5. Che ansia!

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Kate:

Sono qui solo da poche ore e sul mio viso non è mai sparito quel sorriso che mi accompagna da quando sono arrivata.
Sono nel posto dei miei sogni.
Lavorare per Ashton Crew è sempre stato il mio obiettivo ed essere qui ora mi sembra quasi come un sogno.
Certo, non devo dimenticarmi che sono solo in prova come ha tenuto a specificare lui stesso. Una minaccia velata.
A volte sono davvero troppo curiosa, devo tenere a bada la lingua.

Sono al computer che sto curiosando i suoi appuntamenti e più scorro con il mouse, più spalanco gli occhi.
Sembrano non finire mai, ci sono anche cose private come lavanderia, barbiere, negozi in cui deve andare e mille altri appuntamenti.
Praticamente, ogni ora, lui deve andare da qualche parte.
La sua vita è organizzata in tutto e per tutto, a differenza della mia che quando torno a casa sono capace solo di ingozzarmi di patatine, guardando la TV.
Che tristezza.

Sento il telefono suonare accanto a me e sobbalzo per lo spavento, saltando quasi dalla sedia.
Con il cuore ancora in gola, prendo la cornetta tra le mani e rispondo, agitata.
«Ufficio del signor Crew.»
«In questo telefono la chiamerò solo io»
è la sua voce, che sento dall'altro capo della linea. Calda, virile, bellissima da sentire. Dio, mi fa venire un caldo tremendo.
«Oh» mormoro, sorpresa. 
«Volevo solo dirle di segnarmi un appuntamento per oggi alle 13:58.»
E non so perché appena lo dice, mi viene da ridere.
Ma per sicurezza mi trattengo.

«Alle 13:58? Quindi, alle 14:00.»
Silenzio.
«No, alle 13:58» ripete, deciso. 
Scrollo le spalle, un po' stranita. «Okay. Dove?»
«Ho il pranzo prenotato al ristorante indiano, mi chiami un taxi, deve essere qui sotto per le 13:52.»
Scrivo velocemente al computer mentre un sorriso mi spunta sulle labbra.
Pensavo che non fosse realmente così preciso. A quanto pare mi sbagliavo.

«E se ci fosse traffico?» mi pento immediatamente per la mia linguaccia. 
«Come ha detto?» la sua voce è terribilmente seria. 
«Intendo... Come sa che partendo a 52 il taxi arriverà lì a 58?»
«Il taxi arriverà al ristorante a 57 e io per 58 sarò già dentro.»
Mah..
«Se lo dice lei...» mi sfugge di nuovo, prima di tapparmi la bocca con la mano.
Kate, zitta. Devi star zitta.

«Verrà anche lei con me, quindi lo vedrà con i suoi occhi. A 58 saremo dentro quel ristorante.»
Spalanco gli occhi. «Io?? E che... Che c'entro io?»
«Ricorda quando ho detto che lei sarà la mia ombra? Ecco, intendevo ovunque.
Starà sempre con me in ogni momento della giornata.»
Ah. Quindi, letteralmente!

«In ogni momento...» ripeto e lui ride.
Adoro sentirlo ridere e come una scema mi sento orgogliosa che sia stato merito mio. È la seconda volta che lo sento ed è bellissima.
«Be', non in tutti i momenti.»
«Ma certo. Di notte saremo separati» faccio una risata nervosa, poi mi rendo conto di ciò che è appena sfuggito dalle mie labbra e sgrano gli occhi diventando viola in viso.
Oh, mio Dio. Qualcuno mi uccida e nasconda il mio corpo in fondo al mare.

Sento la sua risata riecheggiare nel telefono, così mi rilasso immediatamente rilasciando il respiro che avevo trattenuto. L'ho fatto ridere di nuovo.
«A dopo, signorina Fischer» mi saluta e subito dopo riaggancia.
Questo lavoro non durerà molto se non tengo la lingua a freno.

Il tempo scorre velocemente e quando guardo l'orologio sono già le 13:40.
Che strano, ho l'impressione di aver dimenticato qualcosa.
Mah...
Spero almeno non sia niente di importante.

Passano altri cinque minuti e qualcuno bussa alla mia porta, senza aspettare che risponda, Ashton fa il suo ingresso e mi guarda con un viso calmo e rilassato.
«È pronta?» mi chiede e io annuisco, un po' confusa.
Pronta??
«Ehm, ma certo che sono pronta!»
Pronta per cosa?
«Perfetto, allora andiamo» esce dal mio ufficio e io mi gratto la testa, pensando. Ma niente, vuoto totale.
Ma devo seguirlo?
Per sicurezza mi alzo anche io e prendo la borsetta, quindi cammino dietro di lui mentre prosegue nel suo ufficio, prendiamo il suo ascensore personale fino ad uscire proprio dall'edificio.
Siamo in strada, aspettando.
Cosa, non lo so. Questo è un problema.

Incrocio le braccia al petto e mi guardo intorno, il tempo passa.
A questo punto guarda il suo orologio al polso e mi fa un leggero sorriso.
Io rimango accanto a lui e aspettiamo ancora. Ho l'impressione di aver dimenticato qualcosa, ma più ci penso, peggio è. Non ricordo nulla.

Passa solo qualche secondo che controlla di nuovo il suo orologio.
E ora sembra sia un po' nervosetto.
«Mi scusi, ma, chi stiamo aspettando di preciso?» chiedo, girandomi verso di lui.
Il suo viso adesso scatta verso la mia direzione con un movimento del collo talmente rapido da aver pensato per un secondo, si potesse spezzare.

«Il taxi, stiamo aspettando il taxi. Perché lo stiamo aspettando, vero?»
assottiglia gli occhi e mi guarda sospettoso.
Il taxi.
Il taxi...
Quale...
Oh, mio Dio!
Il taxi!
Il ristorante!
Ho dimenticato completamente di chiamare il taxi.
Maledetti vuoti di memoria!

«Ma... Ma certo che lo stiamo aspettando.»
Corro verso la strada, impanicata, e inizio a urlare come una pazza.
«Taxiii» strillo a più a non posso e faccio cenno con la mano affinché se ne fermi uno.
Qualcuno lassù mi aiuti.

Continuo a chiamarlo per altre tre volte, finché un taxi non si ferma proprio davanti a me.
Faccio un respiro di sollievo, con il cuore che mi batte velocissimo per l'agitazione, poi mi giro verso il mio capo e gli faccio cenno di raggiungermi.
Mentre viene verso di me, i suoi occhi non smettono per un attimo di guardare i miei.
Sembra abbastanza sospettoso.

Quando arriva di fronte a me, mi fa entrare per prima, poi mi segue e si siede accanto a me.
Dice al tassista il ristorante dove dobbiamo andare, poi guarda l'orologio.
Sporgo leggermente la testa e sbircio anche io per vedere che ora sia, quindi mi avvicino leggermente a lui e non appena lo faccio, il suo profumo mi entra dentro le narici.
E sono esattamente le 14:52.

Sorrido soddisfatta e non appena alzo lo sguardo verso di lui, mi accorgo di essergli praticamente appiccicata, quindi con il viso in fiamme mi allontano velocemente andando dalla parte opposta alla sua. Probabilmente mi prenderà per una deficiente, ma va bene così.

Il viaggio procede in silenzio e faccio un respiro di sollievo quando lui non fa nessuna domanda per quanto è successo poco fa.
Arriviamo davanti al ristorante e Ashton lascia i soldi all'autista, poi usciamo insieme dall'auto e ci dirigiamo all'interno del locale.
Il mio capo guarda l'orologio per l'ennesima volta non appena siamo dentro, quindi si gira verso di me facendomi un sorriso di soddisfazione.
Capisco subito che sono esattamente e 58.
Questa è fortuna!

Ci sediamo l'uno accanto all'altra e io lo guardo un po' imbarazzata.
Il cameriere arriva poco dopo e ci porta due menù.
«Stiamo aspettando qualcun altro?»
«Non stiamo aspettando nessuno.»
Il cameriere si allontana e mentre Ashton legge il suo menù, do una sbirciatina al suo viso visto di profilo.
È un incanto.
«Perché prima ha dovuto chiamare il taxi se l'aveva già prenotato?»
La sua voce arriva all'improvviso e per lo spavento, faccio volare il menù in aria.
Cade a terra con un colpo secco.
Cristo santo.
Ancora scossa, lo raccolgo il più velocemente possibile.
Sapevo che mi avrebbe fatto questa domanda.
Non potevo certo scamparmela. Troppo facile. Devo inventarmi subito qualcosa.

Cerco di fare la faccia più seria che ho nel mio repertorio, poi mi schiarisco la voce e lo guardo.
Ma non negli occhi. Nel naso.
Si, lo sto esattamente guardando nel naso.
Non riesco a dire bugie, altrimenti. Spero non se ne accorga.
«Perché... perché ci eravamo messi d'accordo con l'autista che io sarei scesa in strada a chiamarlo.»
Semplice, no? È stato facile.

«Ma che motivo aveva di chiamarlo se era già prenotato?»
«Ehm...» ci penso, in difficoltà. «Ha voluto lui così. Mi ha detto che preferisce quando la gente urla in strada per chiamarlo perché...  Perché così rende più entusiasmante il suo lavoro!»
«E quando ha prenotato, lui le ha detto tutte queste cose?» chiede un po' confuso dalla mia spiegazione.
«Esatto. Gli piaceva parlare.» Mi stringo nelle spalle, come a fargli capire che c'è gente davvero strana.
Oh, se sapesse!

«Mmh. Durante il tragitto non ha detto neanche una parola» osserva, accigliato.
Merda. Perché deve indagare così tanto?
Che ansia!
«Era... Era molto timido!»
«Al telefono no, però.» La risposta subito pronta.
«Oh, guardi» strillo. «Al cameriere è appena caduto un piatto» indico un punto a caso per distrarlo e lui si volta per controllare.
«Non è caduto niente.»
«Ah! Che stupida, mi era sembrato di sì» faccio un'altra risata nervosa mentre sento il mio corpo sudare freddo.

Lo vedo aprire la bocca per dire qualcosa, quando all'improvviso come una visione divina, arriva il cameriere a ritirare i menù.
Sia ringraziato il cielo.
Dopo aver preso le ordinazioni, si allontana lasciandoci di nuovo soli.
E stavolta tocca a me fare domande, prima che indaghi ancora sulla questione taxi.

«Dopo il ristorante devo accompagnarla da qualche parte?» chiedo seria. Ashton solleva un sopracciglio e appoggia il gomito sul tavolo, guardandomi con attenzione.
«In realtà è lei che dovrebbe dirmelo.»
«Giusto. Era una battuta infatti. È ovvio che dobbiamo andare da qualche parte!»
Anche se non ne ho idea.

«Già, qualche parte. Per esempio, dove?»
mi chiede, curioso.
Oh, no. Domanda di riserva?
Prima avevo letto tutti i suoi appuntamenti e adesso non ne ricordo neanche mezzo. Santo cielo.

«Non se lo ricorda?» chiede e io inizio ad andare nel panico.
Sono quasi sicura che il mio viso sia diventato cadaverico.
«Ehm, dobbiamo tornare in... in ufficio?»
Fa un mezzo sorriso.
Punta i suoi occhi blu su di me osservandomi scrupolosamente, come se volesse leggermi la mente, ma spero non lo faccia, dato che ora è completamente vuota.
Quest'uomo mi manda in tilt e il fatto che lui non debba scoprire il mio piccolo e insignificante problema, mi sembra sempre più difficile.

«Sì, dobbiamo tornare in ufficio e più tardi ho altri appuntamenti. Le consiglio di scriverli anche in un'agenda.»
«Ma certo» mi rilasso.
Stiamo per qualche minuto in silenzio e nel mentre il cameriere ci porta i piatti che abbiamo ordinato.
Quando arriva il mio pollo con l'insalata e i pomodori, lo guardo con l'acquolina in bocca.
Lo stomaco inizia a borbottare solo per aver visto il cibo, così dato che sta facendo rumori abbastanza imbarazzanti, inizio a far finta di tossire per camuffare il tutto.
Prima che continui, porto alla bocca un pezzo di pollo, lo mastico velocemente per far sì che lo stomaco smetta di lamentarsi, ma nel farlo mi ritrovo a inghiottire anche un osso che mi si blocca in gola mozzandomi il respiro.
Merda! Non immaginavo di morire così!

Mi metto una mano sulla gola e inizio a dare colpetti per fare in modo che l'osso scenda.
Il mio viso intanto diventa rossissimo e non riesco neppure a tossire, né tanto meno respirare.
Morirò con un osso di pollo infilzato in gola!

Ashton intanto, mi guarda preoccupato e capisce subito che qualcosa non va, quindi non perde molto tempo prima di alzarsi, dunque si mette dietro di me, mi solleva dalle braccia, appoggia il suo corpo contro la mia schiena e con le mani fa pressione sul mio stomaco facendo una manovra di pronto soccorso.
Finalmente l'osso risale su e riesco a sputarlo da qualche parte, con il viso ancora in fiamme. L'imbarazzo alle stelle.

Ashton si sposta dal mio corpo e io cerco di calmarmi facendo dei lunghi respiri.
Poi prendo un fazzoletto da sopra il tavolo e mi pulisco le labbra. Ho persino gli occhi lucidi.
Lo rimetto al suo posto e alzo lo sguardo verso di lui. «Grazie. Mi ha salvato la vita.»

Lui fa un piccolo sorriso e con lo sguardo indica il suo piatto. «Be', almeno adesso avrò anche un piccolo ricordino.»
Lo guardo confusa, non capendo a cosa si stia riferendo, così seguo la direzione del suo sguardo e per poco non svengo quando insieme alla sua insalata con pomodori e mozzarella vedo l'osso del pollo.
Esatto. Quello che io avevo in gola e ho appena sputato fuori.
Che figura di merda!

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