneamente chiuso per fine stagione e decise di sistemarlo, lasciando che la creatività gli impegnasse il cervello e la lieve brezza montana scacciasse l'ormai opprimente caldo di fine primavera.

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